Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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33. LA RETTA INTENZIONE1

...2è un dovere sociale, dovere cristiano, dovere religioso, avvicinandosi le feste del santo Natale. Gli auguri sono sempre quelli che hanno cantato gli angeli sopra la capanna di Betlemme e sono anche il programma della missione che il Figliuolo di Dio incarnato aveva da compiere sopra la terra, e cioè: «Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà»3. Questo è il duplice fine per cui il Figliuolo di Dio si è incarnato. In primo luogo: la gloria di Dio, perché tutte le opere compiute dal Signore sono state compiute per la sua gloria, non per la nostra gloria, ma per la sua. Però, mentre sono compiute per la sua gloria, noi incontriamo, dando gloria a lui, anche la gloria nostra, la nostra salvezza eterna. I fini sono coordinati.
Gloria al Signore. Tutto quello che noi vediamo, quello che tocchiamo, quello che usiamo, quello che sta attorno a noi, quello che siamo noi, tutto viene da Dio e tutto deve essere ordinato a Dio, cioè per la sua gloria. Sono di Dio non solamente i beni naturali, ma sono di Dio tutti i beni soprannaturali. Tutto ciò che abbiamo interiormente: la vocazione, la grazia, la verità, la fede, la carità, tutto è di Dio, è dono di Dio. Viene da Dio. E allora: «Universa propter semetipsum operatus est Dominus: Tutte le cose il Signore le fece per la sua gloria!»4. E non potrebbe essere diverso.
Allora la nostra intenzione nelle azioni sia sempre retta, cioè ci sia la rettitudine delle intenzioni. Fare le nostre cose per il Signore, le nostre cose per compiere la sua volontà, per dare gusto a lui, per dare gloria a lui. Qualunque buona intenzione mettiamo, se l’intenzione è davvero buona, finisce al Signore. Così, se uno opera oggi per guadagnarsi più meriti, per gua-
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dagnarsi il paradiso, opera per il Signore. Così, se si opera per un’intenzione particolare ma che tende a Dio, come la conversione di un peccatore, la salvezza delle anime, la liberazione delle anime dal purgatorio, tutto questo va a gloria di Dio. Ma che tutto sia indirizzato al Signore.
Quello che fate nella giornata è tutto buono, tanto la cura della salute, come la preghiera, l’orario, il riposo. Tutto è buono. Per sé è buono. Se noi lo facciamo in stato di grazia, e c’è da supporre che questo ci sia sempre, e con la retta intenzione, guadagniamo meriti per il paradiso e diamo gloria a Dio.
Vi offro le azioni della giornata: fate che siano secondo la vostra volontà e la gloria vostra oppure: Cuore divino di Gesù, io vi offro orazioni, azioni e patimenti con le intenzioni con cui voi vi immolate sugli altari. E le intenzioni di Gesù sono sempre le più perfette, le più sante, le più numerose. La prima intenzione di Gesù è glorificare il Padre: «Io non cerco la mia gloria, disse, ma la gloria di colui che mi ha mandato»5.
Anime consacrate, cioè di Dio. Persone consacrate, cioè di Dio, non possono avere altre intenzioni. Nella consacrazione tutto l’essere viene offerto a Dio e cioè usato per Dio, tanto la mente come le mani, tanto il cuore come i piedi, tutto a Dio. Tutto è del Signore. Noi abbiamo fatto il Signore padrone di noi consacrandoci a lui. Allora, tutto deve essere adoperato per il Signore. È suo, doppiamente suo. Primo per la creazione: tutto ciò che abbiamo di buono viene da lui. E secondo, perché glielo abbiamo dato, glielo abbiamo offerto. Vogliamo che tutto l’essere sia suo. Retta intenzione!
Vi possono essere anche delle azioni che non hanno retta intenzione. Possono anche essere azioni buone, ma se non c’è la retta intenzione a che cosa servono? L’intenzione può essere maliziosa, e allora guasta anche le opere migliori. Se uno facesse solo la Comunione per essere veduto, allora fa ancora un peccato, perché si serve della Comunione che è il primo e principale sacramento per fini suoi, per fini vani.
Oh, tutto indirizzato a Dio! Per spiegare, serve questo paragone: quando noi abbiamo scritto una bella lettera, dobbiamo
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fare l’indirizzo giusto. Se mettiamo l’indirizzo sbagliato, la lettera non va a destinazione. Se si scrivesse anche al papà una buona lettera di augurio o di sentimenti buoni, di pensieri santi, la lettera non va alla sua destinazione o si perde oppure se ha l’intestazione giusta torna indietro, torna al mittente. Così, un’azione fatta senza intenzione retta, non offerta a Dio, non va a Dio. E se poi è fatta per amor proprio, per esser veduti, ad esempio, per esser detti buoni, ecc., allora l’opera ritorna a noi in soddisfazione: Hanno veduto che faccio bene e diranno che sono buono. E allora? C’è già la soddisfazione e quindi non c’è più il premio, il paradiso. L’opera torna al mittente e, quindi, dopo tanto lavoro si resta a mani vuote. Bisogna, in sostanza, che noi rivolgiamo l’intenzione a Dio al mattino e se poi viviamo in raccoglimento, rinnoveremo l’intenzione per maggiore frutto ancora qualche volta nella giornata, tanto più se si recita la preghiera di offerta: Cuore divino di Gesù.
Ecco l’augurio: che facciate tutte le opere dell’anno prossimo per il Signore, per la sua gloria, il che significa anche farle per il paradiso, per il premio eterno. Allora l’anno rende molto di più, e quanto più l’intenzione è intensa, cioè tutta di Dio, ogni altro fine viene interamente escluso. Tutto quello che si fa è perché si è mossi dall’amore di Dio, dal desiderio della sua gloria, e allora i meriti aumentano di numero e di intensità. Che l’anno 1959, se al Signore piacerà darlo, renda al massimo.
