Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II
LA CARITÀ INTERNA1


Incominciamo la novena della conversione di S. Paolo che celebreremo il 25 di gennaio. Nel corso dell’anno nella Chiesa si celebra soltanto una conversione. Tuttavia vi sono state conversioni lungo i secoli, per esempio, quella di S. Agostino2, di S. Margherita da Cortona3, e tante altre particolarmente ai nostri tempi. Negli ultimi anni vi sono dei libri interi che parlano dei neo-convertiti.
Perché nel pensiero della Chiesa c’è questa intenzione: celebrare con una festa liturgica la conversione di S. Paolo? Per tre motivi: primo, perché questa conversione è stata straordinaria nel modo. S. Paolo fu fermato sulla via di Damasco mentre stava per entrare in città e cercare i fedeli, imprigionarli e condurli a Gerusalemme per giudicarli, condannarli. Il Signore gli apparve. Poi il Signore gli mandò Anania, perché gli conferisse il Battesimo4.
Inoltre è una conversione straordinaria, perché fu perfetta: totale di mente, cambiati i pensieri; di sentimento, cambiate le aspirazioni; di vita, perché mentre prima odiava Gesù Cristo, dopo lo amò con tutto il suo essere, consacrò la sua vita al suo amore e morì dando il suo sangue, prova estrema del suo amore a Gesù.
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In terzo luogo è stata una conversione utilissima per la Chiesa. Per le conseguenze, quindi, è una conversione straordinaria. Colui che prima perseguitava la Chiesa, «devastabat Ecclesiam»5, come quando viene un temporale sopra una vigna dove le uve sono mature, dopo costruì Chiese in tutto il mondo allora conosciuto, dovunque poteva arrivare. Quindi, da feroce persecutore diventò ardente apostolo della Chiesa. Nella novena è bene dire tutti i giorni la Coroncina a S. Paolo6.
Gli Esercizi sono per una conversione. Si potrà dire: Ma noi siamo già convertite. Conversione, in qualche modo certamente. Bisogna notare però che ci sono conversioni imperfette e conversioni perfette. Convertìti in qualunque modo con la conversione imperfetta certamente, ma quando la nostra conversione diverrà totale e perfetta? Ogni esame di coscienza è per convertirci da qualche difetto a qualche virtù. Ogni Confessione dev’essere una conversione, e noi dobbiamo esaminare come sono le nostre Confessioni. Se ogni settimana siamo sempre proprio allo stesso punto, la conversione non è avvenuta, la Confessione non ha portato tutto il suo frutto. Vi sono Confessioni che sono una recita di difetti e non una detestazione, e quindi non hanno il proposito abbastanza fermo. Particolarmente gli Esercizi sono l’occasione e hanno per compito la conversione. La Chiesa fa pregare noi sacerdoti, tutti i giorni: Converte nos Deus salutaris noster: Signore, convertici a te7. Vuol dire che dobbiamo finire, terminare, perfezionare la nostra conversione verso il Signore.
Che cosa significa dunque convertirsi? Si va per una strada e magari, a un certo punto, ci accorgiamo che non è proprio la via migliore: quella strada è brutta, oppure è più lunga o addirittura si è sbagliato strada. E allora c’è una conversione, cioè ci voltiamo indietro e scegliamo la strada buona e ci mettiamo per quella strada diritta, strada che conduce certamente, sicuramente alla meta. È strada buona. Se guardiamo nella nostra vita, se facciamo bene l’esame di coscienza, troviamo certa-
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mente che in qualche punto non teniamo proprio la strada che va a Dio, a Dio sommo bene ed eterna felicità. Non è ancora il Signore l’essere che occupa tutto il nostro cuore. E ci accorgiamo che vi sono tante imperfezioni, ci accorgiamo che la nostra vita non dà ancora il rendimento totale, il cento per uno, come dovrebbe dare e allora: Converte nos, Deus, salutaris noster.
