Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Roma, 9-10 e 16 marzo 1958,
FSP - San Paolo Film


I
LA PENITENZA: COR POENITENS TENETE1


Siamo nel tempo di Quaresima. Questo tempo è preparazione al tempo pasquale, cioè alle grazie che deve portare in noi la Pasqua e la Pentecoste. Secondo la preparazione che noi facciamo a queste grazie nel tempo quaresimale, così sarà il frutto della Pasqua, così sarà il frutto della Pentecoste.
Prepararsi in umiltà e prepararsi in fede. Umiltà, sapendo che siamo peccatori e pieni di difetti, e fede, sapendo che il Signore è buono e ha già preparato, disposto per noi le sue grazie. Le grazie di una risurrezione, di una vita spirituale più fervorosa e le grazie che riguardano le virtù teologali e cardinali, i doni dello Spirito Santo, i sette doni che lo Spirito Santo vuole comunicare alle nostre anime. Dunque passare bene, santamente il tempo pasquale.
E adesso vi è un’occasione per prepararsi a questo tempo: un ritiro e un corso di Esercizi che fanno meditare sulla Quaresima, sul significato, sul senso della Quaresima. Le espressioni che troviamo in questo tempo di Quaresima nel Breviario e nel Messale sono tutte espressioni che ci portano alla penitenza e alla mortificazione. Penitenza e mortificazione in qualche misura si confondono. E cominciando dalla penitenza, noi dobbiamo ricordare le parole scritte sopra i nostri altari: Cor poenitens tenete: Abbiate il dolore dei peccati2. Quelle parole
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indicano precisamente la virtù della penitenza. Occorre distinguere fra ‘atto di penitenza’ e ‘virtù della penitenza’.
Atto di penitenza, per esempio quella che ci dà il confessore, penitenza che ha un valore speciale, perché penitenza sacramentale. Atto di penitenza può essere, ad esempio il domandare perdono a una persona che abbiamo offeso. Può essere atto di penitenza: prendere nuovo vigore, devozione contro la nostra freddezza, la nostra tiepidezza. Se questa mattina la Comunione non è stata fatta con tutto il fervore, domani mattina ci impegneremo meglio, anche per riparare alla freddezza di questa mattina. Così, se abbiamo commesso un atto di pigrizia, dopo saremo più attenti a compiere il dovere con generosità. Ecco, la penitenza sta specialmente nell’operare diversamente da come si era operato allorché si è offeso il Signore.
La virtù della penitenza è una disposizione dell’animo, un sentimento, un’inclinazione che ci porta a confonderci della vita passata, per le offese commesse contro Dio, contro il prossimo, contro noi stessi, contro i nostri propri vantaggi. Una specie di confusione, un’inclinazione a comprendere il male fatto, a dolercene e quindi riparare e cambiare condotta, cambiare vita. Il cor poenitens tenete indica questa virtù. Spesso si dice: Facciamo atti di fede, speranza e carità e sta bene. Ma è molto meglio aggiungere sempre l’Atto di dolore, l’atto di contrizione, appunto perché questa disposizione ci ottiene la misericordia di Dio. E tanto per la vita spirituale, per la vita apostolica, per la vita religiosa e la vita di apostolato, avere questa disposizione di cuore: Abbiate il pentimento dei vostri peccati. Questa disposizione ottiene innumerevoli grazie e ci rende più sereni nella vita, ci dà orientamento giusto in tutto il nostro pensare, in tutti i nostri desideri e nella valutazione delle cose che facciamo. La virtù dunque della penitenza.
Ora, quali sono gli atti di questa virtù? Gli atti di questa virtù sono quattro. Primo, riconoscere davanti a Dio che cosa è il peccato, quale male commette chi pecca, particolarmente se commette il peccato mortale o ne ha commessi nella vita passata. Poi, chi commette il peccato veniale. Nello stesso tempo dobbiamo considerare anche i difetti che ci sono, le incorrispondenze alla grazia, la negligenza nel servizio di Dio, for-
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se la tiepidezza. Conoscere che cosa sono questi mali, quanto dispiacciono a Dio, quanto portano danno alle nostre anime e quanto influiscono su tutta la vita di apostolato! Perché il bene non si fa a misura di risultati esterni, ma si fa a misura delle disposizioni interne. La presenza di una persona porta sempre più grazia e semina sempre il profumo di Gesù Cristo con le sue virtù, questa presenza è già un apostolato. È un apostolato tacito, ma un apostolato molto efficace. Ovunque andiamo possiamo edificare: questa è una grande cosa! O si vive in casa o nello studio o nei cortili o in camerata o ci troviamo fuori per strada, in chiesa, in compagnia, soli: sempre noi possiamo edificare, anche da soli dato che la Chiesa è un corpo mistico. Considerare il male che è il peccato in sé.