Poi, l’altro augurio cantato dagli angeli: «Pace agli uomini di buona volontà». La pace è con Dio e con le anime che sono unite a Dio. La pace è con i superiori, con gli inferiori, con gli eguali. Pace con il prossimo in sostanza. Il Natale è una festa d’intimità: la pace fra tutti. E poi pace di coscienza. «Pace agli uomini di buona volontà». Nelle comunità la pace si ottiene con l’unione, con l’unione di spirito, di sentimento, di azione.
In primo luogo quindi l’osservanza degli orari. Se non si osservano le disposizioni date, una può fare così e l’altra così e rimane la disorganizzazione. Invece la pace è la tranquillità dell’ordine. L’ordine dà la tranquillità, cioè la pace. Allora, in tutto l’osservanza delle disposizioni: orario, poi le azioni e le relazioni che si hanno. Tutto nell’ordine giusto dà la pace di
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Dio. La pace, quando c’è il buon esempio, cioè quando tutte fanno bene. Quando allora c’è l’osservanza e tutte fanno bene, la comunità, la casa vive nell’ordine, vive nella pace, perché c’è un certo desiderio di emularsi nel bene, c’è una certa gara: una fa meglio dell’altra nella preghiera, nell’osservanza, nella carità vicendevole, nella bontà, nel trattare. Il buon esempio. L’esempio di impegno nel santificarsi. «Aemulor enim vos Dei aemulatione»6, dice S. Paolo. Emularsi, cioè andare a gara per raggiungere una maggiore santità. Che ci siano veramente persone sante, nell’umiltà del cuore, nell’unione con Dio, nelle intenzioni rette, nella premura per le sorelle e nel cercare con la preghiera la salvezza degli uomini.
L’apostolato è per dare la pace agli uomini. Portare la pace di coscienza, portare gli uomini alla verità, portare gli uomini ad onorare Iddio, a obbedire a Dio, ad assecondare Iddio nella sua volontà. L’apostolato è un grande mezzo per portare la pace agli uomini. C’è la pace, perché tutti sono uniti nelle intenzioni, perché tutti nella casa collaborano nel medesimo fine, perché tutto si compie con diligenza, con premura. L’unione di pensieri, l’unione di intenzioni, l’unione di sentimenti, l’unione di aspirazioni, ecco ciò che porta la pace. Quando c’è disunione, quando si introducono le critiche, allora si è distruttori della pace. Sempre considerare chi mormora delle altre e rileva solo i difetti o i mali, ecc., considerarle come nemici della casa, della comunità, dell’Istituto in cui si vive. Portare il disordine è proprio contrario a Dio che è verità, è giustizia, è ordine.
Cercare allora sempre la pace e togliere dal cuore ogni invidia, ogni rancore, ogni sospetto di giudizio non controllato. Togliere, per quanto è possibile, ciò che turba noi e turba le anime, turba le persone con cui si convive. Non sempre possiamo dire che tutti accettano l’offerta della pace, l’offerta che noi facciamo, non sempre. Ma per parte nostra si contribuisca alla pace degli uomini. Allora veramente entriamo nel programma di vita di Gesù, nei fini segreti per cui il Figliuolo di Dio è disceso dal cielo: glorificare il Padre e portare la pace agli uomini.
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Chiedere anche la pace nella Chiesa di Dio: Quam pacificare, et custodire, et regere digneris 7. Preghiamo per la Chiesa, perché gli erranti ritornino alla loro madre, la Chiesa, perché tutti vivano confessando le medesime verità e nell’obbedienza ai legittimi pastori della Chiesa. Ritornino alla Chiesa scismatici ed eretici. Pregare per la pace fra le nazioni. Iddio è il Dio della pace. Gesù Cristo è rex pacificus.
Avvicinandoci allora al presepio e inginocchiandoci davanti al Bambino che sta sopra quel po’ di fieno, domandiamogli queste due grazie: operare nel prossimo anno specialmente per fini soprannaturali, per glorificare Iddio; secondo, dirigere tutta la nostra attività, il nostro apostolato in quanto si riferisce al prossimo, dirigerlo a ottenere la pace fra di noi, la pace nel mondo, la pace nella Chiesa. Pace che si ottiene mediante la fede a tutte le verità e mediante la sottomissione ai legittimi pastori della Chiesa, specialmente al Vicario di Gesù Cristo. Chiedere poi la pace per tutti gli uomini.
Ogni anno si ripete il Natale, ma non si dovrebbe ripetere solamente tale e quale, ma in modo più perfetto. Per parte nostra è sempre Gesù che viene, ma da parte nostra ricevere sempre meglio e più abbondanti i frutti della sua incarnazione. Ecco Maria, la Vergine dell’incarnazione. Rivolgiamoci a lei che dall’incarnazione del Figlio di Dio ha ottenuto per lei i massimi frutti che poteva ottenere, e dia anche a noi questa grazia di ottenere i massimi frutti da questo santo Natale.
Saranno feste utili, feste, oltre che liete, sante. Ma pure liete e sante nello stesso tempo.
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1 Meditazione tenuta ad Albano il 24 dicembre 1958. Trascrizione da nastro: A6/an 58b = ac 99a. I contenuti sono i medesimi della meditazione precedente, ma adattati all’ambiente della casa di cura.
2 Vuoto di registrazione. Mancano le parole iniziali.
3 Cf Lc 2,14.
4 Cf Pr 16,4.

5 Cf Gv 8,50.

6 Cf 2Cor 11,2: «Io provo per voi una specie di gelosia divina…».

7 “…perché tu le dia pace, la protegga, la governi”. Dal Canone romano.