Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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8. OCCUPARE BENE IL TEMPO1

Ieri sera ho letto una relazione sopra il Maestro Giaccardo, e riguardava precisamente questo periodo: gennaio 1948. Egli aveva detto allora, al principio del mese: Ora si è compiuto quello che desideravo io, io me ne vado in paradiso fra poco. Con tutta la serenità. Colui che ha udito questo non l’aveva mai riferito, almeno a me. E d’altra parte, allora, non gli aveva dato tutta l’importanza. Poi arrivata la notizia della morte se ne ricordò bene, e ne fece la relazione con le circostanze in cui queste parole erano state pronunciate2.
Ora, vedete, è utile che noi dopo l’introduzione, dopo esserci fissati con il pensiero al paradiso, veniamo anche a concludere col pensiero del paradiso. Pensando al paradiso abbiamo preso la nostra strada, ci siamo consacrate a Dio. Il pensiero del paradiso è stato dunque il primo nell’intenzione, ma nell’esecuzione è l’ultimo, cioè dopo la vita, il paradiso, il premio eterno. Ora tenere presente questo: ogni giorno ci avviciniamo al cielo. Ogni giorno. Tutte le volte che noi togliamo un foglietto al calendario abbiamo da pensare: anche questo è passato, questo giorno, questo mese, e sono più vicino al paradiso di un’altra giornata, di un altro mese. Se poi cambiamo il calendario a fine dell’anno, allora siamo più vicino al paradiso di un anno.
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Il paradiso! È il grande bene della religiosa. Primo pensiero: il paradiso prima di tutto soddisfa tutti i nostri desideri. Chi ama le cose belle, chi ama Gesù, chi ama Maria, chi ama le cose sante, chi si diletta delle vite dei santi, ecc., il paradiso soddisfa tutti i nostri desideri, tutti! E ciascuno partecipa dei beni del paradiso secondo i suoi meriti.
Il paradiso è insieme visione di Dio, possesso di Dio, gaudio in Dio, ma la visione sarà tanto profonda quanto uno si è fatto di meriti. E il possesso di Dio sarà più sentito in quanto uno è ricco di meriti! E il gaudio in Dio è proporzionato ai meriti compiuti, quindi il paradiso non è uguale per tutti. Per tutti è piena soddisfazione, ma non è uguale la soddisfazione che ognuno sente. Se un bicchiere è pieno, è pieno, non può contenere di più; è solamente capace a quello, a quella santità, e se per assurdo potesse ragionare, direbbe: Ne ho basta! La botte è piena quando è tutta riempita del liquido, di vino, di acqua. Sono ugualmente pieni il bicchiere e la botte, ma pensiamo quanto la botte contiene più di un bicchiere! Quanto merita quindi, che noi lavoriamo, lavoriamo per il paradiso. Ecco, il santo Giuseppe Cafasso3 a ripetere spesso: Lavoriamo, lavoriamo, riposeremo in paradiso. Non che il paradiso sia ozio, ma è cessare dalle fatiche della vita presente, dai dolori, dalle prove, dalle tentazioni della vita presente. Come si dice che il Signore creò per tanti giorni, poi riposò, vuol dire che non continuò a creare. Così noi non continueremo a vivere e a occuparci delle cose di questo mondo, e allora il paradiso sarà proporzionato ai meriti.
Che cosa ne viene di conseguenza? Questo: la sollecitudine per acquistare il massimo. Questa sollecitudine si mostra in tre maniere: primo, non perdere tempo; secondo, sveltezza nel compiere le cose; terzo, fare le cose nel modo più meritorio, nel modo che accresce maggiormente la grazia in noi, quindi il merito, quindi il premio.
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Primo. Non perdere tempo. Il tempo è l’unico tesoro che abbiamo su questa terra, perché nel tempo sono contenuti tutti i beni naturali e tutti i beni soprannaturali. Tutti i beni naturali: se uno studia alla fine conosce, se ha occupato bene il tempo della scuola e dello studio. Se uno si prende anche quel tanto di riposo che è necessario per mantenersi nel servizio di Dio, cioè per conservare la sua salute, e poi si sbriga, svelto, fa un po’ di violenza a se stesso, ecco occupa meglio il tempo. Pensiamo che vi sono persone che fanno due ore di più di lavoro al giorno rispetto ad altre, perché riducono il loro riposo supponiamo a sette ore, mentre le altre ne fanno nove tra la notte ed il giorno, seppure non fanno ancora una piccola aggiunta. Due ore, due volte trecentosessantacinque, quanto tempo si guadagna in un anno? Non tutti abbiamo la grazia di vivere secondo la regola di Pio X, il quale diceva che gli bastavano fra cinque o sei ore di sonno. Ma vi è un certo riposo più lungo per i giovani e un riposo meno necessario, e quindi meno lungo per chi ha oltrepassato i venticinque anni.
