1947
MEDITAZIONI VARIE 1947
13 Meditazioni varie.
Esercizi spirituali, 30 maggio - 7 giugno, in HM II/7, pp. 105-143.
Esercizi spirituali, 20-28 agosto, in HM II/8, pp. 5-112.
Sigla: FSP47
Oltre alle istruzioni tenute nei corsi di Esercizi di giugno e agosto, nel 1947 le sorelle hanno stampato parecchie meditazioni varie, raccolte in Haec Meditare, serie prima, vol. 3. Il volume raccoglie sedicesimi, precedentemente stampati, senza numerazione progressiva di pagine. Di esse non sempre sono indicati data e autore. È stata necessaria una attenta ricerca per ogni intervento, riportata in nota alle singole meditazioni. Si è potuto appurare che parecchie appartengono al Maestro T. Giaccardo1. I testi attribuibili al Fondatore e che sono inseriti nella presente raccolta sono tredici: nove nei fascicoli2 raccolti in HM I/3, due in Vita Nostra, due dattiloscritti3.
Tranne una meditazione, tenuta ad Alba (n. 9), le altre sono tutte rivolte alla comunità romana. L'occasione che le motiva è quella liturgica: preparazione e tempo pasquale (nn. 2,4,5,6), preparazione alla Pentecoste (nn. 7,8,9), memoria di santi (n. 11), preparazione al Natale (n.13).
Si sente che don Alberione vuole alimentare nel cuore delle FSP alcuni dinamismi vocazionali e della vita cristiana:
La confidenza: avere la certezza delle grazie di Dio (n. 1). È necessario camminare con due gambe nella vita spirituale e nell'apostolato: sforzo personale e grande fiducia in Dio, rafforzando questa seconda gamba che si è un po' indebolita (n. 12, II). «Il Signore vi ha preparato un cumulo di grazie… Sulla vocazione dovete contare in modo speciale… Avete diritto alle grazie per essere buone paoline» (n. 12, II).
La tensione al Paradiso. Le meditazioni del periodo pasquale sono come un'ascensione al cielo, dove siamo chiamate a entrare
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anche con il corpo (nn. 3, 5), e cantare in eterno il canto di Maria, il Magnificat (n. 4).
L'azione dello Spirito Santo. Camminare nelle vie di Dio con i doni dello Spirito Santo (nn. 6, 7). Egli opera nell'anima come ha operato in Maria, dona una vita nuova, che è quella di Gesù: «Lo Spirito santo deve portare in voi uno spirito di orazione più elevato e sentito, una dedizione più tranquilla e serena alla volontà di Dio, un modo di operare nell'apostolato totalmente conforme allo Spirito di Cristo» (n. 8).
Il Fondatore è sempre più determinato nel proporre la necessità di operare in Cristo, con Cristo, per Cristo, specie nell'apostolato (n. 8), dove il Maestro divino precede con la vita e il sacrificio di sé. Così la FSP «veramente posseduta dallo Spirito, penserà, pregherà, parlerà in Gesù Cristo, si farà voce di Gesù» (n. 8). Egli assicura la buona riuscita se ci si lascia guidare da Maria alla scuola di Gesù che forma l'apostola con l'esempio e la parola (n. 13).
Le vocazioni. Essere grate per la bella vocazione ricevuta
(n. 12, I) e lavorare per le vocazioni per corrispondere alla grande missione che le FSP hanno nella Chiesa: «Io sono sempre in grande pensiero che noi non facciamo per la Chiesa quello che dobbiamo, che non corrispondiamo ancora ai disegni di Dio… Una vocazione come la vostra, per poco che la illustriate, subito attrae» (n. 9).
Negli orizzonti di Paolo. Nel prospettare la vita della FSP è significativo come il Fondatore la innesti sulle tre connotazioni che hanno caratterizzato la vita di Paolo: vaso di elezione, giungere a tutti, disponibilità a soffrire per Cristo (n. 10).
È difficile distinguere fonti esplicite in queste meditazioni familiari, ad eccezione delle due sui doni dello Spirito Santo, nelle quali il Fondatore segue il manuale del Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica.
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1. FIDUCIA IN DIO*
Questa mattina chiediamo alla SS. Vergine la grazia di pregare con fiducia e confidenza e vera fede: è grande grazia questa. D'altra parte è difficile sapere se noi abbiamo sufficientemente fede pregando; e inoltre anche autori e scrittori che ne parlano, spesso non sono chiari e quindi nelle anime nascono delle incertezze. Nella condotta delle anime c'è tanto bisogno di Spirito Santo, perché c'è un complesso di doni, di lumi e di comunicazioni che non si hanno se non dal Signore, ed è inutile chiederle agli uomini, fosse pure il confessore. Il Signore ci guidi, sia la nostra luce, poiché egli è la Verità. Felice colui che è ammaestrato direttamente da Dio, e cioè colui a cui Dio è maestro e guida nella vita spirituale. Però non ne vengano degli errori; la direzione spirituale bisogna chiederla agli uomini, i quali però sono solo un mezzo di cui Dio si serve; talora però Dio ha tanti disegni sulle anime e perciò bisogna sempre chiedere: «Emitte Spiritum tuum et creabuntur»1.
Se vi è un punto su cui, in particolare, dobbiamo avere un dono da Dio è particolarmente questo: fiducia nella preghiera. Ciò è ben difficile a controllarsi, ma è facile a ottenersi, poiché è Dio che la dà e la si ottiene con la preghiera. La confidenza è dono soprannaturale e la si merita con la generosità con Dio. Una suora andò dal Cottolengo e gli disse che per la colazione non c'era niente. Ma il Santo rispose: All'ora solita suona la campana per la colazione. A volte la confidenza è frutto di grandi sacrifici, ma soprattutto è frutto di grazia di Dio.
La nostra confidenza si fermi su questo punto soprattutto: io ho le grazie, e sono convinta di avere le grazie per farmi santa.
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Se io voglio, il Signore mi dà tutto quello che occorre per farmi santa. Il Padre mi ha creata per farmi santa, il Figlio è morto per me affinché io mi faccia santa, lo Spirito Santo mi dà luce: Dio attende solo il mio contributo di generosità. Bisogna vedere se noi nella vita non abbiamo mai tentennato, esitato, dubitato, se non siamo mai stati incerti. Vi sono anime che credono di essere umili in questo modo, esse pensano: Io ho tanti difetti, come posso farmi santa? Ciò è un torto che facciamo a Dio, mentre la più grande gloria che possiamo dargli è quella di crederlo buono, con le mani sempre pronte e piene per distribuire le sue grazie.
Facciamo il confronto tra due uomini del Vecchio Testamento: uno esitò alquanto e Dio non poté compiere tutto il suo piano divino su di lui; l'altro fu fedelissimo e Dio compì su lui tutti i suoi disegni.
Mosè fu chiamato da Dio a condurre il popolo eletto fuori dell'Egitto e attraverso il deserto, e per la sua preghiera Dio dava al popolo la manna, la luce, il cibo e compiva un numero grande di prodigi. Egli ebbe la legge, scrisse il Pentateuco, riordinò il popolo, mostrava in sé la potenza di Dio sulla sua fronte. Eppure una volta dubitò di Dio. Vide infatti che mancava l'acqua nel deserto, pregò; Dio gli comandò di percuotere la pietra, ma Mosè pensò: Come potrà Dio far scaturire l'acqua da una rupe e farla scorrere su queste sabbie infuocate? Fu anche tentennante dinanzi alla rupe che percosse due volte. Dio alla fine dei suoi giorni lo castigò, non permettendogli di entrare nella terra promessa, egli vide solo da lontano la terra dei suoi sogni2.
Abramo invece credette a Dio: «Credidit Deo, contra spem in spem credidit»3. Una sera mentre egli pregava, Dio lo chiamò fuori della tenda e gli disse: «Puoi tu contare le stelle del cielo? Ma anche se tu non le puoi contare, sappi che io ti darò una figliolanza più numerosa delle stelle del cielo»4. Ma intanto passavano gli anni, Abramo diventava vecchio e non aveva nessun figlio. Il diavolo gli sussurrava: «Vedi come Dio si prende gioco di te?». Finalmente gli nacque un figliuolo, egli lo crebbe bene, ma un giorno Dio gli comandò di sacrificarlo su un monte. Il
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cuore di Abramo soffrì ma non tentennò; al mattino stabilito preparò tutto e condusse il figlio sul monte. E il figlio salendo il monte domandava: «Padre, ma dov'è la vittima?». Il cuore di Abramo ebbe una stretta, ma la sua fede non vacillò. Egli credette nella potenza di Dio e non ebbe un attimo di esitazione: al momento del sacrificio il Signore mandò il suo angelo che trattenne la mano del padre e il figlio fu risparmiato5. Da quel suo figlio nacquero numerosi altri figli e dalla loro discendenza uscì il Messia.
Quante anime si privano della grazia di farsi sante perché tentennano e non sanno confidare! Io ho fatto tante mancanze, come farà il Signore a farmi santa? Sono tanto debole di intelligenza e di forze. Oh, di quanti santi è privato il cielo per mancanza di questa confidenza! Il Signore dice: «Ti sia fatto come hai creduto»6. Altre anime invece fanno tanti progressi nella virtù perché hanno una grande confidenza. La Vergine credette alle parole dell'angelo e diventò la Madre di Dio: «Beata te che hai creduto!»7.
Anche voi avete la promessa della vostra vocazione. Non dubitate mai!
Se stamattina fossi riuscito a farvi fare un passetto più avanti nella confidenza, vi avrei fatto fare un bel progresso! Recitiamo ora una bella Salve Regina per ottenere dalla nostra benedetta Madre una grande confidenza.
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2. IL SACRIFICIO DEL CALVARIO E DELLA MESSA*
La liturgia di questa settimana offre argomenti facili di meditazione.
Il venerdì santo nostro Signore è salito sul Calvario come vittima e come sacerdote. Egli ha offerto il sacrificio vero, accetto al Padre, impetratorio, che basta per tutti gli uomini, per quanto gli uomini abbiano di colpe e per quanto sia irritata la divina giustizia.