Secondo atto di penitenza è considerare che il peccato non è una cosa astratta. Considerare il nostro peccato, quello che abbiamo commesso noi. Non è che dobbiamo fare una lezione di catechismo o una lezione di teologia per descrivere il male in generale o che cosa è il peccato. Dobbiamo considerare in secondo luogo il nostro peccato. È facile parlare della morte degli altri, in generale, ma se vogliamo ricavare frutto bisogna che parliamo e meditiamo la nostra morte. Così meditiamo il nostro peccato. E allora facendo l’esame sulla nostra vita passata troviamo certamente degli errori. Dice S. Giovanni: «Chi dichiarasse che non ha commesso peccati, che non ha fatto del male direbbe una bugia»3 e quindi commetterebbe un male già qui, commetterebbe già qui una mancanza: tutti siamo peccatori. La nostra posizione allora è questa: «Signore abbiate pietà di noi che siamo peccatori»4. E quante volte durante la Quaresima recitiamo il Miserere5, il De profundis6 !
Terzo atto di penitenza è il proposito di non commettere più peccati, quindi guardiamo al futuro. Sono ancora nel pericolo? Quali sono le cause per cui ho mancato, per cui ho peccato nel passato? Come devo comportarmi per non ricadere più? Quali mezzi devo usare? Quali pericoli schivare?. Ecco
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il proposito. Il proposito è sempre legato al pentimento, e se manca l’uno, manca anche l’altro. D’altra parte, per ottenere il perdono da Dio, occorrono sempre tutte e due queste disposizioni che in fondo ne formano una sola: detestazione del male che è pentimento per il passato ed è proposito per l’avvenire.
Il quarto atto di penitenza è la tendenza, il desiderio di riparare. Riparare, cioè restituire a Dio quell’onore che gli abbiamo tolto peccando. Riparare accelerando in futuro la nostra attività spirituale per riguadagnare il tempo perduto. Abbiamo amato tardi il Signore7 e allora, senza perdere più nessun momento, ecco una vita di maggior amore al Signore: «Redimentes tempus»8, riguadagnare il tempo perduto.
Questi sono gli atti o le parti di questa virtù che chiamiamo penitenza e che nella vita, in qualche maniera, ci deve sempre accompagnare.
Allora che cos’è il peccato mortale? Noi sappiamo che il peccato mortale è la più grande disgrazia che possa accadere ad un’anima. Lo stesso peccato veniale è il più grave male fra i mali che si possono incontrare nella vita. Il peccato mortale toglie la vita spirituale, chiude quindi il paradiso e apre l’inferno. Il peccato mortale porta con sé tanti rimorsi e pene anche per la vita presente. Il peccato mortale, se diviene abitudine, è difficile da emendare e correggere. Se succedesse la disgrazia finale di morire in peccato grave, quale sarebbe per tutta l’eternità la sorte di un’anima? Tutti i peccati capitali possono portare al mortale, cioè arrivare a un punto in cui vi è la gravità.
Il peccato veniale non ci distacca da Dio, ma rende più inferma, meno stretta la nostra unione con Dio. Il peccato veniale non toglie la grazia e l’amicizia fondamentale con Dio, ma rallenta questa amicizia, priva l’anima di molte grazie. Particolarmente le abitudini al veniale smorzano le vocazioni, smorzano quel calore spirituale da cui nasce l’amore di Dio, quello che porta alla vocazione, a donarsi a Dio, a consacrarsi a lui. Perché il donarsi a Dio è un atto di grande amore. Ora
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l’abitudine al veniale diminuisce la nostra carità verso Dio e anche se uno si è già legato a Dio, si è consacrato a Dio, il peccato veniale impedisce la corrispondenza totale alla vocazione. La vocazione è vocazione alla perfezione, il che vuol dire evitare la colpa sotto ogni riguardo. Allora viene, nasce nel nostro cuore la detestazione, la confusione per il male commesso e il desiderio di non commetterne più. Dobbiamo anche considerare questo: il peccato in chi si consacra all’apostolato ha delle conseguenze per tutti, per tutte le anime a cui dovrebbe arrivare l’apostolato.
