12. LA NOSTRA RISURREZIONE1
…Il peccato produce la morte. Con la redenzione si viene a rimediare anche alla morte causata dal peccato di Adamo. In questa maniera, l’uomo è prima assoggettato alla morte: come Gesù Cristo è morto e come la santissima Vergine è morta, così ogni uomo. La morte, accettata bene, e quando ad essa ci prepariamo bene, serve per cancellare i nostri debiti con Dio. Si muore, e il corpo umiliato nel cimitero, il corpo sepolto subisce le conseguenze della morte. Ed è, in qualche maniera, che noi, accettando l’umiliazione del sepolcro, rimediamo alla nostra superbia, al nostro orgoglio. Appunto per questo la Chiesa, il primo giorno di Quaresima ci mette le ceneri sul capo e dice: «Ricordati uomo, che sei polvere ed in polvere hai da ritornare»2. Il pensiero della morte è uno dei più efficaci per stabilire e conservare in noi l’umiltà: So che ho da morire e non so l’ora, posso dunque mancare nell’atto di peccare.
Il corpo però, dopo aver subíto l’umiliazione del sepolcro, risorgerà. Gesù Cristo è risuscitato il terzo giorno dalla sua morte; Maria è risuscitata molto presto dalla sua morte; noi invece risorgeremo tutti assieme nel giorno finale, l’ultimo giorno, quando gli angeli verranno dal cielo e, suonata la tromba, inviteranno tutti: Sorgete o morti e venite al giudizio.
Vi sarà una grande diversità tra persona e persona, fra il peccatore e il giusto, tra l’iniquo e il santo. I cattivi che non hanno rimediato alle loro mancanze, non hanno procurato di scancellare i loro peccati e non hanno cercato di correggere i loro vizi, come risorgeranno? Come l’anima di essi porterà sempre con sé i peccati che ha commessi e non li ha scancellati, non li ha lavati nel sangue di Gesù Cristo, così il corpo. Quindi risorgerà segnato dai peccati, e sarà tanto più deforme
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e tanto più macchiato quanto più numerosi sono stati i peccati. Siccome al peccato concorrono insieme l’anima e il corpo, e il corpo spesso trascina l’anima, così anima e corpo hanno da fare la penitenza e subire il castigo. E sarà più tormentato e più segnato dai peccati il corpo nei sensi, per esempio negli occhi, nell’udito, nel senso che ha più peccato. Poiché il fuoco eterno è razionale e colpisce in proporzione della gravità e del numero dei peccati e colpisce e arde specialmente le parti del corpo che hanno servito maggiormente a peccare. E così il corpo risorgerà, il corpo dei tristi segnato dai peccati commessi, ad esempio per i furti, le mani.
All’opposto, i santi risorgeranno con i segni delle loro virtù. Le virtù e i meriti compiuti non solo saranno premiati quanto all’anima, ma ancora quanto al corpo. Il corpo sarà partecipe di tutte le pene dell’anima, e quanto più l’anima è stata santa e perché santa ha santificato il corpo, tanto più il corpo parteciperà alle gioie dell’anima. Le gioie, la beatitudine dell’anima si rifletterà nel corpo e specialmente nelle parti del corpo che hanno accompagnato di più l’anima nel fare il bene, nel praticare la virtù. E beati gli occhi che guardano spesso l’Ostia santa, il tabernacolo e si volgono spesso al cielo! E beato l’orecchio, beato l’udito che ascolta volentieri le parole di saggezza, le parole di Dio che è la predicazione, i consigli che riceve e i comandi che vengono dati e che accetta volentieri. Beati gli occhi che leggono volentieri la Scrittura, la Bibbia. Così beata la lingua che sempre è adoperata a benedire Iddio o nella preghiera o nel dare consigli e parole sante. Oppure la lingua adoperata in quegli usi che sono necessari per la giornata, nel parlare bene e lietamente di quello che conviene, anche nella ricreazione. Quando la lingua è stata santificata mediante l’uso santo, ecco che avrà una gloria speciale e una felicità particolare.
Così la vergine che è pura e monda, avrà glorificato tutto il suo corpo, e specialmente il senso del tatto. E tutto il corpo che avrà faticato per servire Iddio dal mattino quando viene dato il segnale dell’alzata, e poi l’osservanza degli orari, e l’adempimento di quegli uffici e doveri che sono assegnati, ecco, tutto il corpo sarà glorificato. Il corpo avrà le stesse doti del corpo
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glorificato di nostro Signore Gesù Cristo e di Maria Vergine. Le doti sono varie: S. Paolo ne enumera specialmente quattro, e cioè lo splendore, l’immortalità e l’impeccabilità connessa, la sottigliezza e la leggerezza3. Quattro doti, diciamo così, esterne quanto al modo di presentarsi, ma vengono e procedono dall’anima e dalla santità e dallo stato di grazia, perché la grazia è il merito che ognuno ha, è la partecipazione alla vita di Gesù Cristo in noi, e come Gesù Cristo è risuscitato e glorificato nel suo spirito e nel suo corpo, così l’anima.
