Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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AUDIVI VOCEM DE COELO DICENTEM:
BEATI MORTUI QUI IN DOMINO MORIUNTUR

(Ap 14,13)1


Siamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime2 e bene spesso incontriamo momenti sì terribili e solenni da riuscir vano ogni più eloquente linguaggio. Ma è pur vero che anche il silenzio riesce duro, impossibile, perché il cuore è commosso... un incubo d'affetti l'opprime e l'agita... ha bisogno d'uno sfogo. Concediamoglielo, e forse dopo sarà più tranquillo, perché potrà dire con Ezechia: Ecco che l'amarissima amarezza dell'anima mia è in pace (Is 38,17).
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Partii dal Seminario ov'ero andato a cercare Agostino e non l'avevo trovato; sistematicamente m'avviai alle Canove3. Bello era il mattino, ma la poesia della natura non esercitava sul mio cuore alcun fascino; non vedevo, non udivo niente... ero insensibile a quanto m'accadeva intorno... Un solo pensiero guidava i miei passi ed assorbiva tutte le mie facoltà: «Dov'è Agostino?». Quasi non m'accorsi della lunghezza della strada e già incominciai a scoprire un campanile, poi alcune case d'un noto paesello... ed il cuore a battere più forte, la fantasia a farsi più fervida e la lingua a mormorare: «Ov'è Agostino?».
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Entro nel paesello e mi trovo tra un[a] Chiesa ed una nota casa. M'affaccio a quest'ultima, mi si fanno incontro e mi stringono la mano due persone... ma Agostino ov'è? Penetro in una cameretta, v'è un letto bianco, ma è spianato... Ov'è Agostino? – Un moto convulsivo m'agita, esco dalla casa ed entro nella Chiesa e vi trovo adunati uno stuolo di Chierici. Avidamente cerco, cerco tra quelli ma la mia domanda «Ov'è Agostino?» ancor non ha risposta.
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La Chiesa è parata a lutto, in mezzo vi campeggia maestoso un catafalco. M'inginocchio, gli occhi mi s'impregnano di lacrime... si fa buio... non vedo più nulla: un grave e solenne «requiem aeternam»4 mi ferisce l'orecchio, si ripercuote con schianto nel cuore e la eco del cuore risponde: «requiem» e manda un gemito straziante. Si celebra solennemente la S. Messa, s'esce di Chiesa e ci s'avvia per una strada campestre che mette capo in questo sacro recinto. M'avanzo tremante pel timore di amara illusione, domando ai compagni, alle piante, ai fiori, a tutto: «Ov'è Agostino?» ma tutto tace.
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Egregi Signori, reverend.mo Sig. professore5, venerandi chierici, ecco l'ho trovato, qui riposa Agostino. Ecco i marmi che ne contengono la cara spoglia. Io m'inginocchio, ma un brivido mi corre per le ossa, è il freddo dei marmi... Lo chiamo, ma ei non risponde; l'invito a venire a consolare gli afflitti genitori, ma ei non si move; gli dico che ancora ho bisogno de' suoi savi consigli, ma ei rimane muto; l'avverto che la Chiesa l'aspetta per combattere i suoi nemici; ma ei non parla; lo tocco leggermente, ma non si desta; lo scuoto fortemente, ma ahimè l'esangue spoglia si sfascia...
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Dunque quel cuore così nobile ha cessato di battere per sempre, dunque quell'anima generosa ha cessato di darci i suoi esempi; dunque nol vedremo mai più... mai più quel contegno devoto nel pregare, mai più quella soavità di tratto... mai più... Tutto è finito e per sempre...! – E noi perché ancora pensare a lui, se lui più non pensa a noi? – Noi perché ancora amarlo se il suo cuore più non batte per noi? – Non sarà meglio cancellare dalla nostra mente il passato – e loro, parenti d'Agostino, diportarsi come se Agostino mai fosse esistito, Lei, Reverend.mo Professore, come se non l'avesse mai avuto per discepolo, voi compagni, come se non l'a[ve]ste mai conosciuto? – Perché funerali, perché elogi funebri, perché corone mortuarie? – Cerchiamo invece di soffocare il dolore, e di cacciare i tetri pensieri di morte... Ma ci si presenta terribile ed opprimente... il cinismo non è per noi... lo scetticismo non vale a consolarci... Che faremo dunque?...
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Ecco lì una croce che s'innalza cara e maestosa, quasi madre che raccoglie e protegge sotto le sue ali una selva di altre piccole croci... Un sentimento di fede, per un momento soffocato da un impeto turbinoso d'affetti, mi si ravviva nel cuore: O crux, ave, spes unica... 6. Allontanatevi, o cinici, allontanatevi, o scettici crudeli, che godete del nostro dolore... E tu, o amato Agostino, manda l'amaranto7, simbolo dell'eternità, a parlare a questi fedeli la voce dell'immortalità.
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Noi siamo immortali! Ce lo dice il fervore del genio, cupido di slanciarsi a volare nell'infinito; ce lo dice l'aspirazione incessante dell'anima alla verità; ce lo dice il palpito del cuore che anela alla felicità d'un bene ignoto; ce lo dice l'amore che vuole eterno il gaudio fugace dell'istante.
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Noi siamo immortali! Lo richiede la natura dell'anima nostra, la natura delle azioni, la caducità delle umane cose; lo richiedono le promesse infallibili di Dio; lo richiedono la sua santità e giustizia; lo richiedono le credenze di tutti i popoli; lo richiede ogni profondo filosofo.
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Noi siamo immortali! Sempre! Ecco il sospiro dell'umanità dolente! Sempre! Ecco il voto più caro di chi ama e spera, tremando per l'ansia dell'avvenire.
Noi siamo immortali! La morte non ha dunque potere assoluto su noi; essa non distrugge, ma trasforma; e la tomba è l'alveo generatore in cui alle stanche spoglie rifluirà lo spirito all'appello supremo del Signore.
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Siamo immortali e Agostino vive, vive ancora, vive più bello, vive più puro. Ce lo conferma con solenne, augusta parola la fede e quella croce che ci gridano: Confidite, ego vici mundum (Gv 16,33)8.
