Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II
LA MORTIFICAZIONE1


La penitenza riguarda specialmente la vita passata, invece la mortificazione si riferisce al presente e al futuro, perché con la penitenza cerchiamo di soddisfare il Signore per le nostre colpe passate, servendoci dei mezzi che ci dà la Chiesa: mortificazioni interne, mortificazioni esterne ed anche sante indulgenze. Le indulgenze serviranno a soddisfare la pena dovuta per i nostri peccati, se già noi nella Confessione non abbiamo avuto tale dolore da ottenere, oltre il perdono della colpa, anche il perdono della pena.
Quanto alla mortificazione, bisogna sempre considerare che ha due parti: una parte che si può chiamare negativa e una parte che si può chiamare positiva.
La parte negativa. Quando si dà l’abito religioso a un’aspirante si dice: Exue te Dominus veterem hominem cum actibus suis. Il Signore ti spogli di quello che era l’uomo vecchio, ‘veterem hominem’, cioè dello spirito mondano; ti spogli di quegli affetti, di quelle tendenze che vengono dal peccato originale, dal peccato di Adamo, chiamato nelle sue conseguenze ‘l’uomo vecchio’. E offrendo poi l’abito religioso si dice: Induat te Dominus novum hominem, qui secundum Deum creatus est in justitia et sanctitate veritatis2. E Dio, il Signore, ti rivesta dell’uomo nuovo che è Gesù Cristo, cioè dell’uomo spirituale, dell’uomo che ha tendenze alla santità, dell’uomo che vuol dirigere tutta la sua vita verso il paradiso e verso la perfezione. Quindi togliere certe tendenze che non sono sante, togliere tanti desideri, tante abitudini che non piacciono al
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Signore e invece prendere le tendenze nuove, le aspirazioni nuove, i desideri nuovi di amare Gesù Cristo con tutto il cuore, sopra ogni cosa. «Amare Dio con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze»3.
Parte negativa e parte positiva. Si lascia la famiglia non per il gusto di lasciare la famiglia, ma si lasciano quegli affetti naturali che possono e sono in realtà tante volte buoni, per amare di più il Signore, per concentrare il cuore in Dio, per amare un’altra famiglia, la famiglia religiosa. Quindi una mortificazione nel lasciare la famiglia e un’altra mortificazione nell’entrare e vivere nella nuova famiglia. Vivere una carità più larga, vivere un’osservanza religiosa più perfetta, vivere totalmente per il Signore.
Così, come una al mattino, al segnale dato, interrompe il sonno e risponde alla chiamata di Dio, fa una mortificazione: questo è il lato negativo. Ma la figliuola non si alza tanto per stare alzata, si alza per andare a pregare, per andare allo studio, per andare all’apostolato. E questa è la parte positiva: studiare, attendere alla preghiera, attendere all’apostolato, compiere gli uffici che ci sono da fare nell’Istituto.
La mortificazione ha sempre un doppio senso: lasciare la propria volontà per prendere quella di Dio che è più perfetta. Lasciare le cose della terra, quello che si poteva avere prima a casa, quello che poteva suscitare l’ambizione, la soddisfazione, per abbracciare invece il desiderio, nutrire il desiderio di beni superiori: Veras divitias amate4. Arricchirsi di meriti per l’eternità, di quei beni che anche con la morte non si perdono, anzi, dalla morte in avanti si cominciano a godere: i beni eterni.
I beni spirituali sono ineffabilmente più preziosi dei beni naturali. Così dobbiamo considerare la mortificazione come un rinnegare noi stessi in tante cose. Rinnegarsi nelle curiosità che non sono adatte alla nostra vita, anche in tante curiosità che non sono cattive, ma che non ci interessano, non ci portano al bene o sono almeno una perdita di tempo. Rinnegarsi
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nel gusto a tavola, rinnegarsi in ciò che è desiderio della carne, cioè la voglia di vedere, di sentire; il desiderio di seguire pensieri, fantasie, ricordi che non ci portano all’amore di Dio, anzi ci allontanano. Mortificarsi! E così mortificarsi nei sentimenti interiori: a volte è l’ambizione, a volte è la vanità, a volte è l’amor proprio, a volte è l’invidia, altre volte è attaccamento a una cosa, a una persona, a un uso, a un posto: rinnegarsi! «Qui vult post me venire abneget semetipsum»5. Rinnegarsi.