Ecco, Gesù entra a porte chiuse nel cenacolo. Gli apostoli avevano barricato bene le porte, «propter metum Judaeorum: per timore dei giudei»4 che venissero a imprigionarli; quindi non c’era modo di entrare, se non venivano gli apostoli ad aprire. E Gesù entra a porte chiuse: il suo corpo è come spiritualizzato. Questa è la sottigliezza, così sarà del corpo risuscitato di coloro che sono santi, e che hanno santificato l’anima e il corpo, in maniera che il corpo non avrà bisogno di aprire le porte e le finestre; questo dono è la sottigliezza.
In secondo luogo, la leggerezza che è il dono per cui, secondo i desideri dell’anima, il corpo si trasporterà da luogo a luogo. E, supponiamo, per esprimerci e per capire qualche cosa, perché capiamo così poco di quel che ci sarà di là: trasferirsi da stella a stella e venga così glorificato il corpo. Gesù, uscito dal sepolcro, là sul Calvario dove stava la sua salma, ecco che dà l’appuntamento agli apostoli: «Andate in Galilea, ibi eum videbitis»5, portatevi in Galilea e là lo vedrete come ha fissato, come ha detto prima, come aveva già annunziato prima di morire.
Il corpo poi sarà immortale. Immortale significa che non morirà più: «Et mors ultra non erit: Non si morirà più»6. E neppure si sarà soggetti a patimenti, a fatica, a croci, a malattie; il corpo sarà esente da tutti questi mali che adesso lo fanno soffrire. Spesso il corpo subisce anche conseguenze da malinconie interne, scoraggiamenti, avvilimenti e da tristezze
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che, senza aver colpa, tuttavia affliggono l’anima, e lo stesso corpo ne risente le conseguenze. Siccome l’anima sarà beata, così comunica la sua beatitudine al corpo. Quindi nessun male oltre la tomba. Oltre la risurrezione il corpo sarà quindi immortale, e ciò comporta che la persona diviene impeccabile, non c’è più pericolo di perdere Dio con il peccato. L’anima non potrà perdere nessun merito, come non potrà farne altri. Conviene, perciò, che approfittiamo bene del tempo che il Signore ci darà, e se ci dà ancora giorni di vita, riempiamo i giorni di meriti preziosi.
In punto di morte non sono solamente i peccatori che si rattristano e piangono per le loro colpe, ma anche quelli che hanno perduto le grazie, che non hanno corrisposto, hanno perduto il tempo, mentre potevano arricchirsi di meriti. È vero che anche di questo perdere le grazie, della incorrispondenza alla grazia, si può ottenere il perdono. Il perdono però non vuol dire che i meriti che non si sono fatti vengano fatti, ciò che non si è fatto, non è fatto, quindi il merito bisogna farlo mentre ci troviamo nella possibilità di farlo. Il merito cioè può farlo solo l’anima quando è congiunta al corpo, anima e corpo assieme, e il demerito e il peccato soltanto quando l’anima è congiunta al corpo. Passato il momento del distacco dell’anima dal corpo, è finito il tempo di meritare, e anche di peccare.
E di più, il corpo sarà adornato di splendore. Non solamente non ci sarà più la fame, non ci sarà più la fatica, non ci sarà più il dolore, non ci sarà più la varietà delle stagioni. Non ci saranno più tutti quei mali che si studiano nei libri di medicina, e neppure le case di cura e le infermiere e i medici che ci sono per curare la salute, curare quell’immenso cumulo, quell’immensa varietà di malattie che possono affliggere il corpo in ogni sua parte. Nessun male quindi, nessun pianto, nessuna tristezza, nessuno scrupolo, nessuna malinconia e nulla di ciò che adesso può affliggere o il corpo o lo spirito. «Tunc iusti fulgebunt sicut sol: I giusti risplenderanno come il sole»7. E questo splendore sarà in proporzione della santità dell’ani-
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ma, perché lo splendore eterno è un riflesso dei meriti e della santità che l’anima ha acquistato durante la sua vita. E quali ricchezze ha di là chi ha osservato la virtù e il voto di povertà! Cercate le vere ricchezze: Veras divitias…8. E quale splendore per chi ha osservato la castità in tutti i suoi sensi e nell’interno, nei pensieri, nei sentimenti, per chi avrà osservato la virtù e il voto di castità!
