43. LA VITA INTERIORE1
I. [Bellezza interiore]
Nel ritiro mensile si domanda sempre la grazia di una buona morte. La morte, che alla natura ripugnerebbe, ma per la fede le cose sono diverse, è la porta dell’eternità, dell’eternità felice per chi nella sua vita ha sempre lavorato per il paradiso, per il Signore. La morte è la ministra invisibile di Dio che spinge la porta e ci fa passare al mondo nuovo, tutto nuovo, all’al di là.
Venendo ad Albano e passando vicino al camposanto, pensavo che lì riposa la salma di una sorella vostra, nostra2. Da molto tempo io rifletto su ciò che voglio comunicare anche a voi stasera: come si fanno i santi. Con la vita interiore, con lo spirito di fede, la ferma speranza, la carità, l’amore di Dio vivo e vero. Alcune suore mi hanno scritto proprio questa mattina per dirmi come era questa loro sorella. Quanta semplicità, quanta fedeltà a tutto quello che le era insegnato, quanta dedizione, sia quando era a servizio di quelle persone che chiamiamo Giuseppine3 in Alba, sia quando aveva uffici vari e quando dirigeva il reparto della brossura. Ecco come si fanno sante le suore: tese unicamente verso Dio per amarlo e tese verso il paradiso.
È tanto bello ciò che abbiamo appreso dalle sue labbra (almeno io ho appreso) nelle brevi visite: Io mi sento tutta di
1 Prediche tenute durante il ritiro mensile ad Albano l’8 settembre 1956. Dattiloscritto, carta vergata, fogli 4+4 (22x28). Comprende due meditazioni. Esistono tre battiture differenti che sembrano essere del medesimo periodo e c’è un dattiloscritto successivo. Non vi sono varianti di rilievo. Di entrambe si ritiene come originale la copia su cui era già scritto batt. per ar. Titolo aggiunto a mano.
2 Si riferisce a suor Delfina De Stefani (vedi meditazione n. 42).
3 Le Signore Giuseppine erano persone benestanti che, una volta rimaste sole, avevano messo a disposizione dell’Istituto i loro beni. L’Istituto da parte sua si impegnava a ospitarle ad Alba nell’attuale casa San Giuseppe (dove un tempo c’era l’apostolato) e averne cura fino alla fine dei loro giorni. Avevano un programma di vita ispirato alla spiritualità paolina, soprattutto offrivano preghiere per l’apostolato, adorazione quotidiana.
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Gesù; sono certa che non mi respingerà quando andrò e se ci fosse qualcosa che gli fa piacere e desidera da me, io sono anche pronta a farlo. Qui si tratta di santità interiore. In primo luogo l’interiorità. Non badiamo alle cose esterne, se non in quanto dobbiamo farle bene e per amore di Dio. Una deve compiere un ufficio e l’altra un altro, come dice S. Paolo...
Le cose esterne che ci danno preoccupazione, e che a volte ci distinguono, bisogna valutarle come se non contassero niente. Quello che importa è ciò che si porta nel cuore, e con quanto amore di Dio si opera. Così, anche l’ultima dell’Istituto, o una povera madre di famiglia, o una figliola che abbia condotto una vita nascosta, dimenticata, se ama il suo Dio e indirizza sempre verso il cielo le sue opere, si fa santa. È l’interno che conta, è l’amore che guida in tutto, è quel desiderio di aggiungere ogni giorno nuove gemme alla corona, il che è in sostanza amor di Dio, perché desiderare il paradiso e desiderare di fare le cose per amore di Dio è la stessa cosa. Il paradiso consisterà nell’unirci a Dio, nell’unirci a lui perfettamente.
