Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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31. FESTA DELL’ASCENSIONE1

Mentre glorifichiamo Gesù nella sua gloria, ravviviamo la nostra fede nella futura nostra ascensione al cielo. Là nel gaudio beato dopo la risurrezione «ibunt iusti in vitam aeternam: I giusti andranno nella vita eterna»2. Leggiamo la descrizione che è fatta nell’epistola3 dove è raccontata l’ascensione di Gesù al cielo.
«Nel primo libro parlai, o Teofilo, di tutto quello che Gesù fece ed insegnò dal principio fino al giorno in cui, dati per mezzo dello Spirito Santo i suoi ordini agli Apostoli che aveva eletti, ascese al cielo; ai quali si diede anche a vedere vivo, dopo la sua passione, con molte riprove, apparendo ad essi per quaranta giorni e ragionando del regno di Dio. Ed essendo a mensa insieme, comandò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di aspettare la promessa del Padre, la quale avete udita dalla mia bocca, perché Giovanni battezzò con l’acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo, di qui a non molti giorni. Ma i convenuti gli domandavano: Signore, lo ricostituirai ora il regno di Israele?. Rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservati in suo potere; ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino all’estremità della terra. E, detto questo, mentre essi lo guardavano, si levò in alto ed una nube lo tolse agli occhi loro. E, mentre stavano a mirarlo ascendere al cielo, ecco due personaggi in bianche vesti presentarsi loro e dire ad essi: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che, tolto a voi, è asceso al cielo, così verrà come lo avete veduto andare in cielo»4.
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Dopo la sua risurrezione, per quaranta giorni, Gesù si mostrò ripetute volte agli Apostoli e diede la prova più chiara della sua risurrezione. Ma la glorificazione di Gesù Cristo non terminò con la sua risurrezione, la sua glorificazione si compì con l’ascensione al cielo. Là egli siede alla destra del Padre.
Non subito nella Chiesa si celebrò la festa dell’Ascensione, ma neppure molto tardi5, anzi questa festa per un certo tempo a Roma specialmente fu celebrata con grande solennità. Per ricordare il fatto che Gesù dal Cenacolo va al monte Oliveto seguito dai suoi fedeli, prima della Messa si faceva una processione. A Roma il santo Padre, il Papa celebrava in San Pietro, poi da San Pietro processionalmente con i vescovi, il clero e il popolo si portava a San Giovanni in Laterano per ricordare lo stesso fatto e là avveniva una seconda celebrazione.
Il fatto storico è quello che è stato riportato nel brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo letto. Ma questo fatto storico ci ricorda quello che l’Ascensione è destinata ad insegnarci. In questo tempo la meditazione più frequente deve essere in primo luogo sul paradiso e in secondo luogo segue la novena allo Spirito Santo. In questi giorni si ricorda come Gesù avendo compiuto la sua missione sulla terra, affida la Chiesa agli apostoli: «Andate e predicate… mi sarete testimoni nella Giudea e fino all’estremità della terra»6. Così la Chiesa è affidata alle cure degli uomini. Gesù aveva radunato tutti gli elementi per la costituzione della Chiesa, aveva preparato ogni cosa, e la Chiesa doveva nascere nel giorno di Pentecoste. Gli Apostoli avrebbero ricevuto lo Spirito Santo e avrebbero cominciato a compiere i loro tre uffici: predicare, guidare il popolo cristiano e santificarlo con i sacramenti, con la Messa, con la pietà.
Vi è qui un grande passaggio, un fatto storico della massima importanza: ecco indicata la via dell’apostolato, ecco lasciato all’uomo l’incarico di salvare gli uomini, perché questa è la volontà di Dio che gli uomini si salvino per mezzo di altri uomini. Tutti devono prestare ossequio e fede a coloro che sono chiamati a questo ufficio. Si deve credere al sacerdote, si deve
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seguire il sacerdote, si deve ricevere la grazia dal sacerdote. Al sacerdote, naturalmente, sono uniti tutti coloro che vogliono partecipare alla vita di perfezione individuale e all’apostolato che essi compiono.
Il significato, il simbolo che oggi particolarmente ci impressiona è che, dopo il canto del Vangelo, viene spento il cero pasquale per indicare che Gesù fino a questo giorno era stato presente agli Apostoli, ma ora sale al cielo. Spento il cero pasquale, cioè dopo che Gesù ha cessato di predicare, ecco che cominceranno a predicare gli Apostoli, i sacerdoti. Prima aveva detto: «Io sono la luce del mondo». Ora: «Voi siete la luce del mondo». «Ego sum lux mundi - Vos estis lux mundi»7.
L’insegnamento più grande dunque è questo: gli Apostoli dopo che videro Gesù scomparire alla loro vista, ai loro occhi, quasi volessero che Gesù si mostrasse ancora a loro, ma i due angeli dissero: «Uomini di Galilea, perché ve ne state ad ammirare il cielo? Quel Gesù che vi ha lasciati tornerà, e tornerà alla fine del mondo». Quei due angeli volevano dire: Ora che avete vissuto con Gesù per tre anni, ora che lo avete veduto salire al cielo, fate quello che egli vi ha insegnato, compite la missione che vi ha dato e poi salirete anche voi al cielo. Tornerà Gesù, tornerà alla fine del mondo; tornerà a riprendervi, a condurvi là, nella stessa gloria che egli ha.