Poi avanti. Ecco, S. Ignazio4 vuole che si determini negli Esercizi il nostro pasto, per non andare poi secondo il gusto e la preferenza, a seconda che il cibo o la pietanza piaccia o no, quindi maggior quantità o meno; e vuole anche che determiniamo il tempo di riposo5. Allora quando uno può ridurre un po’ il riposo, certo ha meno tentazioni, certo il suo organismo a poco a poco diviene più tenace, anche quanto a salute. Bisogna che negli Esercizi determiniamo il tempo. Direte che in comunità è già determinato. Allora si sta a quanto è determinato dall’orario. Dunque approfittare al massimo del tempo. Dante dice: Perder tempo, a chi più sa più spiace6. Chi è sapiente ha paura sempre di perder tempo e se potesse si moltiplicherebbe nelle forze e vorrebbe allungata la sua giornata. Tuttavia non è più di ventiquattro ore la giornata, ma si tratta di utilizzarla.
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Qualche giorno fa ho sentito da una persona la quale è a contatto diretto con il Santo Padre anche durante la giornata: Se vedesse che scrupolosità per non perdere un minuto di tempo. Aggiusta le sue cose in maniera di non doversi cambiar le scarpe, di non dover far la scala se non quando è necessario. Il suo tempo è ben determinato. E si capisce allora che uno fa molte cose. I santi avevano anche le ore come le abbiamo noi, ma sapevano utilizzarle al massimo.
Prima di finire gli Esercizi determinare bene il tempo, visto che c’è uno dei vizi capitali che si chiama pigrizia. Pigrizia vuol dire andare in chiesa e non pregare, fantasticare. Pigrizia vuol dire arrivare tardi agli atti comuni, quando si può arrivare in tempo. Pigrizia vuol dire prolungare il riposo oltre misura. Pigrizia è il non applicarsi quanto noi possiamo: disciplinare quindi la nostra vita. Disciplinarsi in tutto: la lingua come gli occhi, il tatto come l’udito. Disciplinarsi con l’orario. Penitenze? Prima penitenza usare il tempo a servizio di Dio quanto più possiamo intensamente.
Secondo. Per acquistare maggiori meriti noi dobbiamo compiere le cose in maniera che se ne guadagnino il massimo. Guadagnare il massimo, cioè: si ha quel lavoro da fare? Si ha un ufficio, se ne ha un altro? Ebbene, metterci la testa, il cuore, le forze fisiche, le forze morali, metterci tutta la volontà. Concentrarsi, raccogliere le nostre forze. Altrimenti una distrazione, assecondare la fantasia, quasi guardare di malocchio quell’occupazione che ci è stata assegnata, ecc…, farla quindi malvolentieri, stare in quel luogo malvolentieri, tutto nella giornata viene fatto quasi con tiepidezza, senza applicazione, compiere quelle cose meccanicamente. Povere azioni, che pure son buone in sé, forse... A che cosa si riduce il merito? Il merito c’è quando tutto l’essere nostro è diretto nel compiere il volere di Dio, nei nostri doveri, in quello che è a noi comandato. Compierlo: metterci l’intelligenza per farlo bene al massimo e progredire. Metterci il cuore e amare il nostro compito ancorché fosse disgustoso, per amore di Dio, perché amiamo Dio, come se noi dovessimo fare come Gesù che si è preso la croce sulle spalle. Significa ancora metterci tutta la forza, la salute, le energie fisiche e morali che abbiamo, e pregare
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perché la cosa riesca. Ricordo che negli Esercizi spirituali del santo Giuseppe Cafasso si diceva che a un certo uomo il quale non faceva né il ringraziamento né preparazione alla Comunione, fu detto: Ma tratta un po’ meglio il Signore, è figlio di una buona Madre!
Terzo. Sveltezza! Come è bello il decalogo della sveltezza7! Quando uno è svelto, nella giornata compie molte cose in più. Parlare poco, operare! Il Signore non ci giudica [secondo le parole] e con le chiacchiere non si guadagnano dei meriti: «Secundum opera eis retribuit: ciascheduno sarà retribuito, pagato secondo il lavoro»8.
Sempre svelte in tutto. Non precipitazione e quindi non imprudenze, ma la sveltezza che è consentita alle nostre forze. La sveltezza partecipa alla buona riuscita delle cose. Ecco, come è bello questo. Allora neppure il diavolo ci trova disoccupate per tentarci. Proprio pochi giorni fa ascoltavo uno che mi pregava: Mi dia tanto lavoro, mi dia tanto lavoro, altrimenti, quante fantasie, quante tentazioni! Che io abbia proprio la giornata piena, che da un’occupazione debba passare a un’altra, senza neppure avere tempo di fermarmi e distrarmi e occuparmi di cose che non mi riguardano. La legge della sveltezza è salute, è santità, è sapienza.