Perciò la Chiesa non celebra la Messa il venerdì santo. Essa vuole che in ogni parte della terra le anime pie non si volgano a un altare o a un altro, né considerino solo la loro parrocchia o cappella, ma tutti col pensiero si rivolgano al Calvario dove Cristo celebra egli stesso, pontefice eterno, senza aiuto di sacerdoti, la Messa da cui ogni Messa ha origine. Consideriamo questo divino Maestro che va al Calvario portando lo strumento del suo supplizio; egli non ha abiti pontificali come nelle nostre chiese, ma veste abiti miseri e malconci; è coronato di spine e sputacchiato; sale il monte non accompagnato da diaconi o suddiaconi, ma da soldati sollecitati ad eseguire la sua morte. Egli sale non portando ostia e calice che dovranno essere consacrati, ma porta lui stesso che è l'ostia e la vittima. Sale seguito da poche donne, tra cui la sua piissima madre, e da un popolo che aveva ottenuto la condanna con tante accuse: sacerdoti, scribi e farisei che non erano mai paghi e temevano che fuggendo si sottraesse alla morte.
Ecco, come si prepara la grande Messa. Non vi sono cuori ardenti, non vi sono paramenti. Gesù viene svestito, inchiodato e innalzato; si sentono le sue sette parole, le ultime con cui ammaestra gli uomini; rimette la sua anima al Padre e spira. La divinità resta col suo corpo, ma la sua anima si stacca dal corpo. Ecco domani la grande Messa, Messa unica che si celebrerà sul Calvario. Ecco, domani il nostro cuore e la nostra preghiera saranno là, al Calvario; noi staremo uniti alle intenzioni di Gesù: adorazione
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al Padre e adorazione degna in Cristo; ringraziamento degno e ringraziamento in Cristo; soddisfazione degna in Cristo e supplica alla misericordia del Padre, degnamente. Vediamo di considerarci come membra di Cristo, e quindi, come membri, un solo pensiero vi sia in noi: pensiamo come Gesù Cristo, lasciamo e cediamo quello che noi siamo e vogliamo.
Maria è là sul Calvario, accanto a Gesù agente principale, lei agente secondario unitamente a Cristo1.
Nella giornata vi sono circa ottantasei mila minuti secondi. Ogni minuto secondo si celebrano quattro Messe e più, dato il numero dei sacerdoti sparsi sulla terra. Ecco, allorché domani avremo preso l'impegno di accompagnare Cristo sul Calvario per la salvezza del mondo, prendiamo l'impegno di unirci alla consacrazione ogni giorno: ogni piccolo battito di orologio sono quattro consacrazioni. È Cristo che si offre e trattiene le ire divine contro questo mondo prevaricatore; è lui che offre e ottiene le grazie per la Chiesa, e nonostante tutte le bestemmie e i sacrilegi contro la Eucaristia, Gesù trattiene la maledizione del Padre, perché è più potente il suo sangue che tutte le iniquità assieme.
Intanto pensiamo a noi: chiediamo la grazia di diventare buone religiose, di corrispondere alla vocazione; che le anime si accostino ai sacramenti, che diminuiscano le colpe del cinema, radio e stampa, che si moltiplichino le vocazioni e il Vangelo si estenda a tutto il mondo e a tutte le anime.
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3. RISURREZIONE DI GESÙ, DI MARIA E NOSTRA*
Nel tempo pasquale ci rallegriamo con Gesù uscito gloriosamente dal sepolcro, ma nel medesimo tempo ci rallegriamo con Maria: «Regina coeli, laetare!»1, perché il Signore nei suoi eterni decreti ha voluto unire la Madre e il Figlio nella passione e nella glorificazione; e perciò la risurrezione di nostro Signore rende onore e gloria alla sua Madre. Risorgendo dal sepolcro, Gesù ha dimostrato la sua divinità e perciò ha proclamato che Maria è Madre di Dio. Rallegriamoci dunque con Maria per la sua immensa dignità; d'altra parte fu così disposto che Gesù andasse al cielo e sedesse alla destra del Padre e che Maria pure risorgesse e sedesse alla destra del Figlio suo; sempre la Madre col Figlio.
Se Gesù è risuscitato, se Maria è risuscitata, anche noi risorgeremo. Gesù e Maria sono primizia di quella glorificazione; è stabilito da Dio che anche il corpo abbia la sua parte di gloria che gli spetta, perché corpo e anima sono compagni nel fare il bene, come anche nel fare il male. L'anima bella ed immortale fu unita al corpo materiale, unita personalmente di modo che ne risulta l'io personale. Quando si vuole pregare, l'anima si decide e il corpo si inginocchia; se ci si vuole unire con Gesù, l'anima si decide e il corpo va alla Comunione a ricevere il Signore; oppure se il peccatore dice: «Non serviam!»2, l'anima si ribella e il corpo si oppone alla legge di Dio; e allora, se l'anima e il corpo concorrono a fare il bene, la glorificazione è per entrambi; se concorrono a fare il male, il castigo sarà per entrambi eterno.
Verrà il giorno in cui saremo chiamati a nuova vita. Gesù è il gran riparatore del peccato di Adamo; però non ci ha restituito la immortalità per intero, così l'impassibilità e l'integrità; siamo quindi soggetti a molti mali e siamo mortali. La immortalità e
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l'impassibilità ci verranno dati il giorno del giudizio universale. Pensiamo a come risorgeremo dal sepolcro. Da ogni parte la terra vomiterà i suoi morti, dato che quasi dappertutto vi sono cimiteri; ma quale differenza tra i buoni e i cattivi! I primi conformi a Cristo glorioso, gli altri conformi al demonio, segnati dal peccato che porteranno al cospetto di Dio, come i buoni porteranno le virtù. Non si può pensare una cosa e desiderarla e poi dire: Solo io lo so! No, non rimarrà nascosta; tutto verrà manifestato; le cose cattive non si possono né dire né desiderare né fare, perché non si possono nascondere; e le cose buone sono da farsi e da dirsi, perché saranno di glorificazione per i buoni.
Le doti del corpo glorioso. Esso sarà risplendente come il sole: le piaghe del Salvatore sono altrettanti soli. Questo splendore è il riflesso delle virtù dell'anima e risplenderà tanto quanto l'anima è stata virtuosa. I Santi vengono rappresentati con un nimbo o un'aureola intorno al capo. Se uno ha santificato il suo corpo con le virtù, la mortificazione e il lavoro, risplenderà molto e tanto più quanto avrà fatto di bene, e ricevuto bene i sacramenti. Quanto saranno gloriosi gli occhi che guardano più la pisside che le vanità del mondo, e il cuore che amerà Gesù più di tutte le persone del mondo! Quanto è bella la vostra vocazione e quanta gloria vi procurate, se saprete vivere secondo il suo spirito! Il corpo verrà messo a parte di tutte le consolazioni dell'anima. Se il corpo verrà santificato avrà la ricompensa completa in ogni suo membro. Le gioie terrene sono un pallido riflesso delle gioie di allora. Chi ama il Signore con tutto il cuore, quanto sarà inondato di gioia in quel giorno e per tutta l'eternità! «Inebriabuntur ab ubertate domus tuae»3: soprattutto per coloro che saranno vissuti nella verginità.
Che cosa prepariamo noi al nostro corpo? La ignominia del corpo brutto dei dannati o la gloria del corpo dei beati? In che cosa consiste il bene che dobbiamo volere al corpo? Nel farlo servire all'anima per farlo godere con lei. Non si conceda al corpo tutto ciò che chiede; lo si curi, lo si nutra, ma le energie vengano spese nel compimento di ciò che richiede il nostro dovere. Alcuni sono «hostes animae suae»4; mentre pensano di procurare
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al corpo tante gioie e delizie, preparano i carboni per bruciare nella eternità.
Interrogatevi ora: La vostra vita è una garanzia per la risurrezione gloriosa? Amate voi stesse, preparandovi alla risurrezione gloriosa?
Dite a Gesù che vi santifichi il cuore, il corpo, la lingua e tutto l'essere, perché tutto partecipi alla vostra gloria e all'aumento del vostro merito; affinché anche il corpo sia inondato dalla luce e dall'amore di Dio.
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4. GLORIFICAZIONE DELL'UOMO GIUSTO*
Uniamo stamattina tre pensieri che riguardano l'ascensione e cioè: l'ascensione di nostro Signor Gesù Cristo al cielo; l'assunzione di Maria SS. al cielo; la nostra entrata e la nostra glorificazione nel cielo. Gesù Cristo è la Via anche nella parte gloriosa della sua vita, e come ci ha precedute nella risurrezione, così ci precede nell'ascensione. Egli è la primizia, il suo corpo fu esaltato, fu il primo corpo che entrò spiritualizzato nel regno del cielo.
E contempliamo la Vergine. Dio la unì al Figlio prima nella parte dolorosa della sua passione: uniti nella medesima offerta e nel medesimo sacrificio. E poi Dio volle unire nella gloria Maria e il Figlio, e se Gesù Cristo è risorto e asceso al cielo, Maria è risuscitata ed è stata assunta al cielo. Gesù è la nostra primizia e Maria è anche la nostra primizia. La sua glorificazione è preludio della nostra glorificazione. Se Maria è risorta, anche noi risusciteremo, estendendo il ragionamento di S. Paolo che applica queste parole a Gesù Cristo1.
La SS. Vergine, concepita senza macchia, Madre di Dio, doveva salire al cielo prima di tutti, perché ella ha due uffici da compiere lassù: primo, glorificare Dio eternamente, perché la Vergine ha le medesime intenzioni di Dio, che «universa propter semetipsum operatus est»2; Dio ha creato tutto per la sua gloria e l'ufficio di Maria in cielo è il canto eterno del Magnificat accompagnato dagli angeli e dai santi.
