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LA CONFESSIONE1
Molto consolante il Vangelo di stamattina2. Gesù stava predicando, e a un certo punto i farisei gli conducono una donna che era stata sorpresa nel peccato. Ma venivano per metterlo alla prova e per trovare materia di accusarlo. Gli dicono: «Questa donna è stata sorpresa nell’atto di peccare e Mosé ha comandato che in tali casi la donna venga lapidata. E tu che dici?». Gesù invece di rispondere, si chinò verso la terra e cominciò con il dito a scrivere sulla polvere. Dopo un momento i farisei tornavano a insistere: «Che dici dunque di questa donna? Possiamo lapidarla?». E già avevano le pietre pronte. Gesù rispose: «Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra». E li guardava negli occhi. Egli sapeva bene tutta la loro vita e tutte le loro mancanze, i loro peccati. Quello sguardo li colpì e uno per volta se ne andarono e Gesù continuò a scrivere. Poi, sollevandosi, disse: «Donna, dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?». «Nessuno». E Gesù: «Va’, ma non peccare più»3.
Ecco, Gesù non vuole che ci accusiamo l’un l’altro facilmente, ma che accusiamo i nostri peccati. E chi ha l’abitudine di criticare e giudicare, è meglio che critichi se stesso e giudichi se stesso. Vi sono sempre quelli che stanno a guardare gli altri. Vuole Gesù che non condanniamo, ma nello stesso tempo vuole che tutti cessiamo dal peccare. Non condannare gli altri, ma proporre di non peccare più: «Va’, e non peccare più».
In questa meditazione, che è una preghiera, preghiera mentale, domandiamo al Signore la grazia di confessarci sempre
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bene. Confessarci cinquanta volte, cinquantadue volte all’anno, anche se qualche volta per caso si anticipa o se qualche volta per caso si deve tramandare un po’: cinquantadue volte all’anno. E confessarsi sempre con il pentimento e con il proposito, accusando anche sempre, in generale almeno almeno, la nostra vita passata.
La Confessione, ecco! Che cosa è che crea certe pene in alcune anime? E qual è la cosa che nella Confessione dobbiamo guardare, cercare, qual è la cosa di cui dobbiamo veramente preoccuparci? Non preoccuparci affannosamente, no. Ma che dobbiamo sinceramente curare? Non c’è da preoccuparsi tanto sulla scelta del confessore. Per chi dirige lo spirito sì, di questo sì preoccuparsi. Ma quanto al confessore assai meno. Neppure vi è da preoccuparsi troppo dell’esame e dell’accusa minuta! Basta che sostanzialmente sia detto il peccato, cioè bisogna dire il peccato e se è stato interno o anche esterno. Altro è pensar male e altro è dir male di una sorella, perché il dire è poi esterno.
Il peccato e il numero dei peccati, quando si tratta di cose gravi, e dire anche quelle circostanze che aggravano notevolmente la materia, come se uno desse scandalo a una piccola, in quanto dice parole che a quella bambina fanno impressione! A volte si può dare scandalo mettendo in cattiva luce le superiore, così che non si è più tanto portate all’obbedienza. Dire quindi le circostanze che aggravano notevolmente. Poi, alle volte, occorre anche dire con che sorta di persone sia stato commesso il peccato. E fuori di queste cose, che secondo la teologia si devono accusare, non c’è obbligo di confessare i peccati dubbi che restano assolti con l’assoluzione che viene data ai peccati confessati. Non c’è obbligo di confessare i veniali, restano assolti con l’assoluzione data ai peccati confessati. Non c’è obbligo di confessare quelle cose che già altre volte ci hanno detto di non confessare più, oppure ci hanno detto: Questo non è peccato.
Ma si può ragionare, o almeno qualche persona ragiona così: Intanto, forse non mi sono spiegata bene. Se c’era malizia nello spiegarsi, se si voleva nascondere, allora naturalmente questo è colpevole, ma se non c’era la malizia, non è poi colpa e quindi
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il peccato fu rimesso. Se poi ti hanno già detto: Non confessartene più, non parlarne più con nessuno, non bisogna andare a parlarne con un altro, o confessarsi da un altro. Né a ogni corso di Esercizi tornare a domandare se si deve fare la Confessione generale. Si pensa che questo sia segno di delicatezza di coscienza? No, non lo è, è mancanza di fede. Credo la remissione dei peccati. Ma se non mi avesse capito, o non mi fossi spiegato bene, anche senza malizia? Si è perdonati ugualmente. Perdonati ugualmente! Quindi non è qui il punto che deve dare più pena, come non lo è in generale la scelta del confessore.
