Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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32. GLORIA A DIO E PACE AGLI UOMINI1

Questa meditazione ha pure lo scopo di farvi gli auguri e così dispensarvi dal farli a me. Gli auguri ce li scambiamo presso l’altare.
Gli auguri per noi non possono essere altri che quelli che hanno cantato gli angeli sopra la capanna di Betlemme2. Auguri che erano anche il programma di Gesù, il fine per cui il Figlio di Dio si era incarnato. E il fine era doppio: glorificare Iddio e portare la pace agli uomini.
Glorificare Dio. Dargli quella gloria che gli uomini gli avevano negato. Con il peccato gli uomini avevano negato la debita obbedienza, la fede e il vero culto che dovevano avere per Dio. Quante deviazioni di mente, di cuore e deviazioni nel culto! Quante false divinità avevano onorato gli uomini prima di Gesù Cristo! E, dolorosamente, vi sono ancora regioni dove il culto alle false divinità non è ancora tolto. Glorificare Dio e portare la pace agli uomini! Questo dev’essere in primo luogo il nostro fine: glorificare Dio.
Il Signore ha creato tutto per la sua gloria. Tutti i beni naturali che ci sono e tutti i beni soprannaturali sono tutti di Dio. Noi dovunque andiamo, qualunque cosa guardiamo, qualunque cosa tocchiamo, tutto è dono di Dio. Quello poi che penetra in noi, i pensieri santi, i desideri santi, l’unione con Dio mediante la grazia, la vita spirituale, la vocazione: tutto è di Dio, e tutto Dio ha ordinato alla sua gloria. Dio, che pure può tutto, non potrebbe fare diversamente, perché sarebbe assurdo.
Quindi, se noi vogliamo proprio entrare nei fini di Dio, in ciò che è l’amore a Dio, sempre tendere alla sua gloria. Diversamente noi operiamo contro Dio oppure operiamo fuori di Dio. Se si scrive una lettera, e questa lettera ha un falso indirizzo, ancora che sia una lettera buona, per il falso indirizzo non
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andrà a destinazione. Quand’anche noi facessimo tante cose belle che sembrano buone nell’apostolato, nell’attività, nello studio, nelle opere anche di culto, ma se non le indirizzassimo a Dio, sarebbero come una lettera con falso indirizzo: non va a destinazione. Anche se la scrivete al Padre quella lettera con falso indirizzo, non va a destinazione. Così un’opera che non si offre a Dio, che non si fa con l’intenzione fondamentale di procurare la gloria di Dio, non va a Dio, va persa. Va perduta quell’opera! Non ci serve per l’eternità.
Qualche volta però le lettere con falso indirizzo, siccome hanno l’intestazione, ritornano al mittente. Qualche volta un’opera si fa per soddisfazione propria, per ambizione, per evitare soltanto il rimprovero e la brutta figura, per guadagnare stima, allora l’opera ritorna a noi, soddisfa noi, ma non va a Dio, e quindi produce niente per l’eternità. Come una lettera che torna indietro, al mittente.
Somma attenzione alla rettitudine delle intenzioni, delle aspirazioni. Avere i desideri di Gesù stesso che cercava la gloria di Dio: «Io non cerco la mia gloria, dice Gesù, ma la gloria di colui che mi ha mandato»3, cioè del Padre. E, dolorosamente, anche nelle persone che vogliono consacrarsi a Dio o che sono consacrate a Dio, ci sono a volte intenzioni di amore proprio. La lettera è indirizzata a se stesso da colui che la scrive. In sostanza la lascia senza indirizzo. Resta nelle sue mani. Si ha una soddisfazione: Eh, mi hanno detto brava!. E così finisce lì, e il premio eterno non ci sarà. Quanti inganni qui sopra! Quante aspirazioni, desideri, intenzioni che non sono a gloria di Dio! Eppure, per lo più, sono intenzioni irragionevoli, contro di noi, perché non cercando la gloria di Dio sulla strada noi troviamo la gloria nostra, la felicità nostra. Ma se non cerchiamo la gloria di Dio, non troviamo neppure la nostra, non troviamo cioè il premio del paradiso, non troviamo la gloria eterna.
