2) Difendere questo tesoro: portarlo con ogni attenzione, vigilando, pregando, sino al tribunale di Gesù Cristo. E se questo tesoro disgraziatamente fosse andato perduto, ecco la Confessione, l'atto di contrizione perfetta per riacquistarlo.
Oh! Se vi è chi ha ragione di piangere, è certamente colui che ha perduto questo tesoro. Come pianse Pietro: «Flevit amare».7 Come pianse la Maddalena lavando con le sue lacrime i piedi del Salvatore. Confessioni ben fatte e stare sempre sotto il manto di Maria: «Tenetemi la vostra santa mano sul capo; custodite la mia mente, il mio cuore, i miei sensi, perché non m'imbratti di peccato».8 Sono facili le cadute, il tesoro è insidiato, camminiamo fra ladri: vigilare!
Esame di coscienza. Abbiamo conservato l'innocenza battesimale? E, se perduta, per quali cause andò perduta? Almeno abbiamo pianto il nostro peccato e abbiamo riacquistato l'amicizia con Dio? «Vos amici mei estis»,9 sentiamo di essere di nuovo amici di Dio? «Vigilate et orate».10
Proposito. Preghiera: «Segreto di riuscita».
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L'APOSTOLATO TECNICO1
Avevo detto, tempo fa, che al mattino si cantassero tre lodi: una al Maestro Divino, l'altra alla Regina degli Apostoli e poi a S. Paolo Apostolo, | [Pr 1 p. 116] affinché le nostre divozioni fossero praticate costantemente. Ora, siccome questo si è fatto abbastanza bene, è utile un passo avanti. Nel libro delle Preghiere sono state riportate lodi e inni tra i più belli e più adatti per noi. È utile che questo tempo ci porti quindi a imparare tutte le lodi e tutti gli inni che vi sono, variando di tanto in tanto, perché ci divengano tutti familiari.
Questa mattina abbiamo bisogno d'invocare i lumi, la grazia dello Spirito Santo. Il fine della presente meditazione è questo: stimare, santificare, praticare l'apostolato tecnico. Stimarlo per quello che è; santificarlo con le intenzioni, e praticarlo costantemente secondo vengono disposti gli orari e assegnati gli uffici. È necessario che lo Spirito Santo infonda la sua sapienza, la sua scienza, il dono del consiglio e la fortezza: perché, quando non c'è la luce che procede da Dio, anche le cose più sante vengono a essere poco stimate: «Vilescunt».2
Che cosa vi può essere di più prezioso che la S. Messa, che è il gran tesoro, il tesoro nascosto per molti cristiani? Eppure si perdono ore in cose inutili e il Sacerdote spesso è quasi solo a celebrare. Molte volte, inoltre, quelli che vi assistono, non vi portano tutta la divozione che merita la Messa. E accade ancora che questa si lascia quasi da parte, e si stimano altre cose, le quali hanno una importanza molto secondaria. Così è dell'apostolato tecnico.
Che cosa è l'apostolato tecnico? È la composizione, è la stampa, è la brossura, è la legatura, è la propaganda.3 Ora l'apostolato tecnico, considerato nello spirito paolino, come si deve giudicare? Come lo si deve stimare?
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[Pr 1 p. 117] I fedeli ricevono, supponiamo, il libro del Vangelo, oppure un libro di meditazione o il catechismo. A quel catechismo, quanti sono concorsi?4 Il catechismo è un libro che viene dato ai fedeli, ai fanciulli, perché siano istruiti nelle verità che salvano; esso è opera tutta insieme dello scrittore, dello stampatore, del brossuratore, del legatore e del propagandista, uniti in un medesimo apostolato: portando ciascuno la sua parte e facendo tutti insieme il medesimo apostolato. Riceveranno tutti insieme, avendo tutti concorso a quest'opera, il premio dell'apostolo: quando il Signore non farà distinzione fra chi ha usato la penna e chi ha usato il compositoio,5 ma darà il premio secondo l'amore con cui si è fatto. E se quei catechismi portano alla società il bene che sono destinati a portare, il merito è di tutti quelli che hanno concorso, sia pure in maniera diversa.
L'apostolato tecnico è adorare Gesù Cristo fanciullo, giovinetto, giovinotto e uomo fatto, operoso nella sua bottega, nel suo laboratorio, quando piallava, segava, piantava chiodi, faceva piccoli mobili e piccoli attrezzi, che poi venivano venduti e servivano alla piccola famiglia.
Adorare Gesù lavoratore! perché là faceva una grande scuola: quella dell'esempio. Adorarlo, perché era il Figlio di Dio incarnato, che, pur avendo creato tutte le ricchezze che vi sono, si guadagnava il pane e faceva un lavoro umile. Adorarlo, perché Gesù tanto redimeva il mondo in quel laboratorio di falegname, quanto allorché predicava il Vangelo, allorché moriva sulla croce: scuola di esempio e nello stesso tempo redenzione.
Adorare Gesù, | [Pr 1 p. 118] il quale ha voluto dare agli uomini l'esempio del lavoro, ha voluto col lavoro redimere l'umanità, e specialmente redimere il lavoro stesso: elevare chi lavora!
Ma il suo lavoro era diretto ad un fine altissimo: era venuto a salvare gli uomini, e li salvava. Maria e Giuseppe collaboravano in questa redenzione. Così l'apostolo paolino fa il suo apostolato tanto quando maneggia la penna, come quando mette in moto la macchina per stampare ciò che è stato composto.
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Non è un mestiere il nostro apostolato: la macchina è benedetta, è benedetto il compositoio, è benedetto tutto quello che forma l'attrezzatura della tipografia. Leggete in proposito le Costituzioni.6 Quelle sono cose sacre e servono all'apostolato, che è sacro.
Oh! Se noi abbiamo soltanto la sapienza degli uomini comuni, quelli che ragionano soltanto considerando le cose dal basso, dai tetti in giù, e non ci eleviamo a considerarle nello spirito della Redenzione, allora avviene che si disistima, si è ciechi, si vive senza fede, si manca dello spirito dell'apostolato. Perciò dicevo: è necessaria la luce celeste che ci guidi; è necessario richiamare i principi di fede, le verità di fede, che reggono e su cui si basa la Pia Società S. Paolo e il suo apostolato.
Sono principi di fede, non soltanto verità di ragione: principi di fede! Vi è il mondo da salvare. Questo mondo disgraziato, che va perdendo la fede, perché troppi sono i maestri che continuamente fanno scuola di male e di errore. Dobbiamo allora adoperare gli stessi loro mezzi, per fare scuola di verità, di giustizia e di pietà.
Fare conoscere Gesù Cristo «Via, Verità e Vita»: cioè Gesù Cristo in quanto ci ha dato una morale santissima; ci ha rivelato verità di fede altissime; ci ha dato i mezzi di salvezza, che sono i Sacramenti.
Cooperare con Gesù Cristo! Oh, povere nostre teste, che alle volte vengono chiuse | [Pr 1 p. 119] alla luce di Dio. Chi non sente il bisogno di domandare perdono?
E qualche volta occorre ancora che noi nelle Comunioni, nelle Messe, nelle Visite eucaristiche, richiamiamo alla mente questa verità, altrimenti cammineremo nel buio, e le cose più sante perdono davanti alla nostra mente quella giusta estimazione che meritano. Oh, il bell'apostolato!
E allora, prima di tutto un atto di dolore.
Noi non abbiamo capito che cosa sia la Redenzione. Non abbiamo capito che il nostro ufficio, cioè il nostro apostolato, è
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adulti o perché addetti a questo. E poi successivamente quelli che hanno cooperato alla stampa e quelli che cooperano alla diffusione. Ti facciamo l'omaggio delle nostre fatiche quotidiane».
Come sarà gradito a Maria e a Gesù questo omaggio!
Facendo l'apostolato, noi seguiamo la vocazione che Dio ci ha data e compiamo la divina volontà. La vocazione è quella volontà di Dio che destina un'anima ad uno stato particolare: a lavorare cioè in modo speciale per la propria anima e per le anime dei fratelli. Quindi l'apostolato entra nella volontà di Dio; è una nostra occupazione nobilissima per doppio motivo: non solo perché esso serve umanamente per i bisogni della vita, ma soprattutto perché serve a noi in ordine all'eternità: serve a noi in ordine alla salvezza delle anime.
Anticamente i Vangeli, le Lettere di S. Paolo, gli scritti dei Santi Padri venivano copiati da amanuensi e poi portati a destinazione. Cosa lunga, faticosa, eppure molti religiosi consumavano la loro vita in questo lavoro. Oggi il progresso moderno ha portato mezzi meravigliosi per riprodurre il Vangelo in tante copie, riprodurre Catechismi, cioè la dottrina della Chiesa in molti esemplari. Il lavoro materialmente si è cambiato, migliorato, trasformato, ma lo spirito è sempre uguale. Ed è espresso nelle nostre Costituzioni: far conoscere Gesù Cristo, la sua dottrina, i suoi insegnamenti, i suoi mezzi di grazia, di salvezza: proposti, offerti all'umanità. È la volontà di Dio.