Vi sono persone che fanno sempre l’esame di coscienza superficialmente, guardano solo le cose esterne e alle volte vanno anche prendendo le difese di se stesse e accusano gli altri. Tu non vedi, ma dietro quella cosa c’è la mano sapientissima di Dio che la permette per la tua santificazione. Si vedono le cose in superficie, come se noi visitando una casa e vedendola coperta della carta di tappezzeria, ne restassimo entusiasti: Che bella carta! Che preziosità, come è ben disposta, che bei colori, che bella tappezzeria! Ma potrebbe essere una casa cadente. Proprio così. Un signore mi faceva osservare che era una bella casa quella che stavamo visitando. Ma, venga qui, mi disse. E guardando dalla finestra vidi che da una parte era già puntellata e stava per cadere. Vi sono anime che vivono di puntellamenti, non sono mai ferme nella virtù, non si sa se vanno avanti o se retrocedono.
È l’intensità dell’amore costante, umile, silenzioso, operoso che ci porta a preoccuparci più degli altri che di noi stessi. Allora, quando si ha questo amore, l’anima vive una vita tutta interiore, una vita tutta di unione. All’esterno è semplice, è sempre pronta a tutto quello che dicono e dispongono, perché
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è mossa dalla carità, dal suo amore interno. Si distingue allora dall’attitudine e dal modo di operare all’esterno, ma l’amore è interno. Le persone che guardano all’esterno la tappezzeria, se vi sono ornamenti che magari coprono delle rotture nel muro, somigliano a coloro che fanno l’esame superficiale. Ma quando c’è l’esame profondo, si viene a scoprire se è il vero amor di Dio e del prossimo che ci domina, ci guida, ci fa operare; se questo amore sta nei pensieri, nei sentimenti, nelle opere.
Interiorità! Se noi consideriamo la luce elettrica che si cambia in calorie e fa girare i motori abbiamo una similitudine. Da dove nasce tutto questo che ci dà luce, calore e energia? Da un impianto, da una massa d’acqua, oppure da una forza motrice mossa dalla nafta o dal carbone che mette in moto e produce questa energia. Vi sono persone che guardano solo le parole, gli atti, le attività esterne, le gentilezze, le garbatezze, se sono amate o non amate, se quella ha usato una preferenza o ha fatto loro un torto. Se viene una giornata triste non sanno per che cosa, e se viene una giornata lieta non sanno per quale motivo. Andiamo a vedere in fondo: il cuore è come l’impianto dove si produce l’elettricità, è come quella centrale che va a nafta o a carbone. Esame profondo. Perché molte anime arrivando all’eternità resteranno meravigliate? Non avevano dato importanza ad atti di virtù che avevano fatto, li stimavano sempre poco e ora vedono che chiudere una porta, raccogliere da terra un pezzo di carta, dire una parola in difesa delle sorelle, trattarle in modo conveniente, ha tanto valore. Perché questo? Perché su questa terra siamo abituati a vedere e considerare l’esterno. Se hanno una macchia sull’abito subito la tolgono, ma ad una rabbietta, a qualche tendenza all’accidia, se non pregano bene, se non sanno raccogliersi, a questo badano poco. E allora queste persone spesso sono ancora bianche, ma l’abito bianco è già spruzzato di tante macchie brutte e qualche volta anche di fango, ed è segnato da strappi, qualche volta è sbrindellato.
Interiorità! Scopriamo noi stessi. Vi sono anime che amano Dio e quasi non se ne accorgono. Sono buona a niente io, cosa se ne fa la Congregazione di me? Credo che tutti abbiano da faticare a sopportarmi. Quante cure hanno di me; non ne sono proprio degna. Sono umili, amano la propria Congregazione.
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Altre si preoccupano se non sono abbastanza accontentate, se qualche cosa è stato, ai loro occhi, insufficiente. Amano molto di essere amate, benvolute, trattate gentilmente. Vivono di se stesse e tutto concentrano nell’amore a se stesse. Tutto giudicano secondo che le cose le soddisfino o no; se le persone mostrano di stimarle o no; se è soddisfatto ogni loro desiderio anche non santo, se sono affatto disturbate nel giorno, se nessuno chiede loro sacrifici, e intanto li fanno fare agli altri. Vi è un egoismo che è nascosto; vigiliamo! E vi è un amor di Dio che è anche nascosto.
