Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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LA SPERANZA1

Per la fede noi conosciamo e crediamo in Dio, sommo bene ed eterna felicità. Allora noi cominciamo a desiderare il possesso di questo Dio, sommo bene, e cominciamo a desiderare e pregare per poter raggiungere la visione beatifica, quindi il paradiso eterno. Dalla fede nasce la speranza e il desiderio e l’impegno di prendere tutti i mezzi per raggiungere la santità, la felicità eterna. Se noi abbiamo bene nell’animo le tre virtù teologali, ecco possiamo essere sicuri che da esse nascono poi tutte le altre virtù, particolarmente le virtù religiose.
Che cosa è dunque la speranza? La speranza è la virtù teologale impressa dal Signore nella nostra anima per mezzo del Battesimo, e poi continuamente accresciuta per mezzo degli altri sacramenti, delle preghiere e delle opere buone. La speranza è quella virtù che riguarda Dio, cioè l’eterna felicità e nello stesso tempo i mezzi, cioè tutte le grazie per conseguire la felicità eterna.
Il Signore ci ha creati per sé, cioè per la sua gloria e per averci un giorno in paradiso. Siamo usciti dalle sue mani onnipotenti, creatrici e dobbiamo ritornare a lui. La vita presente è una prova, cioè se noi desideriamo veramente il paradiso oppure se noi vogliamo contentarci di quello che presenta la terra e la vita presente. Il Signore che ci ha creati liberi rispetta la nostra libertà e propone a noi il paradiso, ma non ci costringe, vuole che lo scegliamo liberamente. D’altra parte ci mostra anche i castighi e cioè l’inferno, e ci dice che due sono le strade della vita: una strada stretta, ma che mette capo al paradiso, e un’altra strada comoda, larga, ma che mette capo
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all’inferno. «Elige ergo vitam»2, scegli dunque la strada che conduce al paradiso. Sperare il paradiso. E perché no, se Iddio ce lo ha promesso? Sperare il paradiso. Il Signore ce lo ha promesso in tante maniere. Il Vangelo quante volte ci mostra questa promessa fatta da Gesù. La più chiara è: «Vado parare vobis locum»3, io parto da voi, ma vado a prepararvi un posto in paradiso. D’altra parte egli ha descritto la sentenza che darà al giudizio finale: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare», ecc., con la conclusione: «Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio»4. Che gran festa quel giorno! E sarà l’ultimo giorno del mondo.
Le otto beatitudini sono altrettante promesse del paradiso. Gesù promette il paradiso a chi ha lo spirito di povertà. Promette il paradiso a chi piange i suoi peccati e il male del mondo. Promette il paradiso a chi ha fame e sete della giustizia di Dio, perché sarà saziato. Promette il paradiso a quelli che sono perseguitati, perché il loro premio è grande presso Dio, ecc. Sono tante promesse che egli fa. Gesù non ci promette i beni temporali nella vita presente! C’è però la provvidenza di Dio che dispone tutto quello che ci è necessario sulla terra se noi compiamo il nostro dovere. Il Signore è provvido e dà a noi quello che è necessario. Ma il Signore conclude così il discorso sulla provvidenza: «Cercate prima il regno di Dio»5, cioè cercate il paradiso e cercate la sua giustizia cioè la santità. Il resto sulla terra, quel che vi è necessario, vi sarà dato come per aggiunta. Il paradiso! Le promesse sono chiare. Dio è infinitamente fedele: nessuna promessa sua cadrà. Sta a noi il dovere di essere più fedeli. Il Signore chiede a noi una prova di amore. La vita è una prova. Vi sono i piaceri terreni, gli averi terreni, le lodi del mondo: ecco la via cattiva. E chi sarebbe senza tentazioni? Nessuno. L’ambizione, gli attaccamenti, la carne, la via cattiva. La prova sta qui: nel lasciar da parte queste cose che ci attirano, invece prenderci Dio, cioè fede, prova di fede e prova di amore e prova di fedeltà. Questa triplice prova che in
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fondo forma una prova sola ci assicura il cielo. Credere fermamente, amare sinceramente il Signore e osservare la sua legge. Fedeltà! Paradiso allora. Questa è la promessa. Ma il paradiso è un premio soprannaturale. La nostra natura non potrebbe esigerlo e allora intervengono i meriti di Gesù Cristo; quindi speriamo per i meriti di Gesù Cristo.
Qualche volta può entrare nell’animo lo sconforto, lo scoraggiamento, specialmente quando si sono commessi peccati. Allora alziamo sempre lo sguardo al Crocifisso. Gesù ha pagato per i nostri peccati. Gesù ha acquistato la grazia con la sua passione e morte. Questa grazia la infonde nel Battesimo e la infonde quando facciamo opere buone. Quindi per i meriti di Gesù Cristo e non per i meriti nostri. Per i meriti di Gesù Cristo.
