Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XII
CARITÀ VERSO IL PROSSIMO,
CARITÀ FRATERNA1

Nell’oremus di questa mattina2 si domanda al Signore la grazia di saper chiedere quello che gli è gradito. E noi chiediamo la grazia di saper fare i propositi che sono più graditi al Signore, cioè i propositi che sono più utili per la nostra anima e danno maggiore gloria a Dio. Fra questi propositi certamente uno molto buono: la carità verso Dio, come abbiamo meditato ieri sera, oppure la carità verso il prossimo, come dobbiamo meditare adesso. Tuttavia ciascuno sente i bisogni della propria anima e farà i propositi secondo questi bisogni. Non vi è un’anima perfettamente uguale all’altra. Come dalla figura esterna voi distinguete una sorella dall’altra per i suoi caratteri e le sue particolarità, così ogni anima ha dei caratteri e delle particolarità.
La carità verso il prossimo. Bisogna dire subito che questa carità deve essere ordinata: ordinata prima verso coloro a cui abbiamo più obblighi, verso chi è più vicino, quindi, in modo speciale, nella comunità; poi verso tutte le persone alle quali dobbiamo fare del bene; poi carità verso tutti gli uomini. Riguardo particolarmente alle persone con cui conviviamo, carità significa: compiacenza, benevolenza, concupiscenza.
Compiacenza. Compiacersi del bene che hanno le sorelle, il che è opposto al difetto dell’invidia o della gelosia. Compiacersi e ringraziare il Signore per la misericordia che ha usato alle persone che ci stanno vicino. Compiacersi delle grazie che sono state date da Dio ai genitori, ai benefattori, alle superiore, ai confessori, alle maestre, a tutti coloro che ci hanno fatto
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del bene, poiché il Signore ha donato a loro ed essi hanno trasmesso a noi. Ma compiacersi ancora del bene che hanno le persone eguali, quelle con cui si convive, particolarmente le sorelle. Tutte le sorelle hanno ricevuto da Dio dei beni. A volte sono più beni intellettuali, a volte invece beni che riguardano più lo spirito, il cuore, la virtù, la salute, ecc. Qualche volta vi sono anche dei beni e dei doni che magari non numeriamo, non ricordiamo fra i beni e i doni come favori di Dio, ma lo sono in realtà.
Il Signore è tanto buono e misericordioso. Il Signore è tanto sapiente e guida ogni anima per le vie della santità. Non c’è in Dio altro che amore per noi. E Dio, nella sua provvidenza, ci segue minutamente, ci dà tutte le occasioni per farci santi, dà anche le occasioni per pagare i debiti che abbiamo con lui, che ci porterebbero al purgatorio. Tutte le finezze della provvidenza di Dio le conosceremo soltanto al giudizio. Compiacersi è segno che si vuole bene.
Secondo: anzi, benevolenza, che vuol dire volere il bene, cioè pregare il Signore che dia più beni, che aumenti questi beni. Aumenti i beni alle vostre sorelle che forse, se ne avete, avete lasciato a casa e alle sorelle che avete trovato qui. Aumenti i beni, i suoi tesori, ai bambini, converta chi non è sulla strada buona, dia a tutte il fervore e la santità, dia a tutte il buon esito, il buon successo nell’apostolato. Desiderare anche i beni materiali, come la salute, che siano ben viste, ben considerate le sorelle e che trovino sempre gli aiuti spirituali di cui hanno bisogno. Desiderare il bene sinceramente e chiederlo anche a Dio. Può essere che nel cuore si senta avversione per qualcosa, verso una persona, ma intanto la volontà sia quella: Desidero il bene e che sia aumentato.
In terzo luogo: amore di concupiscenza, che sarebbe desiderare di stare bene con le sorelle, fare bene la vita comune, amarsi. Portarsi fino qui: che la nostra vita sia una convivenza buona; che non facciamo pesare sugli altri i difetti che abbiamo o i mali, le pene che abbiamo. Che sappiamo dissimulare, ossia portare anche in ricreazione la letizia sana. Concupiscenza, non amicizie particolari, ma desiderio di volere bene ugualmente a tutte.
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Naturalmente vi può essere gradazione, si stima sempre di più una che è santa, ma quanto a trattare: tutte uguali, tutte uguali. Concupiscenza! La vita comune quotidiana è questa: passare le giornate con le sorelle, e compiacersi. Da una parte, ho detto, non pesare sulle altre, non essere persone con cui la vita diviene triste, pesante; persone che seminano il malumore, le critiche, abbassano lo spirito, sono contrarie alle disposizioni, vorrebbero parlare sempre solo loro, fare bella figura. Non essere pesanti.
