Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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22. LA VIA CRUCIS1

I. [Dalla prima alla quarta stazione]

Questa si chiama la seconda domenica di Passione, oppure, come è chiamata comunemente: la domenica delle Palme.
Sappiamo che il Signore è entrato trionfalmente in Gerusalemme. Il popolo visto il grande miracolo della risurrezione di Lazzaro era pieno di fervore, di santo entusiasmo. Però, Gesù entrando così trionfalmente in Gerusalemme, prevedeva quella che sarebbe stata la prossima uscita da quella città il venerdì santo, quando sarebbe uscito quasi dalla parte opposta, portando la croce sulle spalle, avviandosi al luogo del sacrificio, al Calvario.
E con questo che cosa ci vuol dire? L’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme fa prevedere il nostro ingresso in paradiso: sarà un ingresso trionfale. Verranno incontro gli angeli e i santi, particolarmente le persone care, le persone della Congregazione che già saranno arrivate al luogo di beatitudine. Però, prima di arrivare a quell’ingresso trionfale, dobbiamo ricordare che si deve seguire Gesù che porta la croce e anche noi avviarci al sacrificio, al Calvario. Il Calvario potrà essere un letto dove si muore, una strada, la casa, il luogo comune della preghiera, la cappella.
In Alba abbiamo avuto due morti a S. Paolo. Uno sui cinquant’anni aveva avuto una lieve influenza e già stava meglio. Al mattino, quando andarono, come al solito, a preparare la camera per portargli la Comunione, era freddo cadavere, nel letto. Di lì a pochi giorni, terminata la proiezione di una pellicola, uno dei chierici, il migliore della classe, disse al Maestro: Mi pare di sentire tanto mal di testa: mi faccia prendere qualche cosa. Man mano che si avvicinavano all’infermeria,
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il Maestro si accorgeva che camminava sempre più stentatamente. Appena aperta la porta dell’infermeria per introdurlo, dovette sostenerlo e gli spirò in braccio.
Vi sono i martíri violenti e vi sono i martíri quotidiani. Un santo viene condannato alla decapitazione e muore sotto la spada del carnefice, un altro è arso vivo. Però le sofferenze durano poco tempo, qualche volta pochi istanti. Vi è poi il martirio quotidiano, la sofferenza di ogni giorno, perché ogni giorno noi diamo un po’ della nostra vita al Signore. Vi sono persone che durante questa vita ogni giorno si immolano e guadagnano più meriti forse, anzi quasi certamente, di chi ha subìto un martirio violento. Tutti i giorni quella stessa pazienza da esercitare, quelle stesse difficoltà da superare, quel lavoro continuato da sostenere: è come un martirio quotidiano. Che cosa significa dar la vita a Dio se non questo? Ogni giorno offrire le nostre fatiche, i nostri sforzi, la nostra preghiera, offrire la persona, la mente, il cuore, le energie, l’attività, offrire l’anima e offrire il corpo. Sì, questo è un martirio continuato, lento, quotidiano, il quale è sorgente di meriti inestimabili. Che belle giornate alle volte si hanno! Alla sera si è stanchi e si prende un riposo meritato. Alla fine della vita si sarà stanchi e si andrà al riposo eterno.
Noi dobbiamo desiderare anzitutto il martirio quotidiano: tutti i giorni il nostro piccolo, continuato sacrificio e ossequio alla volontà di Dio. Perciò è utile che meditiamo la Via Crucis. Meditiamola in spirito di unione a Maria. Maria fece la via crucis, perché quando il suo Figlio venne condannato a morte, ne fu subito avvertita, e, prendendo un’accorciatoia, lo raggiunse mentre portava la croce al Calvario.
Fare la Via Crucis con Maria. Che cosa dice la prima stazione2?
Gesù innocentissimo accetta per nostro amore ed in isconto dei nostri peccati la ingiusta sentenza di morte pronunciata contro di lui da Pilato.
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E allora diciamo: Amorosissimo Gesù, per vostro amore ed in penitenza dei miei peccati, accetto la mia morte con tutti i dolori, le pene e gli affanni che l’accompagneranno. Sia fatta non la mia, ma la vostra volontà, o Signore. Fate che io gusti la consolazione di chi compie il vostro santo volere.