Il secondo ufficio di Maria è quello di essere mediatrice per gli uomini fino alla fine del mondo. Ella a tutti pensa, non dimentica neppure le necessità più piccole dell'ultimo dei suoi devoti. I suoi occhi sono sempre sopra di noi, per tutti aiutare e consolare. Le sue grazie scendono sempre dal trono di Dio. Non siamo come figli cacciati da casa e abbandonati dalla madre, e che non partecipano alla distribuzione dei beni. La gloria di Maria
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prelude alla nostra gloria finale. Dopo la gloria della risurrezione gli uomini si raduneranno nel luogo per sentire la sentenza finale che sarà eterna. Le anime che cercano il Signore e lo cercano di vero cuore, lo troveranno eternamente. E il Signore ascolta le preghiere di coloro che pregano con fede e concede loro la santità e il Paradiso.
Noi che ci siamo consacrati al Signore, cerchiamolo con tutto il cuore: alla fine Dio si lascerà trovare da coloro che lo cercano. Gesù Cristo è il gran benedetto, e siccome noi siamo chiamati ad essere figli di Dio e a fare un corpo solo con lui, la sua benedizione si diffonde per tutte le membra. E con Cristo abbiamo la medesima gloria e il medesimo gaudio: il suo gaudio è il nostro; ed il nostro è in lui. «Benedicti a Patre meo»3; ciò non sarà solo un augurio, ma uno stabilimento nella benedizione e nel regno dell'amore che renderà eternamente felici. Infatti Iddio ha creato degli esseri che partecipino alla sua gloria e al suo gaudio in eterno.
In questi giorni del tempo pasquale contempliamo l'Ascensione di Gesù al cielo e insieme l'Assunzione di Maria, e la nostra glorificazione finale. Quando noi abbiamo il cuore fisso al cielo, tutte le cose terrene ci paiono fango; ce ne serviremo solo per fare del bene. «Sursum corda!»4.
Il giudizio finale sarà l'ultimo quadro della storia umana e mentre i dannati rotoleranno giù nell'eterna dannazione, i giusti andranno all'eterna vita con Gesù e Maria. Con questo pensiero si supererà più facilmente e con gioia ogni fatica per l'apostolato e per la vita spirituale, e il sorriso sfiorerà sempre il volto degli eletti, mentre la dolcezza ne inonderà il cuore.
Quante volte noi ci dimentichiamo del Paradiso e di Dio! Oh, quale torto facciamo al Signore! Pensiamo a tante inezie, a tante cose da nulla e trascuriamo il cielo: ebbene, domandiamo perdono a Dio di questa dimenticanza. Bisogna che questi dogmi ci diano entusiasmo e gioia nel fare il bene: convinciamo la nostra mente ed entusiasmiamo il nostro cuore: Io sono fatto per le cose eterne, «Homo aeternitatis sum»5. Beato chi ha aspirazioni così alte. Il Signore ascolterà le preghiere del cuore che lo cerca e darà il cielo a coloro che glielo chiedono.
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5. IL PARADISO*
Il ciclo pasquale secondo la sacra liturgia si divide in tre parti: Pasqua, Ascensione, Pentecoste. Sono giorni celestiali, giorni in cui la Chiesa desidera che noi abitiamo col cuore più in cielo che sulla terra.
L'articolo principale della nostra religione, la verità fondamentale, il fine per cui noi siamo stati creati e chiamati ad una missione speciale, è il Paradiso. Il pensiero del Paradiso deve dominare su tutti gli altri pensieri quanto (se così possiamo esprimerci) l'eternità è più lunga del tempo. Affacciarsi al Paradiso, aprire un momento quella porta e mirarvi dentro Gesù, la Madonna e tutta la schiera dei beati.
Gesù è asceso al cielo principalmente per tre motivi.
Primo: per prepararci il posto lassù. E ci ha veramente preparato un bel posto. Un posto che non possiamo ora vedere coi nostri occhi, ma lo possiamo mirare con la nostra fede.
Tutti i cristiani sono destinati ad un bel posto nel cielo; per tutti Gesù lo ha preparato1. Ma per noi religiosi è stata assegnata una destinazione speciale, un posto non solo bello ma bellissimo, più elevato, perché più elevata è la nostra vocazione sulla terra.
Pochi anni Gesù ha trascorso sulla terra e poi se ne è volato al cielo. Pochi anni staremo noi sulla terra e poi raggiungeremo la beata eternità. Cerchiamo dunque solo il Signore, desideriamo il cielo: «Vultum tuum, Domine, requiram! »2. Signore, questa è la mia suprema preghiera: Giungere a te, a contemplarti in Paradiso!
È questo il nostro pensiero predominante? La nostra più intensa aspirazione? Vivere di fede vuol dire ricordare sempre che
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la terra è un luogo di passaggio e che camminiamo verso il Paradiso. «Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus!»3.
Gli articoli principali della nostra fede sono due: che Dio esiste e che darà la ricompensa ai giusti. Se una religiosa ha sempre presente il Paradiso non avverrà mai che sia tiepida, che sia stanca di soffrire e non si rifiuta mai quando le viene richiesta una mortificazione, un sacrificio, una rinunzia. Un'anima è tanto fervorosa quando pensa al Paradiso.
Seconda ragione per cui Gesù è asceso al cielo è: celebrare lassù la sua Messa eterna: «Habemus Apostolum et Pontificem...»4. Abbiamo bisogno di chi preghi per noi, di chi interceda. Gesù questo lo ha fatto sulla terra coll'immolazione della croce e continua a farlo in cielo.
Il sacerdozio non finisce sulla terra. Gesù, compiuta la redenzione col suo corpo piagato, con la corona di spine sul capo, col petto insanguinato, col costato aperto, entrò in cielo e si presentò al Padre per continuare lassù la sua Messa, ed espone al Padre i nostri bisogni e ci impetra le grazie e la misericordia.
Essere Figlie di San Paolo vuol dire portare all'altare non solo i propri bisogni, ma i bisogni di tutto il mondo, di tutti gli uomini.
Il sacerdote cammina verso l'altare curvo sotto il peso delle domande di tutti gli uomini e ne torna curvo sotto il peso delle grazie e delle misericordie per tutti; e questo lo può fare perché vi è il Sacerdote unico ed eterno, il Sacerdote-nato: Cristo. Lassù la gran Messa, l'Agnello vivo, ma come ucciso, e accanto all'Agnello la Vergine!
Non siamo dunque titubanti, sfiduciati, scoraggiati: abbiamo un Pontefice che «sempre vive a intercedere per noi»5 e che, se vogliamo, ci ottiene veramente la santità.
Gesù in terzo luogo, è asceso al cielo per inviarci lo Spirito Santo. Uniamo tutte le intenzioni per ottenere questo Santo Spirito che è la vita soprannaturale, la grazia. Preghiamo lo Spirito Santo che ci ottenga: l'aumento della fede, della speranza, della
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carità. Che ci ottenga i doni di sapienza, intelligenza, scienza, consiglio, pietà, fortezza, santo timore di Dio. Si ama il Signore in proporzione della grazia che si possiede.
O Spirito Santo, effondete in noi i vostri frutti santificatori, le virtù della religione e le beatitudini evangeliche. Effondete sopra tutti coloro che ascendono al sacerdozio i vostri doni particolari, poiché tanto si santifica e si eleva il popolo, quanto è santo ed elevato il sacerdote. Effondete in noi tutte le grazie richieste dai nostri bisogni particolari e dalla nostra missione e vocazione speciale di Figlie di San Paolo!
Ecco dunque i tre motivi principali per cui Gesù salì al cielo.
Volgiamo il nostro sguardo lassù. Facciamoci accompagnare dalla Vergine SS. perché ci insegni a cercare e gustare le cose celesti.
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6. IL DONO DELLA PIETÀ E DELLA FORTEZZA*
Maria è la madre sapiente che nutre i suoi figli di latte e burro, ossia di alimenti solidi che facilmente si trasformano in sangue e carne. Maria riveste i suoi figli di lana, ossia li difende dal freddo, dalla tiepidezza spirituale. Maria veglia come la migliore delle madri e con la sua luce celeste e il suo conforto costante li guida alla santità.
In questi giorni che ci avviciniamo alla Pentecoste chiediamo i doni dello Spirito Santo, specialmente i doni della fortezza e della pietà. Nel cammino spirituale occorre sempre che, da una parte noi facciamo una certa violenza per vincere noi stessi, e per questo occorre il dono della fortezza, e dall'altra che ci abbandoniamo completamente tra le braccia di Dio, e per questo occorre il dono della pietà.
La pietà ci porta a considerare Dio come Padre e ci infonde la confidenza. Il demonio, quando vuole assalire un'anima le infonde un non so che di disperazione, una certa tristezza del bene, un pessimismo che fa conchiudere: Tanto non mi farò santo! La santità è tutto dono di Dio, ma se non abbiamo questa piena fiducia, chiudiamo le porte alla grazia.
Questa persuasione di incapacità, questa specie di pessimismo il diavolo la inocula insensibilmente, sotto apparenza di cosa buona, di umiltà, di timore, e invece è disperazione. Il timor di Dio è ben diverso dalla disperazione! Umiltà, sì, ma questa umiltà ci deve portare a diffidare di noi e a porre tutta la nostra fiducia in Dio.
Devi avere la persuasione certissima che puoi farti santa, che il Signore ti dà tutte le grazie necessarie per questo fine. Viene lui stesso ad abitare nella tua anima. Il Signore, la SS. Trinità dimora nel cuore e nell'anima di chi lo accoglie e di chi lo ama: «Si quis diligit me ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus»1.
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Il dono della pietà ci porta a quella confidenza filiale che deve avere un figlio verso il padre. E qual padre migliore di Dio? «Chi mai, tra voi, che, se il figlio chiede del pane gli porga un sasso? O se chiede un pesce gli dia un serpe? Se dunque voi, cattivi come siete, sapete fare dei buoni doni ai vostri figli, quanto più il vostro Padre che è nei cieli concederà cose buone a coloro che glie le domandano»2.
Se tu hai fede di vincere le passioni, le vincerai; se hai fede di ottenere la vera umiltà, la otterrai; se hai fede di essere guidato nelle vie della perfezione lo sarai; se hai fiducia di essere nelle mani di Dio, lo sarai. Ti verrà concesso in misura che avrai creduto.
