Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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41. LA BONTÀ1

Quando ascoltiamo la parola di Dio è sempre necessario che oltre la parola che suona all’orecchio ci sia una luce, una parola che suoni nell’interno, luce e parola che viene dallo Spirito Santo. Perché la parola di Dio faccia frutto è necessario che ci sia l’incremento di Dio, cioè l’azione dello Spirito Santo nelle anime per cui noi vediamo, comprendiamo, sentiamo quello che il Signore desidera da noi. La luce celeste, l’infusione della grazia è questo: amare tutto quello che ci viene detto e quindi i propositi santi e la fermezza nell’adempierli.
Perciò domandiamo sempre al Signore: «Emitte Spiritum tuum et creabuntur, et renovabis faciem terrae: Manda la tua luce, fammi sentire le verità divine, le tue verità»2. Questa mattina chiediamo specialmente di avere un cuore uniformato al cuore di Gesù, al cuore del Maestro divino, cioè tutto bontà, tutto carità. Gesù ha detto: «Io sono il buon Pastore»3, e lo ha mostrato di essere buon pastore. Egli non veniva per essere servito ma per servire. Egli aveva un cuore tanto buono con i peccatori e volle rappresentarsi sotto la figura di quel pastore che va in cerca della pecorella smarrita. Anime che lo hanno capito, lo hanno seguito e sono arrivate alla più alta santità.
Gesù è buono. Ora come dovrà essere il nostro cuore? Tutto informato, impregnato di bontà. Nel mondo ci sono tante cose che vengono dall’odio, dalla gelosia e dalle invidie. È questo lo spirito del mondo il quale è tutto pieno di egoismi e quindi cerca se stesso. Quando invece vi è la carità, si cerca il bene degli altri. Portare un raggio di luce, portare un raggio di bontà, portare il sorriso, sopportare con pazienza ciò che ci
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porta un po’ di disturbo, metter la pace, dire sempre una parola che concilia, mortificarsi nel trovare occasioni di fare del bene: tutto questo è bontà.
Quando si è qui raccolti in questa santa casa e si pensa a tanti che sono lontani da Dio e anche a tante anime che, consacrate a Dio non lo amano come dovrebbero..., da qui potete fare del bene con la preghiera a tutto il mondo concentrandovi in questo pensiero: secondo le intenzioni per le quali Gesù si immola sugli altari. Ecco allora un grande cuore, un cuore che comprende tutti gli uomini. «Il mio cuore si è allargato e comprende tutti»4, diceva S. Paolo. Questo desiderio santo e questa preghiera innalzata al Signore per tutti: Oh, quanti atti di carità! Vivere in questi pensieri e tutto offrire a Gesù, perché distribuisca le sue grazie dappertutto fino agli estremi confini del mondo e anche al purgatorio sollevando quelle anime e offrendo loro la liberazione al più presto.
Quanti poi sono malati più di spirito che di corpo! Anime che vivono in peccato, anime che si abbandonano a pensieri e desideri di terra, persone che non cercano che denaro, soddisfazione, posti, il proprio onore. Quanto bisogno hanno di grazia! Comprenderle tutte queste anime, specialmente comprendere quelle anime che dovrebbero fare del bene agli altri e che sono consacrate a Dio. Che ognuna di voi possa dire: Io sono buona, cioè ho il cuore buono.
Ora, è naturale che quando vi è qualche infermità si sia anche portati un poco o al pessimismo o all’esaltazione o ad altre stranezze. Sono frutti questi della malattia e cioè provengono dall’indisposizione del corpo. Saper raccogliere i nostri pensieri, non abbandonarsi al pessimismo né all’esaltazione. Poi saper tenere la nostra mente unita al Signore, alla verità semplice la quale santifica e lascia l’anima in pace.
Tutto ciò che turba non viene da Dio, perché Dio è pace. Gesù disse ripetutamente agli Apostoli: «Pax vobis»5. La pace non l’agitazione. Il Signore non viene nell’anima con il turbine, ma nella pace e nella serenità. È vero che qualche volta non si
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riesce a dominare noi stessi, perché è difficile dominare i pensieri, ma uniamoci a Dio e non esprimiamo ciò che può turbare le persone che vivono con noi. Che tutti quelli che sono attorno a noi abbiano pensieri di pace e di serenità; qualche cosa bisogna tenerla per noi. D’altra parte colui che ama, tutto crede e tutto sopporta e tutto spera da Dio. Bontà! La bontà nostra va in due direzioni: prima verso Dio e poi verso il prossimo.
1. Verso Dio: sperare proprio nella bontà di Dio, avere grande fiducia in Dio. Vi sono anime che si mettono sulla via del timore e vedono brutto e considerano Dio solo come giudice. E qui non è giudice, ma è amico, sposo, il compagno della nostra vita. Qui Gesù si mostra nel Tabernacolo, nel Crocifisso, nella Via Crucis. La bontà, la fiducia, la confidenza nel Signore! Possiamo avere tante volte tentazioni di diffidenza, ma la speranza è una virtù teologale e allora noi abbiamo da credere alla bontà di Dio: credere che egli vuole darci la grazia per farci santi, credere che tutto quello che permette lo permette per nostro amore, perché vuole che ci facciamo più meriti. Se permette cose che non vanno, anche queste sono permesse, perché esercitiamo la carità, perché esercitiamo il compatimento e veniamo a pregare per tutti.