Gesù che ha detto nel Getsemani al Padre: «Padre, non come voglio io, ma come vuoi tu: non mea, sed voluntas tua fiat!»3. Pensiamo un po’: noi meritavamo la morte eterna; noi eravamo veramente i peccatori. Invece la sentenza di morte viene data contro Gesù innocentissimo. Come gli uomini travolgono le cose! Qui veramente si verifica: Viva Barabba e Gesù «crucifigatur!». Gli uomini sono così ignoranti, così guidati dalle passioni, così accecati dal furore alle volte! Che ingiustizia! Il Santo è condannato, e noi peccatori? Ma questo, perché Gesù ci ha amati e «iniquitates nostras ipse portavit, attritus est propter scelera nostra»4: andò a patire e morire per noi. Noi colpevoli, invece condannato colui che pagherà con la sofferenza, con i dolori, con pene ineffabili i debiti che noi abbiamo con la giustizia divina.
Pensiamo un po’ a quante volte abbiamo meritato la condanna a morte, alla morte eterna, cioè all’inferno. Oppure se non c’è stata questa disgrazia del peccato grave, tuttavia anche il peccato veniale, per quanto si dica veniale, ha sempre con sé la grave, gravissima responsabilità e non basterebbero tutte le pene nostre per soddisfare una venialità deliberata. C’è proprio voluto il sangue di Gesù che è d’infinito valore.
Allora umiliamoci molto e contempliamo l’amore di Gesù per noi. Egli si offre vittima per i nostri peccati. Perciò diciamo: Anche noi accettiamo la volontà di Dio come Gesù accettò la sentenza di morte; accettiamo la sentenza di morte che già è stata pronunciata sopra di noi. Accettiamo quella morte che al Signore piacerà mandarci. Ma intanto domandiamo che, se è possibile, ci liberi dalla morte improvvisa; domandiamo che la nostra morte avvenga progressivamente, cioè lasciandoci il
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tempo di confessarci bene, di ricevere bene il Viatico, l’Olio santo, l’assoluzione con l’indulgenza plenaria. Domandiamo una buona morte, una morte che sia in sconto dei nostri peccati, come Gesù ha accettato la morte in sconto dei peccati degli uomini, dei peccati nostri individuali. Facendo la Via Crucis domandiamo sempre la grazia di morire santamente.
Tre sono i grandi modelli della buona morte: Gesù, e noi lo contempliamo morente sulla croce; Maria, modello di una santa morte, perché fece una vita santissima; era piena di grazia e il suo morire fu un cambiar posto, cioè lasciare la terra per entrare in cielo, quindi una traslazione, una trasmigrazione come la chiamano alcuni. E modello dei morenti è S. Giuseppe. Chiamiamolo sempre S. Giuseppe, egli che ebbe la grazia di morire tra le braccia di Gesù e di Maria, perché nell’ora della nostra morte venga ad assisterci.
Diciamo a Maria: Prega per noi adesso, e nell’ora della nostra morte; diciamo a S. Giuseppe: Pregate per noi e per gli agonizzanti di questa giornata o di questa notte.
Seconda stazione della Via Crucis.
Ci rappresenta Gesù che riceve sulle spalle la croce per portarla sino al Calvario. Egli dice a noi: «Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»5.
Voglio venire dietro di voi, o divino Maestro, mortificando le mie passioni, accettando la mia croce quotidiana, imitando i vostri santi esempi. Attiratemi a voi, o Signore, perché io vi segua amorosamente ogni giorno. Stretta è la via ma conduce al paradiso. Nel cammino mi appoggerò a voi, mia guida e mio conforto.
Gesù accetta la croce. «Se è possibile passi da me questo calice, ma se non è possibile, non mea, sed tua voluntas fiat». Come accettiamo noi le croci? Le croci sono di tante specie. Vi sono le pene interne e vi sono le pene esterne. Le pene interne: quelle che soffriamo nel nostro spirito, nel nostro cuore. Le pene esterne: le pene fisiche, vi sono le incomprensioni, vi sono le contraddizioni, vi è la fatica, vi è il sopportarsi quotidianamente tra persone di diverso carattere. Noi accettiamo
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la croce. Sempre dirci questo: Piace al Signore, deve piacere anche a me; questo dà gusto a Dio e io voglio incontrare il suo gusto. Mai: Mi piace o non mi piace. Noi dobbiamo dire: Magari non mi piace, ma me lo faccio piacere per amore di Dio, cioè per farmi dei meriti. Il piacere non può stare nel vocabolario dei religiosi: «Christus non sibi placuit»6. Quindi, accettando la mia croce quotidiana, penserò proprio così: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso». E prendere la croce e portarla. Le nostre sofferenze non sono poi molto grandi, siamo abbastanza tranquilli. Molte volte, è vero, ci facciamo delle croci da noi medesimi. Ma a confronto di tante persone che soffrono, le nostre croci sono relativamente leggere. Ognuno rinneghi se stesso. E vuol dire: rinneghi se stesso nei pensieri, nei sentimenti, nelle parole e prenda la sua croce quotidiana che può essere di tante forme.