Vi è ancora un altro modo, lo aggiungiamo, per acquistare maggiori meriti ed è questo: non legarci soltanto a una cosa da fare, ma farne anche altre. Se la ricreazione è usata per lavarsi la biancheria, supponiamo, se usata per mettere i fiori, per far la pulizia, per dare una mano in cucina, per aiutare a piantare i cavoli o altri ortaggi, ecc., fa bene alla salute, e fa bene allo spirito, si guadagna meriti. Non sono le parole che ci servono, ma l’operosità. Oh, sì, l’operosità! Non dobbiamo attaccarci ad una cosa e lì legarci, perché anche nel bene ci può essere l’attaccamento. Ad esempio: Non si dà più pace perché non hanno fatto abbastanza conto del libro che ha scritto! Scrivi bene, con buona volontà, quel che puoi, e poi lascia! Non disturbarti per il resto. Ecco, tanto guadagna merito chi adopera la scopa
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come chi adopera il pennello, tanto chi adopera il coltello per sbucciare le patate, come chi adopera la penna, tutto se è fatto con amore è uguale.
Quando sono venuto a Roma la prima volta a parlare dell’Istituto, non ricordo bene che anno fosse, del ‘20 o ‘22 non so, e mi hanno detto subito: Non è lecito fare due classi di persone, tutte uguali, tutte uguali sono le suore. Una sola classe, siete tutte uguali, e vediamo di tenere sempre questo pensiero di umiltà. Che non perdiamo i meriti con la vanità, perché sappiamo qualche cosa. Oh, che cosa diceva: Surgunt indocti et rapiunt regnum Dei, nos autem cum nostris litteris in profundum demergimur!9. Ci sono questi contadini, questi operai, queste madri di famiglia così semplici, questi padri di famiglia che hanno buon spirito di fede, e si guadagnano tanti meriti, tanti meriti. Perché? In una famiglia, quante pene, quante prove ci sono alle volte! E si guadagnano il paradiso. E noi con le nostre lettere, cioè con la nostra scienza, con il nostro sapere stiamo giù giù. Ecco, allora guadagnare il massimo per il paradiso. «Stella a stella differt in claritate: Una stella è più splendente dell’altra in cielo»10. Non sappiamo: se stasera il Signore ci assegnasse il posto in paradiso, non sappiamo se ci tocca su o giù! Stimiamo tutti, rispettiamo tutti e cerchiamo di essere veramente saggi. «Prudentia carnis mors est, prudentia spiritus vita: La prudenza della carne è morte, porta la morte. La prudenza invece dello spirito, porta la vita»11. Se noi sappiamo utilizzare bene il tempo e vediamo di riempire al massimo le giornate di meriti, che bel paradiso! Che bel paradiso! Dunque saggezza. Tutto questo, secondo la spiegazione dei doni dello Spirito Santo, è veramente la sapienza, il dono della sapienza!
Allora, adesso veniamo alla conclusione: paradiso! Paradiso sia il canto che ripetete più frequentemente. Sia il sospiro di ogni giorno: Quest’oggi lavoro per il paradiso. Sia questo che
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ci sostiene nelle lotte e nelle difficoltà, che ci incoraggia nei sacrifici, che ci dà letizia nel lavoro: paradiso! Non contentiamoci della stima dell’uno o dell’altro, no! Vogliamo che Dio sia contento di noi, che il Signore possa dire: Questa è una figlia diletta! Una mia figlia diletta, che mi piace! Dar gusto a Dio, incontrare il gusto di Dio. Paradiso! E con questo pensiero do la benedizione a voi, ai vostri propositi, ai vostri santi desideri, al vostro apostolato, a questa casa, e poi a tutto quello che già fate, a quello che potete ancora fare in avvenire per l’utilità della Congregazione, per la santificazione della vostra anima, per la gloria di Dio. Vivere in un’atmosfera elevata di fede. Ragionare secondo la fede. Alle volte facciamo annegare la fede, a forza di ragionamenti umani, non siamo che uomini! Invece dobbiamo essere cristiani e religiosi! Ragioniamo secondo la fede, sempre! «Voi che avete lasciato tutto e mi avete seguito riceverete il centuplo, possederete la vita eterna!»12. Ecco la grande promessa. Dio è fedele! La vita eterna ce la darà, ma noi dobbiamo essere fedeli ai nostri voti!
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1 Predica tenuta durante gli Esercizi spirituali a Grottaferrata il [18] gennaio 1956. Dattiloscritto, carta comune, fogli 6 dal titolo “Il Paradiso”. A mano è aggiunto “Primo Maestro - Esercizi di Grotta, gennaio 1956”. Le curatrici dei dattiloscritti successivi hanno messo come titolo: “Utilizzazione del tempo”. La predica è stata stampata in Prediche del Primo Maestro, riportate nelle sue parole originali, 1955, Boston pp. 106-112 con il titolo “Occupare bene il tempo”. Essendo minime le varianti si ritiene come originale lo stampato.