Voi tutti, tergete il ciglio, perché voi tutti rivedrete9 Agostino! – Oh il caro accento che trasfigura chi lo pronuncia e chi lo sente! Sempre ei vivrà! Oh la dolce promessa che vince il tempo, lo spazio, e la morte! Oh la sublime affermazione in cui la creatura si trasforma, rivendicando il diritto di non perire giammai. Come è grande questo dogma della fede! Come scende ineffabilmente soave al cuore credente la voce divina, annunziante al figlio del tempo, l'eternità.
O fede, se hai parole, se hai promesse così care nella loro santità, parla alle nostre menti, parla ai nostri cuori, ché noi tutti t'ascoltiamo! Tutti aspettiamo da te quella «pace che il mondo irride, ma che rapir non può»10, aspettiamo quel balsamo che sana ogni ferita, senza pericolo di lasciare la tristezza e la disperazione che recano i conforti umani.
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Qui non sonvi di quelli che s'atteggiano tronfi a semidei terrestri e che tutto immolano alla Dea-ragione; tutti sono credenti e nelle opere di stamane11 compiute non tendono ad una mera esteriorità, ma ad alcunché di più nobile. Come potrebbero tornare a casa soddisfatti se dovessero credere d'avere operato12 invano? – Parla, o fede, e col cuore pieno di Dio usciremo da questo sacro recinto. – Ed ella parla.
Non è triste, ma bello il pianto, desolata e scettica solo la sventura. Così si difende il dolore: «Non è vero, non sono io che... Chi è dunque? – Mia sorella. – Chi è tua sorella? – La sventura. –
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Nessuno del mondo alzi la fronte e dica: – Io do, conservo e tolgo la vita agli uomini; ma Dio solo dice questo ed a dispetto di tutti gli uomini e della loro audacia l'eseguisce. Nessuno ancora s'arrogò il vanto di redentore e salvatore degli uomini, poiché non ostante tutti i più grandi sacrifizi dei benefattori umani non varrebbero a liberare un sol uomo dall'inferno se Cristo non avesse portato i mezzi di salute per chi li vuole prendere; dico per chi li «vuole prendere» poiché per coloro che credendo bastare a se stessi e, gonfi delle proprie sciocchezze, van dicendo che non sanno che fare di Cristo, in costoro s'avvererà il loro detto che morti noi morto tutto, poiché essi saranno sepolti nell'inferno13, dove saranno morti ad ogni bene, e, morti, vivranno al solo dolore. – È la fede che parla, ed aggiunge: Per coloro poi che s'umiliano e s'inchinano alle parole di Cristo, per costoro èvvi pace, amore, felicità eterna.
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E tu, Agostino, ti sei inchinato riverente alle parole di Cristo, poiché nella preziosa tua morte, specchio della santa tua vita, esclamasti: «Tutto per Gesù». Dunque, logica è la conclusione, tu sei felice eternamente. Dunque ancora ci ami, ancora pensi a noi, e se noi cogli occhi materiali più non ti vediamo, tu però aleggi tra queste persone che ti furono e sono sì care. Dunque le opere che compiemmo stamane non sono inutili, poiché dal cielo le benedici e le ricompensi. – E poiché tu meglio di noi vedi ciò che è vero bene e vero male, parla a noi e dacci un ultimo consiglio.
Ecco ciò che ei ci dice: – Animo, soldati di Cristo, breve è la lotta, eterna la ricompensa. La mia è compiuta, ciò che feci già è a larga misura ricompensato; voi siete ancora in campo, atleti della fede; passa come un fiore la vita, sappiate approfittarne. Guardatemi e seguitemi.
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E questo «imitatemi» quanto è vasto. Le sue virtù furono numerosissime, ma tra esse in questo solenne istante ricordo la stima ch'ei nutriva pel prossimo.
Così parlava dei genitori: Il babbo è un cuore che s'immola,... la mamma un'anima che desidera qualche cosa che né io né altri terreni possono darle, perché non è terrena.
Così lodava il suo reverend.mo Professore: È un'anima infocata che non sente se non la soavità dell'innocenza: ti fa piangere e desidereresti ti percuotesse; ti ammonisce e non puoi non eseguire; spiega, educa e non puoi non ascoltarlo.
E dei compagni che stima aveva? Sentite: lo studio continuamente le belle facoltà che spiccano nei condiscepoli ed in quelli che mi circondano per amarli vieppiù. Invoco su me ogni dispiacere che possa loro accadere.
E queste non sono parole di mia invenzione, poiché ei le scrisse nell'ultima lettera che mi diresse.
E se così stimava chi il circondava in vita che non farà ora dal cielo? – I suoi amati genitori saranno oggetto delle sue cure più amorose – poi Lei, reverend.mo sig. Professore, poi noi tutti suoi affezionati compagni; e nei momenti di dolore, nei triboli, nei dubbi, nelle illusioni di quest'esilio ei farà risonare alla nostra mente e al nostro cuore l'eco amoroso dei suoi savi consigli, delle sue celesti consolazioni.
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Ed ora mi rimane un'ultima parola. – L'ultima volta che fui a visitare Agostino mi lasciò un'ambasciata che volentieri disimpegno; così ei mi disse, conscio del suo vicino tramonto: Tu ringrazierai tutti di tutto ciò che faranno dopo la mia morte. Ed io appunto per compiere l'estremo suo volere ho voluto parlare qui sulla sua tomba, per ringraziarvi della degna commemorazione, degli splendidi funerali, e della cara corona che avete depositata come segno d'imperituro affetto. Non siete stati avari né di fatiche ne di sacrifici ed Agostino sarà larghissimo nel ricompensarvi.
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Addio, caro Agostino, riposa in pace, a rivederci in cielo, addio, partiamo, ma il nostro cuore sarà spesso qui, partiamo, ma per seguirti, per imitarti nelle lotte della vita; partiamo per mettere in pratica il «sequamur hunc nos principem»14. Addio.
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1 Sentii una voce dal cielo che diceva: Beati i morti che muoiono nel Signore.