Quando il padrone, di cui parla la parabola del Vangelo, andò in cerca di operai e al mattino presto ne trovò alcuni e pattuì con loro un denaro, allora era una somma discreta, giusta per una giornata di lavoro, e poi ritornò a prendere operai all’ora terza, sesta, nona e undecima, tanto che gli ultimi fecero appena un’ora di lavoro. Noi, anche facendo bene, meriteremmo solo il denaro. Ma il Signore è stato buono e ci dà quel che noi non meritiamo, non per i meriti nostri, ma per i meriti di Gesù Cristo. Paga a noi un’ora di lavoro che meriterebbe ben poco, un decimo della giornata intiera, invece sovrabbonda e ce la paga intiera. «Una misura buona, una misura abbondante, una misura pigiata, una misura che versa, perché il vaso è traboccante»6. Ecco la bontà di Dio: il paradiso.
Anche i più grandi santi con tutto il bene che hanno fatto di per sé non meriterebbero certamente il paradiso, ma sono intervenuti i meriti di Gesù Cristo. Noi abbiamo questa grazia, che i meriti di Gesù Cristo ci vengono applicati. Tu fai una piccola opera, supponiamo che scopi la camera, che ti lavi le mani, se fatto con retta intenzione, quello per sé varrebbe poco, ma Gesù aggiunge la sua grazia, i suoi meriti. È di fede che da noi nulla possiamo fare per il paradiso, ma possiamo tutto per i meriti di Gesù Cristo. Quel lavarci le mani e quello
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scopare la camera, ecc., mentre sono cose tanto da poco, hanno un merito grande e avranno un premio eterno. Eterno! Perché la sua misericordia sovrabbonda e ci darà un premio eccedente, ineffabilmente eccedente il nostro merito! Sì. Perciò sempre è necessaria la grazia per qualunque merito: «Sine me nihil potestis facere»7 per il paradiso, per quel paradiso: «Senza di me non potete far nulla». Ci vuole sempre la grazia di Dio. Anche adesso che ascoltate, se non intervenisse la grazia, l’opera che si fa non meriterebbe il paradiso; non sarebbe un merito per il paradiso, ma diviene un merito per il paradiso se noi pensiamo: Da me nulla posso, con Dio posso tutto. Senza di me nulla potete fare, assolutamente nulla. Ma io posso mangiare da me, posso studiare da me. Ma questo non guadagnerebbe merito eterno se non intervenisse la grazia che prende quella piccola opera, vi unisce la sua misericordia e la eleva, per questa misericordia, a premio eterno.
Sempre umiltà. Quando poi uno confida: Ho fatto questo di buono, e pensa che non vale nulla per il paradiso, se ne compiace, perché quello è buono, perde il merito e tutto va inutilizzato. Sempre credere che dobbiamo fare il bene e che siamo servi inutili. Ciò che abbiamo fatto per noi, e se noi ci compiacciamo, è inutile per il cielo, ma se Gesù vi unisce la grazia, ecco il valore è immenso: il premio eterno.
Qualcuno dice: I bambini rubano il paradiso, perché non fanno niente e se ne vanno a godere il premio, perché sono morti dopo il Battesimo, prima di essere arrivati all’uso di ragione. Certo che non hanno fatto niente, avranno pianto forse un po’, qualche lacrima inconsapevole, ma ci sono i meriti infiniti di Gesù Cristo che sono venuti per il Battesimo. Ecco, non hanno fatto nulla! Ha fatto tutto Gesù Cristo. E noi crediamo di fare tante cose? Guai se confidiamo e se ci compiacciamo delle nostre opere buone, perché dopo non valgono proprio niente. Tutto perduto! Bisogna dire: Ho fatto quel che dovevo, ma sono un servo inutile, adesso Gesù aggiunga la sua grazia, allora vale. Possiamo dire è uno zero la nostra opera, ma se Gesù ci mette l’uno davanti, cosa fa? Quanto fa? Dieci. E
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quest’uno è la grazia di Dio. Ma la fede sia giusta, però. Sia giusta la fede! E allora la speranza sarà ben fondata sui meriti di Gesù Cristo.
Perché non sperare il paradiso, se il Signore ce l’ha promesso tante volte? Da dove viene questo scoraggiamento, questo avvilimento, questa depressione: Chissà se mi salvo? Chissà se il Signore mi ha perdonato? Depressione che viene dall’inferno. Il Signore ci ha promesso il paradiso ed è infinitamente fedele alle sue promesse. E se tu sarai fedele avrai il centuplo sulla terra e la vita eterna.
Però la nostra speranza per essere buona, mentre deve avere una profonda confidenza, una certezza nelle promesse di Gesù Cristo, bisogna che sia anche pratica, operosa, cioè dobbiamo fare opere buone. È per le opere buone che io spero, voglio e devo fare; quindi opere buone occorrono. Quanto è sapiente la raccomandazione di coloro che ripetono spesso: Facciamoci dei meriti! Avanti, meriti! Non perdiamo il tempo. Riempiamo la giornata di meriti. Tutti i minuti rappresentino un merito innanzi a Dio, perché compiamo la volontà di Dio e operiamo con retta intenzione, confidando nella passione di Gesù Cristo. Opere buone! Allora ci vuole la preghiera: opera buona. E tra le preghiere in primo luogo la preghiera sacramentaria, quella dei sacramenti: Confessione, Comunione, Messa, Visita. Preghiera sacramentaria.