Quando il segnale è dato, ognuno può considerare: è Dio che mi chiama; è Dio che mi chiama a compiere un lavoro nobilissimo, e io risponderò: | [Pr 1 p. 123] «Eccomi, o Signore, il tuo servo è pronto» [cf. 1Sam 3,10].
Se è volontà di Dio, vi saranno le grazie. Il Signore non dà un ordine, non dispone una cosa senza offrire i mezzi per compierla: vi è l'intelligenza, vi è la salute, vi è la grazia, la forza che viene da Dio, e la benedizione perché non solo sia fatto bene questo apostolato, ma perché abbia da accrescere i meriti per la vita eterna e portare frutti.
Mentre maneggiate il compositoio, o fate girare le macchine, o andate in propaganda, quella fatica viene registrata da Dio nel libro della vita; quella fatica serve a meritare anche le grazie ai lettori, agli spettatori se si tratta di cinema, affinché siano benedetti e abbiano quindi da dare buoni frutti.
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E allora notiamo questo: l'apostolato ha in sé la promessa di un grande premio. Perché è partecipazione dell'apostolato stesso di Gesù Cristo; perché non vogliamo dare altro che Gesù Cristo; perché è partecipazione dell'apostolato di Maria; perché è partecipazione della missione della Chiesa. Ecco quindi: grande premio per il cielo. E questo perché l'apostolo è degno di un doppio premio: e per le virtù che ha esercitato e per il bene che ha fatto alle anime.
Voi lavorate e poi alla domenica avete il vostro giusto e meritato riposo; e intanto quei fogli, quei libri che sono arrivati nelle mani dei lettori, operano e producono frutti. Voi siete raccolti nell'Istituto e intanto i vostri raggi si spandono. L'Istituto è una raggiera: attorno a sé ha tanti raggi: raggi fatti di luce.
E qual è questa luce? Gesù Cristo ha detto: «Ego sum lux mundi» [Gv 8,12]: Io sono la luce! E agli Apostoli, cioè a quelli che fanno l'apostolato, ha detto: «Vos estis lux mundi» [Mt 5,14]: anche voi siete | [Pr 1 p. 124] luce al mondo. Grande opera! Che rispetto al locale dell'apostolato! Quale ordine, quale pulizia vi dev'essere! Che puntualità, che applicazione!
Ma allora bisogna dire le condizioni per compiere bene l'apostolato:
1) «Innocens manibus et mundo corde» [Sal 24/23,4]: le mani monde, innocenti e il cuore puro, cioè le intenzioni sante. Per andare all'apostolato bisogna fare come quando si va in chiesa, alla presenza di Gesù: prima cosa chiedere perdono dei peccati. I locali dell'apostolato sono una seconda chiesa; le macchine e il banco di diffusione sono il pulpito. Chiedere misericordia a Dio; chiedere perdono se noi abbiamo commesso qualche difetto, onde adoperare le nostre mani nelle cose sante e santamente. «Quis ascendet in montem Domini? Innocens manibus et mundo corde».2
La retta intenzione: per Gesù; per il Paradiso; ad onore di Dio; per le anime; per i peccatori; per i morenti; per le anime in purgatorio; per i fanciulli innocenti; per la gioventù insidiata; per gli erranti... In sostanza: le più sante intenzioni. Al mattino, espressione chiara: «...con quelle intenzioni con le quali, o Gesù,
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continuamente v'immolate sui nostri altari».3 Le intenzioni di Gesù sono incluse in quella espressione: «Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e nulla ha risparmiato per essi».4 Anche noi dobbiamo dire: «Caritas Christi urget nos».5 È la carità di Cristo che ci porta, che ci spinge a compiere il lavoro che stiamo facendo.
2) Inoltre l'apostolato dobbiamo farlo bene: ascoltare bene i capi che guidano. Assecondarli e domandare le spiegazioni, quando non abbiamo ancora appreso bene. Lasciarsi quindi guidare docilmente: sarà una sottomissione molto gradita a Dio. Pensate che quando Gesù, fanciullo, giovinetto | [Pr 1 p. 125] entrava nel laboratorio di S. Giuseppe, egli, che era il Figlio di Dio, la Sapienza increata, domandava come fare quei piccoli lavori, e stava attento alle spiegazioni e le metteva in pratica.
Fare bene. Evitare, per quanto è umanamente possibile, gli errori: sia che questi riguardino la composizione, o la stampa, o la propaganda. Le cose sante bisogna trattarle santamente. Inoltre avere cura di tutto il materiale: cura anche di un foglio di carta. Tutto appartiene alla Congregazione e attraverso alla Congregazione è sacro, è di Dio. E le cose di Dio debbono essere trattate bene.
3) Ancora: noi dobbiamo pregare per l'apostolato. Al mattino nella Comunione, e particolarmente nei Rosari, quando si arriva ai Misteri propri della Regina degli Apostoli, avere molta divozione: perché la redazione sia fatta bene, nel modo più utile alle anime; perché tutto il lavoro tecnico sia compiuto bene, nel modo più utile alle anime, cioè pastorale; e la diffusione avvenga con quella abbondanza e quella prontezza che sono più utili per i lettori.
Voi avete, almeno in parte, letto la biografia di Vigolungo Maggiorino.6 Come si applicava nell'apostolato, in quei primi
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ANGELI CUSTODI1
Oggi, primo giovedì del mese e festa degli Angeli custodi, l'Epistola della Messa ci dice come il Signore faccia custodire gli uomini dai suoi Angeli, e la protezione, le grazie che ci vengono da questi Angeli custodi e come noi dobbiamo umilmente seguirli.
[Pr 1 p. 137] Dice l'Epistola: «Così parla il Signore Iddio: ecco che io manderò il mio Angelo che cammini avanti a te e ti custodisca nel viaggio e t'introduca nel paese che io ho preparato. Onoralo e ascolta la sua parola e guardati dal disprezzarlo, perché non ti perdonerà se farai del male e perché il mio nome è in lui. Se tu ascolterai la sua parola e farai tutto quello che io ti dico, io sarò nemico dei tuoi nemici e perseguiterò quelli che ti perseguitano, poiché il mio Angelo cammina davanti a te» [Es 23,20-22].
Applicando a noi, il viaggio che dobbiamo fare preceduti dall'Angelo è il viaggio al cielo. Ecco, l'Angelo ci precede, noi dobbiamo seguire le sue ispirazioni. Dice infatti il Graduale: «Dio diede ordine per te ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie: essi ti porteranno nelle loro mani, affinché il tuo piede non inciampi» [Sal 91/90,11-12].
Gli Angeli. Consideriamoli stamattina nel Rosario, che reciteremo sempre nel mese per l'apostolato. Gli Angeli nel Rosario indicano anche come il Signore si serve dei suoi Angeli per i momenti più gravi della vita, e come nei momenti più difficili noi dobbiamo ricorrere a loro. «Quando vegli e quando dormi / io sempre son con te»,2 come avete cantato. Sempre: notte e giorno, l'Angelo è con noi.
Misteri che ricordano gli Angeli nel Rosario sono: il primo gaudioso, il primo doloroso, il primo glorioso.
Il primo gaudioso ricorda appunto l'apparizione dell'Arcangelo Gabriele a Maria, per annunziarle il divino mistero dell'Incarnazione:
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è infatti chiamato l'Angelo della Incarnazione. Noi abbiamo da ringraziare S. Gabriele Arcangelo, perché egli ci ha fatto conoscere non solo la missione di Maria, ma anche le sue grandezze. | [Pr 1 p. 138] Infatti egli si presentò a Maria con grande riverenza.
È facile che noi troviamo dei quadri in cui l'Arcangelo si presenta a Maria e, con rispetto e riverenza verso questa Regina degli Angeli, le dice con grande grazia: «Ave, o piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra tutte le donne». E perché Maria si turba alle sue parole, ad un saluto così laudativo, l'Angelo la rassicura: «Non temere, Maria, perché tu devi diventare la Madre del Figliolo di Dio che s'incarnerà. Egli sarà il santo»; e l'Angelo, continuando, porta una prova della verità di quanto egli dice a nome di Dio. Allora Maria si piega alle sue parole: «Fiat mihi secundum verbum tuum... Ecce ancilla Domini»: sia fatto secondo che tu hai detto; ecco, io sono l'Ancella del Signore [cf. Lc 1,26-38].
Il primo pensiero è questo: ricordarci che l'Angelo ci ha svelato le grandezze di quella Vergine che se ne stava nascosta, umile, ed era così grande innanzi a Dio, e Dio l'aveva ideata come il capolavoro delle sue opere. Così grande, «piena di grazia, il Signore è con te, benedetta fra le donne»: la benedetta, la prescelta, la donna che era stata annunciata da Dio nel paradiso terrestre; la donna che poi Giovanni vide gloriosa in cielo: «Signum magnum apparuit in cœlo, mulier amicta sole».3
L'Angelo ci ha svelato le grandezze di Maria: gli siamo riconoscenti e intanto ammiriamo l'umiltà con cui Maria accetta, si piega al divino volere annunziatole dall'Angelo. «Ecco l'ancella di Dio, sia fatto come tu hai detto»; e in quel momento il | [Pr 1 p. 13] 9Figlio di Dio discende nel seno di lei: «Virtus Altissimi obumbrabit tibi».4 Sarà il Figlio di Dio. Ecco il grande momento per l'umanità, la quale finalmente potrà sollevare il capo e, animata da una fiducia nuova, sperare la salvezza. Fra poco sarà riaperto il cielo, fra poco gli uomini avranno il loro Maestro, fra poco la Vittima di espiazione sarà offerta a Dio.
