Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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5. DICIANNOVESIMO CENTENARIO
DELLA LETTERA DI PAOLO AI ROMANI1


Quest’anno ricorre il diciannovesimo centenario della lettera ai Romani2. S. Paolo infatti scrisse questa lettera a Corinto nella casa di Gaio, quasi con certezza prima della Pasqua di quell’anno 58, e la mandò per mezzo di Febe che era già stata di aiuto a lui e a molti cristiani a Corinto. Questa la portò a Roma. E così S. Paolo precedeva la sua venuta a Roma, avvertendo che sarebbe passato di lì quando avrebbe fatto il viaggio in Spagna. Gli avvenimenti successivi poi furono molto movimentati, perché intanto S. Paolo era stato incarcerato e la sua venuta a Roma fu ritardata. Vi arrivò legato, prigioniero, per santificare con i suoi dolori, prima che con la sua parola, la città che doveva essere capitale del cristianesimo.
La lettera di S. Paolo è il principale saggio dell’apostolato delle edizioni e ne è il modello. Per questo, quando si è costruita la chiesa a S. Paolo, in Casa madre, si è voluto rappresentare questa lettera3 [con la vetrata collocata] sopra l’altare, sopra la gloria4. Inoltre che fosse messo ciò che la ricordava: da una parte la città di Corinto, dove la lettera era stata scritta, e dall’altra parte, la città di Roma, alla quale era destinata, affinché tutti avessero sempre presente quale è l’indole del nostro apostolato. E riducendo tutto a una parola: come noi dobbiamo dare il Vangelo nei tempi attuali e in ogni tempo, perché S. Paolo fu il fedelissimo interprete di Gesù Maestro, di quel Vangelo che egli aveva predicato. E questo Vangelo lo applicava ai vari bisogni, alle varie nazioni, secondo le necessità. Sempre lo stesso Vangelo, ma il Vangelo spiegato e applicato.
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Sempre così si deve fare l’apostolato. Sempre. E vi è stato chi non ha interpretato bene il senso di quella vetrata quindi, quando hanno rimesso le vetrate ritoccate, l’hanno messa al fondo della Chiesa5.
Il diciannovesimo centenario di questa lettera è già stato celebrato in varie parti, principalmente all’Istituto Biblico6a cui, in primo luogo, apparteneva questa celebrazione, essendo questo Istituto appositamente eretto per la interpretazione della Bibbia.
Che cosa descrive allora S. Paolo in questa lettera? S. Paolo, in primo luogo saluta i romani e cerca di guadagnarsi la loro stima, e introdursi per esporre quello che viene chiamato: Il Vangelo secondo S. Paolo. Egli espone la tesi che vuole dimostrare in quella grande lettera, cioè che il Vangelo è la virtù di Dio offerta ad ogni uomo. In primo luogo era destinata agli ebrei, in secondo luogo a tutti i gentili. Salute per chi crede e di conseguenza salvezza. Quindi S. Paolo espone nei primi quattro capitoli le idee fondamentali che sono queste: tanto i giudei come i gentili avevano demeritato la salute, si erano abbandonati al male ed erano macchiati.
I gentili sono rimproverati di molte colpe; agli ebrei si oppone la inosservanza della legge e particolarmente l’errore per cui essi credevano che tutto fosse secondo la legge, di modo che essa fosse necessaria e che bastasse alla salute. Quello che salva, dice S. Paolo, tanto gli ebrei come i gentili è la fede in Cristo. E lo dimostra parlando specialmente di Abramo, il quale, ebbe fede e per questa fede divenne il «padre di molti popoli»7, nel senso che tutti coloro che crederanno, sono da
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considerarsi come figli suoi, figli non carnali, ma figli per lo Spirito, per la fede. E Abramo credette a Dio e la sua fede gli fu imputata a santificazione, a giustizia, e ricevette le promesse e le promesse si adempirono. Ed ecco che egli per mezzo della fede ottenne la grazia di Dio, la benedizione di Dio e la sua missione fu compiuta.
