Anno XLIV
SAN PAOLO
Gennaio 1969
Roma Casa Generalizia,
AVE MARIA, LIBER INCOMPREHENSUS, QUAE VERBUM ET FILIUM PATRIS MUNDO LEGENDUM EXHIBUISTI (S. EPIPHANIUS EP.)
FESTA DEL DIVIN MAESTRO
Voi mi chiamate Signore e Maestro, e dite bene, perché lo sono (Giov 13,13): è l'affermazione che risuona ai nostri orecchi nel ritorno annuale della festa paolina di Gesù Maestro Divino; da noi onorato come Via, Verità e Vita; festa che ci invita ad approfondire sempre più questo titolo che Gesù ama e si applica, per penetrare maggiormente nella conoscenza di Lui e, mediante la conoscenza, nell'amore e nella imitazione, fare passi necessari per arrivare a ciò che costituisce la méta stabilitaci dal Padre Celeste, il fine della vita umana, la caparra sicura della felicità eterna: la identificazione con Gesù Cristo stesso.
Nei difficili tempi che stiamo passando, in un disorientamento tanto profondo che ha poche corrispondenze nella Storia, alta e solenne risuona la voce di Cristo, Inviato del Padre: Uno solo è il vostro Maestro: Cristo!
Ai nostri giorni è diventato di moda non solo la parola «contestare», ma la contestazione stessa, contro tutto e contro tutti, inglobando in un unico ammasso buono e cattivo, antico e moderno; alto e basso, in una confusione e in un disordine di cui i contestatori sono i primi a non rendersi conto. E il bello - o il brutto - è questo: che mentre si va contro tutti e contro tutto, mentre non si vogliono più riconoscere né princìpi né autorità, ci si attacca inflessibilmente alla propria opinione, al proprio modo di vedere e alla propria idea, come all'unica giusta, intangibile e sicurissima. E' l'eterno: «Togliti tu, che mi ci metto io»! L'eterna, inconscia o conscia, lotta dell'egoismo umano, che si erge a giudice e discriminatore, oppositore e carnefice, pur di costruirsi un piedistallo donde poter dominare incontrastato.
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La marea della protesta si sta ora non solo ingrandendo in larghezza, estendendosi a tutti i settori della vita sociale - operai, studenti, avvocati, magistrati, sacerdoti, - ma si sta pure elevando in altezza, se così possiamo esprimerci. E cioè, non prende solo di mira istituzioni umane, sempre difettose e quindi sempre passibili di miglioramenti, ma anche quelle divine: la Chiesa, il dogma, il Vangelo. Abbiamo sentito ripetutamente parlare di Teologi olandesi con il loro catechismo, l'Isolotto di Firenze o di quello di Torino, di sollevazioni in gruppo in Diocesi e Seminari e Istituti religiosi, e si può dire che la realtà nel mondo è assai più ampia e profonda di quanto conoscano e pubblichino i giornali nostrani.
Si crede di poter mettere tutto in discussione: non soltanto venerabili tradizioni, ma i fondamenti stessi della Chiesa, l'autorità del Vicario di Cristo, la verità del Vangelo, l'esistenza stessa di Dio.
E' un vero, profondo periodo di crisi che il mondo sta passando: crisi tanto più grave e pericolosa, in quanto tocca i princìpi, scuote, i fondamenti, si scaglia contro ogni salvaguardia, in nome di una libertà malintesa, di una indipendenza che è persino irragionevole, di una presunzione che a volte si potrebbe chiamare addirittura diabolica. Forse mai, nella Storia, si sono moltiplicati come oggi gli anarchici, di nome e di fatto.
E molti si guardano attorno attoniti e sì domandano sgomenti: Ma dove andiamo a finire? E' proprio tutto male quello che si è fatto e creduto sino ad oggi? E' tutto sbagliato? Tutto da rifare? Par di sentire il Salmista:
Ecco: gli empi tendono l'arco, drizzano sulla corda le saette per trafiggere nel buio gli uomini retti. Quando sono scosse le fondamenta il giusto che mai può fare? (11,2)
Ma possiamo rispondere con lo stesso Salmista :
C'è il Signore nel Tempio suo santo,
il Signore che ha il suo trono nel cielo.
Gli occhi suoi osservano,
i suoi sguardi scrutano i mortali.
Il Signore scruta il giusto e l'empio;
l'anima sua detesta chi fa il male.
Farà piovere sugli empi carboni accesi;
zolfo e vento infuocato sarà la loro sorte (11,4-6)
Il male pare prendere il sopravvento, i cattivi si fanno sempre più baldanzosi, spargono calunnie, gonfiano gli scandali, travisano i fatti, pescano nel torbido:
Insorgono i re della terra
e i principi congiurano insieme
contro Dio e contro il suo Cristo:
«Infrangiamo i loro legami,
scuotiamo da noi le loro catene!» (2,1-3).