Ho detto invece per la scelta del direttore spirituale, cioè di colui che dirige il nostro spirito: una volta che c’è una persona a cui si sia affidata l’anima, con questa persona è bene avere relazioni di tanto in tanto, una volta all’anno, per esempio quando si viene agli Esercizi, per rimettersi sulla via del proposito più necessario per noi, oppure anche alcune volte nell’anno, secondo le occasioni. E tanto più, quando vogliamo essere guidati nello spirito, ci rivolgiamo a coloro che ci sono vicini. Vi rivolgete nelle cose ordinarie a chi vi guida e a chi vi ispira confidenza.
Credere la remissione dei peccati. E non si crede solo con il recitare il Credo, ma con il non mettersi più in affanno dopo che hanno detto: Basta!
Ho detto, tutto questo non deve preoccupare troppo, né la scelta del confessore, né l’accusa. Deve preoccupare invece, in questo senso, e non portare affanno, curare veramente con diligenza il dolore, il proposito. Il dolore è veramente la cosa assolutamente necessaria, tanto necessaria. Se mancasse il pentimento, il dolore, la Confessione sarebbe sacrilega, perché uno va a confessarsi sapendo che non ha il pentimento.
Sarebbe nulla se va a confessarsi senza dolore, ma non si accorge, non sa di mancare di dolore. La mancanza di pentimento può essere la causa di confessioni nulle, questo succede forse un pochettino di più di quello che si pensa. Come d’altra parte, può essere che la confessione sia nulla, come ho spiegato alcuni giorni fa, perché non si è accusata materia veramente capace di assoluzione. Che cos’è capace di essere assolto? Il vero peccato, non lo sbaglio, non la debolezza, non il pensiero
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che si è presentato nella mente, ma il vero peccato. Se invece furono solo tentazioni, imperfezioni o difetti naturali, o mancanza di virtù che non si sono ancora abbastanza conquistate, allora questo non è materia di assoluzione, si può dire, e tante volte si fa bene a dire. Ma per avere l’assoluzione è sempre necessario aggiungere qualche vero peccato fatto o nella settimana o nell’anno, o nella vita passata, che davvero abbia offeso Iddio, che può essere sempre di nuovo assolto, perdonato.
Il dolore poi per una persona consecrata a Dio deve nascere particolarmente da questa considerazione: Io sono tutta di Gesù, almeno con la professione, e invece faccio tante cose che Gesù non approva, di cui Gesù non è contento: non sono riconoscente, non amo come sono amata, perdo le grazie, perdo il tempo, perdo i meriti, non sono abbastanza santa. Ecco i motivi principali di dolore, di pentimento per una suora che è consecrata a Dio. Naturalmente poi ci possono essere tutti gli altri motivi: possiamo essere sorpresi dalla morte all’improvviso, nel giudizio dobbiamo rendere conto strettamente di tutto. Il peccato ci chiude il paradiso e ci apre l’inferno. Il pensiero del giudizio universale giova tanto, specialmente per essere sinceri, poiché là si manifesterà tutto, anche quello che adesso si copre. Ecco, questi motivi giovano.
Noi crediamo di stare bene, di essere in buona salute e tuttavia non siamo mai sicuri di arrivare a domattina, al giorno seguente. Qualche sera fa, avevano fatto il cinema in Alba, e dopo il cinema un chierico si lamenta che ha mal di testa, che si sente poco bene. Il Maestro allora lo accompagna nell’infermeria per fargli dare qualche cosa. E vedendo che impallidiva, lo sosteneva con le sue braccia e morì in braccio a lui. Neppure cinque minuti in braccio al Maestro, che poté appena assolverlo e poi dargli l’Olio santo sub conditione. Dunque occorre che siamo sempre pronti, in qualunque momento. Perciò questo è un motivo per avere pentimento, dolore.
Ma ho detto, per la revisione vi sono altri motivi che devono anche essere ben considerati e serve assai quel che ho ricordato.
Riguardo all’accusa: la Confessione è per dire i nostri peccati. La Confessione non è per chiacchierare, come ha scritto
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il Maestro Giaccardo in una predica che abbiamo4. E alle volte questo avvertimento non si tiene abbastanza nel dovuto conto. Come se si dovessero raccontare delle cose, così dicono che sono comprese, e che c’è la direzione spirituale. C’è un chiacchierare, non una direzione spirituale. È tutt’altro la direzione spirituale! Anche foste nell’occasione in cui siete interrogate di certe cose che non sono per la Confessione, voi potete tacere o sviare la conversazione. Sì, non è per chiacchierare, ma è per farci conoscere nelle nostre debolezze, affinché possiamo venire assolti e possiamo ottenere, ricevere quegli avvisi che ci sono necessari.