Ugualmente, Iddio, mandò il suo Figliuolo, il quale si incarnò nel seno purissimo della Vergine, predicò il Vangelo, morì sulla croce per la salvezza di tutti. E chi crederà sarà salvo, e chi non crederà viene già condannato. Il Signore ebbe compassione dell’umanità e per salvarla mandò lo stesso suo Figliuolo. Allora chiunque crede, crede in Gesù Cristo e segue la sua Parola. Non è una fede soltanto teorica, ma deve essere accompagnata dalle opere. Chiunque crede in Gesù Cristo sarà salvo. Abbiamo allora i frutti che vengono dalla fede in Gesù Cristo e dalla giustificazione. I frutti sono: la pace con Dio, la liberazione dalla schiavitù del peccato, perché per mezzo del Battesimo siamo purificati. Poi la fiducia, anzi la certezza che vivendo secondo Gesù Cristo si arriva alla vita eterna, al paradiso.
Tuttavia, non tutti gli ebrei ricevettero Gesù Cristo, anzi, molti rifiutarono di credergli e lo crocifissero. Però la loro riprovazione, ostinazione, non fu generale, infatti molti credettero a Gesù Cristo, e tutti quelli che hanno creduto divennero figli di Dio. E tra quelli che hanno creduto, in primo luogo la Vergine santissima, e tutti gli apostoli. Il mondo fu evangelizzato dagli apostoli che sono tutti ebrei: S. Paolo, S. Pietro, S. Andrea, ecc.
La riprovazione [degli ebrei], il loro accecamento era già stato predetto, com’era stato predetto che i gentili, cioè i pagani, tra i quali siamo noi, sarebbero entrati nella Chiesa, sarebbero appartenuti al regno di Dio. Tuttavia S. Paolo, mentre si mostra addolorato per l’ostinazione dei suoi connazionali, gli ebrei, predice il loro ritorno. Un giorno si ravvederanno, almeno gran parte di loro, ed avranno anch’essi parte nel regno di Dio. Quindi l’Apostolo incoraggia tutti a vivere in Cristo, cioè a credere alla sua Parola, a seguire i suoi esempi e a predicare i suoi precetti, indicando così la via della salvezza.
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S. Paolo, poi, in quattro capitoli mostra ciò che devono fare coloro che hanno ricevuto il Battesimo, coloro che sono cristiani. E parla di tre doveri. Primo, il dovere verso Dio: conservare puro e innocente il cuore e offrire la propria vita come ostia vivente, santa, gradita a Dio. Secondo, parla della carità che si deve avere verso il corpo sociale che è la Chiesa e cioè, come bisogna amare tutti i fratelli, ed espone come la carità sia il riassunto della legge, e chiunque vuole piacere a Dio, in primo luogo, deve praticare la carità. Quindi, dice di perdonare le offese, di soccorrere i poveri, soprattutto spiega a lungo come aiutare i deboli e rispettare la loro debolezza. Poi il soccorso che si deve dare a coloro che sono in necessità. In sostanza fa le applicazioni che riguardano la virtù della carità. Espone quindi l’obbligo di obbedire alle autorità costituite, perché non c’è potere che non venga da Dio e le cose che sono da Dio occorre rispettarle. Essere sottomessi.
Infine S. Paolo parla di coloro che gli furono compagni nel suo apostolato e saluta coloro che, già suoi discepoli, si trovavano allora a Roma. Saluta ventiquattro persone che nomina, ricordando quello che avevano fatto per lui e come lo avevano aiutato nel suo apostolato. Quindi fa una conclusione in cui glorifica nostro Signore Gesù Cristo e, in lui, il Padre celeste. E conclude la sua lettera con la sua firma.
Ora, in che modo questa lettera deve essere considerata come il modello delle edizioni? E deve formare per noi la sostanza di quello che predichiamo, di quello che diciamo, di quello che scriviamo, di quello che diffondiamo? In che modo? Essere, in primo luogo, ben rivestiti dello Spirito di Gesù Cristo. S. Paolo, dopo la conversione avvenuta a Damasco, passò circa dieci anni prima di mettersi a predicare, quando cioè venne chiamato ad Antiochia da Barnaba, suo parente, suo cugino. Successivamente, dopo un certo tempo, venne consacrato per il suo apostolato per i gentili. Allora incominciò!
