Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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CIRCOLARE 227*

Traccia il profilo di don Federico e indica il ruolo prezioso che egli svolse nella Famiglia Paolina, soprattutto in ordine alle approvazioni canoniche delle singole Congregazioni.

IN MORTE DI D. FEDERICO V. MUZZARELLI

La Famiglia Paolina, come ogni altro istituto religioso, è impegnata in primo luogo nel lavoro di santificare i suoi membri. L'istruzione religiosa, l'aiuto di tanti mezzi, la pietà, l'osservanza. Così prepara i suoi membri al Paradiso; finché arriva l'ora in cui il Padre celeste chiama l'uno o l'altro lassù nella Sua beata Casa: la vita si muta537, non viene tolta. Muta la condizione ed il luogo: rimane uguale lo stato o grado di vitalità spirituale.
Don Federico Vincenzo Muzzarelli era nell'età del migliore lavoro quando tanto si sperava ancora che avrebbe fatto. Nato nel 1909, da famiglia semplice e laboriosa, cristiana; professo nel 1927; sacerdote nel 1934; laureato nel 1938; Consigliere e Procuratore presso la S. Sede dal 1942, Consultore della Sacra Congregazione dei Religiosi dal 1947. Aveva 47 anni.
Ognuno vive abbastanza, anche morendo giovane, se si è guadagnato il Paradiso; non vive a sufficienza, anche morendo in età avanzata, se nulla fa per il Cielo; e vive sempre troppo se solo usa il tempo a pensare alla terra ed a ostinarsi nei peccati.

Don Federico entrò a San Paolo (Casa Madre, Alba) nel 1923. Si rivelò subito: carattere felice, pio, delicato, studioso, laborioso: un modello, fra i compagni. Per questo ebbe sempre uffici di fiducia: compositore, assistente, aiuto nell'amministrazione, spedizioniere, insegnante e vari incarichi superiori anche all'età: non ricordo di essere stato deluso nelle aspettative. Novizio docile, chierico intelligente, sacerdote zelante, superiore prudente, paziente, forte.
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Ebbe incarichi pieni di responsabilità. Impegno durato per vent'anni, quello di dar forma canonica al pensiero e spirito riguardanti le quattro Famiglie Paoline. Il lavoro attorno alle Costituzioni, fatto con competenza, pietà e fedeltà alla mente che lo dirigeva e alla mente che gli veniva data. Ciò per la Pia Società S. Paolo, per la Società Figlie di S. Paolo, per le Pie Discepole del Divin Maestro, per le Suore di Gesù Buon Pastore. Le relative pratiche, sempre laboriose, per le varie e successive approvazioni.
Le scuole ai chierici: teologia, morale, diritto canonico, tenute per tanti anni con spirito di responsabilità ed amore.
La cura della disciplina un po’ di tutti; le molte e delicate consultazioni cui era chiamato; l'abbondanza del ministero delle confessioni; il lavoro delicato, che gli prendeva tanto tempo, per gli incarichi da parte della Congregazione dei Religiosi.
Lo studio continuato sui documenti della Santa Sede, le molte cose che scriveva per incombenze varie, la corrispondenza frequente, la preparazione dell'apprezzato trattato «Istituti di diritto diocesano»; la definitiva ed ordinata preparazione degli «atti del Congresso degli stati di perfezione» con quanto vi introdusse di suo, in varie maniere.