Fiducia e letizia tale che venga dalla persuasione che ognuno di noi è oggetto particolare delle cure e delicatezze di Dio. Diciamo al Signore: «Credo, Domine, sed adiuva incredulitatem meam!»3.
Per camminare nelle vie di Dio, però, non basta avere una gamba sola: ne occorrono due, e la seconda è precisamente la fortezza. Vi sono alcuni che vorrebbero far fare tutto da Dio e si abbandonano alla pigrizia; altri invece pensano di dover fare tutto da soli. Occorre tutto il nostro sforzo e tutta la fiducia nella grazia di Dio. Bisogna farsi forza, violenza: forza non in combattere gli altri, non in portar pesi enormi; forza invece nel vincere ogni giorno le piccole passioncelle, le piccole sensibilità, i capriccetti, ecc.; piccole violenze, ma costanti.
Certo, se uno si lascia andare molto avanti nei difetti e nelle mancanze, può arrivare a un punto in cui occorre farsi delle violenze forti. Ma se uno cerca di vigilare continuamente su se stesso, bastano piccole violenze. Questa è la via ordinaria seguita dai santi.
Fortezza che consiste nel negare a noi stessi ogni giorno qualcosa: un po' alla lingua, un po' agli occhi, un po' al tatto, un po' al cuore. Curare che la mente sia dominata da pensieri santi; leggere il Vangelo, vite di santi, istruirsi, elevare i pensieri. Fortezza che consiste in edificare, costruire e alimentare bene lo spirito. Ci vuole quella violenza che da una parte sradica e dall'altra costruisca. Non basta fare il fosso, le fondamenta; bisogna poi edificare, costruirvi sopra.
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Senza grandi scosse, sempre avanti: progredire un tantino ogni giorno4. Come non bisogna un giorno mangiare esageratamente e poi far digiuno un altro giorno, ma ogni giorno dare l'alimento sufficiente e proporzionato al corpo, così ogni giorno bisogna proporzionatamente nutrire e alimentare l'anima.
Fiducia in Dio e lavoro dell'anima in modo che ogni giorno si possa fare un passo avanti. Direte il terzo mistero glorioso per ottenere il dono della pietà filiale e della fortezza nel costruire la vostra vita spirituale. La Madonna che ha ricevuto la pienezza della grazia non solo per sé, ma per tutti gli uomini, ve li otterrà dallo Spirito Santo.
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7. I DONI DEL CONSIGLIO E DELLA SCIENZA*
Come avete cantato or ora, la Vergine SS. è un giglio di puri candori un giglio che ha attirato nel suo seno verginale Gesù. Quando un'anima odia il peccato e ama il Signore, attira nel suo cuore colui che è il giglio delle convalli, il Figlio del Padre celeste, lo sposo delle anime vergini. Tutta la SS. Trinità pone la sua dimora nell'anima in grazia.
Odiare il peccato quanto lo odia Iddio. Questo odio non possiamo averlo senza l'aiuto speciale di Dio. Chiedere perciò a lui un vero dolore per i peccati passati e di aborrire ogni ombra di colpa possibile a commettersi.
Nel quinto mistero gaudioso diciamo che il peccato è la perdita di Gesù e che noi promettiamo di fuggirlo. Chiediamo al Signore perfetto odio al peccato. Non odio al peccatore, ma al peccato. Se vi è una persona che abbia odiato pienamente il peccato, è proprio Gesù; ma appunto perché egli odiava il peccato, amava e cercava i peccatori per indurli a penitenza.
Consideriamo e chiediamo oggi allo Spirito Santo i doni della scienza e del consiglio.
«Il dono del consiglio è quella virtù che fa giudicare prontamente e sicuramente, per una specie di intuizione soprannaturale, ciò che conviene fare, specialmente nei casi difficili»1. Esso perfeziona la virtù della prudenza. È un dono e quindi bisogna chiederlo a Dio per mezzo della Vergine SS., la piena di grazia.
Hai un dubbio? Sei indecisa su qualche punto particolare? Prega la Vergine, manifestale il tuo dubbio e le tue ansietà ed ella o direttamente per mezzo di un'ispirazione, o indirettamente per mezzo di una lettura, del confessore, di una parola dei superiori, ti illuminerà.
Le tre Persone della SS. Trinità si riunirono come a consiglio per decidere la creazione dell'uomo. E tutta la SS. Trinità intervenne
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a quella creazione: il Padre con la sua potenza, il Figlio con la sua sapienza e lo Spirito Santo con lo spiracolo della sua vita.
L'uomo errò dalle vie di Dio; cadde nella colpa. E la SS. Trinità si riunì a un secondo consiglio per deliberarne la riabilitazione. Il Figlio si presenta al Padre e si offre a incarnarsi e a dare la sua vita per redimerlo. In un terzo consiglio la SS. Trinità decise il modo con cui doveva compiersi la redenzione e l'incarnazione del Verbo; e allora fu eletta la donna, Maria SS. dalla quale doveva nascere Gesù.
La Vergine benedetta vi ottiene sempre il dono del consiglio, anche nelle piccole cose. Non so come fare ad accusare quella mancanza: Signore, illuminatemi!. Lo Spirito Santo ci illumina su certi dubbi che sconvolgono l'anima. Alle volte ci sembra che tutto ci sia contrario nel compiere un'azione o a seguire una via e invece lo Spirito Santo ci guida e ci apre il cammino. Lo Spirito Santo, però, non ha fretta a suggerire tutto di un colpo. Egli si adatta all'uomo e, azione per azione ci illumina sul da fare. Vigilare e star molto attente che sia lo Spirito di Dio e non lo spirito del male a suggerirci.
«Il dono della scienza consiste nel farci conoscere le cose create nelle loro relazioni con Dio»2. Elevarci, dalla contemplazione delle cose create, alla contemplazione di Dio.
S. Paolo, scrivendo ai Romani dice (dei pagani) che, pur non essendo stati istruiti nella fede, avevano conosciuto ugualmente Dio per mezzo delle cose visibili: «Le sue invisibili perfezioni, la sua eterna possanza, la sua divinità, dopo la creazione del mondo, sono rese visibili all'intelligenza, per mezzo delle creature»3. Tuttavia S. Paolo rimprovera quei pagani che, pur avendo conosciuto Iddio, non lo onoravano con debito culto.
Possiede il dono della scienza quella persona che, mirando le cose create, sa elevarsi al Creatore. Si vede, per es., il mare: Quanta acqua!... Chissà che paura quando il mare è in tempesta!... Com'è azzurro!..., e varie altre riflessioni può fare un ammiratore superficiale. Ma chi ha il dono della scienza, dice subito: Com'è immenso l'oceano!... Quanto più grande dev'essere Iddio che lo ha creato!
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Si gusta una frutta: Com'è gustosa!..., può dire semplicemente chi non ha l'abitudine di elevarsi a Dio con la mente. Un'altra invece esclama, anche soltanto nell'intimo del suo cuore: Mio Dio, quanto sei buono: tu hai pensato a creare questo frutto per me! Ti ringrazio, o mio Dio! Dono della scienza.
Si contempla il firmamento: Mio Dio, quanto è grande la tua potenza che sostiene i cieli! Com'è immensa la tua sapienza che tutti gli astri dirige nella loro corsa vertiginosa tra gli spazi infiniti! Eppure vi sono molti astronomi che non sanno elevare a Dio la loro mente e lodarlo per la grandezza delle sue opere.
Viene dato un ufficio un po' penoso. Una dice: Sempre a me questi uffici! Lo sapevo già! Proprio non mi possono vedere! Un'altra, invece, dice: Sono contenta di quest'ufficio che mi costa un po', così potrò offrire qualche piccolo sacrificio al Signore.
Il dono della scienza è l'abitudine ad elevarsi a Dio e rende più facile e più pronta l'obbedienza.
Non siamo come quelle persone che guardano sempre in giù e non elevano mai i propri ideali. L'uomo non è come il bruto. Il suo capo è eretto: può guardare in alto, mirare il firmamento trapuntato di stelle e oltre la volta vedere Dio e lodarlo nelle sue opere meravigliose e piene di amore per noi.
«Domine, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum in universa terra!»4. «Coeli enarrant gloriam Dei et opera manuum eius annuntiat firmamentum»5.
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8. LO SPIRITO SANTO VITA DELL'ANIMA*
Noi non abbiamo ancora l'idea esatta, precisa, alta di ciò che lo Spirito Santo è per noi. Egli è la vita dell'anima. In noi vi è la vita naturale e la vita soprannaturale: questa ci viene dallo Spirito Santo.
Vi sono uomini che vivono come se non avessero l'anima: seguono le inclinazioni naturali, basse, terrene, gli istinti animali e tutto ciò che sa di terra: «L'uomo animale non sa capire le cose di Dio»1. Vi sono uomini che vivono ragionevolmente, e cioè: stimano più la scienza che le cose materiali; stimano più la virtù, ma la virtù naturale, vivono stoicamente, vivono secondo i dettami della ragione e seguono la massima: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te»; oppure: «Fa' agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te».
Ma, superiore a questa vita naturale, ragionevole, vi è una vita soprannaturale, quella proclamata da Gesù: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna»2. Questa vita si riferisce a quell'essere che è costituito in noi dalla grazia, cioè dall'abitazione dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo dà all'anima l'essere soprannaturale come lo diede a Gesù Cristo nel seno purissimo della Vergine quando l'angelo disse a Maria: «Lo Spirito Santo scenderà in te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà, per questo il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio»3.
L'anima che riceve questa nuova vita, non perde quella naturale: rimangono in essa tutte le facoltà umane, ma elevate. Quel
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bambino che riceve il Battesimo, sebbene incosciente, viene trasformato ed elevato alla dignità di figlio di Dio. E se dovesse morire subito dopo, la sua anima vola dritta al Paradiso ove, in virtù della grazia ricevuta nel sacramento, acquista la capacità di conoscere Dio come è, più di quanto possa conoscerlo l'uomo maturo sulla terra; rimane fissata in Dio e tutta inondata del gaudio divino in modo che tutto il suo essere e il suo operare diventa divino. Questa vita soprannaturale esiste in noi finché siamo in grazia; viene uccisa solo col peccato mortale.