La terza stazione della Via Crucis ci fa contemplare: Gesù affranto dall’agonia del Getsemani, martoriato dalla flagellazione e incoronazione di spine, sfinito dal digiuno, cade per la prima volta sotto l’enorme peso della croce.
Gesù è caduto per sostenere i cadenti. Molte sono le tentazioni del demonio, della carne, del mondo. Non c’inducete in tentazione, o Signore, ma liberateci da ogni male passato, presente e futuro.
Sì, Gesù, cadendo sotto la croce, ci ha ottenuto la grazia di non cadere, però, se noi preghiamo. La tentazione può essere di varie specie. Gesù stesso ha voluto subire le tentazioni e noi dobbiamo domandare a lui la forza. Gesù è caduto per sostenere i cadenti; è caduto e si è rialzato. Ognuno se è caduto deve rialzarsi al più presto.
Dunque quali sono le prime cadute? D’ordinario sono quasi per ignoranza, oppure una mezza ignoranza, e perciò tante volte non hanno la gravità. Però una volta dette in confessionale non ci si pensi più, non si torni a dire: Ma io non mi sono spiegata bene, ma chissà se allora avevo già la cognizione sufficiente. Quando il confessore ha detto basta, deve essere basta. Così mostriamo di aver fede: Credo la risurrezione della
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carne e credo la remissione dei peccati. Alle volte questo affannarsi, questo voler ripetere le confessioni non è segno di delicatezza di coscienza, ma è segno di mancanza di fede. Una volta che il confessore ha detto di non pensarci più, non ci si pensa più, neppure in punto di morte se lo si ricordasse. Stare sereni e andare avanti, come meglio è possibile. Vedere bene come ci comportiamo nelle tentazioni. Vi sono persone che appena sentono le tentazioni si raccomandano al Signore e le superano, e invece vi sono persone che si fermano volontariamente. Il peccato si fa prima all’interno che all’esterno, perciò la prima vigilanza è sulla mente e sul cuore.
La quarta stazione. Gesù che porta la croce, incontra la sua Madre trafitta nell’anima da una spada di dolore. Il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria sono uniti anche nella stessa passione.
Ecco i due Cuori che tanto hanno amato gli uomini e nulla hanno risparmiato per essi. O Cuori santissimi di Gesù e di Maria, concedetemi la grazia di meglio conoscervi, amarvi, imitarvi e farvi generosa ammenda. Prendetevi tutto il mio cuore perché sia sempre vostro.
Quale sarà stata la pena di Maria nell’incontrarsi con Gesù? Con Gesù che quand’era bambino, ella baciava con tanta riverenza? Ora lo vede tutto sputacchiato, sudato, insultato; lo vede tutto scarnificato dai flagelli, sanguinante; lo vede curvo sotto il pesante legno della croce. In lui non vi era più alcuna bellezza. Quale pena per Maria e, d’altra parte, quale pena per Gesù nel vedere soffrire tanto la sua Madre santissima. Ma è stato detto che la redenzione si opera unendo Maria a Gesù: «Ella ti schiaccerà il capo»7, ma per lui, per mezzo di Gesù.
E allora umiliamoci, chiediamo perdono dei nostri peccati, anche per il disgusto che abbiamo dato a Maria. Offriamo in riscatto, in penitenza dei nostri peccati il sangue stesso di Gesù e le pene stesse del Cuore di Maria.
Sì, la Via crucis è di grande vantaggio spirituale. Certamente non vale l’adorazione, tuttavia variare di tanto in tanto va bene, particolarmente in Quaresima. E la Via Crucis allora fa anche parte dell’adorazione. Poi ci sarà da aggiungere l’esame
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di coscienza. Così si sarà fatta un’adorazione molto sentita, che ci ha portato una grande intimità con Gesù e con Maria.
Soprattutto che cosa c’è da imparare? La mortificazione: mortificazione degli occhi, dell’udito, del gusto, della lingua, del tatto. Vogliamo andare con Gesù, dietro a Gesù? Ebbene, dobbiamo guardare quale via egli fece. Gesù ce lo dice: «Io sono la via»8. E la via è quella che egli ha tenuto: la via del Calvario.
In questo ritiro mensile certamente ciascuna ha da guardare i suoi propositi e i suoi programmi, ma queste considerazioni sulla Via Crucis ci possono aiutare a confermare i propositi che abbiamo fatto ed aumentare la grazia per avere maggiore forza per camminare nella via scelta.