È difficile che noi ci accorgiamo dei nostri difetti in queste cose. Vi sono persone che sembrano fatte per rinfacciare il male alle altre e di rilevarlo. No! Essere invece persone che rilevino il bene delle altre: chi si trova giovane insieme ad altre più anziane, rispetto a queste; e quando si hanno più giovani assieme, dare il buon esempio. E saper consolare, incoraggiare. Compiacenza! Il ritirarsi sempre in un angolo non è conforme alla vita comune. Anche l’ospitalità entra in questa carità di concupiscenza.
Ora, è importante questa triplice carità di compiacenza, di benevolenza e di concupiscenza, poiché entrando in comunità avete trovato delle sorelle. La Congregazione è come una madre. Le persone che la guidano sono come le Maestre, e le persone con cui si convive sono le sorelle. Come sorelle? Perché figlie della medesima Congregazione, tutte Figlie di San Paolo, allora sorelle in S. Paolo che è il padre. Quell’affetto, quell’amore che si ha in famiglia con le sorelle di sangue, qui sia purificato, elevato, soprannaturalizzato, poiché qui vi è il motivo di religione, mentre che là c’era il motivo di sangue, consanguineità. Il motivo di religione, così che la famiglia religiosa rispecchi, rifletta la famiglia di Nazaret, dove le tre santissime persone si amavano, e con quale amore!
Si dice che questa carità è più facile nelle case grandi, nelle case numerose. Ma a volte le mancanze di carità nelle case grandi sono più pesanti, e danno più cattivo esempio, cattivo esempio più largamente. Tuttavia nelle case piccole, generalmente, si deve mettere un certo impegno, perché ci sia l’unione, la serenità, la benevolenza, la letizia, l’aiuto vicendevole, l’incoraggiamento e quella bontà che fa sembrare meno pesanti
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i doveri, gli sforzi, il partecipare a tutte le pene e le gioie che le sorelle hanno.
Vi sono persone che sembrano gli angeli della carità, gli angeli della pace. Beati i passi, beati gli sforzi di chi semina la pace! Quale merito davanti a Dio! Ma sono cose piccole, la nostra vita è fatta di minuti. Ma io mi irrito e poi mi sfogo e mi passa subito. Che teoria: faccio peccato così non ho più la tentazione. L’ho già fatto! Ma mi costa troppo. Anzitutto non sappiamo se noi facciamo costare troppo agli altri il sopportarci, poiché ognuno facilmente crede di non essere di peso e di avere solo dei diritti e non dei doveri. Ma vi è da dire che, costi un po’ di più o costi un po’ di meno, si tratta di fare un po’ più o un po’ meno meriti nel sopportare.
Bisogna maledire la mormorazione vicendevole, proprio maledirla la mormorazione, la critica. In primo luogo quando è contro coloro che ci guidano e poi anche tra le persone uguali, tra le sorelle e i fratelli. Come possiamo noi giudicare gli altri? Il Signore giudicherà ognuno. Noi per gli altri dobbiamo avere solo misericordia e bontà. Chi ci ha costituiti giudici degli altri? Nessuno. «Non giudicate, disse Gesù, e non sarete giudicati». Quindi se vogliamo avere un giudizio di misericordia, siamo misericordiosi. La stessa misura che usiamo agli altri, dice la Scrittura, sarà pure adoperata per noi3.
E che misura vogliamo che si adoperi per noi? Solo quella della bontà e della misericordia. E allora abbiamo solo bontà e misericordia. Però c’è stato questo che mi ha fatto dispiacere. Può essere benissimo, ma se noi amiamo soltanto quelli che ci amano e sono benevoli o ci fanno sorridere o ci fanno dei favori, in che cosa saremmo migliori dei pagani? Ci vuole poco a essere benevoli e graziosi, servizievoli con una persona che viene e vi fa tanto di beneficenza, oppure vi tratta con benevolenza. Dice la Scrittura che Gesù, condannato, colpito con tanti colpi di flagello, incoronato di spine, non si lagnò, non cessò di essere placido e sereno in volto, non guardò con malevolenza né Pilato che lo condannò, né chi gli piantò i chiodi nelle mani e nei piedi, anzi appena elevato sulla croce
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pregò per questi. Quindi gli stavano più a cuore quelli che gli avevano fatto del male. E noi non dovremmo essere più buoni con chi ci ha fatto o volontariamente o involontariamente qualche dispiacere? Gesù insiste in questo: «Se salutate solamente quelli che vi salutano che mercede avete? E che cosa farete di meglio dei pagani?»4. Bontà vicendevole.
Ora bisognerebbe applicare questi principi con quattro indicazioni o in quattro punti. Primo: pensare bene. Secondo: desiderare il bene. Terzo: parlare in bene. Quarto: fare il bene.
