Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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151.
VITA DI NAZARETH - II

«Gesù... venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?» (Mt 13,54-55).

1° Vita di lavoro conducevano a Nazaret Gesù, Maria e Giuseppe. Il lavoro di Maria era quello di una qualsiasi donna ebrea della sua condizione sociale; il lavoro di Gesù e di Giuseppe era quello di falegname.
Durante il suo ministero pubblico Gesù, un giorno, tornò al suo paesello e vi fece un discorso mirabile per sapienza ed unzione sacra. I compaesani si guardavano l’un l’altro meravigliati dicendo: «Donde attinge costui tanta sapienza e virtù? Non è forse il figlio del fabbro-falegname?» (Mt 13,54). Ed altri dicevano addirittura: «Non è egli il fabbro?» (Mc 6,3).
S. Giuseppe vivente guidava l’officina; morto S. Giuseppe, Gesù la continuò e divenne il | fabbro-falegname del paese. L’avevano veduto passare la giornata al lavoro; molti avevano commessi a lui dei lavori; Gesù era andato nelle loro case a portarli, riscuotendo la mercede...; quindi stupivano della sua sapienza, sentendolo parlare: «Quale sapienza possiede egli mai?» (Mc 6,2). Ed era il fabbricatore del mondo! «Tutte le cose sono state fatte per184 lui» (Gv 1,3). E tu sdegni un lavoro umile? Non è forse una piaga sociale l’aspirare a professioni elevate, dedicandosi agli studi, sdegnando i lavori del contadino e dell’operaio?

2° Il lavoro è comando di Dio: «Come l’uccello è destinato al volo, così l’uomo alla fatica» (Gb 5,7). Ed anche prima del peccato originale l’uomo doveva lavorare: «Perché lo lavorasse e lo custodisse» (Gen 2,15); doveva custodire e lavorare il giardino delle delizie.
Dio è sommamente attivo, ed è il primo motore; l’uomo deve essere simile a lui. La vita è moto; l’ozio è morte.
Il lavoro è la pena del peccato, inflitta ad Adamo: «Con fatiche trarrai il nutrimento» (Gen 3,19); quel pane che prima mangiavi lavorando, ma senza sudore, d’ora in poi sarà bagnato dal tuo sudore.
Il lavoro è necessità di vita. Perciò S. Paolo scriveva: «Chi non lavora185 non mangi» (2Ts 3,10). Si capisce che vi sono vari lavori: dove predomina l’intelligenza, dove predomina lo spirito, dove predomina il corpo: vi è il | maestro, il sacerdote, il contadino, il professionista, il soldato, l’artista, l’operaio.

3° Chi potendo lavorare fa vita oziosa, sebbene possidente, vive in abituale peccato. La vita, anche del ricco, non può essere spesa inutilmente o nei divertimenti. Chi ha salute limitata farà quel tanto di lavoro che gli è possibile. Pregando e soffrendo per la società e per la salvezza del mondo, si compie un nobile e grande lavoro.
Il lavoro fu da Gesù Cristo nobilitato al sommo; fu assiduo, incessante; fu compìto con retta intenzione e rassegnazione; egli implicitamente condannava le soverchie pretese e le lotte di classe attuali. Le encicliche dei Papi da Leone XIII ad oggi che trattano di questo argomento sono sommamente istruttive.

Esame. –
Come considero il lavoro? con quali disposizioni interne ed esterne lo compio?

Proposito. –
Leggerò e mediterò le encicliche sociali di Leone XIII, di Pio XI, di Pio XII.186

Preghiera. – O Gesù, vi considero come modello di lavoro. Mi piace contemplarvi nella bottega, vestito degli abiti di operaio, intento a segare, piallare, battere col martello, senza perdere un minuto di tempo, sudato in fronte.187 Voglio adorarvi, amarvi, pregarvi, nell’atto in cui vi mostrate garzone di bottega. Vi ringrazio di questa grande lezione che date a me ed all’umanità. Santificate l’operaio, confortateci nelle | quotidiane fatiche, infondeteci la rassegnazione gioiosa, perché sempre miriamo a due intenti: «pane e paradiso».
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184 Meglio: «per mezzo di lui».

185 Più esattamente: «Chi non vuol lavorare...».

186 Oggi si dovrebbero aggiungere: l’enciclica “Populorum Progressio” di Paolo VI (1967) e le due encicliche di Giovanni Paolo II: “Laborem exercens” (1981) e la “Sollicitudo rei socialis” (1987).

187 L’immagine di Gesù, sudato al suo banco di lavoro, colpiva fortemente Don Alberione. Commenterà in seguito: «Il sudore della sua fronte a Nazaret non era meno redentivo che il sudore di sangue nel Getsemani» (San Paolo, genn. 1954; cf ACV, p. 170).