Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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28.
LA RISURREZIONE FINALE

«Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto... Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,12-20).

1° Tutti risorgeranno, ma non tutti saranno trasformati. La trasformazione avverrà sul modello del corpo glorioso di Gesù Cristo: «Trasformerà il corpo della miseria nostra sì che sia conforme al corpo della sua gloria» (Fil 3,21).
S. Paolo numera quattro doti proprie del corpo glorioso: impassibilità, splendore, agilità, sottigliezza.
a) Impassibilità. Il corpo si semina nella corruzione, risorge incorruttibile (1Cor 15,42). Il corpo risorto non è più soggetto alla sofferenza né alla corruzione né alla morte. Non vi sarà più pianto né dolore... Invece il corpo del dannato risorge per soffrire il fuoco eterno, ogni dolore, | in ogni senso, in ogni parte. Avrà continue pene di morte, senza mai poter morire. Soffrirà specialmente il senso che avrà servito di più al peccato e si sarà preso maggiori soddisfazioni.
La fede insegna che i corpi sono immortali: sia i corpi dei dannati, come quelli degli eletti.
b) Splendore. «Si semina ignobile, risorge in gloria» (1Cor 15,43). Il corpo degli eletti sarà splendente, luminoso: «I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre» (Mt 13,43). Questo splendore si diffonde dall’anima al corpo. Sarà più glorioso se l’anima è ricca di meriti: «Un astro è differente da un altro per splendore. Così è anche la risurrezione dei morti» (1Cor 15,41). All’incontro72 il corpo dei dannati sarà orribile a vedersi, puzzolente, portando impresso alla vista di tutti il marchio dei peccati. E questi segni del peccato saranno tanto più ignominiosi e profondi quanto più saranno stati gravi i peccati.
c) Agilità. «Si semina debole, risorge in forze» (1Cor 15,43). Il corpo senza alcuna difficoltà o fatica, secondo i desideri dell’anima si trasporterà da un luogo all’altro, velocemente. Obbedirà docilmente alla volontà. Il mondo intero sarà soggetto al beato; la bellezza dell’universo lo ricreerà. Invece il corpo del reprobo sarà immobile e pesante; schiacciato dall’enorme peso del peccato, come un macigno che non riuscirà a muovere da sé. Questo peso tanto più soffocherà e stritolerà l’infelice quanto più gravi e numerosi furono i peccati.
d) Sottigliezza. «Si semina corpo animale; risorge corpo spirituale» (1Cor 15,44). Il corpo beato non sarà spirito; si può dire spirituale in quanto soggetto allo spirito; capace di penetrare i luoghi chiusi nel modo con cui Gesù entrò nel cenacolo chiuso. Esso non avrà bisogno di cibo. In tutto sarà soggetto ed obbediente ai desideri santissimi dell’anima; ne parteciperà pure gli ineffabili gaudi e tutto l’uomo avrà un accrescimento di felicità. Avrà una triplice perfezione: anatomica, fisiologica, estetica.

2° Mio Gesù, risorto dal sepolcro, fatemi comprendere che cosa mi aspetta nel giorno finale. Considero la gran scena: quando il corpo glorioso del beato si incontrerà con l’anima sua; quale vicendevole gioia! Quando invece l’anima del dannato ritroverà il proprio corpo deforme e fracido: quale tremenda disperazione ed angoscioso epilogo di una cattiva vita!

Esame. –
Che sorte preparo al mio corpo? Santifico il corpo con la illibatezza della vita? O lo avvilisco in basse soddisfazioni? È fervorosa la mia unione con Gesù nella S. Comunione?

Proposito. –
Voglio comunicarmi santamente e spesso: nella Comunione Gesù Cristo mette in me il pegno della risurrezione sua: «Futurae gloriae nobis pignus datur».73

Preghiera. – Signore, voi mi avete plasmato | un corpo perché sia compagno di merito nella vita e compagno di gloria all’anima nell’eternità. Voglio trattarlo con grande amore come un figliuolo che spesso tende a ribellarsi. Fate che io vigili su le sue tendenze, che lo renda docile all’anima, che lo conduca all’eterna felicità.
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72 Forma arcaica: sta per “al contrario”, “invece”.

73 «Ci vien dato il pegno della gloria futura» (ant. O sacrum convivium).