Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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9. GLI OPERAI DELLA VIGNA1

Dal Natale fino a Settuagesima la Chiesa ci ha fatto ricordare la vita privata di Gesù. Dalla domenica di Settuagesima comincia la preparazione remota alla Pasqua con le tre domeniche di: Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima2. Poi viene la preparazione di mezzo, o Quaresima, e infine la preparazione prossima e immediata che è il tempo della Passione.
La Chiesa ci introduce in questo tempo di preparazione alla Pasqua, facendoci leggere il Vangelo degli «operai nella vigna». La parabola si conchiude con queste parole: «Molti degli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi»3. Questo è per noi un po’ misterioso, però vi sono degli insegnamenti molto chiari nella parabola. Qual è la vigna da lavorare, alla quale siamo stati chiamati molto per tempo? L’anima nostra. Perché siamo sulla terra? Proprio per arricchire l’anima nostra di molti meriti per il paradiso, e cioè conoscere, amare e servire Dio, e in questa maniera guadagnare il cielo, la ricompensa eterna.
Intanto dobbiamo farci alcune domande: Abbiamo subito corrisposto agli inviti di Dio appena il Signore ci ha chiamato? Sia alla prima ora o all’ora di terza, di sesta, di nona o all’undecima ora? Abbiamo accolto gli inviti che il Signore ha fatto discendere nella nostra anima nei momenti di maggior luce: Fatti santo, che cosa cerchi ancora sulla terra? Perché non ti dai interamente a me? Quando questa luce si è diffusa nella nostra anima e il Signore ha toccato il nostro cuore, abbiamo corrisposto?
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1. Sembrerebbe un’ingiustizia per chi si converte tardi, ricevere la stessa ricompensa di chi ha servito il Signore fin da giovane, ma non è così. Vi sono anime che pur arrivando relativamente tardi, operano con tanto amore, con tanta umiltà e finiscono per guadagnare i meriti di una vita più lunga. Il buon ladrone si è convertito sulla croce poco prima di morire, ma ebbe da Gesù l’assicurazione: «Oggi sarai con me in paradiso»4.
Vi sono persone che fanno rendere il tempo e persone che non lo sanno far rendere. Lo stesso tempo può essere sfruttato più o meno secondo la fede e l’amore con cui si opera. Riflettiamo su questi due punti: 1) se noi rispondiamo alla voce di Gesù, se diciamo il nostro sì agli inviti che Dio rivolge alla nostra anima; 2) se avendo risposto all’invito, utilizziamo il tempo al massimo. S. Agnese5 a quattordici anni era santa, mentre altri a sessant’anni non sono ancora santi. Non parliamo qui dei cattivi o di coloro che invece di farsi santi diventano peccatori sempre più ostinati, ma parliamo delle anime che si sono consacrate a Dio. Il Signore non ci chiede conto del tempo che non ci dà. Se uno passa all’eternità a quattordici anni ha solo da rendere conto di quel tempo, e se uno passa all’eternità a quarant’anni ha da rendere conto dei quarant’anni.
L’invito del Signore l’avete sentito quando vi ha chiamato alla vita religiosa, a lavorare nella sua vigna, che è l’anima vostra. Oltre quella chiamata ve ne sono altre, ora sotto forma di rimprovero, ora sotto forma di consolazione o di buoni esempi o di ispirazioni dopo la santa Comunione. Altre volte invece la Parola arriva attraverso un libro, un predicatore o per mezzo di un funerale che ci fa riflettere o attraverso una bella immagine di Maria o un Crocifisso che ci fanno restare sotto una buona impressione. Dio si serve di tutto: «Omnia vestra sunt, vos autem Christi, Christus autem Dei»6. Il Signore si serve di tutto. Quando il Signore ci fa sentire o in una forma o in un’altra la sua parola, il suo invito, noi corrispondiamo? Vi sono tre specie
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di anime a questo riguardo: quelle che non corrispondono, quelle che corrispondono a metà, e quelle che corrispondono interamente.