E’ morto! ma è una morte che lascia vita rigogliosa.
Si è comunicato a tante anime, alle quali era sempre pronto per l'eccellente preparazione, per la serenità e fortezza nel dirigere, per la generosità a rispondere alla chiamata. Le circa cinquemila persone che vivono nelle Case delle Famiglie Paoline risentono delle norme e dello spirito che profuse nelle varie Costituzioni e nel ministero.
E’ forse meraviglia che la sua malattia abbia suscitata una larga ondata di preghiere e che oltre trenta persone (a quanto mi risulta) abbiano offerto a Dio la loro vita per la guarigione di Don Federico?
Una massa tale di lavoro si spiega con il suo faticoso orario, con la limitazione del suo riposo, col continuato passare da una all'altra occupazione, col valersi di tanti mezzi e consigli, colla riflessione, col parlare moderato, con la regolarità costante nel cibo e nell'orario, con la costante pratica della pietà.
Era una pietà fedelmente praticata, semplice, schietta; così come tale era con tutti, leale e sincero; fedele nell'osservare
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i segreti. La famiglia, la montagna, la parrocchia di dove veniva gli avevano lasciate mentalità ed abitudini profonde, mai scancellate.
Arrivò in Casa una persona di alta posizione, disse: «Devo parlare con D. Federico, il Verus israelita in quo non erat dolus»538. Ed era conseguente a se stesso, alla propria professione: il vero religioso osservante, che visse la vita paolina integralmente.
Il rosario fu sempre il suo conforto. La Regina Ap. gli si era stabilita profondamente nell'anima. Le belle funzioni, le processioni, il modo di pregare della comunità, erano sue preoccupazioni note a tutti.
Sempre raccolto nei suoi doveri e pensieri, lasciava le conversazioni inutili; non si appassionava per proiezioni cinematografiche, o radiofoniche o televisive, o simili spettacoli; che se vi interveniva qualche rara volta per dovere, facilmente lo prendeva il sonno allorché si trattava di semplice sollievo.
Conoscitore di uomini di ogni posizione e di tante cose, fornito di dottrina sicura, specialmente negli ultimi anni, fondeva in sé, e ne usava nella sua attività sacerdotale e paolina, tre elementi, che esprimevano l'alta statura della sua personalità ben caratterizzata: la legge, l'umanità e il soprannaturale in senso integrale.
Aveva poche relazioni, le necessarie od utili; sempre scelte e corrisposte con fedeltà.
Profonda venerazione con tutti i Superiori con i quali era sempre aperto. Ed era riamato e stimato da essi. Mi sarebbe impossibile dire le migliaia di volte che, da giovinetto sino al suo transito, mi si presentava sempre pronto, con la medesima frase: «Ha bisogno di me?».
Felice del voto speciale di fedeltà al Papa; amore vero e fattivo per i Discepoli; occhio lungimirante per il futuro delle quattro Congregazioni; si sta inserendo nel catechismo vocazionario l'ultimo suo scritto, che è contributo all'opera delle vocazioni religiose.
L'umiltà sua era ben radicata. Mons. Pasetto, allora Segretario per i Religiosi, diceva: «Mi piace D. Muzzarelli: ha
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competenza, giudizio sicuro, chiarezza nel suo pensiero; e tuttavia sa considerare i pareri altrui e mai si mostra attaccato alla sua sentenza».
Era noto a chi gli viveva più vicino, come spesso narrava episodi, barzellette ed insuccessi allo scopo di umiliarsi e portare una sana ilarità e letizia con i Fratelli.
Venuto a mancare il Superiore proprio della Casa Generalizia, i membri di essa spontaneamente cominciarono a considerarlo e trattarlo di fatto come tale per la sua esemplarità, superiorità e carità. Allora si volle che prendesse anche il nome di superiore: «No, no -disse - lasciatemi sempre D. Federico. Io renderò tutti i servizi che mi sarà possibile, ma lasciatemi sempre e solo D. Federico». E cercava servire ed aiutare tutti.
Ebbe difetti vari; ma il suo lavorio interiore per correggerli ed acquistare le virtù fu continuo e fervoroso. In ognuno la grazia perfeziona la propria natura. Ebbe uno spirito paolino in molte cose conforme sostanzialmente al Maestro Giaccardo; ma la forma era diversa; poggiava costantemente con i piedi a terra e si elevava in alto con lo spirito, la fede e l'amore operoso; i lunghi studi sul Diritto e la continuata lettura e meditazione sui Documenti Pontifici vi avevano contribuito assai.
Era l'uomo delle cose ben fatte; e ciò si ha da dire pure della sua morte. Il Signore gli concesse la grazia di una lunga immediata preparazione ad entrare nell'eternità. In essa aggiunse le più belle gemme alla sua corona; con il pieno e sereno abbandono alla Divina Volontà. Costantemente calmo. Continua purificazione: «Cerco di annientarmi perché il Maestro Divino Gesù Via Verità e Vita viva interamente in tutto il mio essere».
«Ora voglio che viva in me, come visse dal Getsemani all'emisit spiritum»539.
Tanto si affinò, nonostante che dalla clinica conchiudesse positivamente tre delle pratiche che gli stavano più a cuore; e che varie persone continuassero a ricorrere a lui per cose delicate ed egli molto si stancasse nel rispondere.
Stringeva costantemente a sé: Crocifisso, rosario, Vangelo, Costituzioni; cose a lui carissime.
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Un consiglio dell'ultimo giorno di sua vita: «Dica a quell'universitario che faccia la tale tesi considerando il tutto sotto il triplice aspetto: canonico, storico, teologico».
Domande: «Vuoi ricevere anche l'Olio Santo?». «Lo desideravo da mesi, appena sentii che il mio è un male mortale». «Accetti dalla mano di Dio tutti i tuoi molti dolori in unione con le pene di Gesù Crocifisso?». «Mi pare di avere uniformità piena».
«Accetti la morte ed il tuo passaggio all'eternità?». «Dica a tutti che lo faccio non rassegnato, ma molto volentieri».
«Ci occupiamo per il culto liturgico al Divin Maestro Gesù; e tu già molto hai fatto...».
«Vado in Paradiso per occuparmene e parlarne a Gesù stesso: confido di essere esaudito».
«Le intenzioni tue quali sono ora?». «Vocazioni, le Famiglie Paoline, le edizioni, la casa per gli esercizi spirituali».