La conversione perfetta è voltare tutta la nostra attività di mente, cuore, azione, vita, verso Dio solo. Allora quanti bisogni di conversione: da orgogliosi, diventare umili; dagli attaccamenti a certe cose e a certe idee e a certe posizioni, al distacco, per essere indifferenti a tutto e a tutti, anche alle occupazioni, persino alle devozioni. Da invidiosi, diventare caritatevoli: bontà. Dall’ira diventare miti; da nervosi diventare dolci e umili di cuore; dal cercare il nostro gusto terreno che è poi sensualità, se non è lussuria, all’amore intero a Dio: tutto il cuore, tutta la mente, tutte le forze. Dalla golosità alla mortificazione; dalla pigrizia, dalla freddezza, dalla tiepidezza al fervore, all’energia, alla dedizione completa. Ecco, c’è ancora tanto bisogno di conversione.
E questa conversione deve essere completa, perfetta. Di mente, pensieri nuovi; e di cuore, sentimenti nuovi; e di vita, attività, azione, un modo nuovo di parlare, di fare, di osservare gli orari e di vivere la vita religiosa. Nessuno sia persuaso che è già abbastanza convertito, perché non ricaverebbe nessun frutto dagli Esercizi.
Quando noi ci persuadiamo che siamo abbastanza a posto e che se tutti gli altri facessero come noi, le cose andrebbero bene, è segno che siamo un po’ ciechi, non su tutti i punti, ma su certi punti, perché a poco a poco avviene che ci abituiamo a pensare così, a dire così, a parlare così, a sentire nel nostro cuore così, e alla fine crediamo che sia giusto e così piaccia al Signore. Ma così non piacerà a noi quando saremo in punto di morte, quando al lume della candela noi vedremo le cose molto diversamente e capiremo che nella nostra vita c’è stato ancora troppo di umano. Il soprannaturale, la fede non ha dominato tutto l’essere e non è la speranza che ci ha fatto agire solo per Dio. E la carità non fu abbastanza forte, né con Dio né con il prossimo. Allora, in punto di morte, nell’ultimo incontro con
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Gesù nel Viatico e nel ricevere l’Olio santo, troveremo che ci sarà bisogno che quell’Olio santo scancelli molte cose. Essere persuasi di aver bisogno di conversione.
Però è utile che riguardo alla nostra conversione ci fermiamo sopra un punto, ciascuno sul suo punto. In una persona vi è più difficoltà, supponiamo, per praticare l’umiltà; nell’altra, più difficoltà a sopportare tutti o a vivere secondo le regole, a compiere il proprio dovere, il proprio ufficio o a stare raccolta o essere fervorosa. Ognuna ha le sue difficoltà e ognuna ha i suoi punti su cui vuole migliorare. Questi punti saranno convertiti in tanti propositi se si fanno gli Esercizi con tanta buona volontà che si manifesta in quelle decisioni, in quei propositi. Dunque, ognuna ha qualche punto particolare su cui convertirsi, però non bisogna pensare che sia solo un punto. Quante cose ci sono!
Tuttavia fermiamoci su un punto che è comune a tutte e quindi la meditazione vi riuscirà utile. S. Paolo dice: «Super autem omnia caritatem habete»8. Ci sono tante cose da praticare, ma soprattutto c’è la carità. Tutti abbiamo da rivedere qualche cosa sulla carità, da riesaminare i pensieri, i sentimenti, il parlare, l’agire, il comportarsi. Tutti. Certamente vi è qualche cosa: «Super omnia autem caritatem habete». Dopo aver enumerato tante cose buone che dobbiamo cercare di acquistare, S. Paolo dice: «Ma soprattutto la carità», ecco, soprattutto la carità. Convertirci, convertirci!
