Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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50. I CONSIGLI EVANGELICI1

Tutta la santità sta nell’unione nostra con Gesù, unione di mente, di volontà e di cuore in adempimento al primo precetto che è anche il principale e comprende tutti gli altri: «Amerai il Signore con tutta la mente, con tutte le forze, cioè con tutta la volontà e con tutto il cuore»2.
Abbiamo già considerato il secondo punto in parte, ora veniamo alle altre due parti e cioè seguire i consigli evangelici. Sono consigli, quindi vi è libertà di scelta. Sono consigli, quindi le anime che hanno ricevuto più grazia li comprendono. Una volta però abbracciati, questi consigli diventano obbligo per tutta la vita. Un medico è obbligato a esercitare la medicina. Se ha l’impiego in un ospedale o come medico di un determinato comune, deve mettere a servizio dei suoi infermi tutte le sue qualità, i suoi studi di medicina e di chirurgia. Fatti i voti restano obbligatori. I voti sono i tre consigli evangelici portati ad una più alta perfezione e sono mezzi per praticare meglio le tre virtù: castità, povertà e obbedienza nella vita comune.
Per praticare santamente i voti, occorre notare che essi ci servono a stabilire meglio la nostra unione in Dio. Se Gesù è stato povero, la nostra unione è di accompagnarlo nella povertà. Se Gesù è stato delicatissimo, purissimo, noi abbiamo da accompagnarlo in questa virtù; egli era consacrato tutto al Padre, è chiamato l’Unto del Padre. Se Gesù condusse una vita di obbedienza, la nostra unione sarà nell’accompagnarlo nell’obbedienza. Considerare la povertà di Gesù nel presepio e considerarla fino al sepolcro. Egli è nato in una grotta in cui è capitato quasi a caso. Tutto attorno era povertà, perché quella era una grotta in cui si riparavano dalle intemperie gli animali. E in Egitto si trovò forse meglio? Un paese straniero, niente di
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suo e obbligato a vivere in una povertà quasi estrema. A Nazaret poi una vita poverissima: fanciullo povero, giovinetto povero, giovanotto tutto intento a un duro lavoro, e così passò la sua vita privata. Casetta povera, abiti poveri, cibi poveri come un operaio di bassa condizione. Ecco il Figlio di Dio incarnato, colui che ha creato ogni cosa: l’oro, l’argento, i diamanti e tutte le pietre preziose. Ho veduto in un convento una suora che veniva dalla nobiltà e la sua famiglia non era soltanto nobile, ma anche molto ricca. Aveva fatto degli studi e quindi davanti a sé, umanamente parlando, aveva un avvenire invidiabile. Ebbene, quella suora era la più povera nel vestire. Come S. Francesco d’Assisi. Appunto perché hanno fatto il sacrificio volentieri. Quando si fa questa scelta lasciando davvero qualche cosa è segno che si è capito il valore della povertà e difficilmente si è esigenti.
Gesù continua la sua vita povera durante il ministero pubblico. «Il Figlio dell’uomo non ha una pietra dove posare il capo»3. Che voleva dire che in qualunque momento si fosse fermato in un posto o seduto sopra una pietra o sull’orlo di un pozzo, poteva venire uno a dirgli: Togliti, questo posto è mio.
Tutto in comune. Non è nostro il frutto del lavoro e neppure ciò che possiamo avere, e non possiamo tenere l’amministrazione. Gesù l’ha ceduta a Giuda l’amministrazione di quelle offerte che venivano fatte, perché il collegio apostolico si mantenesse e avesse di che fare carità. Gesù si volle fidare proprio di uno che ne abusò. Gesù nella flagellazione venne spogliato dei suoi abiti e nella incoronazione di spine fu rivestito di uno straccio di porpora e, condannato a morte, venne obbligato a portarsi la croce sul Calvario. Lì è di nuovo spogliato di quegli abiti che gli erano stati messi addosso per fare il viaggio al Calvario. Crocifisso, e il suo letto di morte fu una croce. Anche il sepolcro gli venne dato in carità. Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo lo depongono dalla croce e gli offrono una sepoltura poverissima. Ma quelle erano anime che lo amavano e con il loro accompagnamento funebre riparavano i tanti torti da lui ricevuti. Vedere un po’ come ci troviamo in riguardo
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alla povertà. Vi sono persone che la povertà la esercitano soltanto quando vi sono costrette. Ma se noi non rinunziamo a qualche cosa, che cosa potremmo avere? Noi ci sottomettiamo al comune, per quanto ci è possibile, dato lo stato di salute, al comune quanto al vestito, al comune per l’abitazione, al comune per il vitto, al comune per il letto. Facciamo poco conto di quello che ha fatto Gesù. Almeno almeno, praticare il voto di povertà secondo le Costituzioni.