Formare alla vita soprannaturale
Tutta la formazione allo stato religioso consiste nel confermare in noi e sviluppare e accrescere questo uomo spirituale, questo essere soprannaturale. Chi possiede e vive questa vita spirituale? Chi pensa soprannaturalmente, chi vuole soprannaturalmente, chi ama soprannaturalmente, chi opera soprannaturalmente. Bisogna, a poco a poco, lasciar cadere l'uomo vecchio e rivestirsi dell'uomo nuovo, di Cristo4.
Quando una religiosa paolina ha raggiunto il suo vero spirito, pensa come Cristo, ama come Cristo, vuole come Cristo. Sa che con la Messa essa può operare in Cielo, nel Purgatorio, sulla terra, attorno a sé, nella famiglia, nell'Istituto, in tutto il mondo. Sa che quella vita divina che è in lei viene fortificata, animata, accresciuta mediante i sacramenti, la preghiera, le opere buone.
Per lei l'apostolato non è un lavoro qualunque, ma un operare in Cristo, con Cristo e per Cristo. Per lei le sorelle non sono delle compagne, ma sono immagini di Dio che ama e rispetta per lui. Per lei i superiori sono Dio che vive in mezzo a loro e che le manifestano il suo volere, che comunicano Dio e conducono a lui. Se va in parlatorio, se va in propaganda, se si porta in un ufficio o in un altro, essa non ha preferenze, ma vuole tutto e solo quello che vuole Dio e come lo vuole lui. I suoi discorsi sono soprannaturali, anche quando parla di cose ordinarie e naturali. Anche Gesù nella bottega di Nazaret parlava di mobili, di legno o di altre cose riguardanti il suo lavoro, ma il fine dei suoi discorsi era soprannaturale.
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L'anima veramente posseduta dallo Spirito Santo pensa, opera, prega, parla in Gesù Cristo, e quasi si fa voce e lingua di Gesù Cristo. Tutto l'essere, tutto l'operare, tutta la vita è di Gesù Cristo. Sia che mangi, sia che beva, sia che si riposi, sia che lavori, tutto compie in Cristo e per Cristo5. E che importa se è malata? E se non può, perché malata, andare in chiesa a fare la Visita? Se ne lamenta forse? Oh, no. Ella sa che Gesù è dappertutto e che la miglior Visita è l'abbandono completo al volere di Cristo. Ciò che importa e l'unica cosa veramente necessaria è far vivere in noi la vita di Cristo6. E Gesù Cristo viene nell'anima per mezzo dello Spirito Santo.
Ognuno ricordi bene che possiede una vita preziosa e delicatissima: non la uccida mai col peccato, non la macchi, non la indebolisca. «Non vogliate contristare lo Spirito Santo che è in voi»7. Non solo non bisogna scacciare questo divino Spirito, ma neanche contristarlo, disgustarlo con i peccati veniali.
Riflettiamo: la Pentecoste non è una festa qualunque. Dallo Spirito Santo non dobbiamo solo attendere dei doni, ma la stessa vita, nella sua costituzione e nelle sue operazioni. Alla festa della Pentecoste premettere, perciò, una preparazione speciale; negativa: odio al peccato come lo odia lo Spirito Santo; positiva: credere nello Spirito Santo e in tutte le sue manifestazioni; credere che lo Spirito Santo è l'amore del Padre e del Figlio. Credere che ti farà pensare, operare e parlare secondo la fede.
Lo Spirito Santo deve portare in voi una più alta preghiera, uno spirito di orazione più elevato e sentito, una dedizione più tranquilla e serena all'Istituto, alla volontà di Dio; un modo di operare nell'apostolato, totalmente conforme allo Spirito di Cristo. Mirare a Dio, contare su Dio, e lavorare per Dio: «Sine me nihil potestis facere»8. «Omnia possum in eo qui me confortat»9.
Prepararsi alla Pentecoste in compagnia della Madonna che attese nella preghiera, con gli Apostoli la discesa del divino Paraclito.
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9. CHIEDERE VOCAZIONI AL SIGNORE*
Gente nuova e gente vecchia, ma tutte buone, eh? Volevo che faceste una operazione. Avete bisogno di vocazioni belle, buone, sane!1 Il mondo è grande. Voi vedete ora i campi biondeggianti: alzate gli occhi, mirate la messe. Pregate il Padrone che mandi buoni operai alla sua messe2. Camminiamo verso tempi in cui l'apostolato delle edizioni si rende sempre più necessario e possibile. Occorrono vocazioni.
Per ottenerle voi avete dei mezzi: prima di tutto corrispondere alla vostra vocazione. Chi corrisponde alla sua attira altre vocazioni e la sua vita diventa una continua preghiera. Approfittare di tutto per corrispondervi: aiuti, osservazioni, consigli. Poi: preghiera e cooperazione a Dio. Egli vuole che noi lo aiutiamo. Una vocazione ognuna, almeno, ve lo raccomando! E avrete grande merito, procurerete grande bene alle anime, grande gloria a Dio e alla Chiesa. Nel mondo il problema che risolve tanti problemi è quello delle vocazioni. Molti perdono vocazione prima ancora di corrispondere; altri la perdono dopo. Ma guardate che io non voglio predicare inutilmente. Non fatemi andar via con lo sconforto. Dovreste moltiplicarvi per dieci, per cento! Alcune hanno nella mente tante storielle e soffocano la vocazione.
Quando nel 1916 costruimmo qui un pilone al S. Cuore, gli raccomandammo le vostre famiglie 3. Ora voi nelle preghiere dite al Signore: Non dateci lo sconforto; non permettete che il seme cada sulla strada o tra le spine...4. Non è difficile che un'anima che corrisponde alla sua vocazione produca il cento: corrispondere e cooperare a Dio. Oh, intendete bene la voce del Maestro
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divino che chiama, intendete la voce dello Spirito Santo che infonde nelle anime certe attrattive e cooperate! Che questa mia parola cada in un buon terreno. Fra dieci anni potrete essere moltiplicate per dieci o per cento: dipende da voi. È certissimo che il numero delle vocazioni che non corrispondono è superiore a quello che corrisponde. Dipende molto da voi.
Gesù ha detto «Qualunque cosa chiederete...»5 e in questa è compresa anche la grazia della vocazione. Chiedere con fiducia di ottenere. È vero che le vocazioni possono anche venire dall'Argentina, dal Brasile e da qualunque altra parte del mondo ma è l'Italia che ha questo grande privilegio: formare le vocazioni. È vero, siamo poveri e caduti molto in basso, ma Iddio non ci ha tolto la nostra vocazione: essere fari di civiltà al mondo. Quando fate vestizione dite al Signore: Vi domando dieci vocazioni. Quando fate professione chiedete al Signore il regalo di sposa: dieci, cento vocazioni! Questa domanda dobbiamo ripeterla spesso, ma con fede viva e vera. Se si ha poca fede si ottiene poco.
Io sono sempre in grande pensiero che noi non facciamo per la Chiesa quello che dobbiamo, che non corrispondiamo ancora ai disegni di Dio sulla nostra istituzione. Più umiltà e più fede. Una vocazione come la vostra per poco che la illustriate, subito attrae. Nel Brasile si lavora per le vocazioni eppure il terreno è più sterile: imparate anche dalle vostre sorelle. Le figliuole che verranno per opera vostra vi ringrazieranno per tutta l'eternità, e saranno la vostra corona in cielo. Se ognuna mi facesse il biglietto delle vocazioni per cui ha lavorato che somma avrei io stasera? Il Signore mette sempre accanto [a] un'anima almeno due vocazioni. Vorrei proprio che fosse terreno buono quello in cui è caduto questo comando. È Gesù stesso che ve lo fa: «Pregate il padrone della messe». Egli non lo disse solo ai dodici ma anche a noi; se lo metta ognuna nel cuore. Non ama abbastanza la Madonna chi non lavora per le vocazioni e non ama abbastanza S. Paolo, la cui premura fu di formarsi cooperatori nell'apostolato. Tenete la missione di cercare le vocazioni come una missione preziosissima, mezzo di meriti e nessuna si dia pace se non ottiene di corrispondere alla vocazione, cooperare e pregare. E foste anche sul letto di morte, cooperate pregando per le vocazioni.
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10. SAN PAOLO E LE SUE FIGLIE*
Dio Padre ci vuole tutti in Paradiso: e per questo ha indicato due vie: quella dei comandamenti e quella dei consigli evangelici. La prima è quella di tutti i cristiani, la seconda è per i religiosi che tendono alla perfezione.
Molti sono i consigli dati dal Signore, ma nella vita religiosa si professano i tre principali: povertà, obbedienza, castità.
Le giovani che oggi hanno indossato l'abito sacro o rinnovato i voti, hanno proclamato di voler seguire Gesù nella via dei consigli. Esse vogliono imitare l'apostolo Paolo del quale oggi ricordiamo ciò che gli disse il Signore sulla via di Damasco quando Saulo chiese: «Cosa vuoi che io faccia? E Gesù gli rispose: Entra in città e là ti sarà detto quello che devi fare. E il Signore mandò a Saulo Anania, sacerdote ebreo, dicendogli: Saulo è un mio vaso di elezione, egli porterà il mio nome ai gentili, ai re e ai figli di Israele ed io gli mostrerò quanto debba patire per il mio nome»1.
Tre cose disse il Signore di Saulo:
1. «È vaso di elezione», cioè cuore e anima piena di Dio, carattere deciso, sincerità inarrivabile, costanza fortissima. Saulo amava la verità e per questo credeva che i cristiani avessero sbagliato strada e li perseguitava. Ma quando il Signore lo convertì, egli fu ripieno di doni celesti e si portò subito all'apostolato con grande generosità fino a che subì il martirio in testimonianza per Cristo. Le giovani chiamate nella Pia Società Figlie di San Paolo sono vasi eletti, hanno sortito da natura tendenze buone e buone disposizioni: la pianta dà i frutti secondo la sua qualità. Se una famiglia dà figli e figlie al Signore è una buona famiglia e la prima lode va ai genitori, poi a chi ha corrisposto a queste cure e infine a tutti coloro che le hanno aiutate.