Con le nostre intenzioni, indirizzando tutto con le nostre intenzioni a Dio, glorifichiamo Dio e procuriamo la gloria nostra. Come al mattino per arrivare in chiesa bisogna attraversare il cortile, e se non si attraversa, non si arriva alla chiesa, così
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allora se noi non miriamo alla gloria di Dio, neppure procuriamo la nostra, quindi andiamo contro lo stesso nostro amor proprio, contro i nostri interessi. Perciò sempre alle opere mettere l’indirizzo giusto. Vi offro tutte le azioni della giornata per la gloria di Dio, per la vostra maggior gloria. Oppure: Vi offro, con il Cuore Immacolato di Maria, tutte le orazioni, azioni, e patimenti, con quelle intenzioni per le quali voi continuamente vi immolate sugli altari4. Queste sono le intenzioni di Gesù, le intenzioni con cui egli si immola sugli altari oggi, le intenzioni con cui Gesù è venuto tra gli uomini, le intenzioni che quel Bambino aveva in quella grotta, in quella greppia, su quel poco fieno. Quel Bambino… avere il suo cuoricino.
Un’anima consacrata non può essere che questo: la mente, il cuore, le intenzioni, le attività consacrate a Dio, e cioè di Dio. Se noi togliamo da Dio le nostre intenzioni, per quell’opera ci sconsacriamo. Non va al suo fine, non è per Dio, e noi ci togliamo un po’ da Dio, perché gli neghiamo un po’ della nostra capacità, del nostro essere, delle nostre azioni.
Somma attenzione alla rettitudine d’intenzioni. Se avrete sempre rettitudine d’intenzioni nell’anno prossimo, quanti più meriti, e quanta più gloria a Dio e quindi quanta maggior felicità in eterno! Questo è il vero amor proprio: Voglio operare per me, diceva quel santo, non per gli altri. Cosa mi importa che gli altri dicano bene, se io invece non sento che il Signore è contento di me? E cosa m’importa che dicano male, se per caso involontariamente ho sbagliato, se io ho operato per Dio e ho fatto quello che potevo. Tutto quello che fate nella giornata è buono. Rimane solo che sia fatto in grazia di Dio, e questo si suppone sempre, e secondo che ci sia la retta intenzione. Tutto vada a Dio!
Il secondo augurio, che è la seconda parte del canto degli angeli, e quindi il secondo fine per cui il Figliuolo di Dio si è incarnato: «La pace degli uomini». Pacificare gli uomini con Dio. «Utraque unum»5. L’uomo era separato da Dio, e in lui l’uomo e Dio si riuniscono, perché Gesù ha soddisfatto per i
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nostri peccati, cominciando là, nel presepio, fino a che è spirato sulla croce. Allora, riconciliato con Dio, l’uomo poté di nuovo alzare la testa e guardare al cielo: Io ho il paradiso aperto se voglio. Se voglio arrivare lì, passare attraverso Gesù.
E pace ancora in noi stessi, nella coscienza quando si sa che si sta con Dio, che si fa la sua volontà. Pace! Togliendo anche quel complesso di agitazioni che a volte sono vane, come gli scrupoli che non piacciono a Dio. La pace allora si trova nell’obbedienza, cioè nel fare la volontà di Dio. E non c’è modo di piacere a Dio che fare la sua volontà. E pace con gli altri. Ma soprattutto portare agli altri la verità, fare l’apostolato, che resta la penitenza continua riservata ai Paolini, alle Paoline. Allora, ancorché ci fossero molti debiti con Dio, si pagano, perché sappiamo sicuramente di essere con Dio se amiamo i fratelli6, dice S. Giovanni.
Allora, pace nelle comunità. Portare sempre la pace e cioè l’unione di mente, l’unione di cuori, l’unione di azione, di attività, il buon esempio, le preghiere vicendevoli, edificare tutti nella comunità.
