Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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127.
MORTIFICAZIONE - I108

«Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,24-25).

1° È il lavoro spirituale o la lotta interiore per vincere il peccato e per vivere della vita di Gesù Cristo. È un sottomettere le passioni e le tendenze sregolate alla ragione ed alla fede. È una lotta interiore, uno sforzo per allontanarci dal male e per progredire nella virtù. È una rinuncia, un distacco, una crocifissione, una morte | interiore; e, nello stesso tempo, una conquista, un’elevazione, una vita nuova, una vera santificazione, una risurrezione, un retto governo di noi stessi, un’educazione della volontà, un orientamento dell’anima verso il cielo. L’uomo toglie il male: declina a malo; e mette il bene: fac bonum.109
La mortificazione ci fa vivere una vita superiore. È un crocifiggere e far morire le naturali tendenze peccaminose per impiegarle a servizio di Dio e della ragione.

2° La mortificazione è necessaria come penitenza per chi ha peccato. Il peccato è un’ingiustizia verso Dio: la penitenza è una riparazione necessaria. Il peccato è un errore di mente e di cuore; occorre rettificare pensieri e volontà. Dice il Bossuet: «Gesù per essere il salvatore del genere umano, ne volle essere la vittima. Ma l’unità del suo corpo mistico richiede che, essendosi immolato il capo, tutte le membra siano esse pure ostie viventi». Il peccato lascia nell’anima funeste conseguenze; la penitenza ripara le forze perdute, e corregge le cattive abitudini. Dice il Concilio di Trento: «Le penitenze senza dubbio ci allontanano dal peccato e sono come un freno; rendono il cristiano più cauto e più vigilante; correggono i cattivi abiti110 contratti».111 D’altra parte la penitenza occorre venga compiuta in questa vita o nell’altra; ed è sempre più saggio compiere il purgatorio in questo mondo.

3° Vi è una penitenza interna ed una penitenza esterna. Come al peccato contribuiscono l’anima e il corpo; così, duplice sarà la soddisfazione. Il cuore umiliato, lo spirito contrito conta tanto innanzi a Dio. Il salmo Miserere è un esempio classico: «Il cuore contrito e umiliato, o Dio, tu non lo disprezzerai» (Sal 51/50,19). La penitenza esteriore si compie con preghiere, con elemosine, con mortificazioni di sensi. L’elemosina redime, la preghiera placa Dio, le privazioni rinnovano lo spirito.

Esame. –
Sono persuaso della necessità e del valore delle mortificazioni? Quali mortificazioni ho scelte? Le offro al Signore insieme al sangue prezioso di Gesù Cristo?

Proposito. –
Se ogni giorno pecco, ogni giorno soddisferò con qualche mortificazione.

Preghiera. – Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia. Lavami del tutto dalla mia iniquità e purificami dalla mia colpa. Crea in me un cuore puro, o Dio, e rinnovella112 nelle mie viscere lo spirito retto.113
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108 Don Alberione inizia qui la trattazione del tema della mortificazione, cui dedica le meditazioni di un’intera settimana. È noto come la mortificazione sia uno degli argomenti più presenti nella predicazione e nell’insegnamento del Fondatore. Lo troviamo fin dalle prime pagine del DF: «L’esercizio della mortificazione onde formare la volontà indifferente alle cose create: sanità o malattia, lode od umiliazione, ricchezza o povertà, ecc. “Christus non sibi placuit”. Mortificazione della intelligenza, della memoria, della volontà, della fantasia, del cuore, dei sensi esterni. Ciò minutamente, onde questi santi eccessi e la ripetizione frequente operino più presto l’abitudine e la morte dell’uomo vecchio. “Exuat te Dominus veterem hominem”» (DF, pp. 11-12). In seguito, Don Alberione stesso si è premurato di chiarire ulteriormente il senso e il ruolo della mortificazione. «Intendere bene la mortificazione. Vi sono mortificazioni negative e positive. Non estenuarci con privazioni, ma fortificare l’organismo per zelare. Gli apostolati compiuti convenientemente sono una mortificazione positiva...» (SP, genn. 1951). L’autore ribadirà frequentemente il fine positivo della mortificazione e recepirà volentieri il nuovo lessico relativo a questo tema: «Il fine della mortificazione è positivo, cioè cooperare nella giusta direzione. Il nome suona quasi mortuum facere, cioè stabilire la volontà regina e che possa dirigere l’occhio, come la memoria, la lingua come la fantasia; ora direttamente ora indirettamente; come fossero cadaveri che non si oppongono. – Tre massimi beni avremo dalla mortificazione se retta: salvezza, perfezione, apostolato. – Le varie denominazioni con cui è indicata la mortificazione chiariscono il concetto, la necessità, il fine. Nella Sacra Scrittura prende molti nomi: rinunzia “qui non renuntiat...”; abnegazione “abneget se metipsum”; mortificazione “Si autem spiritu facta carnis mortificaveritis”; morte “mortui estis”; seppellimento “consepulti”, spogliamento “expoliantes vos”; lotta “bonum certamen”. – Oggi si sentono spesso: riforma, governo di sé, distacco, educare la volontà, rivestirsi di Dio, vivere in Cristo, orientarsi verso Dio; sforzo, sacrificio, vigilanza» (SP, febbr.-marzo 1954; cf ACV, pp. 249s.).

109 È illuminante in proposito quanto Don Alberione scrive nel bollettino San Paolo del giugno-luglio-agosto 1950: «La santità risulta di due elementi: odio al male (declina a malo) e compimento della volontà di Dio (fac bonum)».

110 Abitudini.

111 Concilio di Trento, Dottrina sul sacramento della penitenza, 25 novembre 1551, cap. 8 (DENZINGER-HÜNERMANN, Enchiridion Symbolorum, edizione bilingue, 1995, n. 1690).

112 Rinnova.

113 Sal 51/50.