Poi la preghiera sacramentale8. Sono quelle orazioni che avete da dire, le orazioni comuni: il rosario, la Via crucis, la meditazione, l’esame di coscienza. Poi vi è la preghiera particolare, singolare, di ognuna, perché ognuna può poi dire tante orazioni nella giornata, anche giaculatorie. Quindi le principali opere buone sono le preghiere. Tuttavia le preghiere nella misura che sono disposte, e voi sapete cosa dicono le Costituzioni.
Secondo viene l’esercizio della carità: carità di famiglia, in famiglia, e carità fuori famiglia, cioè verso tutto il mondo per
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cui preghiamo e verso le persone a cui possiamo giungere con l’apostolato. Carità: amare il prossimo come noi stessi e cioè tutto quel bene che desideriamo per noi, pregarlo anche per gli altri, chiederlo al Signore anche per gli altri.
Poi tutte le altre opere buone. La giornata è piena di opere buone: dalla levata di questa mattina fino alla levata di domani. Anche il cibo, anche il riposo presi bene sono opere buone, con la retta intenzione di mantenerci nel servizio di Dio, cioè aver salute per continuare a servire il Signore. Perciò anche le minime opere buone. Non distinguere tra ufficio e ufficio, tra opera e opera. Quello che è disposto, quello che richiede la carità, farlo subito. Non c’è da dire che guadagni di più chi maneggia la penna o chi maneggia la zappa, chi adopera il pennello di chi adopera la scopa. Il merito dipende dalla retta intenzione, dal fare la cosa bene, con impegno e per amore che vuol dire questo: l’impegno di farla bene è l’amore unito all’intenzione. Niente è piccolo rispetto all’eternità, perché se anche la cosa è minima il premio è eterno. Quella cosa l’hai fatta in un istante, hai detto una parola buona alla sorella; in un istante, hai detto un sì al Signore, perché ti ha dato quell’ufficio, ti ha assegnato quel lavoro: il premio è eterno. Non vi è proporzione, dice S. Paolo, tra il bene che si fa e il premio che si riceve da Dio9. E allora nessuna anima deve essere malinconica, triste. Si cammina per la strada del cielo, e allora si cammini come quelli che vanno all’eterno riposo, allo sposalizio eterno con Gesù, professione eterna sulle porte del cielo. Andare avanti cantando e si canta quando si va a un pellegrinaggio. Per andare a vedere che cosa? Una figura particolare di Maria, oppure andare a onorare un mistero. Veramente Maria è anche qui, e il mistero che ci rappresenta la Trinità noi possiamo onorarlo anche qui, ma noi andiamo cantando, perché vedremo Iddio come è, non in immagine, ma com’è la Trinità, e possederemo Dio sommo bene e lo godremo felici della felicità stessa di Dio.
Andare avanti sempre lieti nella vita. Che cosa è questo camminare con tristezza, malinconia, dipingersi la vita brutta, pesante, perché mi è successo questo, mi è successo quello? E
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che cosa ti è successo? Un’occasione di guadagnare più meriti! E che cosa ti può succedere? La disgrazia più grossa cioè di andare al paradiso e di morire per entrare in paradiso. Allora bisogna dire: Camminiamo verso il cielo. «Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus: Mi sono allietato nella promessa di Dio: andiamo nella casa del Signore»10. In eterno lassù! Paradiso! Ma questa speranza che sia viva ed operosa, viva, profondamente sentita. Parlare spesso del paradiso, parlare spesso delle grazie che il Signore ci dà per guadagnare il paradiso. Essere certe che si è chiamati al cielo, alla santità e che nello stesso tempo si hanno le grazie, e che quelle opere minime guadagnano un premio eterno, sproporzionato al loro valore, al valore che avrebbero in se stesse. Fiduciosi sempre in colei che è la porta del cielo: Maria ianua coeli, porta del cielo.
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1 Predica tenuta a Roma il 13 marzo 1956. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 24b = ac 42b.

2 Cf Dt 30,19: «Scegli la vita».

3 Cf Gv 14,2.

4 Cf Mt 25,35.34.

5 Cf Mt 6,33.

6 Cf Lc 6,38.

7 Cf Gv 15,5.

8 La preghiera sacramentaria conferisce la grazia in forza del sacramento. La preghiera sacramentale prepara a ricevere la grazia e a cooperare con essa (cf Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1670).

9 Cf Ef 6,8; Rm 8,18.

10 Cf Sal 122,1.