E oltre tutto questo che possiamo dire, in qualche maniera, parte negativa, bisogna considerare anche l’accettazione del dolore. La nostra vita ha sempre delle sofferenze: vi sono delusioni, vi sono dispiaceri, si sente a volte l’umiliazione di non essere capaci a fare una cosa o un’altra, a volte il senso di inferiorità invade così l’animo che non si è più capaci a sollevarsi: allora l’avvilimento. Occorre reagire: Non posso fare una cosa, ne posso fare un’altra; anche se sono infermo e non posso più fare l’apostolato, posso offrire al Signore le sofferenze che sono un apostolato superiore anche all’apostolato dell’azione. E così accettare il dolore morale e accettare il dolore fisico. La vita è piena di distacchi, finché viene l’ultimo distacco. Accettare tutto dal Signore onde, accettando questa umiliazione e questa pena, noi prendiamo la nostra croce, ciascuno la sua croce: «Tollat crucem suam». Ma tutto questo rinnegamento, questa sofferenza è la parte negativa.
Vi è poi la parte positiva indicata da Gesù: «Rinneghi se stesso, prenda la croce e mi segua», cioè questa persona concentri il suo cuore in me, guardi i miei esempi, mi imiti, mi accompagni anche al Calvario, per accompagnarmi poi in cielo. Ecco la parte positiva. Allora quando l’anima si arricchisce di pensieri che sono celesti, di sentimenti che sono spirituali, la lingua parla in maniera che riflette quello che sente dentro. La parte positiva. Applicarsi allo studio, non divagare; andare a scuola all’ora esatta, non ritardare cinque minuti; portarsi in chiesa subito, interrompendo quello che forse ci piaceva. E così in tutte le altre cose della giornata.
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La parte negativa e la parte positiva. La persona se si sforza a stare raccolta nella preghiera, fa la parte positiva; se la persona si concentra a capire quello che deve capire, se si impegna a imparare quel determinato lavoro di compositoria, legatoria, brossura, redazione, allora è comandata [a fare] la parte positiva, perché entra nei doveri quotidiani. È facile prendere un articolo fatto, ma quello non ha gran merito, il merito sta nel farselo. Nell’Istituto occorre che le forze siano tutte unite, e che ognuno come partecipa della stessa mensa eucaristica e partecipa della stessa tavola per nutrirsi, così ognuno può dare il contributo di sacrifici, di preghiere, di dedizione affinché si contribuisca al progresso spirituale, intellettuale, apostolico, al progresso umano e religioso. Tutti! Come si riceve, così si deve dare. E ognuno deve dare tanto quante sono le sue qualità. Ognuna di voi è stata accettata com’era, con le qualità fisiche, intellettuali, morali. Ora, questo che cosa implica? Che è intervenuto un contratto tra chi accetta il voto e chi lo emette. Un contratto che significa: l’Istituto si prende l’impegno di guidarti alla perfezione e all’apostolato, tu devi lasciarti guidare e contribuire all’Istituto, contribuire nelle quattro parti che ho ricordato.
Quindi, la parte negativa e la parte positiva. «Abneget et sequatur» sono le due parti, e in mezzo: «Prenda la sua croce», il dolore che deve accompagnare, che accompagna sempre la nostra vita, finché viene l’estremo dolore che, offerto a Dio, è la croce che sigilla tutta quanta la vita. Seguirà perciò la gloria.
Ma dobbiamo mortificarci? Se uno non si mortifica bisogna che dica: Io non intendo vivere cristianamente. Perché, come è vissuto Gesù Cristo? Cristiani sono coloro che seguono non solamente con la testa, cioè con la mente, credendo, ma imitando Gesù Cristo prendendo gli esempi che egli ci ha lasciato. E come sono i suoi esempi dal presepio alla croce? Quali esempi nel presepio, quali esempi nella casa di Nazaret; quali esempi nella vita pubblica e quali esempi nella vita dolorosa? E quali esempi nella vita eucaristica? Se vogliamo vivere da veri cristiani. Altrimenti dovremmo dire: Lascia quel bel nome oppure fa’ onore al tuo nome.
Del resto la mortificazione è necessaria per tutti gli uomini, anche non cristiani, perché i comandamenti sono di legge natu-
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rale per vivere da uomini retti, onesti. E nei comandamenti c’è ad esempio: Obbedire, 4° comandamento; amare il prossimo, 5° comandamento, e quante cose bisogna fare, quante mortificazioni per portare rispetto e amore al prossimo! Così nel 6° e nel 7° comandamento, sempre vi sono mortificazioni o interne o esterne, sono comandamenti che proibiscono i cattivi desideri e comandamenti che proibiscono anche le cattive azioni.