Ho detto: «Omnis gloria eius ab intus»4. È il caso di tante persone che passano anche all’eternità quasi inavvertitamente. Chi si accorge della loro presenza? Magari ci si accorgerà dopo di tanta virtù, silenziosità, lavoro...
Io non conoscevo tutte le cose fatte ultimamente da questa suora, ma ricordavo le prime di sei, sette anni dopo la sua entrata in Congregazione. Certamente che non ha mai perduto un minuto di tempo, per quanto io l’ho veduta e per quanto si può umanamente giudicare.
Determinare bene se viviamo di amor di Dio, se pensiamo, se parliamo, se operiamo secondo l’amore di Dio, oppure se viviamo di egoismo nascosto, coperto. Sarebbe come nutrire un serpe in seno.
Le persone che vivono di amor di Dio non amano molto attirare gli sguardi sopra di loro, non ne fanno nessun conto e non desiderano essere simpatiche. Vogliono piacere a Dio, si preoccupano che l’anima sia bella, e quando vanno alla Comunione dicono così: Gesù, tu ti dai tutto a me ed io mi do tutto a te per la vita, per la morte e per l’eternità. E lo sentono, non è solo una bella espressione, ma è la loro vita.
Perché pensare troppo e preoccuparci delle cose che succedono intorno a noi, alle destinazioni, alla lode degli uomini, alle simpatie o antipatie? Che piacciamo a Gesù, che non siamo antipatici a questo Gesù. Questa mattina leggevo il primo capitolo del Cantico dei Cantici: presenta l’amore di un’anima (in cui è simboleggiata Maria) al suo diletto Gesù. Quanto è
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puro, quanto è profondo! Opposto all’amore è l’egoismo, che può vivere sotto il velo e l’abito sacro e con molte preghiere, e può vivere anche quando la persona è stimata santa e quando non è stimata tale. L’egoismo è come una gramigna che sempre trova l’alimento. Avete veduto qualche volta delle torri vecchie, dei muri diroccati. Sulla polvere che vi si è depositata si sono radicate delle pianticelle o è venuto su un ramoscello. All’amor proprio basta poco: perché si è riusciti a farla franca, perché non si è scoperti, perché quella ha sbagliato e quindi non è migliore di me, ecc. L’egoismo si nutre di tutto, persino della Comunione, si serve delle cose sacre per alimentarsi. E l’amor di Dio si alimenta delle cose avverse e favorevoli, di tentazioni e scoraggiamenti, di avversità esterne e stima esterna. Si avvantaggia delle Visite in cui patisce aridità come si avvantaggia delle consolazioni di Dio, della malattia e della salute. Di tutto. Bisogna che esaminiamo l’interno, così noi ci assicureremo di vivere nell’amor di Dio e quindi fare una preparazione diretta al paradiso.
Questa è proprio la vita religiosa, perché dalla professione perpetua all’eternità questo amore deve essere in continuo aumento, perché deve avere la fede, la speranza, la carità. Man mano che si va avanti i propositi si riducono a uno solo: amare Dio e nello stesso tempo amare il prossimo «sicut te ipsum»5.
II. [Obbedienza, umiltà, unione con Dio]
Abbiamo considerato come la santità sia soprattutto interiore. Certo, le opere esteriori, quando sono possibili sono anche meritorie. Così le parole che diciamo, quando possiamo o dobbiamo parlare per ragioni o per ufficio, sono anche meriti. Ma tutto quello che facciamo all’esterno prende valore dalla santità interna. Accenno a tre o quattro cose:
1. L’obbedienza interna, cioè l’uniformità pronta al volere di Dio. Uniformità che non giudica, uniformità amorosa, lieta. Questa uniformità al volere di Dio, quando è continuata, stabilisce l’anima nel perfetto amore di Dio. Allora l’anima,
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senza preoccuparsi di quel che può avvenire all’esterno, vive nell’unione di volere con Dio, e nel compimento del volere di Dio l’anima fa una vita di obbedienza. Si pone in uno stato di obbedienza che non è solo compiere atti di virtù. Lo stato di obbedienza è molto più meritorio che non sia invece qualche atto di obbedienza. C’è il pieno abbandono in Dio quando non si desidera una cosa più dell’altra, non si desidera cioè più la salute che la malattia, quando non si bada se siamo lodati o non siamo lodati e anche rimproverati: il pieno abbandono a Dio.
