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IL FARISEO E IL PUBBLICANO192
«Ricordati, Signore, del tuo amore, della tua fedeltà che è da sempre. Non ricordare i peccati della mia giovinezza: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore» (Sal 25/24,6-7).
1° La Liturgia di questa domenica insegna il vero spirito dell’umiltà cristiana: dare a Dio ciò che è di Dio; e dare all’uomo ciò che è dell’uomo. La vita soprannaturale è tutta e solo dono dato all’uomo per sovrabbondanza. L’orgoglio è il nemico di Dio; il ladro di quella gloria che a Dio solo è dovuta.
«In quel tempo disse Gesù questa parabola, per certuni che confidavano in se stessi, come giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini ascesero al tempio a pregare; uno era fariseo, l’altro pubblicano, il fariseo, stando in piedi, così dentro di sé pregava: O Dio, ti ringrazio di non essere io come gli altri: rapaci, ingiusti, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, stando da lungi, non ardiva nemmeno alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi assicuro che questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro; perché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,9-14).
2° S. Agostino commenta: Io, dice il fariseo, sono giusto e tutti gli altri sono peccatori. E la vista del pubblicano gli è occasione di maggiore superbia. Costui, dice infatti il fariseo, è come tutti gli altri uomini, ma io sono diverso da lui per le opere di giustizia; perciò non sono un peccatore. Cercate in queste parole ciò che egli domanda al Signore: nulla troverete; egli crede di avere abbastanza meriti. Salito al tempio per pregare, nulla chiede al Signore, non eleva a lui alcuna supplica; non fa che lodare se stesso, ed arriva a insultare chi realmente pregava. Il pubblicano si tiene lontano, la conoscenza della sua umiltà193 lo accosta al Signore, lo mette realmente vicino a Dio. Non alza gli occhi al Signore; ma si attira gli sguardi benigni di Dio, picchiandosi il petto. La coscienza lo abbatte; ma la fiduciosa speranza lo solleva: «Si picchiava il petto» (Lc 18,13) «Ed io vi dico che costui ritornò a casa giustificato a preferenza dell’altro; poiché chi si esalta sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14). Dice Pascal: «Vi sono due categorie di uomini: quelli che si stimano colpevoli di tutte le mancanze: e sono i santi; quelli che si credono giusti e buoni: e sono i peccatori».
3° Tutto è da Dio: senza di lui nulla: né nell’ordine della natura, né nell’ordine della grazia, né nell’ordine della gloria. A Dio solo, dunque, ogni onore e gloria. Da me il peccato, l’offesa a Dio, il debito con la Divina Giustizia. Il | peccato è dovuto solo a me; è terreno mio proprio; Dio non vi ha parte.
Esame. – Io non prego bene, perché non sono umile. La preghiera è l’atto di chi non ha; che perciò chiede; l’atto del povero che si rivolge a Dio infinitamente ricco per chi lo invoca.
Proposito. – Prima di pregare umilierò l’anima mia innanzi a Dio.
Preghiera. – Eccomi, o Signore, innanzi a voi sono il povero innanzi al solo Ricco; sono il debole innanzi al solo Potente; sono il figlio peccatore innanzi al Padre offeso. Io confido in voi; sono sicuro che non sarò confuso. Aiutatemi a pensare secondo verità; a desiderare ciò che è secondo giustizia; a confidare nella vostra misericordia. Ripeterò spesso: Voi, o Signore, siete il tutto: io sono il nulla.
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