(«Angelo di Dio...», ecc.).
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In secondo luogo, consideriamo l'Angelo che va a consolare Gesù nel Getsemani. Dice infatti il Vangelo di S. Luca: «Il Signore Gesù si avviò per andare, secondo il solito, al monte Oliveto e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto che vi fu, disse loro: Pregate, onde non cadere in tentazione e, allontanatosi da loro quanto un tiro di pietra, s'inginocchiò e pregò dicendo: Padre, se vuoi allontana da me questo calice; però si faccia non la mia volontà, ma la tua. Allora gli apparve un Angelo dal cielo per confortarlo, e [Gesù] entrato in agonia, pregava più intensamente e spargeva un sudore di sangue che scorreva a terra» [cf. Lc 21,39-44].
Gesù nel Getsemani non aveva avuto il conforto dagli uomini e quindi il Padre celeste gli manda un Angelo. È l'Angelo della consolazione. Il calice non viene sottratto a Gesù; il calice sarà bevuto da Gesù fino all'ultima goccia, finché potrà dire: «Consummatum est».5 Ma intanto l'Angelo che viene al Getsemani porta come un annunzio, un conforto a Gesù: egli deve ricordare a Gesù che in cielo gli Angeli accompagnano la sua Passione, sono uniti a Lui nelle medesime intenzioni: essi lo amano per chi lo odia; essi riparano la ingratitudine indefinibile degli uomini, che preparano al loro Dio flagelli, croce e morte; questi uomini, che hanno bisogno di Dio, attentano alla vita e uccidono il Figlio di Dio Incarnato.
[Pr 1 p. 140] L'Angelo consolatore. In ogni occasione dolorosa della vita, noi possiamo rivolgerci agli Angeli: ancorché ci abbandonino tutti gli uomini, ancorché nessuno sappia le interne nostre lotte, vi è l'Angelo accanto a noi, che veglia, assiste, prega, conforta, ascolta. Ascoltiamo le sue ispirazioni e, come egli contempla sempre Dio in cielo, così noi pensiamo al paradiso, e nelle afflizioni ricordiamo: «Beati quelli che piangono, perché saranno consolati» [Mt 5,10]; beati coloro che combattono, perché saranno incoronati. La vita è per il cielo. Lassù ci aspettano gli Angeli: beati noi se saremo stati fedeli alle loro ispirazioni.
(«Angelo di Dio...», ecc.).
L'Angelo nel primo mistero glorioso. Leggiamo nel Vangelo di S. Matteo: «Dopo il sabato, all'alba del primo giorno della
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settimana, Maria Maddalena e l'altra Maria vennero a visitare il sepolcro. Ed ecco vi fu un gran terremoto, perché un Angelo del Signore scese dal cielo e appressatosi rovesciò la pietra e vi si sedette. Il suo aspetto era come di folgore e la sua veste come neve. Per paura di lui, le guardie si spaventarono e rimasero mezzo morte. Ma l'Angelo prese a dire alle donne: Non temete voi; perché io so che cercate Gesù, che è stato crocifisso. Egli non è qui: è risorto come aveva detto: venite a vedere il luogo dove giaceva. Andate presto a dire ai suoi discepoli ch'egli è risuscitato. Egli vi precede in Galilea: là voi lo vedrete. Ecco ve l'ho detto» [cf. Mt 28,1-10].
È l'Angelo della Risurrezione. Prima abbiamo considerato l'Angelo della Incarnazione e l'Angelo della Consolazione: qui consideriamo l'Angelo della Risurrezione.
Quando un'anima è in peccato, ascolti le ispirazioni | [Pr 1 p. 141] dell'Angelo: Sorgi dal tuo stato, ritorna dal Padre tuo celeste, invoca da Lui misericordia: ti accoglierà, ti perdonerà, ti riaprirà il cielo e il seno della sua misericordia. Comprendi la bontà del cuore di Gesù; confessati bene. Il diavolo cerca di far tacere, di chiudere la bocca; rompi le sue catene, che sono catene d'inferno, catene che ti trascinerebbero laggiù. Sorgi dalla morte, portata in te dal peccato.
L'Angelo ci avverte ancora nelle difficoltà: Coraggio! Se quest'opera è difficile, ecco la grazia; io sono con te, prego con te, la grazia del Signore discenderà a te: sii coraggioso, vinci le tentazioni, compi quell'opera buona, sii costante, persevera sino alla fine: io ti assisterò nell'ultima agonia; io presenterò l'anima tua al Giudice Divino; io racconterò le tue lotte e le tue vittorie, Egli ti premierà.
E preghiamolo che ci dia la grazia di ascoltare il risorgi; che ci dia la grazia di ascoltarlo quando c'invita alla perseveranza. «La morte, ma non il peccato».6 Operare il bene sino alla fine: chi persevererà sarà incoronato [cf. Mt 24,13].
Chiediamo tre grazie, che equivalgono ai nostri propositi:
1) Conoscere sempre meglio Maria. S. Gabriele dell'Addolorata aveva voluto prendere questo nome perché l'Arcangelo lo
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introducesse nella conoscenza e nell'amore e lo guidasse nella divozione a Maria Addolorata.
2) Negli sconforti, nelle pene, non fermarci a discorrere con uomini, che non possono dare a noi una vera consolazione; inutili le critiche, inutili le lamentele anche sopra i nostri mali. Volgerci all'Angelo consolatore, ed egli ci consolerà, come l'Angelo mandato a consolare | [Pr 1 p. 142] Gesù agonizzante nell'orto del Getsemani.
3) Chiedere la grazia di non essere mai sordi agl'inviti dell'Angelo quando ci dice di risorgere, ma di arrenderci subito quando c'invita a perseverare con costanza, a camminare decisamente verso il cielo. Ascoltarlo!
(Coroncina a pag. 73 del libro delle Preghiere).7
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MISTERI DOLOROSI: GESÙ NEL ROSARIO1
La prima settimana del mese è ordinata a questo: ottenere le grazie divine per mezzo dei nostri Santi protettori, per mezzo di meditazioni e di preghiere particolari; la grazia di osservare i nostri propositi nel mese: ogni divozione poi ha qualche fine particolare.
Oggi chiedere al Divin Maestro la grazia della divozione alla SS. Eucaristia, al Crocifisso, la grazia d'imparare bene a conoscere sempre meglio il Vangelo e il Maestro Divino.
Introduciamoci con la preghiera a Gesù Crocifisso, la preghiera a cui è annessa l'Indulgenza plenaria. E così ogni giorno essere pienamente uniti a Dio, ogni giorno pagare i nostri debiti che avessimo contratti con Lui.
(Preghiera: «Eccomi, o mio amato e buon Gesù»).
Gesù nel Rosario. Parecchi misteri dovremmo considerare. Ne scegliamo tre stamattina, cioè il terzo, il quarto e il quinto doloroso. Sempre in questo mese indirizziamo il Rosario ad ottenere | [Pr 1 p. 143] quella grazia che abbiamo ricordato più volte: la santificazione dell'apostolato di redazione, dell'apostolato tecnico e dell'apostolato di diffusione.
Il terzo Mistero doloroso ci ricorda l'incoronazione di spine. Un nuovo supplizio, un supplizio inventato dall'inferno per Gesù. Gesù, appena flagellato, viene incoronato di spine; di spine lunghe che vengono conficcate nel capo suo sacratissimo. Quei manigoldi vanno a gara a prendere dalle mani di Gesù la canna che gli avevano messo tra le mani come a re da strapazzo, e a percuotere quella corona perché le spine penetrino più profondamente nella testa di Gesù. Poi, dopo avergli messo addosso uno straccio di porpora come a re da burla, gli fanno una specie di genuflessione e riverenza e lo scherniscono con le parole: «Salute, o re dei Giudei» [Mt 27,29].
Gesù nella sua passione ha scontato tutti i peccati degli uomini: i peccati di pensiero, i peccati di sentimento, i peccati commessi con i vari sensi: con gli occhi, con le mani, con
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l'udito, ecc. Qui sconta i peccati commessi dagli uomini particolarmente con la testa, cioè con la mente, con la volontà. Pensieri di orgoglio: ecco Gesù come viene umiliato! Pensieri di insubordinazione: ecco Gesù come viene trattato! Pensieri, che possono essere contro la fede e contro ogni altra virtù, specialmente contro la delicatezza di coscienza: ecco Gesù come li ha espiati!