Quale elevazione, quale avvicinamento a Dio per chi avrà osservato l’obbedienza, perché l’obbedienza è uniformità al volere di Dio in tutto e porta un grande avvicinamento a Dio, perché l’amore a Dio è prima nell’intelletto e poi è nella volontà, nel sentimento. La religiosa consacra a Dio tutto, e se è osservante vive continuamente il perfetto amor di Dio. È l’obbedienza che unisce la volontà dell’uomo alla volontà di Dio, così merita poi una elevazione tutta particolare, un avvicinamento a Dio, quanto più si è avvicinato a Dio sulla terra, quanto più ha compiuto perfettamente la volontà di Dio sulla terra. Quindi veramente saggia, sapiente è la religiosa, è la persona che si consacra a Dio, che vive secondo i voti che ha fatto. Certamente per vivere i voti bisogna aver prima esercitato la virtù; il voto stesso è un mezzo per esercitare meglio la virtù, è ordinato all’esercizio più perfetto della virtù.
Allora vediamo quali sono i nostri interessi: dare tutto a Dio, e allora ricchezze eterne; amare il Signore con tutto il cuore, e allora il gaudio eterno; sottomettersi e abbracciare la volontà di Dio in tutto, e allora una vicinanza particolare a Dio, tanta vicinanza quanto sulla terra abbiamo unito la nostra volontà alla volontà di Dio. Ecco la vera saggezza, la vera strada della beatitudine! Pensare alla grazia che il Signore ci ha fatto chiamandoci alla consacrazione a lui, cioè alla professione. Non ci basterà la vita per ringraziare sufficientemente il Signore, avremo bisogno dell’eternità per ringraziarlo come si conviene.
Allora amore sempre più intenso alla vocazione, e corrispondenza alla vocazione, a questa grande grazia che ne com-
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prende tante, perché nella vocazione trovate tutte le altre grazie che sono contenute nella professione. «Riceverete il centuplo, possederete la vita eterna»9.
Nel tempo pasquale pensare non soltanto alla risurrezione di Gesù Cristo, ma anche alla risurrezione nostra. Pensare che con la vocazione siete in uno stato che fa risorgere in maniera più simile a Gesù Cristo, più simile a Maria che già si trova in paradiso anche con il corpo. Qualche volta nella vocazione, negli uffici che ci sono dati, nelle piccole sofferenze, nelle fatiche che si incontrano, nei sacrifici, nelle abnegazioni che si trovano nella vita religiosa, pensiamo che tutto questo è per arricchirci di più. È un complesso di occasioni per aumentare i nostri meriti. Non scoraggiamoci. Non ci venga mai il pentimento per aver abbracciato lo stato religioso. Sempre più riconoscenza a Dio, amarlo sempre di più il Signore, perché ci ha amato e preferito sulla terra.
Se vivono due miliardi e settecento milioni di uomini, i cristiani quanti sono? E tra i cristiani, quanti sono quelli chiamati alla vita religiosa? E pensare poi che ogni anima ha anche delle grazie speciali. Tante possono essere nella medesima congregazione, in un Ordine e hanno fatto i loro voti, ma tra religiosa e religiosa c’è sempre una grande differenza. Chi vive la professione religiosa in modo perfetto, chi la vive in modo meno perfetto.
Ora, la strada per la vostra santificazione è segnata: è quella dell’osservanza delle Regole, delle Costituzioni e di tutto ciò che vi è da fare nell’Istituto in cui si è entrati, quella è la strada di santificazione. Non c’è bisogno di tanti metodi o di tante spiritualità o di tante cose e altre storie, no! La direzione è segnata, l’avete scelta: l’Istituto con le sue Costituzioni, con le pratiche di pietà, con i lavori che dà, con i sacrifici che comporta, e con i mezzi di santificazione che si trovano in esso. Quella è la via, non perdiamo il tempo a pensare ad altro. Quella è la via segnata: vivere veramente la propria vocazione.
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1 Meditazione tenuta ad Albano il 16 aprile 1958. Trascrizione da nastro: A6/ an 47a = ac 81b. Mancano alcune parole iniziali.
2 Cf Gen 3,19.
3 Cf 1Cor 15,42.44.53-54.
4 Cf Gv 7,13.
5 Cf Mt 28,7: «…là lo vedrete».
6 Cf Ap 21,4.
7 Cf Mt 13,43.
8 “Amate le ricchezze vere”. Cf Breviarium romanum, domenica di sessagesima, III Nocturno, Lectio IX, Homelia XV in Evangelium, di S. Gragorio Magno (540 ca.-604).
9 Cf Mt 19,29. Qui è richiamato il momento della Professione. Cf Rituale della Pia Società delle Figlie di San Paolo, Vestizione, Noviziato, Professione religiosa, Roma 1945, p. 43.