Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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17. IN OCCASIONE DEI FUNERALI
DI MADRE ANTONIETTA MARELLO PDDM1

Dobbiamo ricordare quelle parole dell’Oremus: Deus cuius bonitatis non est numerus: Signore, le cui misericordie non hanno numero2. Il Signore si degna di mettere, e far passare su questa terra così piena di miserie e di peccati dei fiori, i quali spargono il loro profumo e ricordano il fine dell’uomo. Madre Antonietta3, di cui stiamo celebrando il rito sacro per il suo riposo eterno, è uno di questi fiori: la viola, fiore di umiltà, e nello stesso tempo fiore di saggezza, di fortezza. Fiore di umiltà poiché sempre si è stimata buona a nulla, e fiore di fede in quanto sempre ha creduto e nella sua fede, nonostante la debolezza del suo fisico, operò per Dio e per la Congregazione delle Pie Discepole4 con costanza e con grande frutto.
Due pensieri: la sua fede e in secondo luogo la sua dedizione al Signore. La sua fede: ella è entrata nella Famiglia Paolina quando ancora nessuna cosa esterna poteva assicurare lo sviluppo che la Famiglia Paolina avrebbe avuto in seguito. E anche senza comprendere allora il futuro apostolato al quale avrebbe poi dedicato le sue forze, credette. Ed entrò giovane. E
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successivamente credette quando venne il momento di mettere da parte alcune figliuole per costituire in seguito la Congregazione delle Pie Discepole di Gesù Maestro.
Le vicende sono state tante, ma ella non dubitò mai. E si piegava ad ogni invito e ad ogni disposizione, anche quando le cose, i fatti esterni sembravano contrari. Così procedette in tutta la sua vita. E così concluse la sua vita. La sua fede! Dobbiamo sempre ricordare: Da me nulla posso, e nello stesso tempo: Con Dio posso tutto5. Ricordando: Da me nulla posso togliamo la fiducia in noi, perché quando cominciamo a confidare in noi, che cosa avviene? Avviene ciò che è successo al fariseo della parabola del Vangelo di oggi6, che entrò a pregare nel tempio e avanzò con orgoglio verso l’altare e, anziché pregare, cominciò a lodarsi. Invece di domandare le misericordie di Dio, cominciò a esporre i suoi meriti. E ritornò a casa vuoto e peccatore come prima, se non peggio. Ben diverso fu il comportamento del pubblicano, il quale si inginocchiò in fondo al tempio e senza alzare la sua fronte, si picchiava il petto riconoscendosi peccatore e invocava la misericordia di Dio. Ebbe fede nella misericordia di Dio e tornò a casa santo.
Così è la condizione di ognuno. Particolarmente quando si tratta di vocazioni, di vocazioni particolari, quando si tratta di vocazioni che vanno incontro a difficoltà e sembra che tanti pensieri, tanti consigli si esprimano in senso contrario. Fede! Iddio premia sempre la fede: «Chi confida in lui non sarà confuso»7, ma chi confida in se stesso… Ecco la parabola, detta da Gesù per alcuni, i quali «in se confidebant» e disprezzavano gli altri: «Aspernabantur ceteros»8. Allora, l’umiltà e la fiducia in Dio assicurano una vita santa, una vita piena di meriti, una morte serena, una gloria imperitura in cielo.
In secondo luogo, Madre Antonietta non ebbe moltissimi doni dalla natura, ne ebbe però tanti per la via della grazia, per
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mezzo dello Spirito Santo. Ella rispose a tutte le grazie ricevute e, possiamo dire, per quanto a noi poveri uomini è dato conoscere, compì quello che è detto nella professione: Tutto mi dono, offro e consacro a Dio. Tutto! La forza sta in questa parola: tutto. Si diede tutta. Ora, la santità sta appunto nel darsi totalmente a Dio. E che cosa significa questo? Significa che noi abbiamo ricevuto dei talenti da Dio: De tuis donis ac datis offerimus majestati tuae9, offriamo quello che abbiamo ricevuto, compiamo il nostro dovere, usando secondo il volere di Dio i talenti che egli ha voluto elargirci, secondo la missione particolare di ognuna, secondo le grazie particolari, specialissime di ognuna. La santità sta qui: ritornare a Dio quello che da Dio si è ricevuto. Ritornarlo in intelligenza, in sapienza, per quel che riguarda i doni naturali e per quel che riguarda i doni soprannaturali, le grazie.
Il suo tempo fu speso continuamente per il Signore. Il gran dono del tempo! Il gran dono della vita! Questa vita che per noi può essere il maggior tesoro, e può diventare per gli uomini che non capiscono la ragione dell’esistenza della vita, può diventare un tranello che conduce all’eterna perdizione. La vita di per sé è nulla, ma è tutto in ordine all’eternità.
Ella consacrò la sua vita al Signore, non ebbe mai un istante di dubbio, e sapeva sempre ricorrere a Dio per confermarsi; sempre sapeva ricorrere alle persone che dovevano compiere questo ministero di confermarla. E non vacillò. Consacrò a Dio tutto: i pensieri, la mente; il cuore, i suoi affetti; le forze, la sua volontà ferma, il suo spirito di laboriosità. Tutto! In povertà, in castità, in obbedienza. Accettò di andare, appena entrata, nel primo nido delle Figlie di San Paolo a Susa.
Compì in Casa Madre10 vari uffici: venne poi messa da parte con altre sette sorelle11 per iniziare la famiglia delle Pie Di-
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scepole. Successivamente tra le Pie Discepole ebbe l’incarico di assistere e formare le aspiranti e le novizie. E con quale dedizione e con quale esattezza! Maternità insieme a fermezza. E quello che ha compiuto a Roma: una prima volta e poi un’altra volta come superiora. E quanti Discepoli, e quanti Sacerdoti le devono riconoscenza! A Catania, ugualmente: compì fedelmente quello che le era stato affidato. E in Spagna lasciò la casa che, attualmente è casa di formazione per quella nazione, dopo averla acquistata e anche sistemata in modo adatto per la vita religiosa.