Inginocchiarci spiritualmente davanti a Gesù, riconoscere i nostri torti, riconoscere che quelle pene sono dovute a noi. Ringraziare Gesù, che ha voluto subirle egli medesimo, e promettere a Lui l'umiltà interiore, la sottomissione, lo spirito di obbedienza; promettere a Gesù di volere nella | [Pr 1 p. 144] nostra vita uniformarci sempre ai divini voleri e pensare secondo Dio, operare secondo ciò che il Signore manifesta a noi per mezzo dei comandamenti, o per mezzo dei consigli, o per mezzo delle disposizioni o circostanze buone o avverse in cui veniamo a trovarci.
Ecco allora: dobbiamo fare atti di riparazione e fare nello stesso tempo dei propositi. Come riparazione, protestiamo di volere d'ora in avanti amare Gesù, amarlo sempre, seguirlo umiliandoci nella nostra mente e nei nostri sentimenti interiori.
(Atto di carità).
Nel quarto mistero doloroso consideriamo la condanna di Gesù Cristo e il viaggio al Calvario, portando il grave peso della croce. Viene condannato l'Innocente e il Santo per i peccatori: coloro che stavano commettendo il più grave delitto che ricordi la storia, condannavano Colui che sulla terra non aveva fatto che del bene. «Pertransiit benefaciendo et sanando omnes».2 Anzi «Bene omnia fecit».3
A chi mai si potrebbero applicare queste parole tra gli uomini: «Ha fatto bene ogni cosa»? È passato facendo del bene e risanando ogni infermità fisica e morale. Eppure a Gesù viene inflitta la condanna, e al più ignominioso dei supplizi, quello che veniva inflitto agli uomini delle più basse classi sociali e, per colmo d'ignominia, la crocifissione tra due malfattori.
Ecco Gesù che abbraccia la croce, la riceve e se la carica sulle spalle e la porta per noi: «Jesus patiens»: Gesù paziente!
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Incominciano le stazioni della Via Crucis: dalla condanna di Gesù fino alla sua morte in croce. Facciamo spesso la Via Crucis e consideriamo quello che Gesù ha sofferto nel suo viaggio al | [Pr 1 p. 145] Calvario: le umiliazioni, i dolori fisici e morali. Noi invece ci ribelliamo spesso alla sofferenza, e contro i nostri stessi interessi.
Allorché dobbiamo soffrire qualche cosa, è facile che usciamo in atti di ribellione e alle volte anche in atti che sono veramente contro Dio. Consideriamo «Jesus patiens». La pazienza! La pazienza, che è necessaria in ogni cosa. È necessaria per lo studio, è necessaria per la pietà, è necessaria per l'apostolato, è necessaria per chiunque voglia vivere da uomo, da cristiano, da religioso; è necessaria ogni ora, ogni momento.
La pazienza fa i santi; perché se ogni giorno noi abbracciamo la nostra croce, portandola con Gesù, partecipando ai meriti che Gesù Cristo stesso acquistò portando quel duro peso, ci faremo santi. Portarla con pazienza, la nostra croce. Gesù vi cadde sotto, ma si rialzò, riprese la croce: voleva morirci sopra. L'aveva predetto: «Ho da essere battezzato con un battesimo di sangue: desidero ardentemente quel giorno» [cf. Lc 12,50].
Quale stima abbiamo noi della pazienza? Chiediamola a Maria, perché anch'ella ha accompagnato il suo Figliolo al Calvario. Chiediamola a Gesù. Non cose grandi, generalmente, chiede a noi il Signore; sono le piccole cose, le piccole sofferenze quotidiane, gli atti di carità e la fedeltà ai nostri doveri: ecco ciò che chiede a noi il Signore.
E recitiamo ora un'Ave Maria alla Vergine Addolorata, affinché ci ottenga da Gesù questa grazia, questa virtù: la pazienza.
Contempliamo infine, nel quinto Mistero doloroso, Gesù Crocifisso. Eccolo inchiodato, elevato alla vista di tutti, insultato da quegl'infelici ed empi. Eccolo sereno sulla sua fronte; eccolo offrire al Padre | [Pr 1 p. 146] Celeste il preziosissimo suo Sangue per la redenzione di tutti. Tre ore di agonia, di spasimi interiori e fisici. Chi può comprendere quello che abbia sofferto Gesù, quello che abbia sofferto Maria in quelle tre ore? È veramente indicibile! Ma allora venne compiuta la redenzione del mondo. E questa redenzione viene portata ogni giorno sopra i nostri altari con la S. Messa.
Intendiamo noi bene la Santa Messa, che è la rinnovazione della passione e della morte di Nostro Signore Gesù Cristo?
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Cerchiamo di capirla sempre meglio? Di seguirla secondo i metodi [suggeriti]?4 Cerchiamo di ricavarne i maggiori frutti? Di unirci a Gesù, Sacerdote e Vittima nello stesso tempo? Con le sue medesime intenzioni? Diffondiamo noi la conoscenza della S. Messa? Cerchiamo di portare gli uomini ad ascoltarla? E cerchiamo di portare specialmente i nostri [confratelli e alunni] ad ascoltarla bene, e a partecipare alla Messa con le stesse intenzioni di Gesù? Cerchiamo di ricavarne i quattro frutti5 e di ottenere i fini6 per cui ogni giorno viene celebrata la S. Messa?
Allora i propositi: sono le stesse domande che dobbiamo fare a Gesù stamattina, per mezzo di Maria, per mezzo dei rosari: 1) la sottomissione e l'umiltà; 2) la pazienza; 3) la divozione al Crocifisso e alla S. Messa.
Promettiamo queste cose e recitiamo il Segreto di riuscita, per imprimerci bene nella mente e nel cuore i nostri propositi; poi cantiamo «O Via, Vita, Veritas».
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[Pr 1 p. 147]
MARIA NEL ROSARIO1
Tutto il mese di ottobre [lo viviamo] sotto la protezione di Maria, col Rosario alla mano: «Sub tuum præsidium...».2 Ogni mistero del Rosario ci ricorda direttamente o indirettamente le glorie, la bontà, la potenza, la santità di Maria; perciò vediamo stamattina di considerare: Maria nel Rosario. Nel libro delle Preghiere, dopo la enunciazione del Mistero, sono indicati i soggetti di meditazione; al secondo punto: Maria nel Rosario.
Che cosa vi è da meditare su Maria nel primo Mistero gaudioso? I privilegi di Maria: la sua divina maternità, la sua verginità, la sua santità eccelsa, l'Immacolata Concezione, la sua Assunzione. Tutto in questo primo Mistero si può considerare; negli altri, poi, qualche punto particolare. In questo Mistero l'anima si allieta, si rallegra con Maria della sua eccelsa grandezza e dell'ufficio che ha rispetto a noi: cioè di Madre nostra.
Nel secondo gaudioso, si dice: Maria Mediatrice di grazia: cioè noi possiamo meditare l'ufficio che ha Maria in cielo, e che ebbe anche sulla terra. Mediatrice universale di grazia: qualunque grazia ci sia necessaria, sempre possiamo sperarla da Maria. Chiunque ha bisogno, in qualunque condizione si trovi. Mentre siamo esuli figli di Eva su questa terra, pregare: «Rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi».3 E non vi è persona così disperata, così scoraggiata, che non possa e non debba rivolgersi a Maria.
[Pr 1 p. 148] Nel terzo Mistero gaudioso, leggete: Maria Madre di Dio. Ecco Maria che nel presepio presenta Gesù al mondo. Madre di Dio! Questo dolce nome, Gesù l'ha pronunziato tante volte, quando chiamava Maria sua Madre. Quale dolcezza deve essere entrata nel cuore di Maria nel sentirsi chiamare Madre dal Figlio di Dio incarnato! E d'altra parte, quale atto di umiltà da parte di Gesù!
Vi è poi il quarto Mistero gaudioso, dove si dice che Maria è modello di ogni virtù. Esercitò l'obbedienza perfettamente; ma nello stesso tempo è modello di fede, di speranza, di carità, di
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le nostre relazioni e le disposizioni che noi andiamo prendendo a nostro riguardo. Vi sono persone che non entrano mai nello spirito religioso, perché non sanno salire. Il primo gradino è la povertà. Virtù grande, voto grande, nonostante che noi diciamo più perfetta la verginità e la obbedienza.
5. La povertà si manifesta anche nell'amore e nello zelo per l'apostolato. Il cuore di S. Paolo fu tutto pieno di amore a Gesù Cristo e alle anime, tutto pieno di amore alla Chiesa: e quale contributo ha portato egli alla Chiesa, che poté dire: «Ho lavorato più di tutti»! [1Cor 15,10]. E aveva sofferto tanto, e aveva faticato tanto, egli che non voleva essere di peso a nessuno, e guadagnava il pane col sudore della sua fronte, anche con il lavoro materiale, ad esempio di Gesù, che noi adoriamo e ammiriamo nella casa di Nazareth.
Il grande amore di S. Paolo alle anime è espresso in quel «Caritas | [Pr 1 p. 161] Christi urget nos»4 che lo spinge a farsi tutto a tutti. Sentiva i bisogni di tutti, le gioie di tutti, e lo attesta nelle sue Lettere.
