Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XV
RETTA INTENZIONE1

Le cose che si fanno nella giornata sono in sé tutte buone: quelle che sono disposte dalle Costituzioni, dagli orari o dagli uffici assegnati. Dobbiamo però aggiungere questo: affinché le opere che sono buone siano anche meritorie per noi, devono avere, da parte nostra, qualche condizione. La più necessaria è la grazia di Dio. Quando c’è in noi la grazia di Dio c’è la vita soprannaturale e allora si possono produrre frutti soprannaturali, cioè meriti. Mancando lo stato di grazia, no, perché saremmo come piante morte. La pianta secca non fa frutto. Oltre questo è necessario che l’opera sia fatta bene, con bel garbo. Se una persona di servizio non usa verso la sua padrona un buon garbo, il suo servizio, ancorché fedele, non è apprezzato. Fare le cose benino, le cose minime anche benino, ma non andare allo scrupolo, mai.
Non siamo così superbi da crederci impeccabili, da crederci senza difetti. Ciò che importa invece è di fare le cose con un po’ di impegno che è poi l’amore di Dio. Tu vi riuscirai più o meno, ma il Signore ti chiede lo sforzo e non il risultato, come già abbiamo considerato.
Altra condizione, la più necessaria: retta intenzione.
1. Che cos’è la retta intenzione? La retta intenzione sta nell’operare per il Signore. Si chiama retta, perché noi intendiamo offrire quell’azione e mandarla direttamente a Dio, agire solo per Dio, per Gesù, per il paradiso, per ottenere qualche grazia. Fra noi e Dio possiamo considerare così, come due punti: noi - Dio. Fra due punti non ci può essere che una linea retta.
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Ora però, oltre a questa retta, ci possono essere tanti puntini e cioè possiamo fare un’opera buona, passar bene la giornata, offrire bene il nostro anno spirituale al Signore, recitare bene il Cuore divino di Gesù, dire: Vi offro le azioni della giornata, ecc. Sono come tanti modi. Faccio bene questo per la Madonna; faccio bene questo come ossequio a S. Paolo; faccio bene questo per progredire nello spirito; faccio bene questo per portare maggior vantaggio alle anime; faccio bene questo per la conversione di un peccatore; faccio bene questo per la mia famiglia perché abbia le grazie spirituali e materiali; faccio bene questo per imitare Gesù Crocifisso; faccio bene questo per acquistare pietà, più intimità con Gesù Eucaristico. Ecco tanti punti che stanno sulla retta: sono varie forme di retta intenzione, per modo di dire. O meglio sono punti della retta, fra noi e Dio.
Vi possono essere invece delle opere fatte senza intenzione, così, come a casaccio, senza offrirle a Dio? Una lettera senza indirizzo non va a destinazione. Così, se manca l’intenzione, l’opera non ha merito. Occorre che ci sia la buona intenzione. Dubito se è necessario dire che la retta intenzione può essere ripetuta più frequentemente o meno frequentemente. In modo assoluto basterebbe una volta per settimana fare l’offerta di tutta la settimana. Altri teologi hanno altre sentenze, ma questa è sentenza sicura. Quando poi, invece che una volta alla settimana, si fa l’offerta ogni giorno, certamente è un’azione che piace a Dio, è gradita a Dio, è ricevuta da Dio. È una lettera con l’indirizzo giusto. Va a Dio. E perciò il Vi adoro con l’offerta: Vi offro le azioni della giornata; o il Cuore divino di Gesù, che si ripete abbastanza spesso, o altre forme. L’offerta basta certamente una volta alla settimana e tanto più una volta al giorno, ma quanto più è frequente, tanto più è meritoria2, e voglio dire: ogni offerta delle nostre azioni al Signore è un atto di amore, e gli atti di amore più sono frequenti e più piacciono a Dio, più meritano per la nostra salute eterna. Retta intenzione.
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Perché la retta intenzione? È assolutamente necessaria la retta intenzione, perché anche l’azione migliore, se non vi è la retta intenzione, non merita innanzi a Dio, non merita.
Si facesse anche la Comunione, ma solo per farsi vedere, per non stare indietro dalle altre, oppure si facesse con un fine di invidia o di orgoglio, la cattiva intenzione guasta anche le opere migliori e può essere che ci sia anche peccato. Un santo dice che sarebbe una specie di sacrilegio, quando queste opere si facessero soltanto per fine umano, perché uno si servirebbe della cosa sacra, per esempio fare la Comunione, per un fine vano, inutile. Quindi è come una profanazione del sacramento. La retta intenzione è necessaria. Se l’intenzione non è del tutto cattiva, l’azione avrà ancora un merito, ma non così grande. Se invece l’intenzione è retta, allora che cosa avviene? Che anche le opere più indifferenti divengono meritorie. Quindi, anche un’azione comunissima, pure necessaria per la nostra salute come il mangiare, il dormire, la pulizia, la ricreazione, ecc.; quelle azioni che moralmente sarebbero indifferenti, non sono indifferenti in quanto alla salute, ma sono indifferenti in quanto alla morale per sé , divengono meriti, anche le minime azioni, anche lo scherzare, il passeggiare. Oh! Quindi la retta intenzione dà valore anche alle opere più indifferenti.