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2. Gesù disse ad Anania: «Saulo porterà il mio nome davantiai gentili e ai re». L'apostolato delle Figlie di San Paolo è molto simile a quello del loro Protettore, perché esse portano le verità di Dio e i mezzi di grazia a tutti gli uomini. Esse hanno in mano l'apostolato più fecondo e più celere dei nostri tempi: la stampa. E lo compiono in parte pubblicamente, nella propaganda e nelle librerie: si può dire che hanno messo il piede su tutte le soglie delle case d'Italia e non solo in Italia ma anche all'estero ove stanno continuamente arrivando. Questo apostolato è evidentemente benedetto da Dio, ma soprattutto è mirabile il lavorìo della grazia nelle anime loro, lavorìo di cui sono stato più volte testimone. Le strade del mondo non sono solo aperte alle menzogne e alle iniquità, ma anche alla verità e al bene.
3. «Io gli mostrerò quanto debba patire per il mio nome».Ogni rosa ha le sue spine ed ogni strada incontra i suoi dolori. La sofferenza che il Signore ha assegnato alle Figlie di San Paolo è di lasciare tutto ciò che il mondo desidera ed ama, per seguire unicamente Dio che le ha chiamate. Talora sono strappi dolorosi che fanno sanguinare, ma Dio ne segna il merito. Dobbiamo cantare l'inno del ringraziamento per le sofferenze che il Signore ci dà, metterci bene nella rinunzia alla propria volontà e nella obbedienza continua, lasciare tutto ciò che è nostro, vivere castamente rifiutando le gioie anche lecite del mondo; e accettare le sofferenze dell'apostolato che costituiscono un piccolo martirio quotidiano, che se non spilla il sangue materiale, spilla quello dello spirito e del cuore. E l'apostolato è fecondo perché fondato sulla sofferenza.
Ecco le tre somiglianze fra le Figlie di San Paolo col loro Padre.
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11. ESEMPI DI GRANDI SANTI*
In questa ultima parte del mese di luglio, la Chiesa nella sacra liturgia ci fa ricordare santi illustri. Ieri abbiamo ricordato S. Camillo de Lellis, oggi S. Vincenzo de' Paoli, domani S. Girolamo Emiliani, poi vi sarà la festa di S. Anna, di S. Ignazio, ecc. Queste feste sono assai utili per alimentare la nostra pietà e la nostra istruzione spirituale.
Ricordando solamente i santi di questi ultimi tre giorni: S. Camillo de Lellis, S. Vincenzo de' Paoli e S. Girolamo Emiliani, che cosa possiamo domandare, imparare; che cosa ha voluto insegnarci il Signore nel concedere alla Chiesa questi santi illustri? Si può riassumere tutto in poche parole: chiedere un cuore buono, un cuore formato secondo il cuore di Gesù e di Maria. Vi è chi ha buon cuore e chi ha un cuore non buono, inclinato assai alla superbia, all'orgoglio, a sentimenti di vendetta, di invidia.
S. Camillo de Lellis è un santo che ebbe un cuore molto buono, un cuore inclinato alla pietà specialmente verso i malati e i moribondi. S. Vincenzo de' Paoli ci rappresenta l'universalità della carità, verso ogni categoria di persone. S. Girolamo Emiliani praticò la carità specialmente verso gli orfani più abbandonati e miseri. Il Signore vuole che da questi tre santi impariamo specialmente ad avere pietà, carità, intelligenza dei bisogni del povero, dell'infermo, dell'infelice.
S. Camillo de Lellis nacque a Bucchianico, nella diocesi di Chieti. Giovanetto seguì la carriera militare lasciandosi andare, per qualche tempo, ai vizi del mondo. Ma a venticinque anni fu talmente illuminato dalla grazia, che concepì tanto dolore d'aver offeso Dio e propose di diventare un uomo nuovo. Si presentò ai Padri Cappuccini pregandoli di riceverlo tra loro. Due volte gli venne accordato, ma riapertasi un'orribile ulcera alla gamba, dovette rinunciare all'ideale che aveva concepito. All'ospedale degli Incurabili, a Roma, dove fu ricoverato, gli fu affidata l'amministrazione
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che tenne con la massima cura. Stimandosi il servo di tutti i malati, si faceva un dovere di aiutarli in tutti i loro minimi bisogni, e specialmente di soccorrerli nell'agonia con pie preghiere ed esortazioni. Ordinato, in seguito, sacerdote, si aggregò ad altre anime pie e fondò la Congregazione dei Chierici regolari a servizio degli infermi.
S. Vincenzo de' Paoli, di nazionalità francese, fin da fanciullo mostrò una grande carità verso i poveri. Stentò a compiere gli studi ecclesiastici perché di famiglia povera. Ordinato sacerdote e laureatosi in teologia, cadde prigioniero dei turchi che lo condussero in Africa. Ma nella sua prigionia conquistò a Cristo il suo stesso padrone. Con l'aiuto della Vergine SS. fuggì con lui da quei paesi barbari e venne a Roma. Ritornato poi in Francia, fu nominato grande elemosiniere delle galee di Francia; in questo ufficio portò uno zelo meraviglioso. S. Francesco di Sales lo elesse superiore delle Suore della Visitazione, carica che tenne per circa quarant'anni con tanta prudenza da giustificare pienamente il giudizio del Santo il quale dichiarava di non conoscere altro prete più degno.
Evangelizzare i poveri, specie della campagna fu la sua incessante occupazione fino all'età più avanzata e obbligò particolarmente a quest'opera apostolica sia se stesso, sia i membri della congregazione che egli aveva istituito sotto il titolo di Preti secolari della missione. Non ci fu genere di calamità che egli non soccorresse paternamente: i fedeli gementi sotto il giogo dei turchi, i fanciulli abbandonati, i giovani discoli, le religiose disperse, le donne cadute, i condannati alla galera, i forestieri malati, gli artigiani invalidi, i pazzi stessi e innumerevoli mendicanti furono da lui soccorsi, ricevuti e caritatevolmente curati negli ospizi che sussistono ancora. La sua carità fu universale, tanto che Leone XIII lo dichiarò speciale patrono, presso Dio, di tutte le congregazioni di carità esistenti nel mondo cattolico.
S. Girolamo Emiliani, nato a Venezia da nobile famiglia, fin dalla prima adolescenza si diede alla milizia. Fatto prigioniero e privo di ogni umano soccorso, si rivolse alla SS. Vergine che lo liberò miracolosamente. Tornato a Venezia, cominciò a darsi interamente alle opere di pietà, spendendosi a pro dei poveri, ma soprattutto compassionevole verso i fanciulli che, privi di genitori, erravano per la città, miserabili e sporchi. Li raccoglieva in
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case da lui affittate a sue spese e li educava e formava spiritualmente. Eresse degli orfanotrofi e fondò una congregazione che va sotto il titolo di Somaschi.
Ecco tre santi che ci sono di esempio mirabile nell'esercizio della carità. «Beato chi sa comprendere il povero e l'infelice!»1, dice la Scrittura. Essi sono le membra sofferenti di Gesù Cristo. «Tutto quello che avrete fatto a uno di questi piccoli, lo ritengo fatto a me!»2.
Esaminiamo il nostro cuore, i nostri sentimenti: è inclinato all'umiltà, alla compassione? Oppure siamo portati a guardare solo il nostro interesse, la nostra posizione, siamo solo sensibili a ciò che favorisce la nostra comodità egoistica?
Due sono i precetti della carità: amare Iddio, amare il prossimo3. Comprendere e capire se amiamo davvero Iddio è cosa un po' ardua. Vi è però un segno che ci fa conoscere il vero amor di Dio ed è l'amore verso il prossimo. Se pensi bene del fratello, se hai desideri santi, di pace, di bontà riguardo al tuo prossimo; se ti compiaci del bene del tuo fratello, se parli bene di tutti, se la pratica dell'apostolato viene veramente dal cuore, dall'amore soprannaturale, fattivo, amore che ti porta a spendere generosamente le tue energie per le anime; se perdoni l'offesa e preghi per l'offensore; se sai scusare come fece Gesù sulla croce, in una parola: se ami il prossimo, ami certamente Dio.
Per un'opera di misericordia il Signore ci fa trovare tanta misericordia: «Fate del bene a coloro che [vi] odiano e vi perseguitano»4.
La compassione è veramente quella che ci insegna il Crocifisso. Quando si prega per l'offensore, Gesù prega per noi. Se noi scusiamo chi ci ha disgustato, Gesù ci scusa davanti al Padre celeste. I debiti che abbiamo con Dio ci vengono rimessi in proporzione di quanto noi rimettiamo ai nostri debitori.
Chiediamo al Signore un cuore buono: inclinato all'umiltà, umile, sensibile alle miserie altrui, desideroso di portare alle anime la parola che salva.
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12. RICONOSCENZA E FIDUCIA*
Ritiro mensile
I. Il grande dono della vita
La vita è un dono grandissimo: di essa dobbiamo sempre ringraziare il Signore. Recitiamo perciò di cuore le parole del Vi adoro: «Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, conservato in questo giorno». Riconosciamo che tutto ciò che abbiamo viene da Dio; egli ci ha creati, cioè ci ha tratti dal nulla, e ci ha arricchiti di tutti i doni che possediamo. «Quid habes quod non accepisti?»1 ci dice S. Paolo. Adoriamo dunque e ringraziamo Dio, e stiamocene nell'umiltà. Se anche avessimo molta intelligenza, forte volontà, buona salute, spirito di iniziativa, bella voce, tutto ciò non sarebbe per merito nostro. La Madonna a S. Elisabetta, che la lodava perché era stata eletta a Madre di Dio, rispondeva: «Respexit humilitatem ancillae suae»2. Tutti i doni che abbiamo sono i talenti che dobbiamo trafficare: c'è chi ha ricevuto cinque talenti, chi due e chi uno solo3. Se un individuo desse ad un altro una somma da portare in un particolare posto, questa somma non sarebbe di chi la riceve, ma sempre di colui che la consegna e che vuole giunga a destinazione. Viviamo nella realtà delle cose: tutto è di Dio e noi siamo coloro che dobbiamo portare a buon termine il deposito divino.
