Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

48. ABBANDONO IN DIO1

Nella divozione a Gesù Maestro noi troviamo la via più facile e sicura per raggiungere la perfezione che è stata interpretata da S. Paolo, suo migliore discepolo. Non dobbiamo mai disgiungere il Maestro dal suo grande discepolo, «il quale non ha solamente lavorato più degli altri: Abundantius illis omnibus laboravi»2, ma anche ha penetrato il mistero di Gesù, il mistero della rivelazione, della redenzione. Ora, per questo bisogna ritenere che nella Congregazione vi sono dei beni altissimi, inestimabili per cui non ci basterà la vita per essere sufficientemente riconoscenti a Dio: continueremo in cielo. Vivere in Gesù Cristo con la mente, con il cuore e con la volontà.
Ora parliamo della volontà, ma prima di dire che dobbiamo unire la nostra volontà a quella di Dio, diciamo una cosa generale: l’abbandono in Dio. Che cosa significa abbandonarsi in Dio? Abbandonarsi in Dio vuol dire rimettere tutto a lui per uniformare i nostri pensieri, desideri e voleri a quello che Dio vuole. Lasciarci guidare come bambini, e d’altra parte se non ci facciamo bambini non c’è posto per noi nel regno dei cieli.
Abbandono in Dio significa non avere più preferenze, non avere più desideri, non rifiutare nulla e non chiedere nulla; significa lasciarci lavorare da Gesù: l’anima nostra sia lavorata da Gesù.
Abbandonarsi in Dio non è una pigrizia, ma vuol dire accettare quello che viene disposto. Il pieno abbandono in Dio significa abbracciare la sua volontà con il cuore e farlo applicando mente, volontà e cuore, forze soprannaturali e forze naturali: Piace a Gesù e piace anche a me; lo farò bene per quanto posso.
~
Questo abbandono in Dio è utile? Veramente qui sta la perfezione, cioè quando non conta più il nostro parere, il nostro modo di vedere, il nostro desiderio, né la salute, né la malattia. Abbandonate in Dio come Maria. Quando Maria e Giuseppe andarono a Betlemme, non c’era posto per loro in città e andarono in campagna a cercare un rifugio per la notte, dove sarebbe nato il Salvatore del mondo. E quando poi nel corso della notte l’angelo svegliò Giuseppe: «Fuggi in Egitto, perché il Bambino è cercato a morte»3, senza nessuna resistenza, senza esporre le difficoltà e chiedere spiegazioni da dove passare e fino a quando stare in terra straniera, il testo sacro dice che egli si alzò, prese il Bambino con la Madre e partì.
Questo è il punto più alto della perfezione, poiché in questo abbandono in Dio è data morte all’io e allora Gesù vive interamente in un’anima. «Vivo io, ma non più io, vive in me Cristo»4. Non avere pensiero, desiderio, volontà, cuore che inclinino ad altri amori e allora Gesù vivrà in noi: scomparire in lui. Così Gesù prende intero possesso della persona e opera totalmente. Opera nella mente e produce la fede, la cognizione di Dio. Opera nella volontà e la rafforza e la inclina sempre più a tutto ciò che piace a Gesù. Mette nel cuore il suo cuore stesso, quel cuore che tanto amava il Padre e che tanto ha amato gli uomini, un cuore umile, buono, sensibile alle miserie dell’umanità e ai disagi delle anime e alla condizione spirituale di tanti infelici. Gesù è in noi e ci fa lavorare, ma i pensieri sono suoi, la testa pensa, ma è Gesù che pensa; le braccia e le gambe e tutto il nostro essere operano, ma è Gesù che comanda e ci fa muovere. È Gesù che ci fa amare il Tabernacolo, ci fa desiderare il paradiso, ci fa ordinare tutti i pensieri al cielo e tutte le attività verso il paradiso. L’anima si sente felice in chiesa, nell’esercizio e nella pratica della liturgia, in modo che vivono due persone, vive ancora la persona, ma in lei vive Gesù. Due persone, un solo spirito, l’anima è trasformata in Cristo. Factus est Deus homo ut homo fieret Deus5.
~
E allora né la vita, né la morte, né la spada, né la prigionia, né la malattia, né la fame, né la sete ci distaccano da Dio, perché si è abbandonate in Dio. L’Apostolo sfidava tutte le creature a distaccarlo da Dio, tanto si sentiva saldo in Cristo. Questo abbandono è quindi la perfezione. È quello che si dice: «Exue veterem hominem et indue novum hominem qui secundum Deum creatus est in iustitia, sanctitate et veritate»6. S. Paolo ci parla di questo uomo vecchio che sarebbe il nostro io e di questo uomo nuovo che si muove, parla, va, viene, opera mosso da Cristo.