Pace con gli uomini. Fare volentieri l’apostolato. Quante anime sono agitate! Il numero dei suicidi da qualche tempo va aumentando, perché ci sono anime e cuori che non sono in pace. Sono disperati, perché non sanno mettersi in pace con Dio e vanno cercando la pace, ma la cercano dove non c’è. Come se uno andasse a prendere l’acqua dove non c’è il rubinetto. Non trova la pace chi non va a Dio, chi non va a Gesù, rex pacificus7. Si va a Dio per mezzo di Gesù Cristo, re della pace. Bisogna che ci sia l’amore alle anime che ci porti ad operare nell’apostolato, fatto per il bene delle anime. E con questa intenzione si cerca la gloria di Dio, cioè che Dio non solo sia glorificato da noi, ma sia glorificato da tutti gli uomini.
Poi pace nella comunità. Vi sono alle volte quelli che turbano la pace. Turbare la pace vuol dire portare la disunione. Quando non si osservano gli orari, è tutta una disunione: non
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si va in chiesa assieme, non si va a tavola, allo studio e all’apostolato assieme. Allora c’è una disunione. Uniformarsi bene agli orari mette pace e ordine in comunità, perché la pace è tranquillitas ordinis8, è l’ordine tranquillo. Osservanza degli orari, osservanza nella pietà, cioè pregare assieme, pregare secondo il modo insegnato. Allora c’è unità, e quindi c’è ordine, e l’ordine comporta la tranquillità, per cui si produce e si fa molto di più.
Il contributo maggiore alla Congregazione è sempre di sacrifici e di preghiere. Per la pace vi sia sempre un modo conciliante di parlare e un modo di parlare incoraggiante, sempre: «Aemulor enim vos Dei aemulatione»9, una gara di progresso. Vi sono alcune che sembrano solo capaci di mettere in risalto e di insegnare gli errori agli altri. A volte li mettono e quando non ci sono, li inventano. E a volte, perché ci sono degli sbagli, li mettono in vista. Questo disturba, mette il disordine, la disunione. Pace! Sempre parole che edificano, che incoraggiano a perfezionarsi, ad avere tutti gli stessi sentimenti, le stesse mire. Lodare quello che c’è. In Casa del bene ce n’è tanto, tanto, e non potrete mai rilevarlo tutto. Non potremo mai, né io, né voi. Allora quelle che hanno buon spirito si distinguono subito, perché portano sempre incoraggiamento e pace. E chi non ha buon spirito si distingue subito dal mormorare, dal rilevare i difetti, dal mostrarsi insoddisfatte un po’ delle sorelle, un po’ delle cose che sono disposte e allora… attentati alla pace. Pace tra di voi!
Poi, lo stesso modo di pensare. Non c’è nessuno più comunista che il religioso e le religiose, perché noi mettiamo in comune anche i pensieri. Abbiamo gli stessi pensieri, le stesse mire interiori, gli stessi sentimenti. Il comunismo non arriva mai a questo e, se arriva, arriva a mettere in comune gli errori. Ma noi mettiamo in comune le buone aspirazioni e le verità. Ecco, le stesse maniere di pensare, di parlare, le medesime tendenze. I fini della Congregazione sempre presenti, sia
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per la santificazione progressiva, e sia per l’apostolato sempre migliorato e sempre più allargato e sempre più approfondito. «Aemulor enim vos Dei aemulatione».
S. Paolo diceva nelle sue Lettere che quando era ancora sulla via sbagliata, voleva emulare, andare a gara con i persecutori dei cristiani ed essere il primo a perseguitarli. Ma convertitosi, vuole essere il primo, e cioè il più santo e fare un apostolato più largo. E l’ha fatto. Egli ha portato il cristianesimo in tante nazioni gentili, pagane. E l’ha fatto: «Aemulor enim vos Dei aemulatione». Che emulazione santa! Una gara di progresso in tutto, particolarmente nella carità e nell’obbedienza. Allora vi è pace in tutta la Congregazione, vi è pace con tutte le sorelle, e vi è un progresso continuo. Tutte le forze siano dirette ai medesimi fini della Congregazione; e allora vi farete sante.