La delicatezza di Gesù e la sua purezza. La castità di Gesù è indescrivibile. Volle avere due vergini al suo fianco, uno alla destra e uno alla sinistra: tre gigli, il più profumato Gesù in mezzo, a destra Maria e a sinistra S. Giuseppe. E amò chi era vergine: Giovanni. Si scelse per madre una vergine. Gesù sopportò ogni sorta di calunnie su tutti i punti: fu calunniato come un mangione, come un rivoluzionario, come un trasgressore del sabato, come superbo ed ostinato, ma non volle essere calunniato per niente su questa virtù che gli era tanto cara.
Tuttavia non si va sempre esenti dalle calunnie del mondo, vi sono calunnie le quali possono anche essere di onore, dipende da chi partono e dallo stato delle cose. Su questo ho già accennato sufficientemente parlando del sesto comandamento. Custodire il corpo, perché è tempio dello Spirito Santo. Il Maestro Giaccardo soleva portare questo esempio: Come la pisside che deve contenere il corpo di Gesù deve essere monda, così il nostro corpo. Mirabili miracoli operò Iddio nella concezione di Maria. E quando concepì: Et concepit de Spiritu Sancto… et Verbum caro factum est4 fu con un miracolo. Stava a cuore a Gesù questa virtù, e voleva avere attorno a sé una piantagione di gigli.
Vi è poi il consiglio evangelico dell’obbedienza, già accennato anche nel quarto comandamento. La vita di Gesù si può chiamare la vita di chi fece tutto per obbedienza. «In capite libri scriptum est ut faciam voluntatem ei qui misit me»5. Nacque dove volle il Padre, fuggì in Egitto come volle il Padre,
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passò tanti anni a Nazaret come volle il Padre «subditus illis»6. L’evangelista fa notare questo: sembrava quasi che Gesù, fermandosi a Gerusalemme mentre Maria e Giuseppe erano già in viaggio per ritornare a Nazaret, commettesse una disobbedienza, ma Gesù in quel momento dava un saggio della sua vocazione: «Non sapete che io devo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?»7. E tutta la sua vita fu un continuo occuparsi delle cose che riguardavano il Padre suo, specialmente il ministero pubblico. Quello preludeva a ciò che avrebbe fatto in seguito: lasciare la casa paterna e la casa materna e uscire ad annunziare il Vangelo. Veramente nel Libro delle preghiere dobbiamo introdurre un’altra dicitura riguardo ai soggetti di meditazione del quinto mistero gaudioso, dove si contempla la perdita e il ritrovamento di Gesù. Questo è soltanto l’esterno dell’episodio, il centro è ciò che Gesù volle allora dimostrare: essere chiamato a predicare il Vangelo8. Quindi ascoltava i dottori della legge, li interrogava e tutti stupivano della sua sapienza. Veramente è il mistero della corrispondenza alla vocazione, come lo annunziavamo tempo fa. Ora l’espressione del catechismo è un po’ variata, ma il senso è sempre quello. L’espressione è una cosa, e il senso che richiede è più profondo. Durante la sua vita pubblica Gesù fece sempre ciò che voleva il Padre: quando stava alle nozze di Cana, quando operava i prodigi, quando veniva cercato a morte, quando aveva da fare con quei dodici rozzi pescatori che capivano ben poco, sia quando nel Getsemani nell’ora tremenda veniva abbandonato. «Quae placita sunt ei facio semper»9 Sempre il volere di Dio.
Avere davanti a noi la povertà di Gesù, la purezza di Gesù, l’obbedienza di Gesù. Ci rifiuteremo allora? Non ci sarà più duro sopportare la povertà, praticare l’obbedienza e vivere in carità e specialmente in purezza nella vita comune. Sebbene egli fosse Dio e uomo si assoggettò, prese un corpo come lo
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abbiamo noi, soffrì le nostre miserie e sopportò i nostri mali: si fece un lavoratore, un fanciullo obbediente, un bambino che voleva essere fasciato, ricevere il latte da una creatura, e fu assomigliato e volle essere assomigliato ai tristi ed ai malvagi ed essere crocifisso in mezzo a due ladroni. Vita comune nella somiglianza agli uomini. Vita comune a Nazaret, vita comune con gli apostoli nel ministero pubblico, soltanto quando si trattò di andare a patire e a morire diede ordine : «Lasciateli andare, se cercate me lasciate andare loro»10, e andò solo.
Si capisce che ciò richiede sacrifici. Ma tante volte sono minori i sacrifici che si fanno da noi nella vita comune che tanti sacrifici e dolori e pene di certe mamme che hanno famiglie numerose, hanno tribolazioni su tribolazioni e in casa ci sono croci grandi e piccole.
Contemplare Gesù! Terza cosa da dire: abbracciare la volontà di Dio come viene manifestata dai superiori, come viene indicata dalle Costituzioni e dalle disposizioni. Questo è già stato detto. Ora volevo aggiungere: accettare la vita ordinaria come viene disposta dal Signore, oggi una malattia e domani sanità, quindi oggi dobbiamo esercitare la pazienza e fare l’apostolato della sofferenza, domani invece l’apostolato dello zelo. Adesso faccio la Visita, quindi l’apostolato della preghiera, poi verrà la ricreazione e devo partecipare alla serena carità. Ora il tempo è buono e confortevole, poi è caldo o tempestoso. Sopportare il male di dentro e quello che ci viene dall’esterno. Sopportare le pene interiori, specialmente quando ci sentiamo umiliate nel nostro spirito.
