Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Grottaferrata, 8 e 15-16 gennaio 1958,
FSP - redazione


I
FAR RENDERE LA VITA AL MASSIMO1



È un pensiero santo e salutare avere stabilito il corso di Esercizi all’inizio dell’anno, serve di orientamento. E il fine a cui sarebbe bene indirizzare questo ritiro: Far rendere al massimo l’anno che abbiamo cominciato. Farlo rendere al massimo per la gloria di Dio, per la nostra santificazione e per la salvezza delle anime.
Che cosa significa far rendere al massimo l’anno? Significa che un campo può produrre più di un altro. Quando noi leggiamo la parabola del seminatore2, sempre siamo indotti alla riflessione: tre parti del seme gettato andò a male, perché cadde o sulla strada o in terreno ghiaioso o in terreno coperto di spine, quindi non produsse frutto. Un’altra parte, invece, cadde in terreno buono e allora rese il trenta, il sessanta e il cento per uno. Questo indica che il seme caduto nei nostri cuori è caduto in buon terreno.
Avete udito la vocazione di Dio che vi chiamava a sé, vi chiamava alla santità, vi chiamava all’apostolato e avete risposto: Sì. Avete detto un bel sì al Signore: «Fiat voluntas tua»3. Oppure: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum»4. Perciò, mentre molte anime dolorosamente non corrispondono alla vocazione, voi avete corrisposto alla divina chiamata. Tuttavia occorre sempre ricordare che il campo può rendere per un granello il trenta, il sessanta e il cento per uno.
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Dipende da noi. Ecco, quando si arriverà alla fine del 1958, se al Signore piacerà, «si vixerimus»5, allora dovremo fare un po’ il bilancio dell’attivo e del passivo di questo anno, come lo fanno i buoni negozianti. E il nostro negozio qual è? Il nostro negozio6 è la salvezza eterna, la santificazione dell’anima. Dovremo dunque pur fare il bilancio di quello che è passivo e di quello che è attivo. Se potessimo allora constatare: l’anno mi ha reso il cento per uno. Cento granelli per un granello seminato!
Ora, in quali campi deve risultare questo raccolto? Specialmente per tre cose. Primo, per la vita religiosa: la convivenza nell’Istituto, l’osservanza dell’orario, la conformazione alle Costituzioni, la vita di carità e di bontà, la vita comune come è stata stabilita nelle Costituzioni. Particolarmente questa bontà, questa carità rendono la vita piacevole e fanno la vita religiosa come un preludio di paradiso.
Secondo, l’anno deve rendere al massimo nell’apostolato. Raccogliere anche nell’apostolato il cento per uno. Vi è tanta diversità tra una persona e l’altra. In due maniere: la prima è di portare nell’apostolato la retta intenzione. Quindi che l’apostolato in primo luogo frutti per noi. La retta intenzione è seguita dalla dedizione, dall’applicazione a fare bene quello che dobbiamo fare, e poi che l’apostolato corrisponda ai bisogni delle anime.
Bisogna correggere tanti abusi, bisogna lottare contro tanti vizi, bisogna seminare tanto bene attorno a noi. Essere seminatrici di Dio! Che bella missione questa! E quando operiamo con retta intenzione, la benedizione di Dio viene a fecondare il seme che noi gettiamo e perciò produce il frutto. D’altra parte, con la benedizione di Dio e con le industrie e le inventive che si sanno fare nell’apostolato, si farà in modo che la parola di Dio arrivi a più anime: o la parola di Dio scritta o la parola di Dio stampata o la parola di Dio pitturata o la parola di Dio predicata, in tutte le maniere, purché sia sempre comunicazione di pensiero sacro. Che sia sempre un trasmettere la parola del Van-
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gelo, che insegni sempre il bene. Far rendere il cento per uno.
Poi far rendere il cento per uno anche nella quantità dei meriti. «Tesorizzate per la vita eterna»7. Se noi facciamo bene le nostre cose momento per momento, raccogliamo meriti. L’anno 1957 è già concluso e quel che è stato, è stato. Noi concludendo, abbiamo detto al Signore: Se qualche bene ho compiuto, accettatelo e perdonatemi il male commesso8. Il bene compiuto è già andato sulle porte dell’eternità ad aspettarci al premio. E se qualche male è stato fatto, ne abbiamo domandato perdono sinceramente al Signore con il proposito di migliorare, di passare bene il 1958. Ecco, ora davanti a noi sta il tempo che al Signore piacerà ancora darci nel 1958. Questo è nelle nostre mani. Quel che è stato è stato. È inutile perdersi troppo in lacrime e lagnanze per quello che è stato nel passato se non c’è insieme il proposito per l’avvenire. Il dolore, mentre ha una faccia che riguarda il passato e ci porta a detestare il male commesso, ha un’altra faccia che guarda in avanti: il proposito. Sono questi due elementi sempre congiunti assieme. Chi veramente detesta il male si ripromette anche di fuggirlo.