2. Il valore delle opere buone è proporzionato all’intensità dell’intenzione. Quanto più amore di Dio si mette in un’azione, tanto più quell’azione diviene meritoria. Se la persona è fervorosa, animata da grande coraggio e intraprende la sua giornata nello spirito buono, l’azione può meritare tantissimo. Non è detto che pure due persone, facendo le medesime cose, alla sera abbiano uguale merito. Dipende dall’intensità dell’amor di Dio, cioè dalla retta intenzione. La retta intenzione impreziosisce le opere, dà anzi un valore particolare alle opere. Allora noi abbiamo da vigilare sopra il nostro interno.
Si studia, si esercita l’apostolato, si dicono tante preghiere. Queste cose non sono ugualmente meritorie per tutti. C’è molta disuguaglianza, e tuttavia la retta intenzione è una delle cose più difficili a procurare. Per chi è animato da amor di Dio, è facile, ma per chi non è animato dall’amore di Dio è difficile, e può essere per questo: noi, nell’esaminare la coscienza,
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non arriviamo a scoprire se eravamo non animati dalla retta intenzione nell’operare. La retta intenzione è qualcosa di intimo, di profondo. Conviene allora che l’esame di coscienza sia fatto bene, sotto la luce di Dio. Portiamo un esempio: S. Francesco d’Assisi3 soleva raccomandare tanto di operare per Gesù Crocifisso; un suo discepolo, il Dottore S. Bonaventura4, aveva imparato quella lezione da S. Francesco d’Assisi e allora prima di operare si fermava sempre. Perché non incominciare subito? Rispose: Prima devo prender la mira, cioè devo indirizzare la mia azione. Vi era nel convento un fraticello il quale era laico e aveva l’incarico della pulizia della casa. Un giorno mentre faceva pulizia nella camera, o meglio nella cella di S. Bonaventura, si arrestò e si permise di rivolgere la parola al santo: Fortunato voi che sapete tante cose! Quanto potete amare il Signore, quanti meriti vi fate!. Infatti S. Bonaventura era dottore e cardinale della Chiesa, vescovo di Albano: Voi sapete tante cose. Io so nulla. E allora S. Bonaventura diede una risposta da vero dottore della Chiesa: Ma se tu farai le cose per il Signore sempre, [sarai come] quella vecchierella che ama il Signore più di padre Bonaventura, e quindi è più santa di padre Bonaventura. E vuol dire: Non ex quanto fit, sed ex quanto amore5. Non possiamo misurare il valore delle nostre opere dalla condizione o dalla grandezza delle opere, ma ex quanto amore. Le opere sono grandi quando sono fatte con grande amore. Ecco tutto, anche le minime cose, anche le minime cose!
Noi guarderemo perciò di più l’impegno che metteremo nelle cose. E come si procura questa retta intenzione? Questa retta intenzione si procura: a) domandandola al Signore. È una grazia grande, perché uno può vivere ottant’anni, come in una indifferenza religiosa e guadagnare pochissimo per il cielo, e un altro invece può vivere meno anni, cinquant’anni soltanto,
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e con il solo fervore guadagnare di più. Vi sono persone che vivono tanti anni e non operano per Dio, ma soltanto per fini umani, terreni. E vi sono persone che sono vissute pochi anni, un numero relativamente piccolo di anni, e hanno guadagnato tanto: S. Agnese, S. Luigi6, S. Stanislao Kostka7, tanti santi! Domandare al Signore questa grazia di poter mettere sempre la rettitudine d’intenzione.
b) Secondo mezzo: escludere altre intenzioni. Vedere che non ci sia il tarlo dell’orgoglio. Vedere che non si operi solamente perché vi è una tendenza al lavoro, si prova un gusto, una soddisfazione umana. Vedere che non ci sia dentro di noi quella voglia di mostrarsi. Non stiamo troppo a raccontare il bene fatto, anzi generalmente non parlare del bene fatto. Poi evitare gli attaccamenti, specialmente evitare quei fini di ambizione, di superare le altre persone che operano con noi. Voglia ciascuno evitare le invidie, le gelosie. Avere invece cuore largo, mente retta, moltiplicare le intenzioni, e sempre la cosa più perfetta: mettere tutte le intenzioni con cui Gesù si immola sugli altari e, se volete, aggiungere le intenzioni che ha Maria in cielo. Avere le intenzioni che riguardano la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Perciò questo è tutto compreso nel Cuore divino di Gesù, in cui offriamo in unione al Cuore immacolato di Maria: orazioni, azioni e patimenti secondo le intenzioni che ha Gesù nell’atto della consacrazione della Messa, secondo le intenzioni con cui Gesù è morto sul Calvario per la gloria del Padre e il bene e la salvezza dell’umanità.