Paradiso! Quindi il duplice canto nella settimana fino alla Pentecoste: Paradiso e «Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi»8 e Veni Creator Spiritus. Tanto più sabato, il giorno in cui celebreremo la festa liturgica della Regina degli Apostoli. Paradiso e Veni Creator Spiritus: paradiso per ricordare il posto che Gesù ci ha preparato, e invocazione allo Spirito Santo, perché mediante le sue grazie noi possiamo compiere la missione che il Signore ci ha affidato per raggiungerlo lassù, nella sua gloria eterna. Quindi nel secondo mistero glorioso: l’ascensione di Gesù Cristo al cielo, domandiamo la grazia di desiderare sempre i beni celesti, gioia eterna e la gloria che ci attende in paradiso. Pensieri di cielo.
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E la vita religiosa si fonda sopra questi pensieri: «Riceverete il centuplo e possederete la vita eterna»9. La giovane, l’aspirante ha da scegliere fra i beni della terra e i beni del cielo, quei beni della terra che passano così presto e quei beni del cielo che sono eterni ed ineffabili. L’aspirantato è per questo, il postulato è per questa scelta. Ma per scegliere bene occorre che non ascoltiamo solamente gli uomini e che non consideriamo soltanto i beni della terra, ma che possiamo fare il paragone con quelli del cielo. Chi sarà più saggio? Chi farà la scelta migliore? Paradiso! Paradiso più sicuro, perché nella vita religiosa c’è il centuplo, il centuplo dei mezzi per raggiungere la salvezza. Quindi nella vita religiosa maggiore sicurezza di salvezza eterna. Forse noi non abbiamo ancora tanto spirito soprannaturale da poter dire, come diceva S. Paolo: «Cupio dissolvi et esse cum Christo»10. Egli era stato rapito in cielo nel più alto posto a contemplare le bellezze di lassù: «Cupio dissolvi... desidero che cadano i vincoli che mi tengono legato alla terra, et esse cum Christo, per essere con Gesù». Ne aveva ammirato la gloria ineffabile nella sua visione.
Ricordare il paradiso e sentire letizia. Io lavoro per il cielo! Non lavoro per una speranza la quale può lasciarmi deluso, e certamente chi spera nei beni della terra sarà deluso, perché con la morte lascerà tutto. Io lavoro «expectans beatam spem et adventum Domini nostri Iesu Christi»11. Perciò la virtù pratica di questi giorni è la speranza, speranza nel cielo e nelle grazie per conseguire l’eterna felicità. Chiedere e praticare la virtù della speranza più intensamente. Nei giorni seguenti ripetere più frequentemente il secondo mistero glorioso. Nelle difficoltà, nelle tentazioni pensare al paradiso. E allora si capisce la parola, il detto: Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto12.
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Il religioso deve essere sempre inondato da una grande gioia e da un fervore vivo. Chi pensa poco al paradiso cade ben presto nella tiepidezza. Ma chi guarda la meta, affretta il suo passo e non sente la stanchezza, anche se la sente, e questo è umano, ama la stessa stanchezza e si sente coraggioso, fervente, intraprendente per la sua santificazione e per l’apostolato. Paradiso, quindi. Il proposito sia di ricordare il paradiso. Ricordarlo particolarmente quando si viene in chiesa. Di più al mattino quando ci si sveglia: Vado a lavorare per il paradiso. Poi, ogni volta che solleviamo il nostro sguardo in alto, non dobbiamo solamente considerare la volta azzurra di questo cielo, ma considerare che lassù c’è un altro firmamento, in cui «stella a stella differt in claritate»13. Vi sono stelle più splendenti, la più splendente è Maria, il sole è Gesù glorioso. E noi dobbiamo essere le stelle del firmamento eterno.
Diciamo adesso il secondo mistero glorioso in cui si considera l’ascensione di Gesù al cielo e chiediamo la grazia di pensare e desiderare vivamente la gioia e la gloria del cielo, i beni spirituali, la santità, i meriti.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 10 maggio 1956. Dattiloscritto, unica battitura, carta vergata, fogli 4 (22x28).

2 Cf Mt 25,46.

3 Prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II la liturgia della Parola festiva era composta dalla lettura dell’epistola presa dal Nuovo Testamento, dal graduale, dal Vangelo. L’Antico Testamento si leggeva nei giorni feriali.

4 Cf At 1,1-11.

5 S. Agostino la descrive come solennità già diffusa al suo tempo (IV secolo).

6 Cf Mc 16,15; At 1,8.

7 Cf Gv 8,12; Mt 5,14.

8 Sal 122,1:«Quale gioia quando mi dissero… ».

9 Cf Mt 19,29. Questa frase era usata anche a conferma della formula della professione religiosa.

10 Cf Fil 1,23: «Io desidero di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo».

11 Cf Tt 2,13: «… nell’attesa della beata speranza e della manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo».

12 Espressione di S. Francesco d’Assisi entrata nell’uso comune.

13 Cf 1Cor 15,41: «Ogni stella differisce da un’altra nello splendore».