Amiamo noi le anime? Coloro che non hanno zelo per la propria anima, non potranno avere zelo per le anime del prossimo. Ma coloro che hanno vero zelo nel sacrificio, certamente penseranno, desidereranno, zeleranno la salute anche del prossimo.
Comprendiamo la missione paolina? Essa deve estendersi a tutto e a tutti. È anche la missione di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutte le creature» [Mc 16,15]. Pratichiamo noi l'apostolato delle edizioni, della preghiera, dell'esempio, delle opere e della parola?
Se vogliamo il premio di S. Paolo in cielo, dobbiamo seguire i suoi passi, i suoi esempi, e chiediamo che accenda il nostro cuore del suo fuoco.
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PREGARE PER LE ANIME PURGANTI1
Oggi, primo martedì del mese, salgano dal nostro Istituto, da tutti noi molti suffragi per le anime del Purgatorio: salgano presso il trono di Dio e discendano in benedizione sopra quei fratelli «afflitti e piangenti».2
La preghiera che recitiamo più frequentemente per le anime purganti è il De Profundis,3 che però può essere recitato anche per noi; è infatti il sesto fra i Salmi Penitenziali.
L'intenzione del primo martedì del mese è in | [Pr 1 p. 162] primo luogo diretta a suffragare le anime che sono in Purgatorio e stanno facendo la loro ultima preparazione per l'ingresso al cielo. In secondo luogo è diretta ad ottenere per noi, mentre siamo ancora su questa terra, la remissione totale della pena dovuta alle nostre colpe; in modo particolare la grazia di evitare il peccato veniale, onde non accumulare altri debiti con Dio. Consideriamo pertanto il De Profundis sotto questi vari aspetti.
«Dal profondo noi alziamo la nostra voce a te, o Signore». Chi si rivolge a Dio in penitenza, con il dolore dei propri peccati, viene da Dio perdonato. Noi quindi non appoggiamoci ad alcun merito nostro: appoggiamoci invece alla misericordia di Dio. La nostra anima basa la sua speranza, la sua fiducia in Te, nelle tue promesse, o Signore. Il popolo cristiano spera in Te, o Signore, sempre, per evitare il peccato e per ottenere il perdono dei debiti contratti con Te, sapendo che presso di Te vi è misericordia. La tua redenzione è copiosa.
I meriti di Gesù Cristo sono infiniti. E noi offriamo questi stessi meriti, specialmente le Ss. Messe dove è rinnovato il Sacrificio della Croce, e preghiamo per le anime del Purgatorio e per noi medesimi.
Egli, il Signore, ha redento Israele da tutte le sue iniquità. E cioè: il Signore Gesù ha sparso il suo sangue per noi, per lavare le
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nostre iniquità. Aver fede non solo nel perdono della colpa e della pena eterna, ma aver fede nelle indulgenze; aver fede nella passione di Gesù Cristo; aver fede nella S. Messa; aver fede nel sangue di Gesù Cristo, che lava ogni anima. Diciamo perciò con fede: «L'eterno riposo dona loro, o Signore, e | [Pr 1 p. 163] splenda ad essi la luce perpetua; riposino in pace. Così sia». E ripetiamo tutti il De Profundis.
Tra le anime del Purgatorio ne ricordiamo alcune, verso le quali abbiamo dei doveri particolari, di giustizia o di carità; e chiediamo misericordia specialmente per le anime dimenticate. Molti non hanno lasciato sulla terra chi li ricordi: molte anime gemono senza che la loro voce, la loro invocazione dal Purgatorio sia ascoltata: «Miseremini mei, miseremini mei saltem vos amici mei».4 E nessuno pensa a loro.
Allora, ricordiamole tutte con l'orazione contenuta nel libro delle Preghiere: «Gesù mio, per i dolori da voi sofferti nell'agonia dell'orto, nella flagellazione e coronazione di spine, nel viaggio al calvario, nella crocifissione e morte vostra, abbiate misericordia delle anime del purgatorio, specialmente di quelle dimenticate; liberatele dalle pene atroci che soffrono, chiamatele ed ammettetele ai vostri soavissimi amplessi in paradiso».5
Seguono due oremus per tutte le Anime del Purgatorio, in generale: «O Dio, Creatore e Redentore di tutti i fedeli, concedi alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la remissione di tutti i peccati, affinché per le pie preghiere, ottengano quel perdono che hanno sempre desiderato».
«Giovi, te ne preghiamo, o Signore, alle anime dei tuoi servi e delle tue serve l'orazione di coloro che ti supplicano, affinché le sciolga da tutti i loro peccati e le faccia partecipi della tua redenzione».
Noi dobbiamo amare tutti i fratelli sulla terra, amare il prossimo come noi stessi; e questa carità, questo vincolo di unione non deve rompersi con la morte, anzi deve diventare più soprannaturale, più spirituale e anche più stretto. | [Pr 1 p. 164] Se noi preghiamo per i defunti, possiamo confidare che queste anime, le quali non possono pregare per sé, preghino per noi. Chi è molto divoto delle anime purganti, può sperare di evitare il Purgatorio.
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Ricordiamo in modo speciale i defunti nostri genitori, e chi ha ancora la grazia di avere viventi i propri genitori, può ricordare i nonni e gli antenati: «O Dio, che ci hai comandato di onorare il padre e la madre, abbi pietà nella tua clemenza delle anime dei nostri genitori; rimetti loro i peccati e fa' che li rivediamo nella gloria della luce eterna».
Abbiamo da essi ricevuto la vita temporale: restituiamo loro, in quanto ci è possibile, il beneficio ricevuto. Cerchiamo con i nostri suffragi di aprire loro quelle porte del cielo che tanto sospirano, affinché possano arrivare a contemplare Iddio tra i Santi in Paradiso, ed entrare in quel gaudio eterno che li attende.
Per i benefattori, i cooperatori, quelli da cui abbiamo ricevuto del bene materiale o spirituale: maestri, o predicatori, o confessori...: anche a loro restituiamo, come possiamo, ciò che abbiamo ricevuto: «O Dio, generoso nel perdono e desideroso della salvezza degli uomini, scongiuriamo la tua clemenza a far sì che i fratelli della nostra congregazione, i congiunti, i benefattori usciti da questo mondo, per intercessione della Beata Maria sempre Vergine e di tutti i Santi, raggiungano la società della beatitudine eterna».
E tra i defunti ricordiamo ancora in modo particolare i Sacerdoti, i quali sulla terra hanno | [Pr 1 p. 165] degli obblighi assai più stretti e devono rendere conto delle anime che Dio ha loro affidate: «O Dio, che fra gli apostolici sacerdoti hai voluto annoverare i tuoi servi, rivestendoli di dignità sacerdotale, fa', te ne preghiamo, che siano pure aggregati alla loro società in eterno».
La nostra fiducia è nel Crocifisso, nelle piaghe santissime del Salvatore, nella S. Messa. Contempliamo la scena del Calvario: Gesù Crocifisso, grondante sangue, agonizzante, e Maria Addolorata ai piedi della croce, che supplica il Signore, il Padre celeste, ad accettare il sacrificio del suo Figliolo, per tutta l'umanità, per tutte le anime.
Oggi «festa del Rosario», recitiamo il nostro Rosario consueto, specie con l'intenzione che giovi alle anime del Purgatorio. E siccome moltissime indulgenze sono loro applicabili, noi mettiamo adesso l'intenzione che servano a liberarle e a sollevarle.
Diciamo il quinto mistero doloroso, stando anche noi sul Calvario e contemplando quella scena di dolore, di amore, di redenzione.
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LA GIORNATA MISSIONARIA1
Il Vangelo di questa domenica ci porta a chiedere al Signore aumento di fede: aumento di fede per noi e aumento di fede nel mondo.
La Giornata Missionaria è dedicata a questo: il Vangelo raggiunga ogni nazione, ogni individuo, ogni famiglia, e che ispiri le leggi, la scuola, le | [Pr 1 p. 166] edizioni. Divenga quindi la regola di ogni uomo e della intera umanità. Quanti passi ci sono ancora da fare! Uniamoci alle intenzioni che ha la Chiesa nel far celebrare la Giornata Missionaria.
Il Vangelo ci dice: «Gesù andò di nuovo in Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Ora vi era in Cafarnao un ufficiale del re che aveva un figlio ammalato. Avendo udito che Gesù dalla Giudea era venuto in Galilea, andò da lui e lo pregò che si fermasse per guarirgli il figliolo moribondo. Ma Gesù gli rispose: Se voi non vedete miracoli e prodigi, non credete. L'ufficiale gli rispose: Signore, vieni prima che mio figlio muoia. Gesù gli disse: Va', tuo figlio vive. E quell'uomo credette alla parola detta da Gesù e partì. Giunto vicino a casa, i servitori, che gli erano andati incontro, gli dissero che suo figlio viveva. Domandò loro a che ora aveva cominciato a migliorare, ed essi risposero: Ieri, all'ora settima, la febbre lo abbandonò. Il padre rifletté che quella era appunto l'ora nella quale Gesù gli aveva detto: Tuo figlio vive. E così credette egli e tutta la sua famiglia» (Gv 4,46-53).