La carità possiamo intenderla verso Dio, e possiamo restringerla a carità verso il prossimo, e possiamo restringerla anche soltanto alla vita quotidiana della comunità. E possiamo allargarla all’apostolato che è la manifestazione della carità della Figlia di San Paolo, dei Paolini: «Veritatem facientes in caritate»9. Predicare la verità o con la penna o con la parola o con il pennello o con la fotografia o in altre maniere. Praticare l’apostolato che è carità.
Parliamo, un momento soltanto, della vita comune quotidiana. Quando si sente dire che non si va d’accordo, il Cuore
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di Gesù deve essere molto ferito, e sono feriti nel loro spirito anche i superiori, le superiore che guidano. Come? Si tende alla perfezione e si manca proprio in quella virtù che è la principale: la carità? Non è questa carità vicendevole ciò che dichiariamo nella professione? Conformare la vita alle Costituzioni vuol dire vivere in comunità, veramente in comunità. Comunità, quindi carità e comunità di pensiero e comunità di sentimenti, di aspirazioni; carità e comunità di parole; carità e comunità di azione. Il più grave danno che si possa fare all’Istituto è rompere la carità. Ma io lavoro, ma io vorrei far di più, ma io vedo che faccio più degli altri. Facciamo di più per l’Istituto quando c’è la carità, altrimenti non facciamo di più per l’Istituto. Su questo punto bisogna sempre notare che l’orgoglio è quello che fa velo e non ci lascia vedere la realtà, e tante volte non conosciamo noi stessi. Come sono i pensieri? Come sono i sentimenti? Com’è il comportamento quotidiano? Come sono le relazioni con gli altri? Come amiamo le persone che con noi convivono? Come sopportiamo e come ci facciamo sopportare? E come aiutiamo? «Super omnia autem haec caritatem habete»? Io faccio questo, io faccio quello. Sta bene, tutto è lodevole, perché c’è qualcosa di buono, sempre: «Quidquid bonum quidquid honestum, etc... haec cogitate»10. Sì. Ma se mancasse l’essenziale, la carità?
La vita religiosa che cosa significa? Significa aggregazione o unione di persone, le quali si mettono insieme per aiutarsi nella santificazione, altrimenti si potrebbe fare il voto di castità, di povertà e di obbedienza fuori. Gli Istituti secolari11 che hanno i voti non sono religiosi, ma la Congregazione delle Figlie di San Paolo è invece un istituto religioso. Quello che ha di particolare è proprio la vita comune. È proprio questa vita comune: Congregavit nos amor unus12, ci siamo uniti per
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amore. Amore a Dio per perfezionarci. Amare sempre più il Signore e amore alle persone.
Che cosa comporta? Che cosa? Tre cose: pensare in bene, desiderare il bene, parlare in bene ed operare in bene. Possiamo dire anche quattro: ma la carità con le opere comprende parole ed azioni. Allora dentro di noi vi è, vi deve essere, proprio una mentalità conformata alla carità. Conformata alla carità, cioè pensare in bene, il che significa: Io ho un obbligo di aiutare le altre; siamo in tante per aiutarci. Io devo sperare la carità e l’aiuto degli altri, ma devo portare il mio aiuto. Poi pensare in bene: pensare in bene proprio della vita della Congregazione, com’è la Congregazione; pensare in bene delle superiore, pensare in bene delle Costituzioni, pensare in bene delle sorelle, pensare in bene delle occupazioni che vi sono nell’Istituto, di tutto il suo complesso di apostolato, di orari, di pratiche di pietà. Pensare in bene!
A volte si detestano solamente i pensieri, supponiamo, che si avvicinano ai giudizi o ai sospetti temerari. Quello è l’estremo! Lì siamo già nel peccato. Ma la pratica della virtù vuole che i nostri pensieri siano conformati a carità in una maniera molto più perfetta e non solamente evitare il peccato. Dobbiamo guardare negli esami di coscienza se ci accorgiamo che amiamo proprio la Congregazione, se amiamo le cose che sono disposte, se amiamo il nostro ufficio, se amiamo le Costituzioni, se amiamo le sorelle, se amiamo il fine dell’Istituto, il suo apostolato. In sostanza se amiamo quella che è la vita paolina. Non stare in casa e guardare dalla finestra cosa fanno gli altri. Guardiamoci un po’ noi!