Confidenza grande in Gesù. Egli ci giudicherà dopo la morte, ma su questa terra noi dobbiamo solo sperare e se si spera non si incontra Gesù giudice. Se speriamo il suo perdono, la sua grazia, la sua misericordia, tutto è assolto, tutto è perdonato. Quindi siamo assolti e possiamo presentarci a lui che ci accoglierà come giudice, ma con un giudizio di retribuzione non un giudizio di condanna, lo stesso giudizio che Maria ha subìto6. Gesù ci verrà incontro e misurerà il grado di gloria del paradiso secondo i meriti. Credere alla bontà di Gesù. Gesù è stato buono con tutti; si è mostrato duro soltanto verso i farisei ostinati che ingannavano il popolo, che predicavano la legge e non la praticavano. Questi furono condannati, ma con tutti gli altri che speravano in lui ebbe parole di bontà, grande generosità nel perdonare, non rinfacciava mai il peccato neppure
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a Pietro, ma con uno sguardo di misericordia moltiplicava le grazie, anche verso chi aveva mancato.
Gesù vuole che crediamo alla sua bontà.
2. Bontà verso gli altri. Essere sempre seminatori di gioia, seminatori di bontà, vale ancor più che portare le medicine, portare l’aiuto allo spirito, l’incoraggiamento, la serenità nei cuori, perché è più prezioso medicare lo spirito, i cuori, le anime. Bontà con tutti!
Vi sono persone che non hanno grandi doni, non sanno fare tante cose, ma sono buone e, usando bene i pochi talenti che hanno, queste persone si fanno grandi meriti e sono amate anche sulla terra.
3. Poi ci vuole anche un po’ di bontà con noi. E non sempre condannarci, non sempre vedere in tutto il male. Ma la mia testa non sta a posto. Il Signore sa di che fango ci ha fatti. Noi non siamo angeli, essi non hanno il corpo e non subiscono le tentazioni di gola, di lussuria, di pigrizia. Ma l’uomo è composto di anima e di corpo e quindi va soggetto a tante infermità. E allora? Domandare la grazia di commettere meno mancanze e domandare la grazia di amare il Signore, e poi compatire noi stessi. Se manchiamo, se abbiamo tentazioni, ci raccomandiamo a Dio, ma non irritarsi, non stupirsi se anche dopo tanti anni ci sono certe tentazioni, dureranno fino alla morte. Nella lotta c’è il merito. Si fanno più meriti nella lotta che nel pacifico possesso della virtù. Piuttosto umiliarsi e dire: Da me nulla posso, ma con Dio posso tutto, io non valgo niente e mi prendo i meriti di Gesù, della sua crocifissione, della sua flagellazione, della sua incoronazione di spine, e stare in pace. E così, quando ci siamo presi i meriti di Gesù, abbiamo trascorso una bella giornata. Stare in pace.
La prima pazienza è con noi, non con gli altri, perché con gli altri comunichiamo per poco tempo, ma il nostro corpo lo portiamo sempre con noi, portiamo sempre con noi le cattive tendenze, la nostra fragilità, le nostre tentazioni. Compatirci, non nel senso di arrenderci al male, ma nel senso di riconoscere che siamo poco, poco, poco e che quel poco che abbiamo è di Dio. Poteva uno immaginarsi che Gesù fosse così buono da dare la sua carne e il suo sangue? Quando lo ha detto, molti
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dei presenti si sono scandalizzati e se ne sono andati, persuasi di essere davanti ad uno che diceva strafalcioni, che sparlava, come diciamo noi. Ma Gesù non si ritrattò e disse ancora: «La mia carne è veramente cibo, il mio sangue è veramente bevanda. Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue non vivrete»7.
Gesù è buono. Vuole che ci nutriamo di lui e quindi credere alla sua bontà e ammettere che egli è buono. E se dicessero anche qualche cosa contro di noi, se ci criticassero, rivelassero difetti, se avvenisse anche questo? Non hanno fatto lo stesso con Gesù? Sopportiamo, interpretiamo in bene, ricambiare con il bene il male. Vincere il male con il bene. A forza di gentilezze e di bontà vincere il male e tutto quello che può essere aspro.
Allora la conclusione è questa: Chiediamo al Signore una grande bontà, bontà rispetto a Dio con la confidenza; rispetto agli altri con i pensieri, i sentimenti e le parole; e bontà con noi stessi perdonando noi stessi, umiliandoci e confidando nella misericordia di Dio, detestando i nostri difetti e peccati, ma confidando nel sacramento della Penitenza e della misericordia di Gesù.
Gesù disse: «Io sono il buon Pastore e do la mia vita per le pecorelle». Chiedere questa bontà in tutta la giornata, sia l’intenzione generale della giornata, e poi diamo anche qualche saggio e cioè noi stessi cerchiamo di vivere in questi pensieri che sono ispirati alla bontà. Confidando nella bontà di Dio, usandola con il prossimo e d’altra parte usandola con noi stessi.
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1 Meditazione tenuta ad Albano il 25 agosto 1956. Dattiloscritto, carta normale, fogli 3 (22x30,5), conservato nella cartella di Albano. Esistono due battiture diverse. Si ritiene come originale la copia I. L’altra battitura è senza data. Titolo aggiunto a mano.

2 Cf Sal 104,30: «Mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra».

3 Cf Gv 10,11.

4 Cf 1Cor 9,22.

5 Cf Gv 20,19.21.26: «Pace a voi».

6 Cf Lc 7,47. Il riferimento è alla peccatrice perdonata, però l’evangelista non specifica il nome.

7 Cf Gv 6,53.55.