Celebrò la Santa Messa, sebbene con fatica, anche il giorno 20 corrente mese. Nella tarda sera si aggravò più del solito: ripeté la confessione, ricevette la Comunione in forma di Viatico. Il mattino seguente, passò tra gli spasimi del male e la preghiera: gli venne anche letta la Passione e la Risurrezione di Gesù Cristo. Ripeté la professione religiosa.
Invitato, sostenuto nel braccio, diede due volte la sua benedizione alle Famiglie Paoline, come addio sacerdotale fraterno. Verso le otto, due ore prima di morire, ebbe scosse, poi prolungati sguardi verso l'alto e sorrisi insoliti. Posso dire, sapendo bene quello che dico: non erano cose solo umane, né deliri per il male. Altri scriverà conforme risulta in diverse maniere.
Uno degli ultimi suoi lavori è stato rivolto all'azione antiprotestante ed al centro «ut unum sint»: ne fu ispiratore, animatore; in ogni passo precedeva con la preghiera, il consiglio, le direttive; quando pure non partecipava con la sua illuminata e prudente azione. Se ne occupò sino ad otto giorni prima di morire.
Alle 10,15 del 21 corrente, festività di S. Luigi, si spegneva serenamente nel modo con cui si spegne la lampada del Santissimo Sacramento, consumato l'olio; ma per accendersi e brillare per sempre inestinguibile nell'eternità.
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La Famiglia Paolina professa la più viva riconoscenza ai distinti dottori medici che lo hanno curato nella sua infermità ed alle Suore che lo hanno devotamente assistito. La loro opera di sapienza e bontà trovò soltanto i limiti della scienza, come oggi si trova; in quanto a sé, si prodigarono senza limite. D. Federico ripeteva: «Penso che umanamente Medici e Suore non possono far di più; assicurateli che cercherò di ricompensarli dal cielo; in quale altro luogo avrei trovato simili premure?».

Ora al caro Fratello siamo larghi di suffragi, a lui che aveva fatto da giovane l'atto eroico di carità.
Per noi? Nessuno può fidarsi della sua robustezza o dell'età buona. Don Federico era robusto ed in buona età.
Ognuno si domanda se, passando all'eternità, porterebbe il libro della vita denso di opere buone; e lascerebbe dietro di sé un così largo stuolo di anime edificate, che saranno gaudio e corona.
Tutti gli diciamo non un semplice «addio», ma «l'arrivederci». Aspettaci al campo-santo, aspettaci in cielo! Vogliamo tenere la tua strada per arrivare alla stessa meta.

Fu domandato più volte in questo tempo: in che imitare e che cosa chiedere a D. Federico? Rispondo: vivere le Costituzioni «uniformare la vita alle Costituzioni». Fu questo il suo costante impegno, insieme all'amore ai Superiori e Membri della Famiglia Paolina.

UNA LETTERA

che riassume tante altre e manifesta il giudizio di quanti hanno conosciuto il caro D. Federico.

24-6-56


Amat.mo Primo Maestro,

Le siamo vicini con la preghiera e con l'affetto in questo suo e nostro nuovo dolore qual è stata la perdita di D. Federico, alla cui persona e opera tanto dobbiamo tutti.
Applicando la S. Messa per lui, abbiamo meditato:
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1. Il Sacerdote di virtù non comuni, e se tutti siamo carichi di difetti, D. Federico era l'uomo in cui se ne notavano meno di tutti gli altri;
2. La mente non comune specialmente nella penetrazione del diritto canonico, per cui fu prezioso alla Congregazione e alla S. Sede;
3. L'amico, il conforto, il confidente di tutti, leale e rettilineo, incapace di infingimenti.
Sappiamo che il Primo Maestro ha perduto il suo braccio destro e preghiamo perché l'opera sospesa in terra sia meglio assicurata in Cielo.
E’ nostra ferma fiducia, che abbiamo acquistato un potente intercessore in Paradiso, ove il Signore lo ha voluto al riposo e al premio. A noi raccogliere i suoi esempi e la sua devozione alla Congregazione e al Primo Maestro.
Stiamo facendo i suffragi.
Ci metta nel calice.

sempre aff.mi Confratelli di Londra

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227*. Ds e St. Il Ds comprende 11 fogli con molte aggiunte Ms. St. In RA, giugno-luglio (1956)1-3; in SP, luglio (1956)1-3.
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537 Prefazio della Messa dei Defunti.

538 Cf Gv 1,47: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità».

539 Cf Mt 27,50.