Quanto al proposito, il proposito in generale va bene che sia preparato prima della Confessione, sebbene si possa anche tramandare dopo. Ma il proposito deve essere strettamente collegato con la Confessione: Se ho mancato in questo devo proporre su questo; se ho riconosciuto il bisogno di maggior unione con Dio, devo fare il proposito lì, dove abbiamo riconosciuto il nostro maggior bisogno.
Nella Confessione poi occorre essere molto sensibili alla grazia dell’assoluzione, cioè il Signore ci ha perdonati, il Signore ci ama nonostante le nostre ingratitudini, le nostre cadute e ricadute. Dalla Confessione sempre tirare fuori un motivo nuovo di amare di più il Signore. Quanto è stato buono con noi Gesù, nonostante le nostre ingratitudini! Ecco, allora vediamo di ricavare fervore dalla Confessione, una nuova volontà. Non è tanto quello che ci dice il confessore, quanto la preparazione che noi premettiamo e il ringraziamento che facciamo seguire alla Confessione. Certo, qualche volta si è aiutati dal confessore, quando il confessore ci richiama i nostri doveri, ci indica bene chiaramente quello che dobbiamo fare. E poi ne risulta un incoraggiamento e ci aiuta a controllare noi stessi. Però deve soprattutto dominare questa fiducia in Dio dopo la Confessione.
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Vediamo come si è regolato il padre del figliuol prodigo. Il figliuol prodigo si era allontanato dalla casa paterna portando con sé la sua parte, la parte cioè che gli spettava come eredità da dividersi col fratello. Aveva sprecato tutto ed era caduto nella miseria. Era là, stracciato, povero, affamato, umiliato, perché era stato mandato in una casa di campagna a pascere i porci. Allora rientrò in sé e disse: Quanti operai nella casa del padre mio, quanti servi hanno pane in abbondanza, e io qui muoio di fame. Mi alzerò e tornerò al padre mio. E come fu accolto? Il padre lo abbracciò con il più grande segno di affetto, non gli lasciò neppure finire la sua prodezza che voleva fare: Padre ho mancato contro il cielo e contro di te, non son più degno di essere chiamato figlio, abbimi almeno per uno dei servi. Il padre lo rialzò e comandò che subito fosse rivestito degli abiti che prima già portava e ordinò che si facesse un banchetto. Si uccise il vitello più grasso, e perché il banchetto fosse più solenne c’erano anche le musiche e i canti. E mentre si festeggiava il ritorno di questo figliuolo prodigo, ecco arriva dalla campagna l’altro fratello che era stato fedele al padre e che era più anziano, quindi sembrava avere maggior diritto. Questi, sentendo i canti e i suoni, domanda che cosa ci fosse in casa. È ritornato tuo fratello e il padre ha voluto che si facesse gran festa, perché era morto ed è risuscitato, era perduto e fu ritrovato. Allora il figlio maggiore si indispettì e, sdegnato contro il padre, protestò di non voler rientrare in casa. Il padre gli andò incontro: Ma figlio non fare così. Ma questo figlio, questo mio fratello ha sprecato tutto. Ed ecco che appena ritornato gli fai questo festino, e a me che ti sono sempre stato fedele, non hai dato mai un capretto per fare un po’ di allegria con i miei compagni. Figliolo, rispose il padre, tu sei sempre stato con me, e tutto quello che io ho è tuo, ma adesso era necessario godere e far festa, perché questo figlio era davvero morto e ora è stato ritrovato, era morto ed è risuscitato, era perduto e fu ritrovato. La festa continuò e il figlio maggiore fu persuaso, il padre ritenne in casa il figliolo prodigo con gli stessi onori, con la stessa distinzione di figlio, senza rinfacciargli il peccato5.
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Ricordare che Pietro, dopo tante proteste, negò il Signore tre volte: «Non lo conosco»6, giurando e spergiurando di non conoscerlo. Gesù si contentò di dargli uno sguardo che servisse di richiamo. Forse che Gesù lo abbia rimproverato dopo la risurrezione? Forse che gli abbia rinfacciato il peccato? Forse che l’abbia castigato, perché era stato così debole e spergiuro e gli abbia detto: Non sarai più mio vicario? Non fonderò più su te la Chiesa, ma su un altro? No! Gesù, in maniera delicatissima, si accontentò che in riparazione ci fossero tre proteste d’amore: «Mi ami più di questi?»7.