Dunque, adesso ci sta davanti il tempo che ci offre la divina Provvidenza. Quali tesori possiamo raccogliere anche dalle opere più umili, più nascoste, cose che a noi stessi quasi sfuggono o che non consideriamo molto! E non sono proprio gli atti più umili compiuti al servizio di Dio, per compiere la sua volontà, quelli che sono più meritori davanti al Signore? Certamente che tra anima e anima vi è sempre molta diversità: le disposizioni del cuore, di fede, la rettitudine dell’intenzione, l’amore con cui si fanno le cose, la diligenza che si impegna e si impiega in tutti i particolari, quanto servono, quanto aumentano i meriti per la vita eterna!
Ecco dunque: far produrre l’anno il cento per uno, raccogliere il cento per uno9. Chi raccoglierà soltanto il trenta? Colui che vive in grazia di Dio, ma conduce una vita un po’ tiepida, trascura i mezzi di santificazione. Forse trasgredisce tanti mezzi
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e tante regole che ci sono nelle Costituzioni, lascia quasi trascurati questi mezzi, non c’è l’impegno per utilizzare tutto per la vita eterna. Chi vive nella tiepidezza prega meno, le sue Comunioni, le sue Confessioni non sono così fruttuose; gli esercizi di pietà forse si fanno con tiepidezza, le giaculatorie sono poche, l’unione con Dio nella giornata non è tanto coltivata. Esteriormente non vi è grande diversità fra una persona fervorosa e una persona tiepida, ma il Signore guarda il cuore: chi ama il Signore, chi è freddo con il Signore. Il Signore guarda il cuore.
Le formalità esterne non sono quelle che precisamente ci santificano. Se la vita si riducesse a formalismo, la vita religiosa sarebbe una vita molto scarsa di frutti, perché i vizi e le virtù sono sempre nell’anima, nel cuore. Sempre nel cuore. Chi invece raccoglie il sessanta? È l’anima già fervorosa, la quale cerca di fare bene le sue cose. Evita il peccato veniale e, sebbene qualche volta abbia delle imperfezioni involontarie, anzi, sebbene abbia tante imperfezioni involontarie e anche difetti, evita la venialità e si industria per compiere i suoi doveri quotidiani. Si può dire allora che raccoglie soltanto il sessanta o il cento. Vi è diversità fra l’uno e l’altro, fra chi raccoglie il sessanta e chi raccoglie il cento per uno. Il cento per uno si raccoglie dalla persona che vive di fede e di amore.
Vive di fede e in tutto vede Iddio: in ogni avvenimento, in ogni disposizione, in ogni circostanza della giornata, e a volte in quelle indisposizioni di salute oppure in quelle tentazioni che il Signore permette a suo riguardo. Vede in tutto quel che avviene, sempre la disposizione o la permissione di Dio che la vuole santa e che tutto permette o dispone in sapienza e carità. Vive di fede: «Iustus meus ex fide vivit»10. Non ha quei ragionamenti umani che si sentono a volte anche da chi raccoglie il sessanta per uno. La luce di Dio la illumina sempre, sente sempre la presenza di Dio, sente sempre l’azione dello Spirito Santo in sé. Tiene e porta con sé amorosamente il Signore che abita in lei. Si considera come un tabernacolo di Dio, come Maria portò nel suo seno il Figlio suo, il Figlio di Dio incarnato. E di più, vive in amore. Non è tanto il timore del peccato
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che la rende vigilante, quanto piuttosto il timore di disgustare il Signore, perché lo ama tanto, il timore di non corrispondere a tutta la grazia, perché vorrebbe far rendere tutto per la vita eterna, tutto a gloria di Dio. Vive in amore e qualunque cosa operi, sempre tutto offre a Dio.