2 Cf Breviario Romano, Antifona Salve, Regina.

3 Da Cherasco, Cascina Agricola, Giacomo Alberione va al Seminario di Alba e di là a Canove di Govone (Cuneo). Complessivamente sono circa 20 Km di strada. Canove di Govone (Cuneo) dista Km 5 da Govone e Km 10 da Alba. – Nel testo non si può distinguere quello che è finzione letteraria, da quello che è realtà storica.

4 Cf Messale Romano. Liturgia funeraria. – L'eterno riposo.

5 È il sacerdote Francesco Chiesa (1874-1946), allora professore di filosofia nel seminario di Alba (Cuneo).

6 Breviario Romano, Festa dell'Esaltazione della santa Croce, Vespri Inno Vexilla Regis, str. 6. – Ti saluto, o Croce, unica speranza.

7 Amaranto = immarcescibile. – Cf Ugo Foscolo (1779-1827), Dei sepolcri, vv. 124-126: «Le fontane versando acque lustrali, – amaranti educavano e viole – su la funebre zolla;...» – Cf SC 62.

8 Fatevi coraggio; io ho vinto il mondo.

9 Originale: rivedremo.

10 A. Manzoni (1795-1873), Inni sacri e odi. La Pentecoste, str. 10.

Opere di, per sbaglio, sui manoscritti, queste due parole sono cancellate. Bastava cancellare soltanto di.

Originale: operare.

13 Cf Lc 16,22: «Mortuus est autem et dives et sepultus est in inferno» – Morì anche il ricco e fu sepolto nell'inferno.

14 Cf SC 65. – Seguiamo questo principe.