La preghiera centrale del Padre nostro è: …sia fatta la volontà tua come in cielo così in terra, che significa fare il volere di Dio così completamente come fanno questo volere gli angeli in cielo. Quando si manca di questo spirito o almeno quando non si vive in questo stato di obbedienza, si vanno a cercare i motivi, si ragiona sul perché Dio ha permesso ciò che è stato disposto: Chissà se qualcuno ha riferito, chissà com’è andata che gli altri hanno pensato così e mi hanno detto questo. Niente. È piaciuto a Dio e piace anche a me; io ho una volontà definitivamente stabilita in Dio. Questo è lo stato di obbedienza: «Quae placita sunt ei facio semper»6. Gesù non faceva distinzione tra l’entrare gloriosamente in Gerusalemme e uscirne portando la croce; non faceva distinzione fra il ricevere il Benedictus, l’Osanna e il sentire il Crucifige: Sia crocifisso.
Il Crocifisso che ci sta davanti7 è impressionante soprattutto per la profonda serenità dello spirito di Gesù. È vero che la carne è inferma, ma «spiritus quidem promptus est: Lo spirito è pronto»8. E anche se mi vengono ad annunziare che sono malato da morire, che la malattia è grave e che non mi rimetterò, mi basta qualche minuto per abbandonarmi in Dio. S. Ignazio ha lasciato scritto che se tutte le sue opere, ed erano tante le opere che aveva compiuto in vita, se tutte le sue opere fossero state scancellate e distrutte, per mettersi in eguale serenità di spirito gli sarebbe stato sufficiente pregare un quarto d’ora innanzi all’altare del Crocifisso.
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E qualche volta si trascina la malinconia, la tristezza, e qualche volta si è tutti esuberanti di gioia e abbondanti di parole, perché è stato disposto secondo il nostro volere, il nostro gusto e qualche volta si maneggia anche, perché l’obbedienza, la disposizione vengano come piace a noi. Vi sia lo stato interiore dell’obbedienza che è un frutto dell’obbedienza, non le parole all’esterno.
Obbedienza fino alle lacrime, e non fossero che lacrime di pochi momenti, tante volte sentiamo la difficoltà ad adattarci subito, e anche se lo spirito dice con tutta la convinzione: «Sia fatta la tua volontà»9, la carne è riluttante come ha detto Gesù stesso: «Lo spirito è pronto ma la carne è inferma». Ma a poco a poco l’anima si deve stabilire in Dio fino a dire un sì pronto: «Padre, nelle tue mani abbandono il mio spirito: Commendo spiritum meum»10.
Badare all’ubbidienza interna, poiché nelle comunità è anche facile fare soltanto una obbedienza esterna, come dice la Scrittura: «Non ad oculum servientes»11, cioè accontentare l’occhio di chi dispone, magari per l’ambizione di farsi vedere virtuosi. Obbedienza interna, piena, serena che esclude da noi ogni desiderio: quanto meno andiamo a cercare eccezioni, tanto più siamo obbedienti dell’obbedienza interna. Non domandate e non rifiutate nulla12, diceva S. Francesco di Sales. Neppure si deve chiedere malattie o andare a cercare penitenze eccezionali.
Essere le figlie dell’Istituto, ciascuna figlia del suo Istituto. Quando si è qui, operare e pregare nel senso che vi è qui, ma sempre figlie attaccate allo spirito del proprio Istituto, poiché questo è uniformità alla volontà di Dio.
2. Umiltà interna. Quella che Gesù ha detto umiltà di cuore è proprio l’umiltà vera, perché non è umiltà vera neppure fare la genuflessione se non è accompagnata da una genuflessione
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interna per cui l’anima pensa: Quanto sono piccolo e voi mio Dio quanto siete grande! Sottometto a voi tutto il mio essere, perché è vostro.
