SAC. GIACOMO ALBERIONE
«SONO CREATO PER AMARE DIO»
Edizione con introduzioni, note e indici
a cura del Sac. Giuseppe Barbéro ssp.
EDIZIONI PAOLINE
IMPRIMATUR Frascati, 20 giugno 1980 Leonello Razza, Vic. Gen.
© 1980 by Casa Generalizia della Pia Società di San Paolo
00148 Roma (Italia), via della Fanella, 39
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CONFESSIONI DI S. AGOSTINO
Libro I.
Il Signore è principio e fine di noi, quindi da ringraziarsi, desiderarsi, chieder perdono se allontanati.
Dio ci beneficò prima di nascere, nella nascita, nell'infanzia. Io fui peccatore, prima di nascere, in nascere, nell'inf. (sebben materialmente).
Così nella puerizia (pag. 11) odiando lettere e cercando giuoco. Come è differito battesimo (pag. 16). Dio lo benefica contro sua voglia (pag. 17). Ammira la bontà divina che sa cavare il bene anche dal male da lui imparato, (22). Lamenta le cose impudiche e il gusto con cui le apprese dai maestri (pag. 22), riconosce d'aver ricevuto da Dio molto ingegno: ringrazia Dio e gli chiede perdono d'averlo spesso usato per vanità (24). Noi siamo incoerenti: temiamo un errore di lingua e non di opere (25) e un barbarismo più d'un vizio (27). Ad ogni modo la puerizia ebbe i suoi doni divini materiali e spirituali.
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Libro II.
La memoria dei pecc. può innamorarci del Signore (30). Narra le sue voluttà illecite (non avendo riparo nel matrimonio) (34) e condanna i suoi che non vi pensavano (31). A Dio si va col cuore non coi viaggi (33), bontà della madre (34), egli non l'obbedisce e si vergogna d'essere meno cattivo dei compagni (35), diventa peggiore per boria d'esserlo (35) e lo fingeva (35), perché possa essere libero nello studio non gli vien consigliato matrimonio (36). Ruba per solo gusto di peccare e fare il proibito (36). Ma ogni volta che l'uomo pecca è sempre per un amore eccessivo alle cose create, a scapito del creatore (38) sebbene s'inganni; però nel suo peccato Agostino [ha] di mira: gloriarsi del male coi cattivi compagni (43). Per ciò si è obbligati ad amare Dio: pel male non fatto e pel male perdonato (43, 44).
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Libro III.
Sciocchezza degli spettacoli teatrali e loro pericoli (46, 47, 49). Vanità dei causidici (50). Grandezza della filosofia, ma deplorabile la sua incompiutezza di cui ha sete S. Agost. (cioè di G.C.); intanto è disgustato del linguaggio della S. Scrittura, che non capisce, e per la nostra miserabile condiz. incappa nei Manichei, cui deride insieme e crede. Forza delle lacrime di S. Monica: suo sogno e il detto: è impossibile perisca il figlio di tante lacrime! Difatti egli sente di più la sete di verità.
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Libro IV.
Dai 19, fino ai 28 anni, usa sedurre e sedursi: con i teatri, con insegnar manicheismo, retorica, giurisprudenza, convivendo illegittimamente con una donna, ma colla nobiltà d'anima di lasciare certe cose illecite (69-72). Si dà all'astrologia e non sa convincersi come a caso si indovinino tante cose per essa (73-74). Dimostra la vanità dell'amicizia umana di fronte alla divina colla morte d'un caro amico (74-82), così pure d'ogni bellezza umana disgiunta dalla divina (82-88), così d'ogni scienza monca del soprann. (88-96), avendo letto e capito i libri del «Convenevole e del Bello» e le Categorie d'Aristotele.
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Libro V.
Vede le contraddizioni superbe e stolte dei Manichei, li disprezza eppure non sa staccarsene: ma cominciando a distinguere la sostanza delle cose dette da loro, dal modo elegante di dire specie in Fausto loro vescovo, si disaffeziona da essi (97-111). Decide di recarsi a Roma ove sperava scolari più docili. Sua madre non vuol lasciarlo partire: ma egli fugge: ed è cosi esaudita la sostanza della sua preghiera (111-113). A Roma si ammala a morte ma guarisce, oscilla tra lo scetticismo degli Accademici e le assurdità dei Dualisti senza aderire a nessuno (113-120). In fondo si vede sempre un'anima assetata di verità. Ascolta poi a Milano S. Ambrogio solo pel modo non per la sostanza del dire suo. E senza avvedersi giunge a credere giusto l'antico testam. ed a credere la fede cattolica retta in sé ma non ancora crede falso il Manicheismo: tuttavia si prova a cercare ragioni contro di esso e diventa catecumeno (120-125).
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Libro VI.
Rimane sospeso tra lo scetticismo, crede falso il manicheismo, sente nulla di odioso nel cattolicismo, ma non vuol inchinarsi a credere per diffidenza come chi è già stato bruciato. Tuttavia 1° si fa una certa idea della spiritualità di Dio; 2° capisce che i libri sacri non vanno interpretati sempre letteralmente (124-132), Ciò che fa sua madre per lui (126). S. Ambrogio (128). La S. Scrittura gli pare più ragionevole (132).
Decide di ammogliarsi ma per bassi fini, intanto ritiene massime corrotte e vizi e induce coll'efficacia della persuasione gli amici nelle sue opinioni, ma si radica in lui più profonda la fede nell'immortalità e nel giudizio finale.