Quando l’anima porta con sé molta grazia, porta anche molto frutto alle anime. Quando invece porta con sé poca grazia, porta un frutto scarso. D’altra parte, anche se uno non è dedicato alle opere di apostolato, avviene questo. Ugualmente l’anima tiepida o l’anima che si abitua alle venialità, peggio poi se arriva al peccato grave, considerato il corpo mistico della Chiesa, quest’anima porta sempre danno agli altri, come se vi è un po’ di veleno che entra nel sangue, questo porta un po’ di danno a tutte le membra. Ora, il peccato mortale è veramente un veleno e quindi un danno per tutti coloro che compongono il corpo mistico della Chiesa.
L’apostolato ha bisogno di molte benedizioni di Dio. Non crediamo che bastino le buone pellicole, né i buoni libri, né i buoni periodici. Bisogna che tutto sia profumato di preghiera, bisogna che prima di insegnare agli altri ad evitare il peccato, in primo luogo noi ne siamo mondi. Chi va all’apostolato portando il profumo del giglio, certamente porta con sé le benedizioni e certamente la sua vita si riempie di meriti, che non si vedono, ma che si troveranno al giorno del giudizio. A quante anime avrà fatto bene quella figliuola, quella persona che viveva strettamente unita a Dio, che viveva pienamente la sua vita religiosa nella povertà, nella castità, nell’obbedienza!
Dunque, il tempo di Quaresima è tempo di penitenza. Quali penitenze allora? Primo: sempre l’umiltà, la confusione davanti a Dio, sempre. Tenerci sempre con il capo un po’ chino dinanzi a Dio. Ma adesso non commetto peccati. Ma se ne sono commessi! D’altra parte il peccato può essere perdonato, se è stato ben confessato è stato perdonato e bisogna credere
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all’articolo di fede: Credo la remissione dei peccati, tuttavia si è commesso. Se una figliuola ha offeso il padre, poi pentita ha domandato perdono, è stata perdonata. Deve per sempre pensare e ricordarsi che una volta è stata cattiva, che ha disgustato il padre, quindi camminare più attenta su se stessa per non ripetere quella mancanza di cui ha ottenuto perdono.
Vi sono persone superficiali le quali non sanno considerare il loro stato spirituale davanti a Dio, sono un po’ gonfie di sé stesse. Sempre vivere in una certa confusione, con il cuore umile, in spiritu humilitatis et in animo contrito, si dice nella Messa, sempre nello spirito di umiltà e con il cuore pentito. Non scrupoli certamente, ma realtà, e non soltanto per i peccati commessi, ma anche per i difetti che portiamo con noi adesso e forse, per molte incorrispondenze alla grazia: Cor poenitens tenete: Abbiate il dolore dei peccati. Sempre!
Secondo: tra le penitenze la prima è sempre la pratica della carità. Carità verso il Signore: fervore di vita spirituale, dedizione generosa, volontà ferma di evitare sempre la colpa deliberata. Mancanze di sorpresa ne capitano anche ai santi, ma ci sia la volontà ferma, risoluta di evitare la colpa deliberata. Attenzione e vigilanza continuata, perché altrimenti sarebbe offesa a Dio, non amore di Dio. Quindi, prima penitenza, carità verso Dio: fervore nelle Comunioni, nelle meditazioni, nelle Visite al SS.mo Sacramento, particolarmente nella Messa. Vita spirituale intensa!
Poi, carità verso il prossimo. Prima carità in famiglia, nella famiglia religiosa: volersi bene, interpretare le cose in bene, pensare in bene, desiderare il bene, pregare le benedizioni di Dio su tutti, saper perdonare, saper essere servizievoli e buoni con tutti. Seminare la bontà attorno e compatire anche gli errori, così come vogliamo essere compatiti noi da Dio e dagli uomini: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»9. «E non giudicate, per non essere giudicati; e non condannate per non essere condannati»10 dice il Vangelo. Vita di bontà: seminatrici di bontà.