Non è umiltà per sé sicura anche parlare di noi in male, e non è umiltà sicura neppure il fare tanti atti di riverenza, propositi di sottomissione, il lodare le persone, no. L’umile si tiene sempre per ultimo. Questa è la sola umiltà che piace al Signore: «Recumbe in novissimo loco»13. Umiltà sempre, ma di cuore. Uno potrebbe anche dire male di sé, perché gli altri dicano: Oh, non è vero che sei cattivo, perché hai quella virtù e quell’altra. Magari si dice: Quel canto non è andato bene questa mattina, perché dicano che è andato bene. Questo è andare a mendicare le approvazioni.
La semplicità ci porta a fare il bene, ma per Dio, senza queste aggiunte che sono poi un veleno che guasta un po’ tutto. Umiltà di cuore. Se mi mettono all’ultimo posto, mi meriterei di stare più in giù dell’ultimo posto, anche dietro ai peccatori e anche dietro a quelli che magari esteriormente hanno commesso dei delitti; chissà come sono io dinanzi a Dio con tutte le grazie che ho ricevuto.
Umiltà di cuore, di persuasione, di convinzione. È sempre molto edificante considerare Gesù che si inginocchia davanti ai suoi Apostoli per lavare loro i piedi. Dio, il Santo, e gli Apostoli erano tanto imperfetti, non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo; secondo la narrazione evangelica sembra che Gesù abbia lavato i piedi anche a Giuda, si è inginocchiato davanti a lui. Pensiamo che abbia fatto un atto di ipocrisia? La sua convinzione era profonda, la sua era umiltà di cuore. Si può immaginare un’umiltà per cui il Santo dei santi si sentisse in obbligo di lavare i piedi a uno che stava per tradirlo? Come possibile? Noi avremmo detto: Costui non meriterebbe che gli lavasse i piedi, ma che gli usasse le mani e i flagelli...
Umiltà di cuore. Stimiamoci per nulla, consideriamoci sempre dinanzi a Dio come siamo. Alle volte l’orgoglio ci accompagna anche al confessionale: vogliamo minimizzare il difetto, il peccato, magari attribuire il difetto commesso ad altri.
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La Scrittura dice: «Est est, non non»14. Se proprio nell’atto di confessarci, nell’atto di umiliazione, noi ancora cerchiamo di salvare l’orgoglio e di compiacere il nostro amor proprio, che cosa si deve dire, che virtù è la nostra? E neppure esagerare il male. Schiettezza: com’è. Mi ha sempre fatto una grande impressione Gemma Galgani15 la quale viveva come una fanciulla che fosse stata sempre ignorante, povera, malaticcia e si riteneva grande peccatrice. Serviva a tavola e andava in chiesa sempre tenendosi come ultima e indegna persino di occupare i primi posti. Che semplicità! Non si risentì neppure quando fu giudicata senza vocazione; si servì di quello per umiliarsi di più interiormente. Questa è l’umiltà che piace a Gesù. Coltivare l’umiltà interiore.
3. Un’altra cosa che ci rende molto cari a Dio, a questo Dio che non guarda la faccia, ma «intuetur cor»16. L’uomo guarda la faccia e l’esterno, ma Dio guarda i cuori e allora: vivere più uniti a Dio. Vivere uniti a Dio quanto ci è possibile, cioè sentire che Gesù è in noi e perciò fare atti di amore; sentire che Gesù è in noi e perciò fare atti di fede, di domanda, comunioni spirituali. Si va, si viene, si fa una cosa e un’altra: è Gesù che vi fa operare. Se la mia mano opera, se il mio occhio si apre per vedere, se io devo studiare, se devo pregare, io sono un membro di Gesù Cristo e come io posso adoperare la mano, così Gesù può adoperare me e tutte le mie membra. Unione segreta, tranquilla, vivificante sempre di più. Non è tanto facile giungervi, ma quando riusciremo a stabilizzare l’anima in Dio, a sentire in continuità la presenza di Gesù in noi, avremo fatto un bel tratto di strada.