1. È un beneficio l'esistenza? È un dono il potere adorare il SS. Sacramento? È una grazia l'essere nella Congregazione delle Figlie di San Paolo e potere continuamente e abbondantemente aumentare i meriti? Certo, è un grande beneficio. Il Signore ci conserva la vita perché ci guadagniamo più meriti; ci ha portati in questa santa casa perché ci facciamo sempre più simili a lui;
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ci dona la possibilità di sentire tante Messe e di fare tante Comunioni perché ne approfittiamo per la nostra anima.
Ogni giorno possiamo conoscere sempre di più il Signore attraverso le buone ispirazioni, le meditazioni, le prediche, gli avvisi del confessore e dei superiori, lo studio delle scienze sacre, la penetrazione dei divini misteri. Chi su questa terra cerca di conoscere sempre meglio il Signore, in Paradiso lo conoscerà di più. E poiché in Paradiso la visione di Dio costituisce la beatitudine, così la conoscenza di Dio su questa povera terra costituisce la felicità di chi lo ama. Perché, dunque, perderci in sciocchezze, in curiosità vane? Impieghiamo piuttosto il tempo per conoscere sempre meglio Dio. Certune dicono: Il catechismo io lo so già! I santi non dicevano così! Dio non lo si conosce mai abbastanza! Avanti e sempre più nutrite di sante meditazioni, di sane letture, di profonde considerazioni. Ogni giorno segni un progresso nella conoscenza di Dio.
2. La vita è preziosa perché in essa noi possiamo conformarci sempre di più al nostro modello divino, Gesù, in maniera che alla fine di essa il Padre celeste dovrebbe poter dire, come del suo divin Figlio: «Questi è il mio Figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto»4. I meriti stanno appunto in questa divina conformità. Pertanto cerchiamo di essere sempre più osservanti, sempre più casti, più obbedienti, più poveri, più umili in maniera da assomigliare sempre di più a Gesù, nostro divino modello.
3. Bisogna che sulla terra ci arricchiamo sempre di meriti,perché un giorno possiamo andare a godere in Paradiso il nostro Dio. Ma i nostri meriti valgono poco: chi ci salverà sarà Gesù Cristo. Fortunato colui che con gli anni aumenta la confidenza nei meriti infiniti di Gesù! In compagnia di Gesù potremo tutto. San Paolo diceva: «Omnia possum in eo qui me confortat»5. Ognuna dica: Io posso arricchirmi indefinitamente di meriti, e voglio farlo tutti i giorni. Un'anima può essere molto semplice, senza grande istruzione, molto tentata, in mezzo a tante pene e prove di spirito, avere uffici umili, ma se fa bene quello che deve fare stia sicura che le sue giornate saranno piene. Non sprechiamo la vita che il Signore ci concede, non perdiamo il tempo, ma
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utilizziamolo perché presto, quando meno ce lo aspettiamo, verrà la morte. Cerchiamo di approfittare di tutte le occasioni della giornata per meritare; compiamo i nostri doveri nella semplicità e nella serenità. Imitiamo Gesù nella povertà, nella sottomissione, nella umiltà.
La vostra Congregazione vi offre moltissime occasioni di meritare. Siate grate a Gesù che vi ha chiamate a sì bella vocazione! E dove trovare un altro Istituto che offra tanti mezzi e tante occasioni di dimostrare a Dio il nostro amore? Ah, se non ne approfittate, quale tormento e rimorso in punto di morte! Siate riconoscenti al Signore del grande dono della vocazione paolina e sentite, come la Vergine SS. il bisogno di ringraziarlo.
II. La confidenza in Dio
V'era una bambina che aveva una bambola. Ma alla bambola mancava una gamba e la bambina, per quanto si sforzasse, non riusciva a farla stare in piedi. Allora ricorse al babbo e le fece rimettere la gamba. Poco dopo le ruppe l'altra gamba, e di nuovo la bambola non voleva più reggersi in piedi. Fu necessario che intervenisse nuovamente il babbo e aggiustasse anche l'altra gamba. Questo è un esempio che dice chiaro una grande verità e cioè: per farsi santi è necessario il lavoro nostro individuale, ma ci vuole pure la grazia di Dio. Il solo lavoro dell'anima non è sufficiente, e la grazia da sola non fa nulla: ci vogliono tutti e due, così come per la bambola ci volevano tutte e due le gambe affinché potesse stare in piedi. Si sentono e si leggono talvolta frasi che non sono completamente esatte in se stesse, come: La santità dipende da Dio; oppure: la santità è solo frutto di lotta, difatti il Vangelo dice: «Si quis vult post me venire abneget semetipsum, tollat crucem suam, et sequatur me»6. Chi ha ragione? Ecco: questi detti sono incompleti e vanno capiti rettamente. Alle volte si insiste di più sulla confidenza in Dio, e altre volte, quando ce n'è maggior bisogno, si raccomanda soprattutto il lavoro spirituale. Le anime non si disorientino per questo: cerchino sempre di conciliare i due atti, il lavoro proprio e il lavorìo
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della grazia. Eppure è tanto facile che si curi una cosa e si tralasci l'altra! Ma in questa maniera l'anima anziché progredire, ne riceve del danno.
La vostra devozione a Gesù Maestro vi serva già come di riparo per non lasciarvi cadere in queste esagerazioni. Finora si è insistito molto sul lavoro individuale di ciascuna e lo avete sentito e praticato; ma ora è necessario insistere sulla fiducia in Dio: mi pare che sia un po' incrinata questa gamba. Attente, con una gamba sola non si sta in piedi! Rafforzate anche l'altra gamba, e diffidate sempre di quei libri e di quei confessori che non danno la verità per intero.
Orientatevi bene! Che le Figlie di San Paolo siano le più complete, siano quelle che hanno la migliore direzione spirituale, siano le più ragionevoli; siano quelle che posseggono sempre la verità per intero. Tenete quello che è il vostro spirito, il vostro indirizzo; prendete tutto ciò che è conforme ad esso e lasciate quanto non vi si conforma. Quando mangiate la carne lasciate ben da parte le ossa! Così lasciate quanto non si adatta alla vostra Regola!
Gesù nel Vangelo dice: «Sine me nihil potestis facere»7: questo è proprio vero, perciò se vogliamo fare qualcosa dobbiamo stare uniti a Gesù e confidare molto nel suo aiuto. La confidenza in Dio è necessaria sia per motivi soprannaturali, che per motivi naturali. Considerate:
1. Dio vi ha create per farvi sante: ma notate bene, non èquesto un vago desiderio, ma un desiderio efficace che fa dare gli aiuti necessari perché possiate raggiungere la santità. Dio creandovi vi destinava pure gli aiuti e le grazie necessarie. Abbiate dunque grande confidenza in Dio. Non dite mai: Sono tanto sola, c'è anche Dio che lavora con voi e più di voi vi vuole fare sante.
2. Gesù è morto per noi, per darci i suoi meriti che costituiscono la nostra santificazione. Si è santi in proporzione della nostra partecipazione ai meriti di Gesù Cristo. Per quanto lavoriamo alla nostra santificazione, non faremo mai tanto quanto ha fatto per noi Gesù. Diffidiamo della nostra volontà, ma mai
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dei meriti di Gesù Cristo, della sua passione e morte, della Madonna SS. e degli angeli.
3. Confidate ancora per la vocazione speciale che avete ricevuto: con questa vocazione voi avete diritto a tutti gli aiuti che vi sono necessari per arrivare ad una santità speciale. Avete aiuti ad essere particolarmente obbedienti, veramente pazienti, sinceramente buone e zelanti nell'apostolato. È un cumulo di grazie che il Signore vi ha preparato, ma da buon Padre, ve le dà a poco a poco. Sulla vocazione dovete contare in modo speciale. «Signore, tu mi hai chiamata ed io son venuta: ora ho diritto ai tuoi aiuti». Avete diritto alle grazie per essere buone Paoline. Non c'è dubbio che manchi la grazia quando vi si dice: Va' avanti, credi che hai la vocazione. E voi avete questa fede? Credete davvero che Iddio vi darà a tempo opportuno tutti gli aiuti necessari? Chi ha fede, dopo la meditazione dice: Ecco, io ho fatto questo propositino e, appoggiata ai meriti di Gesù, voglio metterlo in pratica. Chi ha fede sta sicura sulla parola del confessore e sulle disposizioni delle Maestre.
Confidate in Gesù Maestro Via, Verità e Vita: credete che egli vi darà luce, vi parlerà, vi ispirerà. Credete che la via da lui tracciata è veramente la migliore e che essa è fatta di povertà, di castità, di obbedienza e di umiltà. Credete che gli esempi che Gesù ci ha lasciato devono essere imitati da noi e che per questo Gesù ci dona la sua grazia attraverso i sacramenti e la preghiera.
Orientatevi bene nello spirito e non siate di quelle che aderiscono a tutte le novità. Avete una grande bella via segnata; una strada asfaltata e larga preparatavi da Dio e dalla Chiesa: correte per essa.
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13. COME ANDARE A GESÙ BAMBINO*
Siamo vicini alla novena del Natale e verso l'ottava dell'Immacolata: la Madonna ci porta il frutto benedetto del suo seno, Gesù. Maria è la verga benedetta1 che ci ha dato il frutto di vita che noi adoriamo nella SS. Eucaristia. Eva, mangiando il frutto proibito, rovinò tutta l'umanità; Maria, dandoci il frutto benedetto del suo seno2 portò la pace, la salvezza a tutta l'umanità. Se noi abbiamo la Messa è per Maria; per Maria abbiamo la Comunione, la presenza reale di Gesù nel Sacramento dell'altare.
Come i pastori e i magi noi troviamo sempre Gesù tra le braccia di Maria. In questo nuovo anno liturgico dobbiamo metterci alla scuola di Gesù e imparare dagli esempi e dalle parole del Maestro divino.
