39. DOPO LA SEPOLTURA DI DON FEDERICO1
Io sono un uomo pieno di debiti verso Dio e verso gli uomini. Forse, anzi sono certo che non riuscirò a pagare il debito di riconoscenza contratto con voi e con quelle anime che hanno offerto la loro vita in cambio di quella di don Federico. Noi non conosciamo neppure quello che il Signore vuole da noi, tanto meno quello che vuole da altre anime. Chi ha voluto offrirsi in luogo di don Federico ha compiuto un atto assai meritorio di carità squisita, gradito a Dio. Ne avrà ricompensa da Dio e da don Federico. Il Signore è buono anche quando non comprendiamo il suo operato.
Si può dire che don Federico a 47 anni fosse giunto nella pienezza della vita. Un sacerdote appena ordinato fa quello che può, ma sui quarant’anni è nel pieno della sua esperienza. Così don Federico. Un chierico mi diceva: Deve avere un bell’ufficio lassù il Signore da dargli, per esserci stato tolto così presto.... Lassù ognuno, avrà il suo ufficio secondo quanto ha fatto qui in terra. E così chi quaggiù cura i corpi, in cielo si occupa di malati di spirito. Anche in paradiso si lavora. Non crediate di andare a far niente.
La preghiera fatta ha servito a don Federico per affinarlo ed elevarlo nello spirito e a fargli fare un transito così sereno e santo. La preghiera fatta ha servito per noi stessi. Se il Signore non ha concesso tale grazia, ne ha concesse altre. Credo che molte anime avranno ottenuto dalla morte di don Federico maggiore riflessione, maggiore aumento di grazia, un bisogno di sentirsi più unite a Dio. Se Dio ci nega una grazia, ne dà certamente altre, e se toglie un operaio fedele, ne dona degli altri.
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È stato uno degli ultimi pensieri di don Federico: ottenere dal cielo delle vocazioni. Nessuno sa con certezza quale aumento di vocazioni vi sarà, ma saranno vocazioni scelte.
Se si vive bene si guadagna il paradiso. La nostra vita, per quanto breve, è abbastanza lunga quando si guadagna il paradiso. Se si vive male si merita l’inferno, anzi ogni peccato nuovo è un nuovo inferno, perché è l’aggiunta di una sofferenza nuova.
Ricordo nella Messa, in generale ed in particolare, tutta la casa che è destinata a curare i corpi e le anime. Si consideri la vita per quello che è: lavoro per meritare il paradiso. Fare perciò la volontà di Dio quale si presenta. Vi sono persone tanto tormentate, altre lo sono meno. Ognuno si santifichi con le sue tentazioni e con le sue grazie. Pensare al paradiso, lavorare per il paradiso, pregare per il paradiso.
Un’altra cosa che voglio raccomandare: state attente alla retta intenzione. A volte non si bada tanto a questo e l’amor proprio fa un po’ velo, e così le giornate non rendono per il cielo. Fate come la Madonna. La retta intenzione rende meritorie le opere per se stesse indifferenti. Il merito è tanto più grande quanto più amore si mette nell’azione e quanto più pura è l’intenzione. La retta intenzione consola anche quando si è fatto di tutto per ottenere una cosa e poi ci viene dato il contrario. Il merito c’è tutto anche se non si ottiene l’effetto. La persona è andata [in cielo], ma è tornata nella [sua] piena attività. Esaminatevi qualche volta sulla retta intenzione. L’insuccesso non abbatte, ancorché l’amor proprio resti punito.
Si dica bene il Cuore Divino e il Vi adoro, offrendo le azioni secondo le intenzioni di Gesù stesso.
Benedico la mente ed il cuore, perché si faccia tutto con retta intenzione.
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1 Predica tenuta ad Albano il 25 giugno 1956. Dattiloscritto con due battiture diverse, di cui uno con varie correzioni, carta comune e vergata, fogli 1 bianca e volta (21x28); stampato in dodicesimo, pp. 4-6. Seguono le parole di P. Isidoro di S. Elia (1913-1978), carmelitano scalzo, officiale addetto della Congregazione dei Religiosi, e la predica di don Alberto Barbieri (1919-2004) per la S. Messa di trigesima di don Federico Muzzarelli. Riteniamo come originale lo stampato. La data è ricavata da un dattiloscritto.