2 Il padre Angelico di Alessandria ofmc, della Congregazione dei religiosi e visitatore apostolico delle Pie Discepole del Divin Maestro negli anni della laboriosa approvazione del loro Istituto, scrive: «Esce il Decretum Laudis e il servo di Dio in quella circostanza mi dice: ‘Ormai la mia opera è compiuta e sono pronto a mantenere l’offerta fatta a Dio’. Gli dico: ‘Parto per l’Olanda e al mio ritorno’… ‘Allora ci rivedremo in Paradiso’. Al mio ritorno non l’ho più trovato» (Dep. n. 698). Cf M. Lucia Ricci, Don Timoteo Giaccardo e le Pie Discepole del Divin Maestro, Roma 1996, p. 84.

3 Giuseppe Cafasso (1811-1860), sacerdote della diocesi di Torino, direttore spirituale, fra l’altro di don Bosco. Dedicò gran parte del suo tempo all’assistenza dei carcerati e dei condannati a morte, all’insegnamento specialmente della morale alfonsiana. Fu uno degli autori più letti e seguiti da Don Alberione (cf AD 133).

4 Ignazio di Loyola (1491-1556), spagnolo, sacerdote. Fondatore della Compagnia di Gesù (1540). Autore degli Esercizi spirituali. Il motto di S. Ignazio e dei gesuiti è: Ad maiorem Dei gloriam.

5 Cf Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali 83-84.

6 Cf Alighieri D., La Divina Commedia, Purgatorio, III, 78. Dante Alighieri (1265-1321), fiorentino, poeta, scrittore e politico. Considerato il padre della lingua italiana.

7 Cf VPC 32, p. 254.

8 Cf Mt 20,4.

9 S. Agostino, Le confessioni, VIII, 8: “Sorgono gli ignoranti e rapiscono il cielo e noi con il nostro sapere senza senno, ecco dove ci ruzzoliamo: nella carne e nel sangue”.

10 Cf 1Cor 15,41.

11 Cf Rm 8,6.

12 Cf Mt 19,29.