II. [Dalla quinta alla nona stazione]

La divozione di questo tempo è la divozione al Crocifisso. Noi miriamo sempre al Maestro divino e lo contempliamo ora nella casetta di Nazaret, ora durante il suo ministero pubblico, ora paziente, dolente, ora risuscitato, ora glorioso in cielo e ora presente nell’Eucarestia. La divozione al Maestro divino dolente con i misteri dolorosi, con la Via Crucis. Del resto la Via Crucis fa sempre molto bene allo spirito.
Siamo alla quinta stazione.
Gli ebrei con finta compassione, «incontrato un uomo di Cirene, lo obbligano a portare la croce di Gesù»9.
Sono anch’io tenuto a cooperare alla redenzione delle anime, completando con le mie sofferenze la passione di Gesù Cristo. Accettatemi, o buon Maestro, come piccola vittima. Preservate gli uomini dal peccato, salvate i peccatori dall’inferno e liberate le anime purganti dalle loro pene.
Questa è la parte riservata, in una certa misura, ai religiosi: cooperare alla salvezza delle anime, fare un lavoro redentivo. I religiosi non devono contribuire alla società con una famiglia o negli affari commerciali, o nei governi civili, o negli impieghi professionali vari, o nell’insegnamento delle scienze umane.
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I religiosi, le religiose devono contribuire alla umanità, alla Chiesa, alla società con un lavoro redentivo, il quale può essere chiamato apostolato, e specialmente può essere chiamato apostolato della sofferenza.
Maria fece in tutta la sua vita un lavoro redentivo, cioè un lavoro ordinato alla salvezza delle anime. Noi non possiamo pensare solo a noi stessi. Nel Corpo mistico noi siamo membra; ora ogni membro è parte del tutto e ogni membro deve contribuire al tutto: l’occhio deve vedere per tutto il corpo, il cuore deve lavorare per tutto il corpo, così il polmone, la mano per tutto il corpo. Così noi dobbiamo lavorare per la salvezza delle anime. Se ci vengono delle pene, se dobbiamo fare delle mortificazioni, ecc., è parte nostra, è proprio cosa che ci siamo addossata, entrando nella vita religiosa, emettendo la professione, cioè accompagnare Gesù nella sua opera di redenzione. Ma la redenzione non è fatta? Sì, ma non è applicata del tutto, cioè si deve applicare ogni giorno agli uomini che vivono, a ogni uomo che viene al mondo, si deve applicare a tutti quelli che vivono sulla faccia della terra oggi (due miliardi e mezzo) e non solo al piccolo gruppo di anime, di persone che conosciamo. Quindi considerare il dolore, la mortificazione proprio come parte nostra, come cosa che abbiamo scelto, una cosa che ci è riservata.
Una persona che prestava servizio ai malati nell’ospedale diceva che i servizi più umili erano per lei e li pretendeva, ne aveva come un diritto, perché aveva fatto più peccati. Noi abbiamo quasi un diritto a chiedere al Signore la sofferenza, la mortificazione esterna, la fatica, il lavoro e la mortificazione interna: pensieri, sentimenti, la mortificazione della memoria, dell’immaginativa, del cuore, della fantasia, della volontà. Il religioso si priva di certe cose, rinnega se stesso in certe cose, si assoggetta a certe fatiche proprio per operare non solo per sé, ma per tutta la Chiesa, in un apostolato. Altro è la sofferenza del cristiano, altro è la sofferenza del religioso che si è associato, unito a Gesù Cristo con la virtù della religione, che ha le stesse idealità, gli stessi fini, le stesse intenzioni, gli stessi desideri di Gesù riguardo alle anime.
Entriamo nell’apostolato! Se prima soffrivi per te, ora devi soffrire per l’umanità: come il Cireneo che porta la croce e ne
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divide il peso con Gesù, così S. Paolo dice: «Adimpleo ea quae desunt passionum Christi in carne mea pro corpore eius quod est Ecclesia»10. La passione di Cristo è compiuta, ma bisogna che sia applicata: io soffro perché sia applicata alle anime. Fissiamoci bene in mente che abbiamo dei doveri nella vita religiosa: l’apostolato della sofferenza, la partecipazione alla passione di Gesù Cristo. E questo non solo per la nostra salvezza, ma per la salvezza delle anime.
La sesta stazione ci ricorda la Veronica che per pia compassione asciuga il volto a Gesù, e Gesù la premia imprimendo il suo volto in quel lino.
Riconosco in questa pia discepola il modello delle anime riparatrici. Comprendo il dovere che ho di piangere i miei peccati e tutte le offese alla vostra divina Maestà. O Gesù, imprimete in me e in ogni anima riparatrice le virtù del vostro Cuore santissimo.
Che cosa insegna questa stazione? Insegna che se noi siamo dalla parte di Gesù, se noi gli vogliamo bene, se è vero che siamo proprietà di Gesù perché abbiamo emesso i voti, che le nostre anime sono sue spose, gli interessi di Gesù devono essere anche i nostri e le sofferenze di Gesù dobbiamo sentirle anche noi. Cioè: dobbiamo sentire pena che la Chiesa sia così perseguitata, che i Sacramenti siano così profanati, che i bambini siano così facilmente guastati, che la morale pubblica sia ridotta a un livello così basso, che non tutte le anime consacrate a Dio operino e corrispondano alla loro vocazione, ecc.
Noi dobbiamo avere un cuore che forma un solo cuore col Cuore di Gesù, anzi il Cuore di Gesù viva in noi: «Vivo non più io, vive in me Gesù»11. E dobbiamo sentire tutti questi insulti, tutti questi peccati, tutte queste offese gravissime, queste profanazioni, questi errori che s’insegnano, questi scandali così gravi, particolarmente del cinema e della stampa, della radio e della televisione.
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Una volta si facevano le ore di adorazione per riparare i peccati del carnevale: questo può durare. Ma ora i peccati più gravi si fanno nella notte, in tutte le notti: giornali che stampano cinque, sei, sette milioni di copie in una notte e spesso sono cose scandalose quelle che pubblicano; la radio che ci rintrona le orecchie dal mattino alla sera e non sempre trasmette cose buone, anzi in certe nazioni trasmette cose cattive; le pellicole: quanti milioni e milioni di presenze ai cinema! Ugualmente per la televisione che associa in sé la voce della radio e la figura della pellicola. Particolarmente riparare per tutto questo. La notte che sarebbe destinata al riposo è proprio destinata a quelle macchine che girano e vomitano tanti milioni di copie; a quelle pellicole che passano incitando le passioni, ecc. Come la notte, fatta per il riposo, diviene il tempo sfruttato per peccare, così spesso gli uomini fanno più peccati di domenica, giorno del Signore, che non negli altri giorni.
