Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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VI
LA RETTA INTENZIONE II1

Vi è una parola che ci deve molto far riflettere pensando al giudizio: «Scrutabo Ierusalem in lucernis: Scruterò l’anima con le lucerne»2. E cioè non guarderò soltanto le opere esteriori, ma specialmente le intenzioni. Allora dobbiamo detestare tutte le intenzioni non sante e curare che le nostre intenzioni siano sante. La cosa più difficile non è fare bene all’esterno, ma all’interno. I peccati più difficili da evitare sono i peccati interni, specialmente le sinistre intenzioni. Iddio guarda in primo luogo le intenzioni, perché è scritto che se gli uomini vedono quello che appare all’esterno, Dio invece guarda all’interno, il cuore e particolarmente le intenzioni.
Non stupitevi se vengo per la terza volta con il medesimo argomento. Mi sembra di così capitale importanza che vi è proprio da temere che, in una vita che esteriormente sembra buona e raccolta, manchi proprio la sostanza, cioè quella di un’anima che opera solo per il Signore. Allora, siccome la retta intenzione è la parte più importante del nostro operare, bisogna subito dire che più che l’opera esterna, bisogna curare la retta intenzione.
Il nemico della retta intenzione, quello che ci ruba tanti meriti, è l’amor proprio: l’amor proprio che per lo più è superbia, ma altre volte è pigrizia o attaccamento. Scrutare le nostre intenzioni, poiché, dice S. Paolo, il fuoco proverà se le nostre opere erano totalmente buone, «Ignis probabit: il fuoco proverà»3, e allora quello che sarà stato vano, inutile
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verrà misurato dal fuoco e quello che invece sarà stato santo ci meriterà il cielo.
L’amor proprio sotto l’aspetto di orgoglio è: farsi vedere, accaparrarsi la stima delle persone, essere credute buone, evitare i rimproveri, le osservazioni, paura di apparire peggiore degli altri, desiderio di mostrarsi istruite, desiderio di mostrarsi persone che sanno fare, desiderio che tutti abbiano veduto ciò che abbiamo fatto di buono e che tutte le persone ce ne diano lode e approvazione. Questo è nemico primario della retta intenzione e nemico nostro in questo caso, perché noi lavoriamo e fatichiamo, ma poi l’opera non ha consistenza, non ha fondamento. Come quel ragazzo che raccoglieva le ciliegie e le metteva in un canestro, ma il canestro aveva un buco e perdeva tutto quello che il ragazzo metteva dentro. L’amor proprio quante volte genera invidie, quante volte fa sentire le difficoltà dell’obbedienza, quante volte fa valere il proprio giudizio, difende le proprie idee. Alcuni si impuntano sopra un pensiero e allora vedono male le persone che non le stimano o che fanno loro una osservazione, e si attaccano soltanto a quelle persone che sembrano mostrare loro sentimenti di stima e di affezione.
L’amor proprio poi, si mostra anche per mezzo di altri difetti, particolarmente con lo spirito di comodità. Ci si attacca al posto, all’ufficio, alle case, alle occupazioni. Si vuole fare il lavoro in quella maniera e non in quell’altra, si condanna tutto quello che non è secondo il nostro gusto, e si approva e si difende quello che è conforme al nostro gusto. Allora il rispetto per l’autorità se ne va. Allora facilmente succedono le critiche. Ci si ribella un po’ alle osservazioni, e si finisce di perdere in parte, se non tutto, il merito di un’opera che magari è costata fatica. L’amor proprio in questo senso ci fa preferire le azioni che piacciono a noi, ci porta all’invidia, ci porta a condannare quello che fanno gli altri, anche le persone migliori di noi, e qualche volta si affetta a zelo, ma non è zelo. Videtur esse caritas et est magis carnalitas4, sembra che si operi per amor di Dio e invece si opera per l’io. Terribile questo amor proprio!