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Libro VII.
Rigetta l'idea di Dio corporeo e passa al Panteismo (155-157). Contro i manichei: Se il principio cattivo può fare male a Dio allora questi sarebbe corruttibile, se non può fare male allora che lotta contro il principio cattivo? (157-158); niente di male sarebbe nel mondo.
È torturato dal problema dell'origine del male, attribuisce il male morale alla libertà, il fisico non sa capirlo ma dalla forza della grazia è tenuto sempre più attaccato alla religione cattolica (159-170). Trova qualche verità nei libri Platonici (170-171). Gli si fa chiaro che Dio è, che Dio è distinto dalle cose, che tutte le cose sono buone, hanno l'essere imperfetto e questo è il male metafisico (171-176). Ma tutto dipende da Dio (175). Tutto loda Dio. E trovata l'origine e che sia il male, rigetta il principio dualista, si fa idea spirituale di Dio, riconosce da noi il peccato, dagli attributi delle cose visibili sale alle perfezioni invisibili divine, riconosce la verità essere eterna,... ma tutto ciò è un lampo poi ricade nell'abbattimento. Conosce Dio, ma non riesce ancora a goderlo (176-182). Perché non è ancora discepolo di G. umile, che egli stima solo uomo: ma preso i libri sacri (di S. Paolo) vede tutto conforme alla verità... sente inclinazione alla fede (grazia somma!!) crede ed esulta pur riconoscendo nei libri platonici una guida alla fede (182-188).
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Libro VIII.
Fattasi la luce manca la forza, ed è qui che apparisce chiara la forza della grazia. La natura e l'abitudine lo portano con violenza a continuare nei vizi, nella sua professione di insegnante, ad ammogliarsi. Ma la luce interna e la lettura sacra, l'esempio di Vittorino da filosofo fatto cristiano, così di S. Antonio, di due cortigiani, di Simpliciano, di Pontiniano, il gaudio che arreca al cielo ed alla terra la conversione delle anime lo stimolano alla perfezione. In questa lotta, solo nell'orto si strappa i capelli, la volontà è debole, decide e nega, e tramanda... Al fine sente il Togli e leggi, e legge: non in commessationibus, etc..., decide. Alipio prende per sé le parole seguenti: Accogli il debole nella fede...; lo conferma e tutti e due decisi risolvono di darsi alla perfezione. La grazia ha trionfato ed egli benedice Iddio ed esulta colla madre (188-220).
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Libro IX.
L'anima sua disgustata dalle occupazioni del secolo, la scuola; è inebriata dalle dolcezze divine (221-223) e concedutagli una villa dall'amico Verecondo là si ritira in solitudine con amici e nei Salmi, specie nel 4° «cum invocarem» sfoga i suoi sentimenti di dolore, di amore, di speranza, per prepararsi al battesimo che riceve con Alipio ed il figlio Adeodato (223-232), ma non può ancora leggere Isaia consigliatogli da S. Ambrogio (232). Prova le dolcezze del canto chiesastico (223). Narra come S. Monica da piccola si fosse data al bere ma si corresse per rimprovero di una serva... come fu fedele e convertì il marito, sopportò la suocera (233-241). Ad Ostia in viaggio per l'Africa una sera parla a lungo con lei del Cielo; in vita si era curata della tomba, allora non più, muore. S. Agostino la piange, si celebra Messa per lei, egli prega per lei (241-253).
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Libro X1.
Convertito e beato, vuol confessare a Dio i beni che ha poiché è confessare i suoi doni e quindi ne lo ringrazia, vuol confessare i mali perché tutti preghino per lui.
Tra i beni il primo è la memoria per cui ricordiamo le scienze, l'arti, le cose, le persone, gli affetti, Dio.
Tra i mali ricorda i pericoli della voluttà, curiosità, superbia, gola, odorato, udito, occhi, e si alza a sperare che Iddio voglia risanarlo del male mentre lo benedice dei doni ricevuti per G.C. (tra i mali nota i disturbi carnali, notturni - 289) (251-315).
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Libro XI.
Continua a numerare i benefizi di Dio, o meglio a dire che sia egli; ciò che conosca dei doni di Dio, e ciò che non conosca. A tal fine fa un commento al primo capo della Genesi.
Commenta "in principio Deus...". Si dilunga a fare le più sottili ricerche sul tempo: che sia, come si misuri, a che serva.
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Libro XII.
Continuando questo commento, parla dei vari sensi in cui sono presi i diversi sensi2 del 1° capo del Genesi. Loda il linguaggio sublime e semplice della S. Scrittura, ne difende la verità.
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Libro XIII.
Facendo passare le varie opere della creazione ed i giorni, mostra come lo riordinamento della terra informe indichi il lavorio spirituale che Dio fa in un'anima immersa nelle tenebre covata dal suo Spirito per farla arrivare alla luce spirituale, alle opere di misericordia e meritorie che si fanno nella luce della grazia, ecc.
Come poi per gli uomini venne fondata la S. Chiesa così noi speriamo l'eterno paradiso, là loderemo sempre Iddio dei benefizi che Egli ci fece.
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1 Sul manoscritto, per una svista, invece di Libro X, vi è Libro XI. I tre titoli seguenti seguono con il numero errato: XII, XIII e XIV.
2 Locuzione poco chiara.