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Sono atti e voci che si ripetono anche oggi, da chi ha dimenticato Dio o non vuole saperne di Lui. Da chi non vuol riconoscere alcuna autorità proveniente da Lui. Da chi, sforzandosi di non credere in Lui e negandone persino l'esistenza, si sente tuttavia il bisogno di combatterlo, perché in fondo al proprio essere sente che c'è.
E c'è, infatti. E risponde:
Chi siede nei cieli se ne ride,
il Signore si burla di loro.
Poi parla ad essi nella sua ira
e nel suo furore li sgomenta:
«Sono io che ho consacrato il mio re
sopra Sion, il mio monte santo» (2,4-6).
Io che ho mandato mio Figlio, io che l'ho costituito Signore, ho stabilito la mia Chiesa, le ho dato le sue leggi, la sua verità, io che le comunico la vita!
Il Salmo prosegue con le parole del Re-Messia che promulga il decreto di Dio, quel decreto che gli dà tutti i poteri e ogni autorità, che lo costituisce al di sopra di tutti e di tutto, Dominatore, Cristo e Signore.
A me è stata data ogni potestà (Mat 28,18), ripete ancora oggi questo Re e Signore, il quale intende esercitarla e farla valere, regnare e governare, fino a quando riconsegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver distrutto ogni dominazione, ogni autorità ed ogni potere. Perché è necessario che Cristo regni fino a che Dio non abbia messo sotto ai suoi piedi tutti i suoi nemici... E quando Dio avrà assoggettato a lui tutte le cose, allora il Figlio stesso sarà sottomesso a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,24s.28).
Allora tutto sarà pace, concordia, amore. Sarà il Paradiso. Ma per intanto siamo ancora qui nella lotta, nel tormento, nell'incertezza e nel dolore.
Come arrivare alla sicurezza qui sulla terra, come mantenersi nella verità e sulla retta via, nonostante le tenebre, gli errori e le denigrazioni, per giungere alla vera vita lassù?
Ascoltiamo la risposta dello stesso Figlio di Dio, risposta che egli diede ai suoi più fedeli, proprio dopo aver loro predetto dolori e persecuzioni e morte, e prima di esporre quale condotta li avrebbe portati alla sicurezza, alla salvezza, all'eterna compagnia con Lui. Voi mi chiamate Signore e Maestro, e dite bene, perché lo sono (Giov 13,13).
Gesù pronunziò queste parole in un momento particolarmente solenne, quando stava per sancire con il Suo Sangue la Nuova Alleanza, dare origine al nuovo Popolo di Dio, proporre ai suoi seguaci la sua legge dell'amore.
E' giusto, quindi, che le ascoltiamo con venerazione, che le meditiamo con umile docilità, per comprenderne il profondo significato.
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Gesù è Signore, e tutto domina, padroneggia e dirige. Lascia che gli uomini si arrovellino, si affannino, si dimenino, ma l'ultimo tocco è sempre suo. Tale fu costituito dal Padre, il quale lascia a Lui ogni giudizio.
Gesù è Maestro. Si può dire, anzi, che specialmente ora, nel trascorrere del tempo, prima che venga la fine, vuole essere specialmente Maestro. Come tale indica ciò che dovranno fare i suoi fedeli, per arrivare dov'Egli è: Io, Signore e Maestro vi ho dato l'esempio (Giov 13,14). Si propone come Maestro, come Colui che non solo dev'essere ascoltato, ma imitato, seguito, perché è Guida, è formatore, è vita.
E impone l'imitazione: Sono Signore e Maestro: come tale vi ho dato l'esempio, affinché come ho fatto io, facciate anche voi. Sono parole perentorie, già gravi in se stesse, ma che assumono speciale significato e valore nell'ambiente e nell'ora in cui furono pronunziate.
Esse costituiscono il testamento di Gesù, ma un testamento dato autoritativamente, basato su due caratteristiche fondamentali richiamate da Gesù: Signore e Maestro.
Se, dunque, non vogliamo sviarci, se non vogliamo agitarci inutilmente, se vogliamo essere sicuri di seguire la via giusta, pur in mezzo a tanta incertezza e a tanti errori, fissiamo il nostro sguardo in Gesù, in questo Cristo che il Padre ha inviato affinché fosse per gli uomini Via e Verità e Vita.
Fissiamo il nostro sguardo in Gesù Signore e Maestro, appoggiamoci a Lui, seguiamolo: Chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Giov 8,12).
Che significa, infatti, «Maestro»?
Ecco, scorrendo i passi del Vangelo, in cui questo titolo è attribuito a Gesù, che per volere di Dio è diventato per noi giustizia e sapienza e giustificazione e redenzione (1Cor 1,30), noi troviamo che alla parola italiana «Maestro» corrispondono nel testo greco tre termini diversi e sono: Rabbi, Didàscalos e Katheghetés: tre parole che si assomigliano, ma che non hanno lo stesso valore.
Richiamiamo solo due frasi.