Anzitutto vi sono le anime distratte, quelle che neppure sentono la voce di Dio, perché sono preoccupate di altre cose, dominate dalla fantasia o da qualche passione che le disturba. Queste anime non sentono, perché non ascoltano la voce di Dio: la parola di Dio cade per terra, se pure a un certo momento non cessa del tutto. A chi non presta orecchio è inutile parlare; se nessuno ti ascolta «ne effundas sermonem»7, dice la sacra Scrittura. Queste anime distratte si lasciano preoccupare e si affannano di troppe cose, come Marta: «Martha, Martha, sollicita es et turbaris erga plurima»8. Qualcuno dirà: Ma abbiamo l’apostolato! Sì, avete l’apostolato, ma il pensare come fare bene l’apostolato, il pensare a far bene, trattare bene, a trovare vocazioni, ecc., questo non deve distrarre, anzi è frutto di raccoglimento. Distrazione è quando noi siamo occupati e preoccupati e travagliati da pensieri e sentimenti che non sono né Dio né il suo volere. Ma se pensiamo a Dio e al modo di compiere bene la sua volontà, cioè l’apostolato, allora non è distrazione. Dunque anzitutto arrivare fino qui, a conservare l’abituale raccoglimento e fare il silenzio di regola nei tempi dovuti.
Non è molto che una Figlia di San Paolo mi diceva: Non si trova mai un momento di tempo di silenzio per stare un po’ più raccolte. Non è tanto il silenzio esteriore che è necessario, ma il silenzio del cuore, della fantasia, il silenzio delle cose mondane che non interessano. Non quel silenzio che viene da passione, ad esempio una persona per un giorno intero è travagliata dal cattivo umore e interpreta tutto a rovescio, e tace indispettita... È un silenzio buono questo? No, tace esternamente, ma dentro quanto parla e a quante voci risponde! Dunque conservare il raccoglimento abituale e il silenzio di regola.
2. Vi sono anime sufficientemente raccolte che coltivano il pensiero della presenza di Dio e si valgono di tante occasioni per mantenere l’unione con il Signore durante il giorno.
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Vi sono anime che sono disposte ad ascoltare e sentono anche la voce di Dio, ma non vi corrispondono appieno: fanno quello che descrive S. Giacomo9, come chi si guarda nello specchio se ha delle macchie in viso, le vede anche, ma se ne va senza pensare a toglierle, senza lavarsi. Sentire l’ispirazione, goderne, avere anche concepito qualche bel pensiero o risoluzione, è il principio del bene. Ma non basta: occorre pregare e aggiungere un po’ di sforzo, occorre mettere in pratica l’«abneget semetipsum»10. Quindi non il fervore di un momento, ma un fervore rinnovato ogni giorno per mezzo della Comunione, della meditazione, della Visita, dell’esame di coscienza: fervore abituale!
3. Vi sono poi le anime che corrispondono appieno alla voce di Dio: Lascia questo, fa’ quello, vivi unito a me, non preoccuparti di nulla, sii indifferente a tutto il mondo, a tutte le occupazioni, a tutte le condizioni, a tutte le circostanze liete o tristi. Io sono tutto il tuo bene, io sono per te, tu sei per me.... Queste anime generose corrispondono appieno e riparano ogni settimana le loro debolezze, poiché queste le abbiamo tutti, con la Confessione ben preparata, con la Comunione fervorosa, con la Visita fatta nell’intimità con Gesù. Esse conservano il fuoco dell’amore e vi aggiungono ogni tanto nuova esca, in modo che la fiamma divampi nuovamente e non si spenga. Conservano il fuoco, cioè il calore spirituale, e progrediscono.
Come si fa a conservare il calore degli ultimi Esercizi, dell’ultimo ritiro o dell’ultima Confessione? Quali sono i mezzi? Osservare le Costituzioni quanto alla pietà, alle pratiche quotidiane: lì vi è tutto. Ma se noi cominciamo a togliere qualche cosa: l’esame di coscienza o la meditazione o parte della Visita, allora il fuoco diminuisce d’intensità e la fiamma si abbassa se pure non si spegne. Le pratiche di pietà ben fatte mantengono il calore spirituale per tutta l’annata, da un corso di Esercizi all’altro. Esaminiamoci per vedere a quale categoria di anime apparteniamo e proponiamo di assecondare