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La carità verso il prossimo è anche far bene l’apostolato. Vi è chi attende di più a prepararsi all’apostolato, ma da tutte si fa un po’ di apostolato. E poi vi sono coloro che passano molte ore della giornata nell’esercizio dell’apostolato in carità, per la salvezza. Si desidera il paradiso per noi? E allora: «Ama il prossimo come te stesso»11, cioè desidera il paradiso per tutti, e non solamente desiderarlo così, vagamente, ma desiderarlo fino a pregare e operare per gli altri. Pensiamo a S. Paolo come ha amato gli uomini, come si è speso per gli uomini per condurli a Gesù Cristo, alla via della salvezza, al cielo. L’apostolato ben fatto anche nelle minime cose. L’apostolato, sia quando si fa internamente sia quando si fa esternamente comunicando con le famiglie, comunicando con le varie persone che si incontrano, ecc., tutto sia fatto in carità, come Iddio ci ama.
L’espressione liturgica più importante della giornata è questa: «Voi imitate Iddio come figli carissimi, diletti»12. Imitare Dio e imitarlo nella sua carità. E come Gesù Cristo ci ha amati, così noi amare.
In terzo luogo poi, un’altra penitenza è la vita comune: l’osservanza degli orari, conservare il silenzio dove e nei tempi in cui bisogna conservarlo. Parlare tanto con Dio. Uso delle giaculatorie. Vita comune, povertà con i debiti permessi, secondo l’uso della Congregazione e le esortazioni che ricevete. Delicatezza nel trattare con il prossimo onde osservare la castità. Riservatezza, delicatezza anche personalmente, particolarmente nell’interno, nei pensieri e nei sentimenti, oltre che nel governo dei sensi esterni: occhi, udito, lingua, tatto, e dei sensi interni: fantasia, memoria, l’immaginativa. Vigilanza! Questo vigilare su di noi è tanto prezioso, fa evitare innumerevoli mancanze e porta innumerevoli atti di virtù, innumerevoli meriti.
Quindi, l’obbedienza che piega il giudizio e il sentimento del cuore. Obbedienza soprannaturale, vedendo in ciò che è disposto il volere di Dio. Vivere soprannaturalmente nella vita comune quei piccoli sacrifici che sono richiesti dalla convi-
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venza in comunità sia nell’orario, nell’abitazione, nel cibo, nel vestito, nelle varie occupazioni, nei vari uffici che vengono assegnati, particolarmente quando sono occupazioni continuate come lo studio, la scuola, e quel determinato ufficio che si ha riguardo all’apostolato.
Non è necessario ricorrere a penitenze straordinarie, ne abbiamo tante da fare anche se piccole. Ciascuno di noi pensi così: Non siamo capaci di fare le penitenze così gravi che leggiamo nelle vite dei santi, almeno facciamo piccoli atti di penitenza, quanto è possibile, frequenti, e soprattutto non aggiungere altri debiti con Dio, non commettere altri peccati.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 9 marzo 1958. Trascrizione da nastro: A6/an 44a = ac 75a. Sr Epifania Maraga (1919-2007), Figlia di San Paolo, annota che il ritiro mensile alla comunità segna anche l’inizio degli Esercizi spirituali per le suore che hanno partecipato al convegno della San Paolo Film.
2 “Abbiate il dolore dei peccati”. È la terza delle tre espressioni che caratterizzano la nostra storia carismatica: “Non temete, Io sono con voi. Di qui voglio illuminare. Abbiate il dolore dei peccati”. Cf Alberione G., Abundantes divitiae gratiae suae. Storia carismatica della Famiglia Paolina, (AD), Casa Generalizia SSP, Roma 1998, nn. 151-158.

3 Cf 1Gv 1,10.
4 Cf Lc 18,13.
5 Cf Sal 51: «Pietà di me».
6 Cf Sal 130: «Dal profondo a te grido».

7 Cf S. Agostino, Le Confessioni, X, 27: “Tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato…”.
8 Cf Ef 5,16: «Facendo buon uso del tempo».

9 Cf Mt 6,12.
10 Cf Lc 6,37.

11 Cf Mc 12,31.
12 Cf Ef 5,1.