Come ognuna non deve guardare quello che fanno gli altri, ma guardare che cosa fa lei, così l’Istituto deve guardare che cosa fa e non cosa fanno gli altri, perché la volontà di Dio è sopra di noi. Gli altri Istituti hanno la volontà di Dio che riguarda altre cose, supponiamo hanno da curare gli infermi, ma noi abbiamo il nostro fine, i nostri particolari doveri. Quindi carità di pensiero. Non vedere il male, cercare il pelo nell’uovo per trovarlo, se caso mai c’è. Ma si sa bene che se una vuole trovare del male ne troverà sempre, sempre, sempre, perché ne troveremo sempre in noi e ne troveremo sempre negli altri,
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appunto perché siamo finiti, non siamo perfetti. Si viene [in Congregazione] per perfezionarsi, si ha l’ideale della perfezione e che sta qui: «Estote perfecti sicut Pater vester coelestis perfectus est»13, ma questo ideale cerchiamo di raggiungerlo il più possibile senza arrivarci mai. Quindi troveremo sempre dei difetti in noi e dei difetti negli altri.
Questo raccontare e vedere i difetti negli altri è nient’altro che aver dimenticato l’esame di coscienza, perché se facciamo bene l’esame di coscienza troviamo già tante cose da dire a noi, tanto che diciamo: Del lavoro ne ho fin troppo nel guardare a me. Ma, nella Congregazione si dovrebbe fare così…. Chissà se non sei tu che fai danno alla Congregazione con il tuo comportamento, e se non sei tu che sei pesante alle altre con il tuo carattere, e che aggravi i mali, e se non sei tu che fai soffrire. Pensiamo a noi. Questo abbandono dell’esame di coscienza prelude sempre l’orgoglio e un oscuramento nell’anima per cui non vediamo più noi, non c’è il lume dentro e il lume lo usiamo per gli altri. Eh, quella lì ha il tal difetto, quella lì fa così, quella lì ha quel ghiribizzo, quella fissazione, quel modo di fare. E tu? Vogliamo far lume agli altri? È buona cosa quando si ha questo ufficio. Chi ha l’ufficio di guardare gli altri deve far lume agli altri, ma prima facciamo lume a noi stessi: guardiamoci dentro. Guardiamoci dentro. Se il Vangelo dice così, leggiamo bene e meditiamo quei versetti che si riferiscono a questo14.
Allora una conseguenza che viene da sé è sempre questa: quando facciamo poco esame di coscienza noi perdiamo la carità, primo nei pensieri, in secondo luogo la carità nei sentimenti. Si ama davvero? Ma perché non ci può essere l’accordo? Perché non si ama. Non c’è altra spiegazione, perché non si lavora per la propria perfezione, si è tiepidi. Il disaccordo è sempre segno sicuro di tiepidezza in un’anima religiosa. Può essere che gli altri abbiano dei difetti, certamente! Non solo può essere, ma è sicuro che ne abbiano. Vedere se i nostri non sono più numerosi e se non sono nascosti, e se noi non siamo
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ciechi riguardo a noi stessi, e se, per prima cosa, manchiamo a ciò che è più perfetto: la carità nei sentimenti.
Quando davvero si ama, allora si prega per tutti, si ha un grande cuore per tutti, si è comprensivi, si aiuta, si trova sempre che gli altri hanno dei meriti e delle buone qualità. E si troverà, se si convive, che qualche volta ci sono anche dei difetti, ma si troverà sempre che noi ne abbiamo di più. Il segno che uno progredisce è proprio quello di conoscerci meglio, perché finché non ci si conosce meglio, uno non cambia e neppure ha il sospetto di dovere migliorare. Vi è allora questo bisogno di analizzare i sentimenti.