Poi condannare fin dal mattino ogni intenzione sciocca che passi per la testa. In generale avviene che qualche volta insieme alla fiamma ci sia un po’ di fumo, insieme alla fiamma dello zelo, dell’amor di Dio ci sia un po’ di fumo di troppa umanità. Però, se questo non è avvertito, non toglie il merito all’opera. Per togliere il merito all’opera bisognerebbe proprio
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dire: Questo l’ho fatto per un fine umano. Bisognerebbe accorgersene, e nonostante che uno se ne accorga, continuare a mantenere quell’intenzione non retta, poiché prima che sia sera passano tante cose in questa nostra fantasia pazza. Ma ciò che costituisce il peccato è solo il consenso, non l’azione, neppure se l’azione è cattiva. Se non c’è il consenso al male, e cioè non si sa che è peccato, oppure sapendo che è peccato, non è volontario, allora il male non c’è e l’azione non resta guasta.
Allora sul punto della retta intenzione, essendo così importante, torniamoci sopra frequentemente e particolarmente recitiamo l’offerta a Dio della nostra giornata, offerta fatta bene. Quando noi moltiplichiamo le intenzioni, le opere sono più meritorie. Se moltiplichiamo le intenzioni rette, le nostre azioni hanno tre valori: le azioni, le orazioni, i patimenti. Primo, hanno un valore meritorio e guadagnano un merito se offerte a Dio, e questo merito è nostro, individuale, non si può cedere a nessuno; e anche se noi lo volessimo cedere non possiamo, è proprietà di chi ha operato, come i peccati sono di chi li fa. Invece c’è il valore soddisfattorio, quando si mette l’intenzione che vada in suffragio delle anime purganti, oppure si può mettere l’intenzione che vada per espiare un peccato di qualche persona affinché essa abbia la grazia di convertirsi. Poi c’è il valore impetratorio che si può cedere, cioè possiamo pregare per una persona che ci è cara, possiamo pregare per i peccatori, per la Chiesa, per l’umanità intiera. Queste intenzioni sono tutte comprese nell’offerta del mattino: Cuore divino di Gesù. Quindi, moltiplicate così, aumentano il merito da ogni parte, e dall’altra parte possono ottenere innumerevoli grazie a tutte quelle persone per cui noi intendiamo di pregare.
Forse abbiamo un po’ l’abitudine, qualche volta, di promettere tanto facilmente di pregare per una persona o per l’altra. Ma se noi promettiamo, ogni promessa è debito poi, bisogna adempiere questo debito. Allora possiamo mettere una intenzione generale: Ogni volta che ascolto la Messa, intendo anche pregare per tutte le persone a cui mi sono impegnata. Intendo anche ascoltare la Messa per tutte quelle persone a cui ho promesso di pregare. Questo non toglie niente del merito personale
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e intanto si adempie l’obbligo che si è contratto promettendo la preghiera.
L’intenzione può essere più o meno intensa. Pensiamo quanto era pura l’intenzione di Gesù quando offriva le sue opere al Padre celeste, quanto era intenso l’amore suo! Quando invece subentra la tiepidezza, la freddezza, il valore delle opere diminuisce in proporzione, ad esempio l’acqua può essere portata a cento gradi e può essere che diminuisca a cinquanta, quaranta, cinque gradi, un grado e magari vada sotto zero.
Tenere sempre il nostro spirito sveglio, mantenersi nel fervore. Le opere allora saranno accompagnate da calore spirituale e quindi acquisteranno maggior merito per noi e maggiori benedizioni per gli altri.
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1 Meditazione tenuta a Roma il [15] marzo 1956. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 26a = ac 45b. Il linguaggio è un po’ diverso, anche se ritornano gli stessi concetti espressi negli Esercizi alle novizie. Tuttavia viene inserita nel corso degli Esercizi alle novizie dal 9 al 15 marzo.

2 I vocaboli ‘merito’, ‘meritare’, ‘meritorio’ sono qui esplicitati in modo completo come offerta per la gloria di Dio e per il progresso nell’amore di Dio di chi rinnova l’intenzione.

3 Francesco d’Assisi (1181-1226). Visse e predicò la povertà evangelica. Diede origine al movimento francescano articolato in tre ordini: frati, clarisse e laici.

4 Bonaventura (1221-1274) di Bagnoregio (Viterbo). Maestro di teologia a Parigi, Ministro generale dei Francescani, vescovo di Albano. Scrittore di opere teologiche e spirituali. Dottore della Chiesa.

5 “Non conta tanto quanto si fa, quanto l’amore con cui si opera”.

6 Luigi Gonzaga (1568-1591) di Mantova. All’età di 17 anni rinunciò al principato ed entrò nella Compagnia di Gesù dove si distinse per fervore, umiltà e carità. Morì di peste contratta a servizio dei malati.

7 Stanislao Kostka (1550-1568), giovane gesuita polacco. Si distinse per la devozione all’Eucaristia e per l’osservanza della vita comune. Insieme a S. Giovanni Berchmans e a S. Luigi Gonzaga era additato ai novizi come modello della gioventù.