È necessaria la mortificazione, se si vuole imparare a scuola ci vuole l’applicazione; è necessaria la mortificazione se si vuole fare bello il libro; è necessaria la mortificazione se si vuole anche vivere in salute, perché chi non si regola riguardo al cibo, riguardo al coprirsi, ecc., non potrà avere quella salute che invece poteva avere secondo la sua condizione. Dunque, tutte le cose, specialmente tutte le opere buone sono segnate dalla croce. E quando noi operando il bene incontriamo il dolore, le privazioni, le maldicenze, le critiche, i giudizi contrari, e magari anche pericoli per la nostra salute o malattie, ecco quella è la prova che si opera per Dio, perché tutte le opere che sono veramente buone, sono segnate dalla croce.
Allora la mortificazione. Ma qui viene da parlare specialmente di quella mortificazione, di quella penitenza che sta in mezzo fra la penitenza e la mortificazione, cioè la Confessione. La Confessione è la penitenza-sacramento, quindi è la penitenza più necessaria e obbligatoria per tutti. La penitenza sta specialmente nel pentirsi, e nella Confessione noi ci pentiamo e poi facciamo l’atto di umiliazione e di penitenza di accusarci e di prendere quegli avvisi e consigli, quei mezzi che vengono suggeriti e perciò l’obbligo di emendarci. Questa emendazione sarà mortificazione, perché si dovranno rinnegare tante cose e se ne dovranno fare tante altre.
Allora in Quaresima molta attenzione a fare bene le Confessioni. Confessioni settimanali che tocchino propriamente i punti che sono da toccarsi. Non lasciare, così per negligenza o per paura di disturbarsi, cose e difetti che possono avere delle conseguenze. Non lasciarli nell’ombra, quasi simularli: la verità! Belle Confessioni, particolarmente perché si possano chiamare conversioni, segnino cioè un miglioramento settimana per settimana, mese per mese, anno per anno. Non è che
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sia subito tutto visibile, ma nel complesso delle Confessioni di un anno o di qualche anno si ha, si maturerà, si perfezionerà una virtù, la vita religiosa, si perfezionerà l’apostolato. Non si prenda magari l’abitudine di lasciare crescere i difetti scusandoli, oppure cercando la perfezione in una parte e chiudendo gli occhi invece sopra altri difetti che forse è più urgente correggere. Confessione!
Quanto poi alla mortificazione noi dobbiamo dire così: mortificazione nei pensieri, non solo cattivi, si capisce, ma neppure inutili; mortificazione dei sentimenti, non solo cattivi, si capisce, ma neppure quello che è inutile per il nostro stato, per la nostra vita religiosa. Mortificazione di lingua, dei sensi esterni, voglio dire. E quante volte dobbiamo pentirci di avere parlato troppo o fuori tempo e forse di aver taciuto quando si doveva parlare. Mortificazione della lingua! Così del gusto. E mortificazione dell’udito nel non ascoltare quello che non va ascoltato. E parte positiva: ascoltare bene, per esempio, nella scuola gli avvisi che vengono dati o le meditazioni che vengono fatte. Sempre la parte negativa e la parte positiva.
Così negli occhi. Vi sono tante cose che non conviene vedere e vi sono tante cose che conviene vedere, ad esempio leggere il libro di meditazione, leggere il libro buono, guardare le immagini sacre, guardare come fate il lavoro e che cosa c’è da fare perché riesca meglio. E vi sono poi le mortificazioni interne della fantasia: che non riproduca scene che non si devono riprodurre, ma riproduca scene buone, scene bibliche, riproduca il cielo, le scene della passione di Gesù Cristo, le cose di studio. Quindi la memoria e l’immaginativa, così che si possa proprio dire ciò che rispose il Signore a un’anima che gli domandava in che cosa doveva mortificarsi. La voce interiore rispose: Semper et in omnibus, mortificati sempre e in ogni cosa.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 9 marzo 1958. Trascrizione da nastro: A6/an 44a = ac 75b. Ritiro mensile alla comunità ed Esercizi spirituali alle suore che hanno partecipato al Convegno della San Paolo Film.
2 Cf Rituale della vestizione delle FSP, ed. 1958, p. 14. Cf anche Col 3,9-10 e Ef 4,24.

3 Cf Lc 10,27.
4 “Amate le ricchezze vere”. Cf Breviarium romanum, domenica di Sessagesima, III Nocturno, Lectio IX, Homelia XV in Evangelium, di S. Gregorio Magno (540ca.-604).

5 Cf Mt 16,24: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».