La settima stazione.
Una seconda volta vengono meno le forze a Gesù, ed egli, fatto «obbrobrio degli uomini» e «rifiuto della plebe» cade la seconda volta sotto la croce.
O buon Maestro, voi scontate così le nostre ricadute nei peccati fatte per malizia, per esserci messi nell’occasione, nonostante le vostre ispirazioni. Signore, detesto i miei peccati, offesa alla vostra Maestà, cagione della morte del vostro divin Figlio e mia spirituale rovina, e propongo di non commetterne più per l’avvenire.
Dobbiamo considerare che, oltre i peccati di fragilità considerati nella prima caduta, vi sono anche i peccati di debolezza, di ignoranza; vi sono i peccati che si commettono dopo che già si conosce che cosa è il peccato, si conoscono quali occasioni portano al peccato, si sente l’ispirazione: Quello non devi farlo, perché offende Dio. Questi peccati sono già più gravi, come la seconda caduta di Gesù sotto la croce è più grave che non la prima, ha portato a lui più dolore, più pena.
Peccati di malizia. Occorre pensare che a volte penetrano nelle anime, nei cuori delle tendenze, delle maniere di vedere le cose: i sospetti sull’uno e sull’altro, le interpretazioni fatte secondo la passione, il guardar le cose con gli occhiali verdi
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o neri, è malizia. Dimenticare [di guardare a] noi per pensare agli altri, che stoltezza! Vuol dire: non correggiamo gli altri e perdiamo i meriti noi, e mentre pare che difendiamo la giustizia, la rettitudine, il bene, stiamo promuovendo il male. Almeno confessassimo a noi stessi questa malizia, e ne chiedessimo ben perdono al Signore!
L’ottava stazione conferma anche più chiaramente questo.
Seguivano Gesù gran popolo e molte donne che piangevano sopra di lui. Egli disse loro: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma su di voi e sui vostri figli»12.
Mi umilio per le molte mie colpe personali, e per quelle che altri hanno commesso per i miei cattivi esempi, le mancanze di zelo e le negligenze ai miei doveri. Gesù mio, vi prometto di impedire per quanto potrò il peccato con le opere, l’esempio, la parola, la preghiera. Datemi un cuore puro e uno spirito retto.
Vediamo come Gesù ricorda alle pie donne che dovevano piangere su se stesse e sui loro figli, cioè piangere i loro peccati e i peccati che per loro causa, forse per cattiva educazione, commettevano i loro figli. E sì: vi sono persone che si eccitano solamente al sentimento di compassione per Gesù. Il sentimento di compassione per i suoi dolori è buono, piace a Gesù, ma questo sentimento bisogna che vada più avanti: chi ha procurato questi dolori a Gesù? Allora dire: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
Si dice: Va male qui, va male là, e dovrebbero far qui e dovrebbero far là... E intanto loro non fanno; intanto forse sono causa dei mali. Il criticare solo, il giudicare, il condannare, non è già un peccato? Bisogna almeno avere il coraggio di dire: Condanno me stesso che giudico gli altri e non faccio niente per impedire il male. Devo condannare me stesso che penso a quello che hanno fatto gli altri e io non penso a fare come devo, secondo il mio stato. «Attende tibi: pensa a te stesso»13. Voler pensare agli altri, distrarsi a ricordare cosa fa una persona, cosa fa l’altra, come vanno queste cose, come vanno le altre:
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questo pensare agli altri quanto è deleterio! Persone che hanno da dire a tutti qualche cosa e ovunque cercano di informarsi dell’andamento, di quel che è successo a questo e a quello e non pensano a sé. Pur essendo magari isolati, sono più distratti e col loro cuore sono più fuori che dentro, forse più fuori di quelli che son fuori. Bisogna che ripetiamo a noi stessi l’«attende tibi» che insegnò S. Paolo a Timoteo.
Nona stazione. Per la terza volta Gesù cade sotto la croce perché la nostra ostinazione ci ha portato a ripetere i peccati.
L’ostinazione acceca la mente, indurisce il cuore e mette l’anima in pericolo dell’impenitenza finale. Signore, misericordia per i meriti della vostra passione. Datemi la grazia di vigilare sopra di me, di essere fedele all’esame di coscienza ed alla preghiera; di confessarmi spesso e con le dovute disposizioni.
Qui non c’è solo la malizia del peccato: c’è ancora come un proposito, un programma di voler continuare nel peccato. La terza caduta indica questa ostinazione. Persone, le quali a un certo momento capiscono che fanno male e non si decidono di troncare; persone avvertite, corrette, si difendono, si scusano e in sostanza cercano di continuare a far le medesime cose in maniera più furba, per non essere scoperte, per non essere vedute. Allora c’è proprio l’ostinazione. Persone che vanno a cercarsele le occasioni e, se non ci sono, se non si presentano se le cercano; qualche volta sono occasione ad altre ancora: occasione di mormorazione, di pensieri non santi, ecc. Bisogna che noi temiamo le ostinazioni, perché a poco a poco uno non ci vede più, non capisce più perché quella cosa si deve evitare, quell’altra si deve lasciare, ecc.
Gesù, per i meriti, per le sofferenze vostre nel cadere la terza volta, apriteci bene la mente a capire dove può portarci l’ostinazione. Dateci sentimenti di dolore, di compunzione; dateci propositi fermi, volontà risoluta di rialzarci e cessare dal male.
Quando faremo la Via Crucis cerchiamo di penetrare questi ed altri pensieri che verranno di certo spontaneamente alla mente di ognuno.
Va molto bene invece pensare soltanto ai mali della società, pensare a far del bene alla società, operare generosamente e
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nel nostro posto, nella nostra posizione contribuire alla redenzione del mondo nella maniera che ci è possibile. Che la nostra giornata non sia solamente santa, ma sia redentiva. L’apostolato quindi sia intiero, perché non è solamente apostolato la buona stampa, il cinema buono, è apostolato anche la sofferenza, il lavoro quotidiano, come Gesù compiva la redenzione del mondo anche quando al banco di falegname stava lavorando. Lavoro redentivo!
Cambiamo tutta la nostra virtù in apostolato. Da una parte quindi far bene e dall’altra parte indurre gli altri a fare il bene. Seminare il bene intorno a noi.