In questo tempo il nostro divino Maestro ci parla più con l'esempio che con la parola. Non dobbiamo solo ammirare la dottrina mirabile di Gesù e l'avveramento delle profezie nella sua adorabile persona: ciò è troppo poco; ma dobbiamo andare oltre: studiare gli esempi delle varie virtù che ci ha lasciato e cercare di imitarli.
Gesù ci insegna la povertà, quella povertà che molti cristiani hanno in orrore. C'insegna la pietà, quella che a volte è ridotta a una pura ammirazione. Dal presepio Gesù insegna la carità e dalla paglia egli ci dice: Ecco come si ama. Molti dicono di amare, ma non vogliono scomodarsi: questo è amore di parole. Gesù per amore degli uomini si è scomodato ed è morto per essi. Dal presepio Gesù ci insegna l'umiltà: sono molti che leggono libri che trattano di questa virtù, ma poi quando tocca loro un'umiliazione, quando sono male interpretati, dimenticati, come fremono, quale fermento c'è nel loro interno! Ciò è perché sono dominati dall'orgoglio, da quell'orgoglio che non combattono e che pare crescere con gli anni.
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Figlie di San Paolo, date mano alla vostra Mamma e lasciatevi guidare da lei al presepio, e fate come ha fatto lei: essa non ha perso nessuna scuola di Gesù, non l'ha mai abbandonato, ma con lui è salita al Calvario partecipando ai suoi dolori e alle sue umiliazioni. Condotte da Maria al presepio imparate la virtù dell'umiltà, della carità, della povertà.
Entrate coraggiosamente alla scuola del Maestro divino: l'orgoglio fremerà, l'amore alla comodità si farà sentire, ma se andate a questa scuola con Maria, profitterete delle lezioni del Maestro divino.
Contemplate e amate davvero l'umiltà, la carità, la silenziosità, lo spirito di preghiera, l'amore, l'unione con il Padre celeste. La perfezione che ci insegna il Maestro divino è molto alta: ci vuole coraggio, ci vuole un gran fervore di spirito, ma tutto ciò sarà reso facile dalla Madonna.
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1 È stato possibile accertarlo, grazie all'archivio della Postulazione che ha permesso di accedere ai quaderni del B. Giaccardo, il quale preparava lo schema di ogni meditazione, segnava la data e anche i destinatari.
2 L'ordine di questi fascicoli non è uguale. Le comunità li hanno uniti senza troppe preoccupazioni cronologiche, tanto più che pochi fascicoli hanno data.
3 Cf Indice cronologico, pp. 631-635.
* Meditazione stampata in sedicesimo, pp.1-4, insieme ad altre. L'autore è indicato all'inizio: “Meditazioni Sig. Primo Maestro”. Pensiamo quindi che tutte le meditazioni del fascicolo si possano attribuire a lui ad eccezione dell'ultima che è dichiarata del “Sig. Maestro” cioè di don Timoteo Giaccardo. Il titolo originale è “Sabato di Passione”. Data e luogo si ricavano dal contesto e dal calendario liturgico: 29 marzo 1947. Il sedicesimo fa parte anche di HM I/3.
1 Cf Sal 104,30: «Mandi il tuo Spirito e tutto è creato».
2 Cf Es 17,1-7.
3 Cf Rm 4,18: «Egli ebbe fede, sperando contro ogni speranza».
4 Cf Gen 15,5.
5 Cf Gen 22,1-18.
6 Cf Mt 8,13.
7 Cf Lc 1,45.
* Meditazione stampata nel medesimo sedicesimo della precedente, pp.4-6. Il titolo originale è: “Giovedì Santo”. Data e luogo si ricavano dal contesto e dal calendario liturgico: Roma, 3 aprile 1947.
1 Cf Gv 19,25-27.
* Meditazione stampata nel medesimo sedicesimo della precedente, pp. 7-9. Il titolo originale è: “Sabato in Albis”. Data e luogo si ricavano dal contesto e dal calendario liturgico: Roma, 12 aprile 1947.
1 «Regina del cielo, rallegrati!». Antifona mariana del tempo pasquale.
2 Cf Ger 2,20: «Non ti servirò».
3 Sal 36,9: «Si saziano dell'abbondanza della tua casa».
4 Tb 12,10: «...nemici della propria vita».
* Meditazione stampata nel medesimo sedicesimo della precedente, pp.10-12. Il titolo originale è: “Sabato avanti la seconda Domenica dopo Pasqua”. Data e luogo si ricavano dal contesto e dal calendario liturgico: Roma, 19 aprile 1947.
1 Cf Rm 6,4-5.
2 Pr 16,4: «...ha fatto tutte le cose per se stesso» (Volgata).
3 Mt 25,34: «(Venite), benedetti dal Padre mio».
4 «Innalziamo i nostri cuori».
5 «Sono uomo di eternità».
* Meditazione stampata in sedicesimo, pp. 9-12 insieme alla successiva, precedute da un ritiro di don T. Dragone. L'autore è indicato all'inizio in questo modo: “Meditazioni Primo Maestro”. Il titolo originale è “Domenica tra l'Ottava dell'Ascensione”. Data e luogo si ricavano dal contesto e dal calendario liturgico: 18 maggio 1947. Il sedicesimo fa parte anche di HM I/3.
1 Cf Gv 14,2.
2 Sal 27,8: «Il tuo volto, Signore, io cerco».
3 Sal 122,1: «Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore».
4 Cf Eb 3,1: «Fissate bene lo sguardo in Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote».
5 Eb 7,25.
* Meditazione stampata in sedicesimo insieme alla precedente, pp. 12-15. Al posto del titolo c'è la data: “Roma, 20-5-1947”.
1 Gv 14,23: «Se uno mi ama,... verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».
2 Cf Lc 11,11-13.
3 Mc 9,24: «Credo, Signore, ma aiuta la mia incredulità».
4 “Progredire un tantino ogni giorno” era il programma spirituale del ven. Maggiorino Vigolungo SSP (1904-1918).
* Meditazione stampata nel medesimo sedicesimo della precedente, pp. 12-15. Per data e autore, vedi nota della meditazione n. 8.
1 Cf A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Desclée, Roma 1927, n. 1321.
2 A. Tanquerey, Compendio…, ed. cit., n. 1339.
3 Cf Rm 1,20.
4 Sal 8,2: «O Signore, nostro Signore, quanto è ammirabile il tuo nome in tutta la terra» (Volgata).
5 Sal 19,2: «I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento».
* Meditazione stampata in sedicesimo, pp. 8-11, insieme al ritiro di novembre e a un'altra meditazione: “I doni del consiglio e della scienza”. L'autore è indicato all'inizio del ritiro in questo modo: “Sig. Primo Maestro”. Per questa meditazione e la seguente non è indicato né l'autore né la data, ma la continuità con i temi di maggio sullo Spirito Santo le fanno attribuire a don Alberione e collocare in quel periodo. Infatti la conclusione della meditazione dice: “Prepararsi alla Pentecoste in compagnia della Madonna…”. La meditazione è quindi stata tenuta prima del 25 maggio, solennità di Pentecoste. Il sedicesimo fa anche parte di HM I/3.
1 Cf 1Cor 2,14.
2 Gv 6, 54.
3 Lc 1,35.
4 Cf Ef 4,22-24.
5 Cf 1Cor 10,31.
6 Cf Gal 2,20.
7 Ef 4,30.
8 Gv 15,5: «Senza di me non potete far nulla».
9 Fil 4,13: «Tutto posso in colui che mi dà la forza».
* Dattiloscritto, carta comune, copia (21,5x28). Il titolo originale è: “Parole rivolte in studio dal Signor Primo Maestro” La data è la seguente: Alba, 9 giugno 1947.
1 Queste medesime connotazioni si trovano in una circolare di Maestra Tecla, senza data, e che nella raccolta è stata collocata alla fine del 1946 (cf VPC 96).
2 Cf Mt 9,37-38.
3 Si tratta del pilone che era stato costruito nella zona di Borgo Piave in Alba (cf G. Rocca, La formazione della Pia Società San Paolo [1914-1927]. Appunti e documenti per una storia, Roma 1982, doc. 59, p. 615; C. Martini, Le Figlie di San Paolo. Note per una storia , Roma 1994, p. 86).
4 Cf Mt 13, 3-9.
5 Cf Gv 14,13.
* Meditazione stampata in VN, 8 (1947) 6. E' rivolta alle giovani che hanno fatto vestizione o rinnovato i voti. L'autore: “Sac. Alberione” e la data: “Roma, 30 giugno 1947” sono messi in calce.
1 Cf At 9,6.15-16.
* Dattiloscritto, carta vergata, fogli 2 (21x28). L'autore e la data sono indicati nel modo seguente: “Meditazione del Sig. Primo Maestro. Roma, 19 luglio1947”.
1 Cf Pr 14,21.
2 Cf Mt 25,40.
3 Cf Mt 22,37-39.
4 Cf Lc 6,27-28.
* Ritiro stampato in sedicesimo, pp.1-7, con il titolo: “Ritiro di novembre”, titolo che è stato sostituito con il presente. Si compone di due meditazioni. Non è indicato l'anno, ma la collocazione in HM I/3 che rispetta abbastanza l'ordine cronologico fa pensare che si tratti di novembre 1947. Nel sedicesimo seguono altre due meditazioni tenute nel contesto della Pentecoste, riportate nel mese di maggio secondo l'ordine cronologico.
1 1Cor 4,7: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?».
2 Lc 1,48: «Ha guardato l'umiltà della sua serva».
3 Cf Mt 25,15.
4 Mt 3,17.
5 Fil 4,13: «Tutto posso in colui che mi dà la forza».
6 Mt 16,24: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
7 Gv 15,5: «Senza di me non potete far nulla».
* Meditazione stampata in: VN, 12 [1947] 7-8. L'autore è indicato in calce. La data è la seguente: “Roma, 13 dicembre 1947”.
1 Cf Is 11,1.
2 Cf Lc 1,42.