Evidentemente il prodigio è indirizzato ad un fine soprannaturale, cioè che quell'uomo e la sua famiglia credessero in Gesù Cristo. San Gregorio2 infatti commenta: «Gesù ha compiuto
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il miracolo di cui era richiesto, per dare la vita della fede all'ufficiale e a tutta la sua famiglia».
Questo miracolo deve contribuire a farci crescere nella fede in Gesù Cristo, per opera del quale siamo stati liberati dalla febbre del peccato.
La fede di quell'uomo, il règolo,3 era imperfetta: | [Pr 1 p. 167] difatti egli esigeva la presenza fisica di Gesù Cristo; ma Gesù col miracolo gli fa vedere che era già presente là, presso il malato e già operava.
Noi crediamo, ma certamente la nostra fede non è ancora perfetta. Occorre pensare che non sempre il Signore concede le grazie che gli chiediamo per la vita presente. Concede però sempre le grazie spirituali che noi chiediamo: o quelle o altre che egli vede più utili all'anima nostra. Le grazie materiali le concede solo in quanto vede che contribuiscono al bene della nostra anima.
La fede ci fa vedere la vita nel suo giusto senso; ci fa credere nel Paradiso e ce ne mostra i mezzi: la preghiera, la buona vita, la corrispondenza alla nostra vocazione, l'adempimento della nostra missione.
La fede ci fa pensare in ordine all'eternità; ci fa trovare continui mezzi per tesoreggiare per la vita eterna; ci fa capire che cosa sia il sacerdozio, la dignità e i doveri: che cosa sia lo stato religioso, perché sia stato istituito e da chi fu istituito.
La fede! Essa riempie di letizia i nostri giorni, ancorché in questi noi incontriamo difficoltà, tentazioni, lusinghe.
La fede! Essa ci fa conoscere quanto siano misere le parole dei mondani e quanto invece sia preziosa la scienza del Vangelo.
Occorre metterci davanti alle verità eterne, alla duplice eternità. Vivere di fede significa avere presenti queste grandi verità e ordinare tutta la vita al suo fine.
[Pr 1 p. 168] Leggere e studiare il Catechismo che la Chiesa ci porge e avere fede in esso. Fede!
Fede che ci accompagni nella preghiera: «Fateci santi». Sì! se tu avrai fede, ti farai santo! L'umile sarà esaltato. Ma non pensiamo alla esaltazione su questa terra, che sarebbe vanità:
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pensiamo alla esaltazione su questa terra, che sarebbe vanità: pensiamo alla esaltazione in cielo, dove Gesù Cristo darà i posti alle nostre anime.
Ritenerci piccoli, quali veramente siamo davanti al Signore: avere la santa piccolezza. Questa ci fa considerare ciò che siamo davanti a Dio, bisognosi di aiuto e di misericordia, e ci fa essere sempre riconoscenti a coloro i quali, nelle mani di Dio, sono strumenti per illuminarci, sono il sale che ci preserva dal peccato, dalla corruzione.
Oggi, Giornata Missionaria, preghiamo perché il Signore accenda sempre più in noi il lume della fede: che tutti conoscano Gesù Maestro, Via, Verità e Vita, e che la Madonna lo mostri a tutte le nazioni come lo mostrò ai pastori, ai magi, e tutti lo conoscano e lo amino.
E facciamo nostra la domanda che ci suggerisce il Vangelo stesso: «Signore, io credo, ma aumenta la mia fede» [Gv 9,38].
La nostra fede è pratica? In questo tempo che ci concede il Signore, vediamo un mezzo per guadagnarci il Paradiso, per prepararci una buona eternità? Nei momenti che passano, procuriamo di guadagnare tesori che dureranno in eterno? Vi sono persone che hanno una fede vaga, che non forma la guida della loro vita, non costituisce i principi dei loro ragionamenti, non viene applicata ai casi particolari della vita.
Chiediamo aumento di fede pratica, che ci accompagni alla Comunione, alla Confessione, nell'apostolato e nello studio.
Che il Vangelo raggiunga ogni anima, le edizioni | [Pr 1 p. 169] si conformino ad esso, e si ispirino ad esso la scuola, le leggi che reggono i popoli.
Cantiamo il Credo, per ottenere aumento di fede, e perché il Vangelo si diffonda in tutto il mondo e sia accettato dagli uomini.
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LA CHIESA: BANCHETTO DEL RE1
Il Vangelo di oggi è preso da S. Matteo: «Gesù, seguitando a parlare in parabole, disse: Il regno dei cieli è simile ad un Re il quale fece le nozze a suo figlio. E mandò i servi a chiamare gl'invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò ancora altri servi dicendo: Dite agl'invitati: Ecco il mio pranzo è già apparecchiato, si sono ammazzati i buoi e gli animali ingrassati e tutto è pronto: venite alle nozze. Ma quelli non se ne curarono, andando chi al campo, chi al negozio. Altri poi, presi i servitori, li oltraggiarono e li uccisero. Udito l'avvenuto, il Re, pieno di ira, mandò le sue milizie a sterminare quegli uomini e a dar fuoco alle loro città. Quindi disse ai suoi servi: Le nozze son pronte, ma gl'invitati non ne erano degni. Andate dunque ai crocicchi delle strade e quanti troverete chiamateli alle nozze. E usciti per le strade i servi di lui radunarono quanti trovarono, buoni e cattivi, e la sala delle nozze fu piena di convitati. Or entrato il Re a vederli, vi notò un uomo che non era in abito di | [Pr 1 p. 170] nozze. E gli disse: Amico, come sei entrato qua senza la veste da nozze? E colui ammutolì. Allora disse il Re ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nel buio, ivi sarà pianto e stridor di denti. Perché molti sono i chiamati e pochi gli eletti» (Mt 22,1-14).
In questo Vangelo è chiaramente raffigurata la Chiesa. Noi dobbiamo domandare al Signore che la Chiesa sia amata, sia conosciuta, si diffonda per il mondo intero e raccolga nel suo seno tutta quanta l'umanità; perché si faccia di tutto il mondo un solo ovile e un solo pastore [cf. Gv 10,16]: una sola scuola, quella di Gesù Cristo, per raccoglierci un giorno tutti insieme, in quella Chiesa perfetta lassù in cielo.
La Chiesa ci fa sempre recitare, al termine della Messa, quella preghiera composta da Leone XIII per chiedere la esaltazione e la libertà della Chiesa: affinché sia conosciuta e ritenuta per quella società perfetta2 istituita da Gesù Cristo, per condurre gli uomini alla salvezza.
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Che abbia libertà, la Chiesa! È doloroso che in nessun secolo siano mancate le persecuzioni. Né mancano oggi. Anche in questi giorni sono stati condannati a morte dei Sacerdoti e un Vescovo, con l'unica colpa di essere fedeli alla Chiesa cattolica, e di zelare la salute delle anime; per aver compiuto perciò il loro dovere sacrosanto davanti a Dio. L'epoca dei martiri non si chiude. Ogni martire versa il sangue per la Chiesa: sangue dal quale nasceranno altri cristiani, come da una semente eletta.3
S. Gregorio [Magno] dice: Dio Padre ha celebrato le nozze del suo Figlio allorché lo ha unito con la natura umana, nel seno della Vergine, e le ha celebrate specialmente quando, per mezzo | [Pr 1 p. 171] dell'Incarnazione, lo ha unito alla sua S. Chiesa. Ecco le nozze: l'unione con la Chiesa.
Il Re mandò gli apostoli in tutto il mondo ad invitare prima gli ebrei e poi tutti gli uomini ad entrare nella Chiesa. Ma quando il Signore mandò i servi ad invitarli alle nozze, che cosa successe? Questi non vollero andare; altri non si curarono dell'invito; altri ancora oltraggiarono e uccisero i servitori. Ecco quale corrispondenza all'invito di Dio. E i più ingrati, i primi anzi ad esser ingrati sono stati gli Ebrei, i quali proibirono agli apostoli di parlare e li flagellarono. Ma venne sopra di essi il castigo.
Anche oggi agli inviti di Dio molti si rifiutano e rimangono indifferenti, quasi che parlare agli uomini della loro salvezza sia una cosa inutile o indifferente. Parliamo di quello che è più necessario, cioè dell'eterna salvezza, il paradiso, la felicità a cui tutti aspirano. Ma gli uomini sbagliano spesso oggetto, e credono di trovare la felicità nei beni della terra, negli onori, nei piaceri: sbagliano.
Siccome gli Ebrei in gran parte si rifiutarono di accogliere l'invito, ecco, disse il Re: Andate dunque in capo alle strade e quanti incontrerete chiamate tutti alle nozze. E gli apostoli si rivolsero ai gentili, andarono in ogni nazione e innumerevoli pagani entrarono nella Chiesa a formare il nuovo popolo di Dio.
Quanti figli, oggi, raccoglie la Chiesa sotto | [Pr 1 p. 172] di sé, come una chioccia raccoglie sotto le sue ali i pulcini! E li difende e li nutre.