[III. Dalla decima alla quattordicesima stazione]

Consideriamo la decima stazione.
Gesù, arrivato sul Calvario, viene spogliato dei suoi abiti e amareggiato con una bevanda di fiele e mirra.
Ecco quanto hanno costato a Gesù i peccati di ambizione nel vestire e di golosità nel cibo. Signore, concedetemi la grazia di staccare sempre più il mio cuore da ogni vanità e soddisfazione peccaminosa, per cercare unicamente voi, somma ed eterna mia felicità.
Bisogna considerare che Gesù nella sua passione ha soddisfatto per ogni genere dei nostri peccati, o interni o esterni, ha soddisfatto per tutti: peccati di pensiero, di sentimento, di fantasia, di volontà, di occhi, di udito, di tatto, ecc. E fra i peccati vi sono anche questi: l’ambizione nel vestire e la immortificazione nei cibi. Tutta questa moda sfrenata è ambizione. Volersi far notare e intanto quante occasioni di male! E poi non solamente quello che si vede nelle persone, ma quello che si vede nei cinema, nella stampa, nella televisione, ecc. Gli uomini, in maggior parte, cercano più di apparire che di essere. Guardiamo noi di essere, non di apparire. Non vale niente mostrare che ci sono dei soldi, se non ci sono, ed è meglio chiuderli e tenerli nascosti, se si hanno, che non metterli in vista.
Così, quanto al cibo, bisogna che noi ci regoliamo bene, santamente. Mantenersi nel servizio di Dio e quindi prendere
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volentieri quanto è necessario per la salute, prenderlo ancorché qualche volta possa essere necessaria una medicina amara. Sì, perché noi dobbiamo considerare tutte le cose in uso e quindi usarle in ordine alla santità, in ordine a Dio. Regolarsi in tutto: l’esterno e l’interno. Disciplinare gli occhi e l’udito, la lingua e il tatto, il gusto e l’odorato.
Quanta umiliazione a Gesù nella passione, in questa stazione in modo specialissimo. Sua Madre trattava con tanto rispetto e devozione il Bambino Gesù, ma questi carnefici come lo hanno trattato! La colpa però, non era tanto dei carnefici, quanto di chi l’aveva condannato e, più di tutto, del peccato, del peccatore. Dopo averlo spogliato e amareggiato con fiele e mirra, lo inchiodano sulla croce con spasimo indicibile sotto gli sguardi dell’afflittissima sua Madre. Eppure i dolori esterni, anche dei chiodi che penetrano e rompono l’osso, sono i dolori meno acerbi per Gesù: di più è la passione interiore. Gesù è inchiodato sulla croce. Appartengono a Gesù quelli che crocifiggono la loro carne con i vizi e le concupiscenze. Io voglio essere di Gesù Cristo in vita, in morte, al giudizio universale e nell’eternità. Non permettete, o Gesù, che mi separi da voi. Alcune figlie hanno scritto questo sulle immagini di ricordo della loro professione: Voglio essere di Gesù Cristo in vita, in morte, al giudizio universale e nell’eternità. Sempre di Gesù, tutto, intieramente di Gesù.
Crocifiggere la carne significa tenere a freno i vizi, specialmente i tre vizi della carne che sono la lussuria, la gola, la pigrizia. Questa per noi si manifesta specialmente con la tiepidezza: pigrizia nel pregare, nel fare il lavoro spirituale. Bisogna sforzarci. Preparare anima e corpo ad entrare in paradiso. Lassù è tutto bianco: bisogna che tutto sia bianco in noi. Come metterci fra gli angeli bianchissimi se noi abbiamo qualche cosa di sporco e di macchiato? Bisogna che prima andiamo subito a lavarci, purificarci e facciamo il possibile per non doverci purificare di là, per evitare il purgatorio e andare al più presto in paradiso: passare dal letto di morte al paradiso direttamente. Purificare anche il nostro esterno. Quanto merito in questo col comportamento giusto, santo, delicato nelle librerie, nella propaganda, fra gli operai e negli
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istituti anche maschili! Sempre la suora semini il «bonus odor Christi»14.
Nella preghiera al divin Maestro15 che mi avevano chiesto specialmente dalla Spagna, l’ultima cosa che si domanda è questa: che la nostra presenza sia in consolazione, edificazione, santificazione, che possiamo portare un po’ di grazia dove si va, come fece Maria quando andò a visitare S. Elisabetta.