La sua salute, indebolendosi, richiedeva un ufficio di riguardo, di attenzione, una diminuzione di fatica. Nel Capitolo dell’anno passato12, dopo Bordighera, venne a Roma e fu eletta consigliera, dove continuò a mostrarsi semplice, umile, generosa, schietta, piena di fede. Tutti coloro che hanno avuto contatto più diretto con Madre Antonietta, possono testimoniarlo.
Allora l’insegnamento è questo: la forza sta tutta in quel ‘tutto’, ‘tutta’. «Amerai il Signore con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze»13. La santità sta in questo: la fiamma non lascia fumo, per quanto è possibile all’umana fragilità, ma ascende limpida al cielo. Ed è tutta fiamma: non vi entrano l’amor proprio, non vi entrano le invidie, l’orgoglio, le sensibilità, i propri modi di vedere, gli attaccamenti. Fiamma che sale.
Non possiamo dire che fosse senza difetti: ne aveva, e parecchi, ma era fiamma che si purificava ogni giorno, e il Signore volle egli stesso intervenire a purificarla negli ultimi mesi della sua vita. Tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze: religiosa piena! Ecco, tutto l’essere donato a Dio. De tuis donis ac datis offerimus majestati tuae: offriamo al Signore. Persone che occupano la loro mente ancora in tante cose inutili: verginità di mente! Non mescolare pensieri buoni a pensieri non buoni o pensieri vani e inutili, pensieri che non riguardano la nostra santificazione, la nostra missione. Tutto il cuore: vergi-
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nità di cuore. Non sentimenti santi, sentimenti di amore dopo la Comunione, e poi sentimenti di orgoglio, sentimenti di invidia e altri sentimenti ancora più bassi. Tutto il cuore e tutte le forze, e cioè tutta la volontà. Non propositi stamattina e poi di lì a un’ora parole ben diverse, azioni ben diverse dai propositi fatti. Verginità di volontà.
E allora presentandosi a Dio: «Mi hai dato cinque talenti, ecco ne ho guadagnati altri cinque»14. Tutti dobbiamo fare questa riflessione. Tutti.
Ora vediamo un po’: abbiamo occupato tutta la nostra vita santamente, tutta per Dio? Abbiamo occupato tutte le nostre facoltà: la mente, il cuore, le forze in senso verginale? Gli occhi furono sempre ben usati, la lingua fu sempre ben usata, le qualità intellettuali furono sempre ben usate? Se, in sostanza, anche la salute, anche la fantasia, l’immaginativa, la memoria, tutto l’essere è stato impiegato per il Signore, allora la fiamma ascende senza fumo. Tuttavia, nella nostra miseria, un po’ di fumo lo incontreremo, lo scopriremo sempre. Ma quando lo si vede, quando ci sforziamo per emendarci, quando ci sforziamo perché la fiamma divampi sempre di più, e sia sempre più limpida, più calda, allora anche le miserie umane non sono volontarie e quindi non disgustano il Signore. Perché? Perché cerchiamo di combattere ciò che non piace a Dio e cerchiamo di sostituire ciò che piace a Dio, in modo che veramente tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze, tutta la volontà siano di Dio.
Una domanda che mi faccio e una domanda che ciascuno di voi può farsi: Se oggi il Signore ci chiamasse al rendiconto, se domani si celebrasse per noi il funerale come stiamo celebrando, potremmo dire con serenità: De tuis donis ac datis: tutti i doni che mi hai dato, o Signore, li ho spesi per te? E gli altri potrebbero dire parole di lode, e si potrebbero fare dei riconoscimenti di virtù e di opere compiute, come adesso abbiamo ricordato per Madre Antonietta?
Tuttavia ricordiamo l’oremus di oggi: Deus qui omnipotentiam tuam maxime... dimostri la tua onnipotenza massima-
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mente miserando et parcendo15 avendo pietà e risparmiandoci i castighi che abbiamo meritato. Ricordando quest’Oremus preghiamo per la buona Madre Antonietta defunta e nello stesso tempo domandiamo al Signore il perdono di quello che è ancora addosso a noi come debito verso la bontà di Dio. Domandiamo perdono e ogni volta che ricorderemo Madre Antonietta, ci serva sempre questo pensiero: Tutto, non in parte! Tutto a Dio! Verginità!
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1 Omelia alla Famiglia Paolina tenuta nella cripta del Santuario Regina degli Apostoli, Roma 3 agosto 1958. Trascrizione da nastro: A6/an 54a = ac 90b. Stampata in fascicolo dalle Pie Discepole del Divin Maestro. Il Diario Sp. annota: “Il Primo Maestro va nella cripta del Santuario Regina degli Apostoli in attesa che arrivi la salma... dopo la lettura del Vangelo sale sul pulpito e tiene l’omelia”.
2 Citazione letterale: “Deus, cujus misericórdiae non est númerus, et bonitátis infinítus est thesáurus: Signore, le cui misericordie non hanno numero e infinito è il tesoro della tua bontà…”.
3 Maria Marello (1898-1958) entrata come aspirante nel 1918 nella piccola comunità di via Accademia, considerata in quel tempo la “Sezione femminile della Scuola tipografica”, fu consigliata da Don Alberione di ritornare in famiglia. Egli stesso la richiamò nel 1921 per inviarla nella comunità di Susa. Ritornata ad Alba fu scelta per fare parte del nucleo iniziale delle Pie Discepole del Divin Maestro e nella professione religiosa del 25 marzo 1924 prese il nome di suor Antonietta del Divin Maestro. Fu diretta collaboratrice di Madre Scolastica Rivata e fedelissima alla guida del Fondatore. Assunse incarichi di formazione e uffici di responsabilità in Italia e all’estero. Nel Capitolo generale del 1957 fu eletta consigliera generale.
4 Le Pie Discepole del Divin Maestro, nate il 10 febbraio 1924, ebbero l’approvazione diocesana il 3 aprile 1947, la prima approvazione pontificia e Decretum laudis il 12 gennaio 1948 e l’approvazione definitiva il 30 agosto 1960.