Unione con Dio. È vero che, fatta l’offerta al mattino, le azioni sono tutte di Dio se noi volontariamente non cambiamo intenzione, perché quello che passa per la testa non distrugge il merito, tante volte infatti sono solo nubi, non sono consensi;
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ma se noi al mattino detestiamo il male e diciamo a Gesù che vogliamo essere tutte sue, e lungo il giorno rinnoviamo l’intenzione, il merito aumenta. Però, vi è grado e grado. L’anima può sentire Gesù sempre più frequentemente fino a vivere l’unione con Dio quasi di continuo: se parlo, parlo con Gesù; se mangio mangio con Gesù; se prego, prego con Gesù; voglio compiere in tutto il volere di Gesù obbedendo a lui in tutte le mie azioni.
Se questa unione si stabilisce sempre più di frequente, più sentita, certo che il grado di merito è più grande. Stabilire, tendere a questa unione con Gesù. Vi sono persone che sentono Gesù, e persone che lo dimenticano per ore ed ore. Gesù si ricorda, per esempio, con una comunione spirituale, con una giaculatoria, con il fare qualche atto di fede, con il ricordare qualche pensiero della meditazione, ecc. Gesù si ricorda in tante maniere, ma tutte queste maniere sono ordinate a stabilire la nostra unione sempre più continua con Dio, con Gesù. E ciò non è facile, questo sarebbe la santità, perché la santità è la carità, cioè l’unione con Dio. È già una santità molto avanzata questa.
Fermiamoci pure qui, sopra questi tre punti, cioè:
1) unione di volontà con Gesù, lo stato di obbedienza; non atti di obbedienza soltanto, ma lo stato di uniformità continua alla volontà di Dio.
2) Umiltà di cuore, ma quella umiltà di cuore che non desidera più la lode che il disprezzo e non desidera neppure il disprezzo, ma desidera solo che si compia la volontà di Dio in noi. Nello stato di umiltà, l’anima è indifferente: Che cosa importa, tanto sono, quanto sono davanti a Dio: sono piena di difetti, ma prendo i meriti della Passione di Gesù. Questo è stato di umiltà.
3) Lo stato di unione con Gesù lungo il giorno.
Ma si potrà dire: Ha suggerito tre cose, come faccio? Ciascuno può prenderne una, giacché in fondo si equivalgono. Sono mezzi diversi che ci portano all’osservanza della carità, e infine si devono ridurre i nostri propositi e tutte le virtù alla carità verso Dio e verso il prossimo. Questa carità che dura in eterno è l’unione di mente, di volontà e di cuore con Gesù.
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4 Cf Sal 44,14: «…la sua bellezza è interiore» (Volgata).
5 Cf Mt 22,39: «…come te stesso».
6 Cf Gv 8,29: «Faccio sempre le cose che gli sono gradite».
7 Richiamo al Crocifisso in legno che sovrasta l’altare della prima cappella della comunità di Albano Laziale.
8 Cf Mt 26,41.
9 Cf Mt 26,42.
10 Cf Lc 23,46.
11 Cf Ef 6,6: «…e non servendo per essere visti».
12 Francesco di Sales ripeteva con frequenza questa massima che lasciò come testamento alle Suore della Visitazione. Cf Barberis G., Vita di S. Francesco di Sales, S.E.I., Torino 1944, p. 589.
13 Cf Lc 14,10: «… va’ a metterti all’ultimo posto».
14 Cf Mt 5,37: «…sì, sì; no, no».
15 S. Gemma Galgani (1878-1903), giovane lucchese, rimasta orfana, desiderosa di intraprendere la vita religiosa, non fu accolta da nessun istituto a causa della salute malferma. Venne ospitata dalla famiglia Giannini. Coltivò una forte spiritualità passionista e ricevette doni mistici straordinari.
16 Cf 1Sam 16,7: «…il Signore guarda il cuore».