Gesù soffrì così inchiodato sulla croce, esposto alla vista di tutti, pene ineffabili per tre ore e poi spirò sulla croce. Pensiamo che la morte di Gesù si rinnova sugli altari con la santa Messa, perché nella santa Messa si mettono il corpo e il sangue di Gesù come separati misticamente. L’abbiamo la divozione alla Messa? Chiediamola sempre di più. Adesso si fa un grande predicare e un grande scrivere sulla Messa, perché sia sempre meglio intesa, meglio capita, meglio sentita, meglio celebrata. Certo, la Messa con la Comunione è il punto centrale nella giornata. Allora partiamo di lì per passare la nostra giornata in unione con Gesù. Al mattino si stabilisce bene l’unione con Gesù e poi si continua. Ancorché dobbiamo parlare, dire, trattare tante cose non abbandoniamo il pensiero di Gesù. Ma io dopo parlo di molte cose e devo impiegare la mente. Non sempre, si capisce, si può pensare continuamente a Gesù, ma che il pensiero vi ritorni qualche volta. Se al mattino siamo così impressionati dell’unione intima con Gesù, di quella dolcezza, di quella consolazione, di quella strettissima unione che si contrae nella Messa, particolarmente nel momento della Comunione, sentiamo l’effetto anche nella giornata: quando uno fosse impressionato da una cosa che lo tormenta molto, pur facendo tante cose nella giornata, quel pensiero torna sempre. Poi nella giornata si disponga la Visita in modo da sentire di nuovo l’effetto, facendola, per esempio, nel primo pomeriggio se si può.
Operare, parlare sotto l’impressione di Gesù; che le nostre parole siano come quelle di Gesù, suggerite da Gesù e che le nostre azioni siano come quelle di Gesù. Avete una vita così bella! Una vocazione così bella! Unione con Dio e lavoro per le
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anime. Potevate sperare da Gesù una grazia, una vocazione più bella? Però stare sempre attenti a questo punto: sentire l’unione con Gesù, sentire che si opera in Gesù Cristo: Per ipsum et cum ipso et in ipso16. È lui che fa, è lui che suggerisce, è lui che lavora le anime a cui andiamo.
Poi abbiamo la sepoltura di Gesù divisa in due parti.
Prima: Gesù è deposto dalla croce e la sua salma viene composta, come erano soliti gli Ebrei comporre le salme, con bende, con velo sulla testa, con un grande lenzuolo che è la sindone.
La seconda parte è la deposizione nel sepolcro.
1) L’addolorata Maria riceve tra le sue braccia il Figlio deposto dalla croce.
Maria contempla nelle piaghe del Figlio l’opera orribile dei nostri peccati e l’amore infinito di Gesù per noi.
Gesù ha sofferto per noi dolori tanto intimi e tanto profondi. Allora ricordiamo che la nostra vita deve essere nelle braccia di Maria, cioè noi dobbiamo metterci in Maria come si è messo Gesù. Vivere con Maria, sotto lo sguardo di Maria. Maria ha assistito alla vostra professione e Maria assista alla nostra morte e venga a purificarci in quell’estremo momento, così da non aver bisogno del purgatorio e, se per disgrazia e nostra negligenza vi cadessimo, venga a liberarci al più presto. Sempre ricordare l’abitino del Carmine17.
2) La devozione a Maria è un segno di salvezza. O Madre e corredentrice nostra, datemi il vostro amore, concedetemi la grazia di pregarvi ogni giorno; assistetemi adesso e specialmente nell’ora della morte. E bisogna che aggiungiamo per l’apostolato: Datemi la grazia di farvi conoscere. Far conoscere Maria con l’apostolato: fogli, libri, pellicole e anche esortazioni, parole sante riguardo alla Madonna, specialmente avvicinandosi il bel mese di maggio. Come stiamo con la devozione a Maria?
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E Gesù viene portato al sepolcro accompagnato da pochi fedeli.
Il sepolcro gli è dato per carità: non era suo, era di un altro. Come è nato in una grotta che non era sua, così viene ad essere deposto dopo la morte in un sepolcro non suo. Ma in tanta umiliazione, anche dopo che Gesù era morto, in fondo all’anima degli apostoli c’era la speranza della risurrezione, perché se tutte le candele si spensero, il cuore di Maria no18.
Ogni giorno voglio risorgere a vita nuova per meritare di risorgere nella gloria dell’ultimo giorno. Lo spero, o Gesù, per i meriti della vostra passione e morte.
Si affaccia il pensiero della Pasqua: Gesù che esce dal sepolcro e noi che risorgiamo. Sì, si sente un’aria di Pasqua: un’aria più spirituale che materiale.
Preghiamo perché si facciano le Pasque; preghiamo perché anche noi risorgiamo dai nostri difetti, dai nostri peccati. E preghiamo perché risorgiamo nella gloria. I corpi degli eletti risorgeranno segnati dalle doti del corpo glorioso di Gesù Cristo e del corpo glorioso di Maria, nostra Madre. Preghiamo per questo. Invece il corpo dei perduti sarà deforme, brutto, segnato dal peccato.
In conclusione: i propositi per il mese di aprile che è vicino. Cominciando proprio il primo aprile noi offriamo al Signore il nostro mese. Siano fermi i nostri propositi, perché Gesù è risorto a vita nuova, a vita più bella, a vita più santa.
Allora coraggio! Tutte avete le grazie sufficienti per farvi sante. Se poi si prega, divengono anche sovrabbondanti, in maniera che quello che sembra difficile, arduo, diviene facile.
Ci benedica dunque Gesù, tanto, tutti assieme!
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1 Ritiro mensile tenuto a Napoli il 25 marzo 1956. Dattiloscritto, carta vergata, fogli 17 (22x28). Si tratta di una trascrizione, ma non è stato conservato il nastro. Il ritiro è composto da tre meditazioni.