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E beati coloro che siedono al banchetto divino, preparato dalla Chiesa. È il banchetto eucaristico: è il banchetto della verità che viene predicata, che nutre lo spirito; è il banchetto della virtù, cioè la santità a cui tutti gli uomini sono invitati, perché tutti sono chiamati al cielo.
«Questo è il mio cibo: fare la volontà di Dio» [cf. Gv 4,34]. Cibo sublime, di cui si nutrì il Figlio di Dio; cibo grande, di cui dobbiamo nutrirci noi: la volontà di Dio. Questo è il cibo che fu gradito a Gesù Cristo: «Ho un altro pane che voi non conoscete. Il mio pane è fare la volontà di Dio» [cf. Gv 4,32].
Però, non sempre nella Chiesa siamo tutti fedeli, tutti santi. Purtroppo nella Chiesa, insieme alle anime elette, vi sono anime che non corrispondono agli inviti della Chiesa. La Chiesa è sempre un grande campo in cui cresce il buon grano e cresce la zizzania. Oggi abbiamo qui a Roma una rappresentanza meravigliosa di uomini che sono veramente il buon grano nella Chiesa di Dio. Ma quanti sono assenti e quanti seminano anche derisione e scherno! Beati i forti, poiché una grande corona li attende. Un giorno sarà separato il buon grano dalla zizzania.
Ecco, andati i servi, raccolsero quanti trovarono, buoni e cattivi, sicché la sala delle nozze fu piena di convitati. «Or entrato il Re a vederli vi notò un uomo che non era in abito di nozze... E disse ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nel buio, ivi sarà pianto e stridor di denti. Perché molti sono i chiamati e pochi gli eletti».
[Pr 1 p. 173] Non tutti i membri della Chiesa, quindi, sono davvero santi. Appartengono materialmente al corpo della Chiesa, ma non appartengono alla sua anima. E non ricevono dalla Chiesa quel nutrimento che la Chiesa elargisce ai suoi figli fedeli.
Quale sarà la nostra conclusione? La prima conclusione è chiara: amare la Chiesa, seguire la Chiesa. Non dobbiamo meravigliarci se qualcheduno non è perseverante nei suoi doveri. È sempre stato così; ma è anche sempre vero che gli uomini passano all'aldilà, e là si farà una selezione: vi saranno i salvi e vi saranno i perduti. E chi è il saggio? Quello che si mette fra i pochi, fra coloro i quali prendono una strada spinosa e magari ripida, ma che porta al Paradiso.
Pensiamo a noi. Pensiamo al nostro interesse; non guardare chi va a destra e chi va a sinistra. Guardare a Dio, guardare al
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I principi del Vangelo si sono sviluppati nella loro mente e hanno prodotto frutti meravigliosi di pensiero.
Il Vangelo ben meditato porta alla pratica delle virtù cristiane. Ecco i Santi, i Vergini; ecco i Martiri, i Confessori; ecco coloro che, non contenti di seguire il Vangelo nei suoi precetti, lo vogliono seguire anche nei suoi consigli. Ecco la vita religiosa, frutto della meditazione del Vangelo, della dottrina insegnata dalla Chiesa. Uomini eroici, pieni di zelo, uomini che si sono distinti in ogni virtù: nella carità verso Dio, nella carità verso il prossimo, nell'osservanza della giustizia, nell'obbedienza, nell'umiltà: frutti meravigliosi!
Quale religione, quale dottrina ha portato tali frutti, ha formato uomini così virtuosi?
Ed ancora: il Vangelo ben meditato, la dottrina della Chiesa ben considerata producono in noi un aumento di grazia: ci portano ad approfittare dei Sacramenti, ci portano alla divozione eucaristica: Messa, Comunione, Visita; alla divozione mariana e, attraverso alla divozione mariana, ad una unione intima con Gesù.
Ecco poi il | [Pr 1 p. 187] grande frutto della meditazione del Vangelo, della meditazione sulla dottrina della Chiesa: il Paradiso, eterna felicità.
Le dottrine comuni dei vari partiti, delle varie ideologie delle scuole portano frutto per la vita presente (quando pure ne portano, quando pure non rovinano la vita sociale, la vita familiare); ma la dottrina di Gesù Cristo ci porta a vivere rettamente sulla terra e ad essere eternamente felici in cielo: ecco il gran frutto che essa produce. È dottrina quindi che salva. E allora capiamo sempre meglio: «Hæc est vita æterna: ut cognoscant te et quem misisti, Jesum Christum».3
Interroghiamoci: facciamo bene la meditazione? Ogni giorno ricaviamo frutti, cioè propositi, convinzioni sempre più profonde, spirito di fede sempre più nutrito? Veniamo sempre più a detestare il peccato e ad amare il Signore? Ricordiamo lungo il giorno la parola che è stata predicata? Richiamiamo i propositi del mattino? Amiamo la lettura della Bibbia, in modo particolare
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del Vangelo? I nostri studi preferiti sono gli studi sacri? Che amore si porta al Catechismo? E come lo si studia? E quando si ha la grazia di poter compiere meglio la nostra istruzione religiosa, vi dedichiamo il tempo disponibile, con cuore, con applicazione, con gioia, con riconoscenza a Dio di averci chiamato alla fede e di avere per noi riservato degli studi così elevati? Teologia! la scienza di Dio: non quella umana, ma quella che il Figliolo di Dio ci ha portato dal cielo.
Recitiamo l'Atto di dolore, per chiedere perdono della negligenza che qualche volta vi è stata a questo riguardo. Facciamo i nostri propositi. E per osservarli, con gran fede recitiamo il «Segreto di riuscita».
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[Pr 1 p. 188]
LA PIETÀ COMUNE1
Il tempo dopo Pentecoste è specialmente destinato a farci considerare gli insegnamenti che Gesù ha lasciato agli uomini prima di salire al cielo, e i mezzi di salute e di grazia che egli ha istituito per noi.
Quindi il tempo dopo Pentecoste ci deve indurre a seguire Gesù Via, Verità e Vita.
Poi, incominciando l'Avvento, ecco che noi ci metteremo di nuovo a pregare il Padre celeste che mandi il Salvatore sulla terra e lo onoreremo, questo Salvatore, quando comparirà in mezzo a noi nel ciclo natalizio, e considereremo la sua vita privata e pubblica, e poi la sua vita dolorosa e gloriosa, per rimanere alla sua scuola e quindi fare profitto di tutta quella dottrina che egli ci ha portato dal cielo.
Ci troviamo così come un giovane che vuole imparare e che ha le sue ore di scuola, in cui il maestro gli comunica la scienza. Successivamente il giovane deve mandarla a memoria, la lezione udita, deve applicarla con i lavori o i temi da svolgere o i problemi da risolvere, al fine di far propria la scienza del maestro. Così è la grande scuola che ha stabilito sulla terra il Padre celeste mediante il suo Figliolo, di cui disse: «Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo» [Mt 17,5]. E allora, a nostra volta, possiamo diventare maestri di quella stessa dottrina che Gesù ha portato dal cielo.
Su questo Vangelo e su quello di domenica prossima potremo intrattenerci in occasione | [Pr 1 p. 189] del ritiro mensile: ora ci fermiamo su di un altro argomento, quello che è stampato sul San Paolo di dicembre,2 ossia sulla pietà in comune: l'argomento fa per tutti; perciò è utile che lo consideriamo qui, dove siamo tutti raccolti.
Ringraziare il Signore, il quale ha voluto darci una pietà che viene dallo spirito della Chiesa, anzi dallo Spirito del Maestro
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divino. Gesù Cristo e la Chiesa sono come una cosa sola, perché la Chiesa è il Corpo mistico di Gesù Cristo.
Le pratiche di pietà non vanno considerate come una cosa che si deve compiere in un certo tempo e poi viene messa da parte, no: le pratiche di pietà sono per portare in noi l'aumento di virtù e farci vivere la vita religiosa paolina. Quindi sono intimamente collegate col lavoro spirituale. In questo lavoro spirituale l'emendazione dei difetti e il lavoro di conquista delle virtù formano una cosa unica.
Abbiamo il mezzo e il fine: il mezzo, cioè: la meditazione, l'esame, la Messa, la visita, ecc.; il fine: vivere di fede, salvarci con la speranza, vivere più intimamente uniti a Gesù Cristo; acquistare le virtù religiose dell'obbedienza, povertà e castità, le virtù morali della pazienza, della umiltà e formarci veramente secondo la nostra vocazione: veri Paolini, vere Paoline.
Ringraziare il Signore, il quale con noi è stato largo di benefici. Vi sono di quelli che non comprendono abbastanza i grandi benefici che ricevono a S. Paolo.3 Abituati a mangiare questo pane comune dello spirito, del cuore, della mente, non se ne fa più caso. Si capirà in punto di morte, si capirà nell'eternità; ma se siamo pensosi e giudiziosi, dobbiamo già apprezzare fin d'ora | [Pr 1 p. 190] la grazia di Dio, i benefici immensi che si ricevono qui a S. Paolo. Come non si fa più caso del sole che sorge ogni mattina, perché si è abituati, così avviene delle grazie più grandi, che il Signore concede specialmente quando si è in formazione.