5 Invocazione che Don Alberione ereditò dalla spiritualità di S. Francesco di Sales, cambiando l’ultima espressione “a me il disprezzo” con “a Dio l’onore, a me il paradiso”.
6 Cf Lc 18,9-14.
7 Cf Sal 125,1.
8 Cf Lc 18,9: «Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri».

9 “Offriamo all’eccelsa tua Maestà ciò che ci hai elargito e donato”. Dal Canone romano della Messa.
10 Riferimento alla Casa Madre della Società San Paolo in Alba.
11 Orsola Rivata, suor Scolastica della Divina Provvidenza (1897-1987); Metilde Gerlotto, suor Margherita delle Anime purganti (1899-1965); Assunta Ricciardi, suor Maria di S. Giuseppe (1905-1999); Rosalia Binello, suor Teresa dell’Addolorata (1905-1985); Teresa Micca, suor Annunziata di Maria (1899-1977); Margherita De Luca, suor Paolina dell’Agonia di Gesù (1902-1965); Teresina Adriano, suor Giacomina dell’Angelo custode (1898-1967).

12 Il primo Capitolo generale delle Pie Discepole si tenne a Roma in via Portuense dal 27 marzo al 6 aprile 1957.
13 Cf Mc 12,30.

14 Cf Mt 25,15.

15 Orazione della X domenica dopo Pentecoste. Citazione letterale: Deus, qui omnipotentiam tuam maxime parcendo et miserando manifestas: O Dio, che soprattutto nella pietà e nel perdono riveli la tua onnipotenza...