In primo luogo quindi: studio, pietà, formazione religiosa. Dobbiamo essere pieni di quello che vogliamo dare. Se vogliamo portare alle anime il bene, bisogna che lo possediamo, perché nessuno dà ciò che non ha. Quello che esteriormente si può dire, quello che viene preso da altri, può in qualche ma-
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niera aiutare, ma il modo di darlo non è la sostanza di quel che si dà. Occorre possedere la grazia di Dio, lo spirito cristiano, o meglio essere veramente religiosi osservanti.
In secondo luogo: S. Paolo adatta i principi del Vangelo, li interpreta, li spiega e dà agli uomini del suo tempo, particolarmente ai pagani, quello che a loro è necessario. Occorre sempre tenere presente qual è l’uditorio, quali sono i lettori, quali sono gli spettatori del cinema, e dare loro quello che può fare del bene, o direttamente o indirettamente. Lo spirito di S. Paolo! S. Paolo è il padre, noi dobbiamo prendere da lui lo spirito. La mentalità, la sentimentalità, cioè l’amore a Gesù Cristo e l’amore alle anime, la condotta, la vita. S. Paolo religioso santissimo! Così la nostra vita sia santa, come veri figli di S. Paolo.
In terzo luogo: lo zelo. S. Paolo conteneva nel suo cuore tutti i popoli. Diceva che il suo cuore si era dilatato per accogliere tutti nelle sue intenzioni, nelle sue preghiere, nei suoi desideri. L’amore alle anime! L’amore a tutte le anime, particolarmente a quelle che vivono nelle tenebre, nell’ignoranza. Il cuore di S. Paolo era continuamente preso dall’amore a Gesù Cristo e preso dall’amore alle anime, perché il suo cuore era animato dagli stessi sentimenti del cuore del Maestro divino. Allora, lo zelo per la salute delle anime. Non molte parole, ma molte cose per le anime.
L’apostolato quotidianamente seguito, tenendo presenti tutti gli uomini. È vero che ci sono ancor molte nazioni a cui non si arriva, e nazioni grandi, come la Cina: cinquecentoquaranta milioni di cinesi parlano la loro lingua e pochissimi sono cristiani. Nonostante il nostro ministero sia ancora molto limitato, pensare a tutti. Pregare per tutti! E aspettare l’ora in cui sarà possibile arrivare. Quindi da S. Paolo prendere il suo zelo.
Fra i libri della Scrittura da leggersi, particolarmente il Vangelo, le lettere di S. Paolo e fra le lettere la prima, la più importante, quella ai Romani. Quest’anno meditarla bene. In principio sembrerà un po’ dura, perché S. Paolo è dominatore della storia, dalle idee vastissime che non tutti riescono subito a comprendere, né ad assimilare. Ma se noi siamo umili, lo Spirito Santo parlerà alle nostre menti e ci farà capire molte cose, perché non
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è necessaria tanta istruzione. In primo luogo è necessario avere il cuore puro, l’umiltà per essere illuminati da Dio, e nelle altre cose occorre sempre moderazione. S. Paolo dice in questa lettera, in quel versetto che parecchi non intendono bene ma che ha il suo senso profondo: «Sàpere ad sobrietatem»8.
L’umiltà del cuore in tutto, e allora lo studio porta le cognizioni necessarie. Da queste cognizioni allargate nella luce dello Spirito Santo e sentite con fede profonda nasce lo zelo. E tutto quel che si apprende diviene mezzo, strumento di apostolato. Quindi quest’anno abbiamo da considerare questa lettera, particolarmente nelle Visite.
Un tempo nelle scuole di Sacra Scrittura si dedicava un’annata intera per lo studio di questa lettera. E tale epistola si studiava alla lettera, perché fossero assimilati i profondi e larghissimi concetti di S. Paolo. Pensare sempre che la lettera pare difficile a primo aspetto. Ci vuole un po’ di mortificazione e un po’ di sforzo. Quando poi si è riusciti a prendere il gusto dello stile e specialmente del pensiero dell’Apostolo, allora, quasi non si può più distaccarsene. E in questo si potrebbe avere come esempio il Maestro Giaccardo9, il quale formava delle lettere di S. Paolo il suo nutrimento quotidiano, e così ne faceva parte a coloro a cui doveva predicare. Si può aprire la Scrittura dove è esposta10, alla pagina di questa lettera di S. Paolo, ma più di tutto portarsela alla Visita e leggerla durante la prima parte della Visita. Se non tutti i concetti sono subito compresi, si potrebbe dare una spiegazione in qualche scuola o in qualche lettura spirituale.