Ma vi è sempre grado e grado nell’applicarsi alle cose. Vi può essere più o meno intelligenza, vi può essere più o meno salute, ma questo non è decisivo. Ciò che è decisivo per guadagnare il cento per uno è l’applicazione, la volontà. Non è il lavoro materiale che fa, che può essere tanto lavare i piatti, come usare i piatti che sono già puliti per mangiare, è l’applicazione con cui compie il volere santo di Dio, il cuore che vi mette, che vi porta. E può essere anche che alcune cose, molte cose, non le riescano proprio come vorrebbe, ma lo sforzo basta, perché non abbiamo bisogno di riuscire proprio a tenere sempre il raccoglimento, abbiamo solo bisogno di fare lo sforzo per averlo, per procurarcelo. Il Signore è contento così e ci esaudisce quando c’è lo sforzo. Non c’è bisogno di non avere tentazioni, basta che la tentazione noi la consideriamo come uno svegliarino per raccomandarci al Signore, ricordarci della Madonna santissima, ecc. In fede e in carità. E man mano che passano gli anni, la suora è sempre più illuminata da Dio, sempre più sente in sé l’amore che porta al Signore, il desiderio di accontentare il Signore. Cresce quindi quella delicatezza che distingue i santi. Rendere il cento per uno.
Allora adesso, volendo fare questo, come santificare questi giorni di preparazione, questi giorni di Esercizi?
Primo: fede. Il Signore mi ha chiamato qui, perché vuole darmi la sua luce, vuol darmi la sua grazia. Questi sono, tra i giorni dell’anno, i più felici. Le maggiori comunicazioni fra Dio e me le avrò in questi giorni. Io intendo dedicarmi pienamente, entrare totalmente negli Esercizi e cioè: la mente, il cuore, le forze negli Esercizi. Ed uscirne cambiata, uscire un’altra. Perciò proprio la fede. So che Gesù mi ha preparato le grazie. Posso pienamente confidare in lui. So che Maria mi assisterà, so che ho S. Paolo, essendo mio padre e il mio protettore, ha già pensato alle grazie di cui ho bisogno e già le domanda e le prega per me presso il Signore. E se non amasse i Paolini, se
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non amasse le Paoline, questo sarebbe concepibile? Vogliamo essere i suoi figli, volete essere le sue figlie? Entrare con fede, con fede che porti alla confidenza, a sicura confidenza.
Non lasciarsi tentare da quella specie di indifferenza o di mezza incredulità: Già son passati tanti anni e ho progredito poco. No. Il Signore, se ci presentiamo a lui come figliuoli bisognosi, certamente sarà largo con noi. Agli umili dà sempre le grazie, sempre. Abbiamo fede.
Secondo: bisognerà adoperare anche i mezzi esterni. Il silenzio come è prescritto, poi le meditazioni, le letture, le preghiere, gli esami di coscienza, ecc. Sì, dobbiamo fare bene le nostre cose, anche esteriormente. Sarà questo certamente di aiuto. Ma intanto cerchiamo di andare al fondo per conoscerci bene. Questi sono giorni in cui il silenzio e tutto l’apparato esterno dell’orario degli Esercizi favoriscono la riflessione su di noi. Conosci te stesso11. Conoscere noi stessi, per che cosa? Per umiliarci di quello che non c’è ancora di bene e per desiderare di crescere nelle virtù, di vivere meglio la vita religiosa.
Quindi anche le osservanze esterne. Segregarsi per quel che è possibile dalle occupazioni ordinarie, sebbene vi sia qualche spazio nella giornata in cui possiamo dedicarci a qualche compito, a qualche lavoro12, ma in generale, il massimo raccoglimento.
Allora il Signore vi benedica tanto. Fidatevi di lui. Vi siete consacrate a lui ed egli vi guarda con amore. Non solo vi guarda con amore, ma a chi è generoso aggiunge grazia a grazia. Il Signore non si lascia vincere in generosità. Poi pensiamo che in noi c’è qualcosa, o nei pensieri o nei sentimenti o nelle parole o nella vita, che è difettoso. Quindi impegnarci a scoprirlo e impegnarci a correggerlo. Allora si raggiungerà non solo il trenta per uno, ma si tenderà al sessanta e più di tutto il cuore sarà teso verso il cento per uno. È possibile? È possibile.
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1 Meditazione tenuta a Grottaferrata (Roma) l’8 gennaio 1958. Trascrizione da nastro: A6/an 41b = ac 71a. Nel Diario Sp. leggiamo: “Alle ore 18,00 [il Primo Maestro] va a Grottaferrata nella casa delle Figlie di San Paolo per dettare l’introduzione ai loro Esercizi spirituali”.
2 Cf Mt 13,3-9.
3 Cf Mt 6,10: «Sia fatta la tua volontà».
4 Cf Lc 1,38: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

5 Cf Gc 4,15: «Se [il Signore vorrà] vivremo».
6 “Negozio”, dalla parola latina “negotium” che significa: “occupazione, compito”.

7 Cf Mt 6,20.
8 Cf Le Preghiere della Pia Società San Paolo, ed. 1944, p. 18.
9 Cf Mt 13,18-23.

10 Cf Eb 10,38: «Il mio giusto per fede vivrà».

11 Dal latino “Nosce te ipsum”, massima attribuita ai Sette Sapienti, incisa in greco sul frontone del tempio di Apollo in Delfi. Esortava gli uomini a riconoscere la propria realtà e limitatezza umana. Il filosofo Socrate (469 a.C.-399 a.C.) ne fece la sua massima preferita.
12 Nel 1958 nell’orario degli Esercizi si contemplava ancora un’ora di apostolato.