La carità in primo luogo è nella mente. Considerare le altre sorelle come l’immagine di Dio, come persone che Gesù ha amato e ha chiamato alla vita religiosa e destina a un bel paradiso e a un grande apostolato. Scusare anche quando si è veduto un difetto o si è veduto un errore, uno sbaglio, fosse anche un peccato, scusare, perché non sappiamo mai cosa ci sia propriamente in un’anima, se ci abbia badato, che grazia avesse o non avesse, se ci fosse un errore nella sua testa per cui neppure abbia offeso il Signore. E pensare in bene, tanto più quando non vi sono motivi per pensare in male. Temere molto i giudizi temerari e i sospetti temerari. Può essere che venga il dubbio: ma io ho sotto di me delle persone, mi pare sempre di fare sospetto temerario quando devo assistere, quando devo guardare, quasi temendo che siano cattive. Non temiamo che siano cattivi coloro che sono con noi, ma temiamo che il diavolo sia cattivo e cioè metta in testa degli errori o si valga della debolezza delle persone per spingerle al male, quindi è carità aiutarle, assisterle, correggerle. La carità alla radice della mente.
Secondo: la carità si mostra nei sentimenti, nel cuore, e già ho detto: Compiacersi del bene, volere più bene, l’aumento di bene e stare bene volentieri con le sorelle anche se una è difettosa, anche se è malata, anche se quel giorno è un po’ triste, anche se è nervosetta. È vero che è più facile dirlo che farlo, ma ci sforziamo, ci sforziamo. Quando c’è la buona volontà c’è già carità. Se poi ci sono anche i fatti, ancora meglio, ma intanto c’è già la carità in qualche misura.
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Parlare in bene! Rilevare il bene, le virtù! Vi sono persone che se c’è un po’ di male lo attribuiscono a sé, sono tanto umili, oppure a sé attribuiscono altre cose, cioè: Io commetto altri peccati, ho altri difetti ancor più numerosi. Sono sempre inclinate ad attribuire agli altri il bene che c’è e attribuire il male a sé. Che bel carattere! Che belle anime! Vi sono anche coloro che se c’è un po’ di male è delle altre, causato dalle altre; e se c’è un po’ di bene per fortuna ci sono loro che lo hanno fatto. Un po’ di bene lo hanno fatto loro, avranno fatto loro anche il mondo? Stiamo un po’ al nostro posto.
Poi fare del bene a tutte. In primo luogo dare buon esempio, questo precede sempre tutto. Poi sopportare i difetti, i caratteri è sofferenza; l’apostolato della sofferenza è dopo l’apostolato dell’esempio. Poi sapere incoraggiare nel bene, magari aiutando con le opere, con le nostre forze, per quel che ci è possibile: «Avevo fame, mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete portato da bere, ero infermo e mi avete visitato, ero afflitto e mi avete consolato, ecc. Tutte le volte che l’avrete fatto a un mio fratello, fosse anche il minimo, lo avete fatto a me»5. Gesù al giudizio ci giudicherà sulla carità.
Mi pare che ieri avete cantato Ubi caritas. Ecco, cantarlo spesso questo inno alla carità che fa proprio per i religiosi e le religiose. Va bene poi leggere quello che è stato scritto sui caratteri della carità. La carità come è poi descritta da S. Paolo, la carità come è descritta nel libro La pratica di amare Gesù Cristo6. Quanto bene fa quel libro! Giova a tutti, in maniera speciale a chi deve fare la vita comune, che significa la vita di carità vicendevole, di unione. Congregavit nos amor unus: e poi dice che cessino le liti, i litigi, vuol dire, i brontolii, le malevolenze, l’abitudine di giudicare.
Facciamo così: sia oggi la giornata per chiedere la carità fraterna. Tutte le preghiere, le riflessioni che farete, i propositi, la Visita al santissimo Sacramento, ecc., tutto perché il Signore ci infonda questa carità, carità proprio fraterna, carità
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da religiose. Naturalmente a questo punto si dovrebbe parlare della carità che fate in continuità con l’apostolato. Se piacerà al Signore, lo vedremo un’altra volta, per ora specialmente la carità fraterna, ricordando anche la correzione fraterna che è tanto difficile farla e tanto difficile riceverla, tuttavia è un atto di grande carità.
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1 Predica tenuta a Roma il 14 marzo 1956. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 25a = ac 43b.

2 Cf Mercoledì della IV settimana di Quaresima, Oremus finale della Messa.

3 Cf Lc 6,37-38.

4 Cf Mt 5,46-47.

5 Mt 25,35-40.

6 Cf S. Alfonso M. de’ Liguori, La pratica di amare Gesù, pubblicata nel 1768 e presente nel catalogo paolino fin dal 1922. Opera consigliata dal Primo Maestro ai suoi figli e alle sue figlie, frequentemente citata nella sua predicazione.