Una notte uno dei Dottori ebrei, Nicodemo, va a trovare Gesù. Lo aveva sentito parlare, aveva capito che non era un dottore qualsiasi e desiderava intrattenersi con Lui da solo a solo, in calma e tranquillità. Gli si presenta e lo saluta così: Rabbi, noi sappiamo che tu sei venuto da Dio Didàscalos (Giov 3,2). Sono due parole che noi tradurremmo con il medesimo termine, ma che non hanno il medesimo significato. La seconda parola, Didàscalos, è quella che Gesù stesso applica a sé nella frase già ricordata: Voi mi chiamate Signore e Didàscalos.
Un'altra volta è Gesù che dà le sue istruzioni ai discepoli, che vuole più sinceri, più giusti e più santi dei Farisei. Tra i tanti avvisi, vi è anche questo: Non vogliate essere chiamati Rabbi, poiché uno solo è il vostro Didàscalos: voi siete tutti fratelli. E non vogliate essere chiamati Katheghetaì, poiché uno solo è il vostro Katheghetés, Cristo (Mat 23,8).
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Evidentemente vi dev'essere un significato diverso in questi titoli che Gesù Cristo si attribuisce.
C'è, in realtà, e non è neppure difficile scoprirlo.
Brevemente, si può dire così:
Rabbi è piuttosto un titolo onorifico, come il nostro termine
Dottore. Un po' generico e universale, anche se strettamente parlando si applica con più frequenza al dottore in medicina. Ma si chiama così, in genere, e con ragione, qualunque laureato.
Rabbi, termine originariamente ebraico, è precisamente il titolo di colui che può insegnare, che ha diritto a farlo, come presso di noi lo ha chi è laureato.
Didàscalos, che è il titolo più comunemente applicato a Gesù nel Vangelo e col quale Egli stesso si designa, indica qualcosa di più. Indica colui che veramente insegna, che non solo ne ha il diritto, ma la missione, il dovere, e lo esercita realmente. Se volessimo tradurlo in italiano, avremmo bisogno di due termini:
Professore, e cioè colui che non solo è laureato, ma che esercita il diritto che ha di insegnare, e
Maestro/i>, e cioè colui che non solamente comunica la verità, ma si mette al livello dei suoi alunni, ne prende il modo di esprimersi, di pensare, di fare, e a poco a poco li eleva, li forma, li fa crescere nel sapere, nella condotta, nella personalità, nell'educazione: colui che può essere preso a modello, sia per la sicurezza della sua dottrina che per la sua personale capacità, la maestria nella sua arte, il modo di fare.
Katheghetés, che è il titolo più raramente usato e applicato a Gesù, aggiunge una particolarità che potremmo dire morale e spirituale al significato di Didàscalos: quello di formatore della vita morale e spirituale. Infatti, quando Gesù se l'applica direttamente ed espressamente, è quando proibisce ai discepoli di volersi attribuire quel titolo tanto bramato dai Farisei, i quali si arrogavano appunto il diritto esclusivo di essere le guide spirituali del popolo eletto. Gesù dice chiaramente: la vostra guida spirituale è una sola: Cristo. Sono io!
Ed allora ecco la conclusione tanto opportuna cui possiamo arrivare in questa festa di Gesù Maestro, considerando il titolo che Egli tanto volentieri si applicò, su cui, anzi, si basò per richiamarci al suo insegnamento ed al suo esempio :
Cristo e Cristo solo è la verità, Colui la cui parola ha valore eterno, il cui insegnamento vale per tutti: ascoltiamo Gesù, meditiamo il suo insegnamento. Quando ne sentiamo di tutti i colori, ricorriamo al Vangelo, aggrappiamoci ai suoi princìpi; giudichiamo degli avvenimenti, delle cose e delle persone secondo i suoi dettami. E ascoltiamo la Chiesa depositaria della verità, trasmettitrice ed esplicatrice e applicatrice di essa, per mezzo del Papa, Vicario di Cristo, e dei Vescovi in comunione con Lui.
E guardiamo a Gesù, alla sua condotta, ai suoi esempi. Lasciamoci formare da Lui. Gesù e Gesù solo è la via per andare al Padre, per meritarci qui le compiacenze del Padre, per arrivare a partecipare lassù alla gloria di Lui. Gesù e Gesù solo è la Vita, la vera vita, che ci fa vivere qui come figli di Dio, che ci fa crescere, ci riveste della vera personalità, che ci rende fermi e forti e capaci di una condotta retta e costante, in mezzo a pericoli e deviazioni, ambiguità e incertezze, voltafaccia e tradimenti. Gesù solo è la Guida sicura: Non temerò, seguendo te mio Pastore, diceva già Geremia (17,16).
E noi non temeremo, non vacilleremo seguendo Gesù Maestro!
Ci benedica Gesù, e faccia sì che anche questa festa che abbiamo celebrato lasci in noi proposito più fermo di amore e fedeltà.D. PASQUERO FEDELE
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