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L’amor proprio si manifesta anche nella sensualità, nelle amicizie particolari. Si cerca di dare gusto e si cerca di avere gusto, di soddisfare la passione. Quando si incomincia con il preferire una persona ad un’altra, quando si incomincia a fare qualche regaluccio, quando si incomincia a dare un’immagine sotto pretesto di ricordo, entra dentro qualche fine secondario. Vigiliamo: è l’amor proprio. Perché si preferisce quella persona ad un’altra? Perché quella persona è più buona, perché ci fa coraggio, perché ci dà buon esempio? Allora si fa tutto per amor di Dio e c’è la retta intenzione. Ma se invece è perché una persona ci accontenta, scusa i nostri difetti, perché è pronta a rilevare questa o quella virtù… Allora vediamo che l’amor proprio non faccia velo e l’intenzione non sia del tutto retta. L’intenzione è di somma importanza.
Un giorno un frate laico stava spazzando il corridoio del convento dove abitava S. Bonaventura, vescovo e dottore della Chiesa. Quel semplice religioso vedendo il santo dottore osò dirgli: Beato voi che sapete tante cose belle, io invece sono ignorante e non so fare delle cose belle, delle cose grandi per il Signore. E allora S. Bonaventura rispose una frase che è rimasta celebre: O vecchierello, vecchierello, se tu amerai il Signore più di padre Bonaventura, ti farai più santo di lui. E voleva dire: Non è un’azione o un’altra che vale, è l’amore con cui si opera.
Ognuno può diventare grande santo, purché sia sempre guidato dall’amore di Dio, dalla retta intenzione, in sostanza. Ognuno non deve invidiare la posizione del superiore, di una che ha studiato o che è messa in ufficio di maggiore responsabilità, tutti possiamo diventare santi facendo le cose che sono nelle Costituzioni e negli orari, nella vita comune, ma con amore. Le cose comuni, ma con un amore non comune. S. Redegonda5 al mattino si alzava prima delle altre e faceva i lavori più umili, affinché quando si alzavano le sorelle trovassero tutto pulito e già in ordine. Amare di più le virtù
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nascoste. Vi sono virtù molto esteriori come la riuscita a scuola, nell’apostolato, il fare degli uffici più distinti. Amare invece le virtù umili, non l’egoismo, ma l’umiltà, amare la silenziosità, amare di non essere veduti: Ama nesciri et pro nihilo reputari6.
Le persone che fanno il proposito sulla pazienza e che hanno tanta pazienza con gli altri; le persone che amano le umiliazioni, proprio quelle che costano di più; le persone che amano più obbedire che comandare e con l’obbedire uniformano se stesse interamente al giudizio di chi comanda; le persone che non manifestano facilmente i loro mali, quelle che costantemente sanno apprezzare ciò che c’è di buono nelle opere altrui e sanno nello stesso tempo dimenticare le opere loro; le persone che non stanno a ripensare al bene fatto, ma pensano a un nuovo bene da fare, sono quelle che piacciono a Dio, sono quelle che nel giorno del giudizio saranno glorificate, poiché sulla terra sono state umiliate.
Ma vi sono persone che su questa terra fanno una gran bella figura, ma che al giudizio di Dio avranno raccolto poco e nel giudizio universale si troveranno tanto umiliate. Forse il superiore si troverà al posto dell’inferiore; forse chi obbediva sarà sopra chi comandava; forse chi insegnava a scuola sarà inferiore allo scolaro; forse colei che era maggiore in età si troverà più in basso di chi era minore: «Erunt primi novissimi, et novissimi primi»7. Ma da che cosa dipende? Dipende dalle intenzioni, dall’amore con cui si opera. Temere l’amor proprio che è come un ladro. Si dice che un giorno una signora stava ripulendo i suoi gioielli d’oro, i suoi orecchini, i suoi anelli, ecc., e li mise sulla finestra al sole. Ma una gazza, mentre la signora si era ritirata, andò a prenderli e li portò via. Faticare, faticare e poi raccogliere poco o nulla. Considerate quella donna lodata da Gesù. Era il giorno delle offerte e tutti andavano a fare la loro offerta nel tempio. Passavano i ricchi e deponevano monete d’oro e prima di lasciarle cadere nel gazofilacio, le