Occorre dire che ai nostri tempi vi sono varie malattie nello spirito, e fra le varie malattie spirituali vi è anche quella di atteggiarsi a vittime, perché incomprese. Ho descritto diverse volte nel San Paolo su questo11. Una trentina di anni fa vi era addirittura come un’influenza che passava facilmente da una persona all’altra. Chi si atteggia a vittima fa sopportare le pene agli altri. E chi è vittima allora? Vorremmo che la pazienza
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fosse tutta verso di noi, ma in primo luogo esercitiamola con gli altri. Ora quell’influenza che sembrava superata comincia a spuntare un po’. Incomprese! Mi fanno soffrire o sei tu che fai soffrire? Noi siamo tutti un po’ di peso agli altri, ognuno che entra in comunità porta i suoi difetti e ne trova altri. Allora: Ut discamus alter alterius onera portare: Bisogna che ci sappiamo sopportare gli uni gli altri12. E se noi non sappiamo sopportare i piccoli difetti che vi sono a destra o a sinistra o sotto o sopra, come vorremmo che gli altri sopportino noi? I santi hanno superato, portando delle grandi croci.
Omnes sancti, dice l’Imitazione di Cristo, per multas tentationes et passiones transierunt et profecerunt13. Sono passati attraverso molte pene e tribolazioni. Quando noi ci agitiamo per ogni piccola cosa e vogliamo atteggiarci a vittime, abbiamo forse lo spirito dei santi? D’altra parte non è bene parlarne, ma esserlo vittime: Io vi offro con tutti i Sacerdoti che oggi celebrano la santa Messa, la Vittima divina, Gesù Ostia e me stessa piccola vittima14. È già fatta così. L’offerta è comune a tutte le suore e a tutti i religiosi che vogliono essere osservanti. Mi lasci far il voto di vittima. Non ti lascio fare niente, perché è già stato fatto abbracciando questa vita. Si tratta solo di non farne un lusso, ma di viverlo veramente. Un lusso, una moda, come vi sono persone che sono povere, ma trovano qualche straccio colorato per metterselo addosso e farsi ammirare.
Siamo semplici nella nostra pietà, amore vero a Gesù, svelte, non molte parole, ma fatti, incontrare il gusto di Gesù non quello degli uomini. Non dobbiamo usare molte parole. Chi ama tanto, non usa molte parole. La parola ‘ti amo’ dice tutto ed ha infiniti sensi. «In multitudine loqui non deest peccatum»15, dice la Scrittura. Nella quantità delle parole facilmente si pecca o almeno si commettono imperfezioni. Il nostro apostolato,
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in primo luogo, è di riparazione non di zelo, riparazione per i peccati che si commettono con i mezzi moderni, ma questa riparazione non divenga per noi una specie di vestito esterno per cui noi prendiamo quasi figura di sacrificati. Questa tendenza è favorita alle volte da molti libri. Non tutti i libri che si chiamano di spiritualità indicano la strada buona. Se vogliamo libri sicuri, il primo è il Vangelo e con il Vangelo tutta la sacra Scrittura e poi in generale i libri che sono di santi, la cui vita e santità è approvata dalla Chiesa. Non servirsi di ogni libro e di qualunque autore sia. Il Papa ha detto che non sono le opinioni dei teologi che fanno la dottrina giusta. E voleva dire: Non sono le opinioni degli scrittori vari, ma il sensus Ecclesiae16 che bisogna seguire. Questo non solo nella vita, ma anche nella pietà.
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1 Predica tenuta a [Roma] il 21 ottobre 1956 durante un corso di Esercizi spirituali. Dattiloscritto, una sola battitura, carta vergata, fogli 5 (22x28). Autore e luogo sono stati aggiunti a mano

2 Cf Mt 22,37.

3 Cf Lc 9,58.

4 Cf Preghiera dell’Angelus: “E concepì per opera dello Spirito Santo… e il Verbo si fece carne”.

5 Cf Sal 40,8-9: «Sul rotolo del libro è scritto che io faccia la volontà di colui che mi ha mandato».

6 Cf Lc 2,51: «Stava loro sottomesso».

7 Cf Lc 2,49.

8 A differenza dell’edizione del 1944, in Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, a p. 90 si dice: “Chiediamo la grazia di comprendere e vivere la nostra vocazione”.

9 Cf Gv 8,29.

10 Cf Gv 18,8.

11 Cf San Paolo, settembre-ottobre, 1953; San Paolo novembre 1953; San Paolo, gennaio 1954, in Alberione G., Anima e corpo per il Vangelo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, pp. 119ss.; 140ss.; 195ss.

12 Cf Imitazione di Cristo, I, XVI, 2.

13 Cf Ibid.: “I santi passarono tutti per molte tribolazioni e tentazioni, e progredirono”.

14 Cf Offertorio paolino, in Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, p. 40.

15 Cf Pr 10,19: «Nel molto parlare non manca la colpa».

16 Cf Meditazione 33, parte 3, nota 18.