Cantiamo: «O Via, Vita, Veritas...» per capire il grande beneficio che abbiamo avuto dal Signore con questo spirito di pietà, il quale è completo, cioè procede da Gesù Cristo Via, Verità e Vita; e nello stesso tempo per comprendere che le pratiche sono ordinate alla vita, alla vita religiosa. Per questo nel libro delle preghiere non ci sono soltanto preghiere e pratiche, ma vi sono le introduzioni che servono a spiegare quali siano le cose che dobbiamo chiedere, i fini per cui facciamo le pratiche di pietà e le intenzioni che in esse dobbiamo avere.
Per comprendere lo spirito di pietà paolina, è necessario riflettere su ciò che dicono le Costituzioni, cioè «ordinare la propria vita, nella vita comune, a norma dei sacri Canoni e delle
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presenti Costituzioni».4 L'Istituto deve avere una pietà di un colore preciso, uniforme ovunque. Dall'uniformità di tale colore provengono importanti conseguenze per l'uniformità dello spirito paolino: nel pensiero, nei sentimenti, nell'apostolato, nell'osservanza religiosa, nella disciplina, negli studi medesimi.
Per questo, grande importanza va data alla preghiera comune con le formule comuni. I metodi particolari, le spiritualità varie, le forme di orazione troppo particolari, finiscono con lo sgretolare l'unità: quell'unità che deve essere il bene sommo nell'Istituto, e che deve essere unità di pensiero, unità di azione e di spirito, unità di | [Pr 1 p. 191] pietà: onde tutti raccolgano i frutti della vita comune, abbiano i meriti che possono raccogliere in questa vita e un giorno conseguano davvero quella particolare gloria, che è riservata a chi si consacra a Dio, per donarsi tutto a lui e vivere con lui, in uno spirito solo, in una Congregazione, in una società approvata dalla Chiesa, come atta a santificare i membri, e a compiere un apostolato proprio, utile alle anime.
Risaliamo in alto: qualche cosa si deve sacrificare, ma una volta che ci doniamo a Dio, noi non dobbiamo riprendere il dono, non dobbiamo ritornare a vivere per noi, ma vivere per Dio, uniti assieme.
Ora questa è grazia importante e fondamentale: appunto per i beni che produce, quelli che abbiamo detto, e per il conseguimento dei due fini principali dell'Istituto: la santificazione nostra e l'apostolato. E quindi: conseguimento di quella felicità eterna che il Signore tiene riservata a tutti i Paolini e a tutte le Paoline fedeli.
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7 Lc 22,62: «Pianse amaramente».
8 Preghiera «Per passare bene la giornata» (cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, 1952, p. 28).
9 Gv 15,14: «Voi siete miei amici».
10 Mt 26,41: «Vegliate e pregate».
1 Meditazione dettata giovedì 25 settembre 1952.
2 «Sono disprezzate come vili».
3 Quando Don Alberione parlava, negli anni '50 e fino agli '80 del Novecento, la Società San Paolo gestiva il ciclo completo dell'editoria, che veniva distinto in tre fasi: redazione, tecnica, propaganda. La tecnica corrispondeva all'attuale produzione, la propaganda alla diffusione o marketing.
4 Cioè: quanti hanno concorso o contribuito a realizzarlo?
5 Il “compositoio” era l'attrezzo metallico, usato nella composizione tipografica a mano, per allineare in riga i singoli caratteri di piombo.
6 Si allude particolarmente all'art. 242, che stabiliva: «L'apostolato, secondo il fine speciale della Pia Società San Paolo, richiede mezzi tecnici adatti, che diventano come sacri nella divulgazione del Vangelo e della dottrina della Chiesa...».
2 Sal 24/23,3-4: «Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo tempio santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro».
3 Cf. Preghiera per la buona morte (prima versione) in Le preghiere della Pia Società San Paolo, EP, 1957.
4 Rivelazione di Gesù a S. Margherita Maria Alacoque.
5 2Cor 5,14: «L'amore del Cristo ci spinge».
6 Maggiorino Vigolungo (1904-1918), di Benevello (Cuneo); entrato dodicenne nella “Scuola Tipografica” di Don Alberione, ne comprese lo spirito e fece suo programma di vita il proposito: “Progredire un tantino ogni giorno”. Il Fondatore lo definì “Piccolo apostolo della Buona Stampa” e ne scrisse la biografia. Venerabile dal 28 marzo 1988.
1 Meditazione dettata giovedì 2 ottobre 1952. - Dal “Diario”: «Celebra la S. Messa alle ore 3,30; dopo si ferma in Cripta per la recita del Breviario e per ascoltare delle Messe fino alle ore 6, quando inizia la meditazione che egli tiene alla comunità».
2 Sono due versi della lode all'Angelo Custode, composta da Silvio Pellico: «Angioletto del mio Dio...» (cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, p. 260).
3 Ap 12,1: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso, una donna vestita di sole».
4 Lc 1,35: «Su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo».
5 Gv 19,30: «Tutto è compiuto».
6 Si riferisce al noto proposito di san Domenico Savio.
7 Coroncina all'Angelo Custode dalle Massime Eterne di S. Alfonso.
1 Meditazione dettata venerdì 3 ottobre 1952. - La sera precedente Don Alberione era a Napoli, per accogliere Don Bertino e Don Canavero, sacerdoti paolini reduci dalla Cina, ed era tornato a Roma all'1 e 30 di notte.
2 At 10,38: «Passò beneficando e risanando tutti».
3 Mc 7,37: «Ha fatto bene ogni cosa».
4 Si riferisce probabilmente al metodo verità-via-vita (proposto nel libro delle Preghiere) oltre che alle rubriche della celebrazione eucaristica.
5 I “quattro frutti” della Messa, nella pietà tradizionale, erano i seguenti: generalissimo (per tutti i fedeli vivi e defunti); generale (per quanti concorrono al sacrificio), speciale (per la persona cui viene applicata la messa), specialissimo (per il celebrante).
6 I “quattro fini”: adorazione, ringraziamento, soddisfazione (riparazione), supplica. Cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, ed. 1952, p. 110.
1 Meditazione dettata sabato 4 ottobre 1952.
2 «Sotto la tua protezione...».
3 Dalla “Salve, o Regina” .
4 2Cor 5,14: «L'amore del Cristo ci spinge».
1 Meditazione dettata martedì 7 ottobre 1952. - È opportuno ribadire che l'espressione “anime purganti”, benché consacrata da un uso secolare, andrebbe sostituita con altra più comprensibile, quale: “anime in via di purificazione”, o “anime nel Purgatorio”, o “in attesa del Paradiso”, ecc.
2 Richiamo al canto per i defunti: «Dei nostri fratelli / afflitti e piangenti / Signor delle genti / perdono, pietà!» (cf. Preghiere della P.S.S.P., p. 262).
3 Sal 130/129: «Dal profondo (a te grido, o Signore)».
4 Gb 19,21: «Pietà, pietà di me, almeno voi miei amici».
5 Preghiera “Per tutti i defunti”, in Preghiere della P.S.S.P., p. 60.
1 Meditazione dettata domenica 19 ottobre 1952. - Dal “Diario” : «Terminata la Messa, sale sul pulpito per dettare la meditazione; però dà ordine di non mettere nessun registratore magnetico per registrarla. Peccato che nemmeno il sottoscritto sia riuscito, per ragioni di ministero, a prendere gli appunti della bella meditazione sulla fede che il Primo Maestro ha tenuto alla comunità». Evidentemente le parole del predicatore sono state registrate da altri, probabilmente da M.a Ignazia Balla.
2 Gregorio Magno (540 ca.-604), di famiglia patrizia romana, monaco e papa dal 590. Padre e dottore della Chiesa. Organizzò la difesa dell'Urbe dai barbari. Regolò il canto liturgico e scrisse notevoli commentari alla Sacra Scrittura, una Regola pastorale e una Vita di San Benedetto.
3 Dal latino “regulus”, era il rappresentante locale del re o dell'imperatore.
1 Meditazione dettata mercoledì 22 ottobre 1952.
2 “Società perfetta” era espressione canonica (giuridica), per indicare il carattere proprio delle società “sui juris”, compiute e autonome in se stesse.
3 Cf. la celebre affermazione di Tertulliano (160-220 ca., apologista cristiano di Cartagine): «Sanguis martyrum semen est christianorum - Il sangue dei martiri è seme di cristiani» (Apologetico, 50,13).
3 Gv 17,3: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo».
1 Meditazione dettata domenica 23 novembre 1952.
2 Il numero del bollettino San Paolo del Dicembre 1952 è in realtà un documento circolare “riservato ai Sacerdoti”, datato 20 novembre, contenente indicazioni e citazioni canoniche sul ministero dei Sacramenti, sulla formazione spirituale dei giovani e sulle condizioni per l'ammissione dei candidati. Il discorso sulla pietà è accennato in più contesti e ne è il filo conduttore.
3 Qui “S. Paolo” sta per “Pia Società San Paolo”.
4 Costituzioni della Pia Società San Paolo, ed. 1952, art. 1.