Allora l’apostolato si orienterà sempre meglio, perché nell’apostolato vi sono pericoli di deviazione. Se noi seguiamo S. Paolo questo pericolo lo schiveremo, ci sarà sempre, certamente, ma lo schiveremo. S. Paolo lamentava che dopo di lui sarebbero sorte persone che non seguivano la vera dottrina e
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l’avrebbero corrotta con le spiegazioni che ne avrebbero date. Questo pericolo c’è sempre. L’apostolato nostro è cosa delicata e può essere molto frainteso. Si vuole piacere, e si fa bene a voler piacere, ma piacere a Dio e guardare al bene delle anime. Questo è il modo di piacere! Invece, per piacere e attirarsi l’affezione umana e la stima degli uomini, S. Paolo dice: «Se ancora piacessi agli uomini non sarei servo di Gesù Cristo»11. Mirare a contentare il mondo non è mirare a contentare Gesù Cristo e non è soccorrere le anime come conviene. Occorre che noi teniamo sempre presente: Dio, da cui tutto viene, S. Paolo che è il modello di come dare Dio, e poi le anime a cui tutto deve essere dato. Così l’apostolato nostro si terrà nella vera sua via. E particolarmente quest’anno esaminiamolo: che cosa diamo, come lo diamo, a chi lo diamo. Tre domande: Come bisogna credere Deum, credere Deo e credere in Deum12.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 3 febbraio 1958. Trascrizione da nastro: A6/an 43a - ac 73b. Stampata in opuscolo (ottavo), rivista dal Primo Maestro.
2 Cf med. 3, nota 5.
3 Cf med. 3, nota 7.
4 L’opera maggiore del presbiterio del Tempio S. Paolo è la maestosa scultura opera di Virgilio Audagna (1903-1995) in marmo bianco, detta la “gloria di S. Paolo” (1942). Inizialmente la vetrata della lettera di S. Paolo ai Romani era collocata sopra la “gloria”.

5 Si tramanda oralmente che durante la seconda guerra mondiale tutte le vetrate del Tempio S. Paolo furono rimosse per salvarle dai bombardamenti. Quando si trattò di rimetterle a posto il superiore della comunità della Società San Paolo di Alba, don Timoteo Giaccardo (1896-1948), fece collocare sul presbiterio, sopra la gloria di S. Paolo, la vetrata corrispondente alla gloria, mentre la vetrata della lettera ai Romani fu collocata sopra la cappella della Regina degli Apostoli, a sinistra guardando il presbiterio. Don Alberione rimase dispiaciuto della nuova collocazione.
6 Il Pontificio Istituto Biblico (PIB) è un’istituzione universitaria cattolica con sede a Roma. Fu fondato il 7 maggio 1909 da Papa Pio X e affidato alla Compagnia di Gesù. È un centro di studi sulla Sacra Scrittura per promuovere la dottrina biblica e gli studi connessi secondo lo spirito della Chiesa cattolica.
7 Cf Rm 4,18.

8 Cf Rm 12,3: «… avere di voi una giusta valutazione».
9 Beato Timoteo Giaccardo (1896-1948), primo sacerdote della Società San Paolo, nato a Narzole (Cuneo), collaboratore fedelissimo del Fondatore e vicario generale. Fu un figlio devoto di San Paolo da cui assimilò lo spirito con la preghiera e lo studio assiduo delle sue lettere.
10 Per molti anni ci fu l’abitudine di tenere la Bibbia aperta esposta in ogni ambiente della casa e dell’apostolato.

11 Cf Gal 1,10.
12 Cf Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II/II, 2, art. 2. “Credere Dio, cioè che Dio esiste; credere a Dio, cioè accogliere e ricevere la sua Parola, credere in Dio, a ciò che egli dice”.