Può essere che qualcuna sia anche scrupolosa, perché nel cuore passa qualche pensiero o qualche sentimento. Ma lo scrupolo è un’altra cosa, lo scrupolo è una malattia. Ma, seriamente, noi amiamo? C’è questa umiltà di cuore? L’umiltà anche di sentimento? C’è la dolcezza con tutti? Si trova sempre qualche cosa da lodare e da vedere bene in tutto, in tutti? Si trova sempre che noi abbiamo più di quello che meritiamo? E se anche siamo dimenticati, tante volte è una grazia di Dio? E che non dobbiamo imporci e pretendere? Che cosa vuol dire: «Recumbe in novissimo loco»15 ? Che cosa vogliono dire le Costituzioni in quel capitolo che si riferisce alla carità e all’umiltà16 ? Quando manca questa carità interna di conseguenza, all’esterno si diviene come le galline che si beccano. E allora le invidie, le gelosie, le male interpretazioni. Magari compiacersi del male degli altri, scusare se stessi e interpretare sinistramente, e poi le altre conseguenze che nascono: «De corde exeunt cogitationes malae: Dal cuore vengono i cattivi pensieri»17. Il Vangelo fa un elenco di quello che vi è nel cuore.
Quello che qualche volta dobbiamo confessare: Ho mancato in questo, ho mancato in quello, viene dal cuore che non è impastato di bontà, non è un cuore uniformato al Cuore di Gesù. Le Comunioni non dicono ancora, non operano abbastanza in noi, non portano proprio il cuore di Gesù nel nostro
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cuore. Ci portano solo vicino il cuore di Gesù, non ce lo mettono dentro. Non è ancora realizzato: Cor Pauli, cor Christi18 ! Se no tra il nostro cuore e il cuore di Cristo ci sarebbe una comunicazione, come in quel quadro in cui erano dipinti Gesù con il suo cuore e Paolo con il suo cuore e poi un tubo comunicante fra i due cuori per indicare che i sentimenti del cuore di Gesù erano passati nel cuore di S. Paolo.
Quando noi siamo dominati dall’egoismo e vediamo tutto bene in noi e sembra che gli altri debbano cedere, e sembra che non ci considerino abbastanza, allora è il cuore che manca di carità. Ci si aggiusta, si vuole fare una vita a nostro modo. Tutto quello poi che non rispetta il nostro egoismo, il nostro piccolo nido che ci siamo fatto e in cui vogliamo stare, allora vediamo tutto male: Qui non fanno bene; qui non ci badano; e lì non hanno riguardo; e in questo non si arriva, e in quell’altro si eccede. E allora non c’è mai la pace. Cuore! Cuore impastato, conformato al cuore di Gesù, alla bontà di Gesù! Non è vero?
Adesso potremmo fermarci e parlare di quello che è manifestazione esterna dei pensieri, dei sentimenti. La manifestazione esterna sono i discorsi, gli atteggiamenti, sono le azioni. Vi sono persone che adorano se stesse: i propri gusti, le proprie tendenze, le proprie vedute, ecc. E vi sono altre persone che invece adorano Dio solo, cioè il loro cuore è propriamente di Dio, la loro vita è proprio indirizzata a Dio. Ricordo sempre quel medico che veniva in principio dell’istituzione a visitare i nostri infermi e diceva: Vi sono di quelli che adorano un dio solo: se stessi. Specialmente quando si è malati si diventa sempre un po’ più egoisti; ma a volte l’egoismo domina senza accorgersene, anche quando si è sani, quando si è capaci di qualche cosa. È naturale che si è capaci di qualche cosa! E tanto guadagni tu che fai un lavoro che sarà, supponiamo, di penna, come chi sbuccia le patate; tanto tu che mangi la frutta che viene dall’orto, dal giardino, come colei che ha lavora-
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to e fatto crescere le piante che poi hanno prodotto il frutto. Non possiamo vivere nella realtà, vogliamo vivere di fantasie. Ciò che vale è l’amore a Dio e l’amore agli altri: la carità. Naturalmente la carità si appoggia sulla fede e sulla speranza, ma il frutto è la carità. Ed è il frutto, perché rimane in eterno: «Caritas manet in aeternum»19. Le altre due virtù, la fede e la speranza, cessano con la morte.