Ecco, dopo la Confessione non bisogna scoraggiarsi, non bisogna scoraggiarsi dopo il peccato. No, Gesù non ti toglie le grazie, ma te ne darà di più perché vede che sei debole. Quindi, oltre la riconoscenza amorosa, uscire tutte liete dalla Confessione. Adesso avrò più grazie, Gesù non mi rigetta da sé, mi prepara altre benedizioni, più forza, più luce, perché ha veduto che cosa sono buono a fare io da solo. Perciò grande speranza: Adesso mi farò più santa! Il ricordo del peccato non deve portare mai allo scoraggiamento, ma deve portare solo a confidare di più in Gesù, a domandare più abbondanti grazie, e sapere che Gesù ci ama e dopo abbonda in grazie maggiori. Quasi si direbbe che Gesù abbia una preferenza, una debolezza con i peccatori. E perché? Perché la teologia dice chiaro: la gloria di Gesù è conquistare i peccatori, convertirli e farne dei santi. Perché Gesù sparge il suo sangue? Perché l’agonia del Getsemani, perché la flagellazione, perché la condanna a morte, la crocifissione, la morte? Perché? Per conquistare le anime! Quando la grazia di Dio ha conquistato un’anima, quando Gesù ha attirato un’anima a sé e ha applicato i meriti della sua passione, per lui è una vittoria, è la vittoria della misericordia, della bontà.
Perciò per molte anime è più facile farsi sante dopo il peccato, che se non avessero mai peccato. Quante persone che alle volte hanno commesso mancanze anche gravi, e forse sono vissute qualche tempo nel tormento della colpa, nel rimorso,
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poi risorte danno tali prove di amore di Dio, sono così umili, sono così generose nell’apostolato e nel servizio del Signore che veramente si direbbe: O felice colpa8.
Sì, grande confidenza e grande riconoscenza al Signore dopo la Confessione. Perciò una santa letizia, ma una letizia rivolta tutta all’amore più intenso a Gesù, e umiltà rivolta a diffidare di noi e confidare maggiormente nella grazia del Signore. Mai lo scoraggiamento, no! Quello viene dall’inferno. Invece dal paradiso ci viene soltanto la luce, il coraggio, la fortezza, la pietà e tutto quello che porta alla santità.
È vero, si dice generalmente che prima di fare la professione occorre che ci siano stati almeno due anni dacché non ci furono colpe gravi. Alcuni teologi dicono tre, ma almeno due. Qualcuno dice così. E poi oltre alla considerazione del tempo, bisogna anche tenere conto del carattere della persona, che può essere carattere generoso, attivo, fervoroso, anche se per disgrazia qualche volta la passione ha vinto.
Si può fare la domanda se, confessandosi e ottenendo l’assoluzione di qualche colpa grave, la persona è preparata a fare i voti. Questo no! Quando c’è stata la preparazione per l’assoluzione, l’assoluzione si può ricevere, c’è il pentimento; però per fare i voti, dopo peccati gravi, non basta il pentimento che è necessario e che è sufficiente per l’assoluzione, bisogna che ci sia la prova del tempo, che non si cada più. Che non si è più caduti! La prova del tempo. E questa prova, ho detto, generalmente si può dire di due anni. C’è qualcuno che dice tre anni e qualcuno dice che forse basta un anno, ma stando nella media, due. Vi sono persone a cui è necessario richiedere tre anni di prova e vi sono altre persone a cui ne basta uno. Dipende da tante cose, un’anima non è mai uguale ad un’altra. Tuttavia anche questo non deve scoraggiare, anzi deve far riflettere, portare a operare con risoluzione e a far bene, lavorare decisamente per la santità, sicuri che c’è la grazia di Dio, sempre, comunque sia stato il peccato.
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1 Predica tenuta a Roma il 10 marzo 1956. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 22b = ac 40a.
2 Sabato della terza settimana di Quaresima.
3 Cf Gv 8,1-11.
4 Probabilmente si riferisce a una meditazione raccolta dalle Pie Discepole, ma si suppone sia un tema ricorrente nella predicazione del Giaccardo, secondo l’insegnamento di Don Alberione: “Però le nostre Confessioni siano sempre brevi, perché direte meno cose e riporterete più frutto” (Cf Giaccardo T., Vi ho mandato Timoteo, 4, a cura di M. Lucia Ricci, uso manoscritto, Roma 1993, pp. 40-41).
5 Cf Lc 15,11-32.
6 Cf Mt 26,72.74.
7 Cf Gv 21,15-17.
8 O felix culpa. La frase, derivata da un’omelia di S. Agostino, è tratta dall’Exultet o Preconio pasquale, che si canta durante la Veglia pasquale.