Se noi ammiriamo le sante del secolo XIII, S. Chiara10 ad esempio per la sua povertà, se noi ammiriamo delle sante del secolo XV e XVI, va tutto bene. Sante di oggi! Come è possibile oggi! Cioè, la santità infonde sempre l’amore di Dio e l’amore delle anime, ma questo amor di Dio e questo amore delle anime si deve mostrare oggi. Se una volta alla porta dei conventi si distribuiva la minestra, adesso ai nostri conventi si distribuisca la verità, ciò che edifica, ciò che eleva. Sembra a volte che si voglia sempre tenere Gesù ai margini. Non voglio fare il peccato grosso, ma andare sui margini. Bisogna stare nel centro della via: Cristo Gesù! Nel centro! E allora non temiamo che l’opera nostra sia vuota, perché c’è Dio con noi, c’è Gesù con noi. Quindi, sante moderne, quelle del secondo articolo delle Costituzioni: una santa che sta mettendo i fogli nella macchina, una santa che va portando casa per casa la verità a coloro che non vanno a prenderla in chiesa. Sante di oggi. E il vostro Istituto può darne un bel numero. E veramente vi sono proprio anime esemplari tra le Paoline, sia nell’impegno dell’osservanza religiosa, sia nell’impegno dell’apostolato. Sante di oggi!
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Se nel secolo XIII S. Francesco11 voleva che si andasse a piedi, oggi dovete farvi sante andando in macchina, quando c’è bisogno, e correre. In fondo è sempre l’unione con Dio, l’amore di Dio e l’amore del prossimo, l’osservanza dei due precetti dell’amore che sono fondamentali nel cristianesimo. Ma la manifestazione esterna può essere diversa, sicuro. Se allora le case erano fatte in un certo modo, adesso sono fatte in un altro. Se allora bastava il catechismo, adesso tante volte ci vorrà anche più istruzione. Se allora distribuivano la minestra alle porte dei conventi, ora distribuire la verità a piene mani, e quando non vengono a prenderla, portargliela. Soccorrere questi ignoranti che pure si atteggiano a sapienti e non hanno Dio, e mancano del maggior bene che è Dio verità, che è Dio santità, che è Dio grazia, che è Dio misericordia. Sante di oggi! Perciò anche nella formazione spirituale tenere bene presente gli insegnamenti che vengono dati oggi. E non una spiritualità qualunque, ma la paolina, quella paolina. Noi non siamo obbligati a osservare i doveri degli altri, ma i nostri. Non siamo obbligati a fare le strade degli altri, ma la nostra. E facendo la nostra, le nostre azioni vanno dirette a Dio, se no restano lettere senza indirizzo che non vanno a destinazione.
Ecco l’augurio, il programma di Gesù per ognuno di noi: «Gloria a Dio, e pace agli uomini».
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1 Meditazione tenuta a Roma il 23 dicembre 1958. Trascrizione da nastro: A6/ an 58b = ac 98b, stampata in opuscolo (ottavo).
2 Cf Lc 2,14.

3 Cf Gv 7,18.

4 Cf Le preghiere della Pia Società San Paolo, ed. 1944, p. 17.
5 Cf Ef 2,14: «…ha fatto di due una cosa sola».

6 Cf 1Gv 3,14.
7 “Re pacifico”. Cf Breviarium romanum, solennità del Natale del Signore, Primi Vespri, antifona I.

8 “Tranquillità dell’ordine”. Definizione della pace. Cf S. Agostino, De civitate Dei, XIX, 13.
9 Cf 2Cor 11,2: «Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina».

10 S. Chiara (1193-1253), prima discepola di S. Francesco, diede inizio al secondo Ordine Francescano detto delle Clarisse.

11 S. Francesco d’Assisi (1181-1226). Visse e predicò la povertà evangelica. Diede origine al movimento francescano articolato in tre ordini: frati, clarisse, laici.