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la voce di Dio ogni volta che si fa da noi sentire: «Hodie si vocem eius audieritis, nolite obdurare corda vestra»11.
Vediamo inoltre se abbiamo fatto rendere bene il tempo da quando il Signore ci ha chiamato fino adesso. Vi è resa e resa nelle cose, per esempio, nell’anno agricolo 1955 l’Italia ha raccolto circa venticinque milioni di quintali di grano più del 1954, nonostante che la superficie seminata non superasse quella del 1954. Vuol dire che vi è stata maggiore resa dell’annata agricola precedente. Ciò vale tanto più per lo spirito. Possiamo passare la stessa giornata con una persona, fare le medesime cose, alzarci alla stessa ora, fare le medesime fatiche, il medesimo apostolato, eppure arrivare a sera con molta diversità di meriti. Da che cosa dipende questo? Se si sono praticate o meno le virtù teologali. In pratica, si acquista molto merito se si opera con fede, per Dio, con spirito soprannaturale, pensando che Dio è presente, cercando di fare la sua volontà momento per momento: ora tacere, ora parlare, ora fare un atto di virtù, ora un altro... Se si opera per il paradiso, per Gesù, con amore, con purezza di coscienza, allora, si guadagna merito. Vedere di non essere dominati dall’amor proprio, ma essere sempre guidati dallo spirito di Dio, dal pensiero di Dio, dal pensiero del paradiso, dal pensiero di farci dei meriti e di aiutare tante anime a salvarsi: cioè retta intenzione nell’operare.
Se ci svuotiamo totalmente di noi stessi, diventiamo santamente indifferenti a una cosa o all’altra, a un ufficio o ad un altro, alla sanità o alla malattia, alla stima o alla disistima..., allora in questa santa indifferenza si guadagna immensamente: è solo Dio che entra nella nostra anima, solo e sempre Dio! Che ricchezza ha alla sera l’anima nostra! È una fiamma senza fumo il suo amore, è oro puro davanti a Dio.
Dice S. Paolo che vi sono varie categorie di opere: alcune si possono paragonare all’oro puro, altre all’argento, altre al legno, al fieno, alla stoppia... «Il fuoco proverà la buona lega di ognuna: Uniuscuiusque opus quale sit, ignis probabit»12. Il
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fuoco del purgatorio proverà se l’oro è puro o se è mescolato alla scoria; esso brucerà tutto quello che non è santo, che non è puro e ci preparerà al paradiso, ove non entra nulla di macchiato: «Nihil inquinatum incurrit in eam»13.
Allora esaminiamoci come corrispondiamo agli inviti di Dio: «Ite et vos in vineam meam»14 e come facciamo rendere le nostre giornate. Con questo pensiero cominciamo la preparazione alla Pasqua e poniamo ogni sforzo per purificarci e attendere con le migliori disposizioni il grande evento della Risurrezione.
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1 Predica del ritiro tenuto a Napoli il 29 gennaio 1956, domenica di Settuagesima. Dattiloscritto su ritagli di manifesti del cinema, fogli 6 (17,5x27), inchiostro rosso. Nel Diario curato da don Speciale si nota che Don Alberione fu a Napoli nei giorni 28-29, cioè sabato-domenica e tenne il ritiro alle Figlie di San Paolo (cf Diario Sp. 1956, p. 1969). Nell’originale si ha l’indicazione di “I”. Questo lascia pensare che si tratti della prima meditazione del ritiro. Si dovrebbe dedurre che al sabato non ci fu meditazione o non è pervenuta. La terza meditazione si è deciso di non pubblicarla, perché il testo avrebbe richiesto una vera e propria trascrizione.

2 Questo tempo preparatorio dopo il Concilio Vaticano II è stato abolito.

3 Cf Mt 20,1-16.

4 Cf Lc 23,43.

5 Agnese (ca. 290/293-305) vergine e martire romana.

6 Cf 1Cor 3,22-23: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio».

7 Cf Sir 32,6: «Non effonderti in chiacchiere».

8 Cf Lc 10,41: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose».

9 Gc 1,23-24.

10 Cf Mt 16,24: «Rinneghi se stesso».

11 Sal 95,8: «Ascoltate oggi la sua voce. Non indurite il vostro cuore».

12 Cf 1Cor 3,13.

13 Cf Sap 7,25: «Nulla di contaminato si infiltra in essa».

14 «Andate anche voi nella mia vigna».