2 Si segue il testo riportato in Le preghiere della Pia Società San Paolo, Edizioni Paoline, Roma 1944, pp. 181ss.

3 Cf Lc 22,42: «… tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».

4 Cf Is 53,5: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità».

5 Cf Mt 16,24.

6 Cf Rm 15,3: «Cristo non cercò di piacere a se stesso».

7 Cf Gen 3,15.

8 Cf Gv 14,6.

9 Cf Mt 27,32.

10 Cf Col 1,24: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa».

11 Cf Gal 2,20.

12 Cf Lc 23,28.

13 Cf 1Tm 4,16: «Vigila su te stesso».

14 Cf 2Cor 2,15: «Il profumo di Cristo».

15 Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, p. 196.

16 Dossologia a conclusione della preghiera eucaristica durante la celebrazione della santa messa.

17 Secondo la tardiva tradizione carmelitana la Beata Vergine apparendo a S. Simone Stock (ca. 1165-ca. 1265) gli avrebbe consegnato lo scapolare o abito del Carmelo, promettendo privilegi spirituali a quanti lo portassero. Don Alberione in AD 204 ringrazia il Signore per il dono “dell’abitino dell’Immacolata del Carmine”.

18 Prima della riforma liturgica la celebrazione del Triduo Pasquale era chiamata “Ufficio delle tenebre”. Innanzi all’altare, dal lato dell’epistola, era posto un candelabro a forma triangolare sormontato da quindici candele che venivano progressivamente spente dopo il canto di ciascun salmo o cantico. La candela posta al vertice alla fine rimaneva accesa e riposta dietro l’altare. L’origine storica e il significato simbolico del rito è vario. Fra questi, quello a cui allude Don Alberione: anche dopo la sepoltura di Gesù l’unica candela che rimane accesa è la fede di Maria che nel silenzio attende la risurrezione. La Prima Maestra Tecla al mattutino cantava con massima commozione il brano da Eb 9,22: «Sine effusione sanguinis non fit remissio: Senza spargimento di sangue non esiste perdono».