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mostravano. Passò una donna che depose soltanto due piccole monete. Gesù osservando, disse agli apostoli: «Sapete chi ha messo più di tutti? Quella che ha dato soltanto due monete, poiché ha dato quanto aveva, quello che era necessario per il suo vivere»8.
Il nostro nemico è l’amor proprio, nemico della retta intenzione. Allora, per riassumere, abbiamo da ricordarci questo: si potrà dire di una persona che è istruita? Scrivete zero per quanto riguarda l’eternità. Che è gentile? Mettete ancora zero per quanto riguarda l’eternità. Così anche se sa pregare, cantare bene? Mettete un altro zero per quello che riguarda l’eternità. Ma se questa persona mette la retta intenzione, opera per amore di Dio, per il paradiso, questo vale a mettere l’uno davanti a quella fila di zeri e voi leggete: cento, mille, diecimila, ecc. Persone che fanno minime cose, a volte, minime azioni, minimi servizi, ma che dentro sono umili e tutto operano in ordine all’eternità, in ordine a Dio: quanti meriti!
Una cosa assai utile è questa: rinnovare spesso la retta intenzione e mettere tante intenzioni buone. Veramente queste intenzioni sono già tutte comprese nel Cuore Divino di Gesù, ma se noi mettiamo qualche intenzione speciale, è più facile che operiamo bene e che l’opera sia totalmente di Dio. Esempio: offro questo mio lavoro per un’anima purgante, particolarmente per quell’anima, l’anima di quella persona che ho conosciuto. Offro questo mio lavoro in riparazione dei peccati contro la verità, contro la giustizia, contro la santità. Offro questo in riparazione dei peccati commessi con le edizioni cattive, con la stampa, con il cinema, con la televisione. Offro le mie azioni per fare bene la mia Confessione, le offro per vincere questa tentazione. L’intenzione particolare molto spesso ci giova. L’esempio di quel santo: quando incominciava un lavoro alzava gli occhi al cielo. E interrogato, una volta, sul perché: Prendo la mira, voglio che la mia azione vada lassù, proprio lassù.
Dobbiamo considerare che l’intenzione buona, alle volte, ci è di consolazione. Tante volte vogliamo il bene e non
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ci riusciamo. Vuole vincersi dall’ira e ci cade ancora; vuole vincersi riguardo alla carità e qualche volta gli sfugge un atto non buono. Ma c’è un principio: Desiderium efficax habetur pro completo:… come se fosse riuscito9. Tante volte le suore mi scrivono che vanno alle porte delle case con il libro e il foglietto, e si chiude la porta, e qualche volta ricevono anche degli insulti. Orbene, andranno a casa con il doppio disgusto di trovarsi con la borsa piena di libri e di aver ricevuto parole sdegnose? Vanno a casa con il merito, come se la propaganda fosse stata più larga, la più bene accolta. Oh, quante volte l’intenzione supplisce l’opera stessa! Il merito è forse maggiore, perché non essendo riuscita bene la cosa, si ha anche l’umiliazione con noi. «Dio ha visto il cuore: Deus intuetur cor»10. Egli ha veduto e scandagliato le nostre intenzioni.
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1 Predica tenuta a [Roma] il 27 giugno 1956. Dattiloscritto, carta vergata, fogli 4 (22x28). Esiste anche un dattiloscritto successivo. A mano è indicato anche un altro titolo: “Amor proprio e retta intenzione”. Autore e luogo sono aggiunti a mano.

2 Cf Sof 1,12.

3 Cf 1Cor 3,13.

4 Cf Imitazione di Cristo, I, XV, 2: “Accade spesso che ci sembri amore ciò che è piuttosto attaccamento carnale”.

5 Redegonda (518-587), moglie di Clotario, re dei Franchi, abbracciò la vita monastica mentre il marito era ancora in vita e visse per trent’anni in penitenza nel monastero di Santa Croce a Poitiers (Francia).

6 Cf Imitazione di Cristo, I, II, 2: “Ama di essere ignorato e di essere considerato un nulla”.

7 Cf Mt 19,30: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi».

8 Cf Lc 21,3-4.

9 “Un desiderio efficace si ritiene come realizzato”.

10 1Sam 16,7.