Adesso, siete già a buon punto degli Esercizi, vivete questi ultimi giorni in riparazione delle mancanze di carità, prima le mancanze interne. Non ho parlato ancora dell’esterno. Ma quando c’è l’interno: «Dai frutti si conosce la pianta»20, cioè dalle parole, dalle azioni, si conosce ciò che c’è nel cuore. Umiliamoci tutti. Tutti. «Super autem haec, caritatem habete: Sopra tutte le altre qualità abbiate la carità». Ripariamo le offese alla carità e preghiamo S. Paolo di convertirci in ciò che lui ci raccomanda: «...soprattutto abbiate la carità». E poi domandiamo la carità per noi e per gli altri.
Questa novena deve essere per la conversione. Certamente bisogna anche ricordare che la novena della conversione è per pregare anche per la conversione dei peccatori, ma in primo luogo di noi stessi.
Nella Messa, quando Gesù si immola chiediamo la carità. Fino a che punto amare? Quanto ha amato Gesù.
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1 Meditazione tenuta a Grottaferrata (Roma) il 15 gennaio 1958. Trascrizione da nastro: A6/an 41b - ac 71b. Dal Diario Sp.:“[Il Primo Maestro] da Albano va direttamente a Grottaferrata per dettare una meditazione alle Figlie di San Paolo che stanno per terminare gli Esercizi spirituali, poi si ferma ad ascoltare qualcuna che desidera parlargli”.
2 Agostino (354-430), nato a Tagaste in Tunisia, vescovo d’Ippona, Padre e Dottore della Chiesa. Tra le sue opere sono particolarmente note: Le confessioni, La città di Dio, Il Maestro interiore, I soliloqui, Commento a S. Giovanni.
3 Margherita da Cortona (1247-1297), toscana. Dopo una vita disordinata divenne terziaria francescana, dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità e di pace.
4 Cf At 9,1-19.

5 Cf At 8,3: «...cercava di distruggere la Chiesa».
6 Cf LP, ed 1985, pp. 122-123.
7 Cf Sal 84,5: «Convertici Dio nostro salvatore» (Volgata).

8 Cf Col 3,14: «Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità».
9 Cf Ef 4,15: «Agendo secondo verità nella carità».

10 Cf Fil 4,8: «Quello che è vero, quello che è nobile … ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri».
11 Società di vita consacrata approvate dalla competente autorità ecclesiastica i cui membri, laici o chierici secolari, professano i consigli evangelici rimanendo nel loro contesto di vita sociale e professionale, vivono personalmente il carisma dell’Istituto e ne perseguono il fine apostolico.
12 L’amore di Cristo ci ha riuniti per diventare una cosa sola. Cf Ubi caritas, inno liturgico del Giovedì Santo in Coena Domini.

13 Cf Mt 5,48: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
14 Cf Lc 6,42.

15 Cf Lc 14,10: «Va’ a metterti all’ultimo posto».
16 Cf Cost ’53, nn. 170-175.
17 Cf Mt 15,19.

18 “Il cuore di Paolo era il cuore di Cristo”. Espressione attribuita a S. Giovanni Crisostomo (347-407), Padre e Dottore della Chiesa, grande commentatore di S. Paolo.

19 Cf 1Cor 13,8: «La carità non avrà mai fine».
20 Cf Lc 6,44.