Abbandono in Dio. D’altra parte la vita religiosa non è altro. Quando si dice: Tutta mi dono, offro e consacro, si offre tutta la libertà al Signore, non si ritengono più i propri pensieri, i propri desideri, le proprie preferenze e voleri, i propri modi di vedere, non si prende neppure più la libertà di fare, ad esempio, prima la meditazione e poi ascoltare la Messa o viceversa, né di andare lontano, né di essere vicino, né di avere salute o di non averla, né di essere al primo posto o all’ultimo. Tutta mi dono, offro e consacro. Tutta la vita religiosa perfettamente vissuta è vita di abbandono. Per questo si dice: meditare le Costituzioni, prendere l’indirizzo del proprio Istituto. Vuoi guarire o vuoi morire?. Fa lo stesso risponde la religiosa ammalata. Stiamo sempre abbandonati in Dio. Abbandonati totalmente nelle mani del Padre come Gesù. Il nemico del nostro abbandono in Dio è sempre il nostro io, che si manifesta nei pensieri, sentimenti o nell’attività della volontà. Fra noi e Gesù Cristo alle volte vi è sempre una specie di lotta: questo io che vuole continuare a vivere e Gesù che vuole occupare tutta l’anima. Ma ti sei donata a me!. Quando manca un poco di questo abbandono in Dio, anche nelle piccole cose, noi teniamo un posto ancora riservato per noi stessi, e Gesù non può prendere possesso, non può entrare. Abbandono in Dio. E se durassero molto tempo le tentazioni, e venissero come per S. Teresa che è stata una quindicina di anni sempre travagliata da tentazioni ed aridità, se il tuo stato spirituale dovesse essere questo, la tua santità si raggiungerebbe così: abbandono in Dio.
~
Può essere invece che il Signore ti dia tanta serenità e ti renda dolce e facile la preghiera e che tu possa vivere in un ambiente dove tutti ti amino e ti stimino: sempre abbandono in Dio. Quella santa7 che ha composto l’orazione che qualche volta si è fatta stampare sulle immagini, diceva così: Signore quello che mi capiterà oggi non lo so, non posso prevederlo, ma io so che qualunque cosa mi capiti è disposto o permesso dalla vostra amabilissima volontà, da una sapienza eterna e piena di amore: fate di me quello che vi piace.
Che è tutta questa resistenza che facciamo? Che è tutto questo impennarci, questo fissarci nelle nostre idee, nel volere che valga solo la nostra ragione? Sono resistenza a Gesù! Gesù non può essere padrone di tutte le fibre del cuore, vi sono fibre che gli negano l’entrata, perché sono animate dall’amor proprio. Abbiamo noi questo abbandono in Dio? Ma se si vuole progredire, negli Esercizi spirituali bisognerebbe fare un esame abbastanza lungo su questo: se pensiamo ancora diversamente da Gesù, se abbiamo ancora dei sentimenti diversi da quelli di Gesù, se abbiamo delle preferenze, dei voleri diversi da quelli di Gesù, se non ci disponiamo a tutto quello che vuole Gesù. Diversamente non raggiungiamo la perfezione.
Questo abbandono, in primo luogo, ci dà una grande pace. Cosa sono i turbamenti se non che volevamo una cosa e invece siamo stati contrariati; ci stimavamo tanto e invece ci hanno dato un avviso che ci ha tanto umiliate e ci hanno scoperto i nostri difetti; desideravamo di essere così, di essere con quelle persone, di fare quella cosa, e invece non fu disposto in quella maniera. Si voleva la cosa tale, si voleva l’ufficio tale, si voleva quel cibo a tavola e invece non siamo state assecondate; le cose sono andate in senso diverso da quello che volevamo. E allora i turbamenti, e la persona si rende da se medesima infelice, si tormenta da sola.
Gran pace procura all’anima l’abbandono in Dio. Se il Signore ci vuole bene, come ci vuole bene, permetterà che abbiamo da passare nella nostra vita dei momenti e dei tempi
~
difficili e anche delle prove. Il Padre celeste chi ha amato di più? Il suo figlio Gesù. Infatti leggiamo nel Vangelo: «Questo è il mio Figlio diletto in cui mi sono compiaciuto»8. E a lui ha dato una croce più pesante, e gli ha preparato un’agonia ben terribile, tanto che Gesù nel Getsemani pregò il Padre celeste: «Se è possibile allontana da me questo calice», cioè questa passione. E poi subito: «Però in realtà non si faccia la mia, ma la tua volontà, o Padre»9.
Può rimanere in fondo a noi stessi una ripugnanza al dolore, a una cosa o ad un’altra, ma questo non impedisce l’abbandono. Il sentire non è l’acconsentire. Ma che realmente la nostra volontà sia con Dio anche quando pare che in fondo al nostro cuore ci sia tutta una battaglia contraria, si sente magari tutto il cuore pieno di tentazioni, di robaccia, quasi pieno di serpenti, ma intanto la volontà è con Dio. S. Francesco di Sales un giorno fu tanto ingiuriato da un uomo che aveva perso il controllo di sé. E dopo che aveva scaraventato sul santo tutta la sua ira e fu stanco, S. Francesco lo guardò sorridente e disse: Beh, se voi mi cavaste anche un occhio, io vi guarderei con più amore con l’altro. Forse che fosse insensibile a quelle calunnie e a quegli insulti? No. Tanto che doveva tenersi al tavolino per frenare la sua collera. Ecco, l’abbandono in Dio non significa che si devono escludere e non ci devono mai più essere ripugnanze e difficoltà. Alle volte dobbiamo fare come Gesù nel Getsemani: sudare sangue per fare totalmente il volere di Dio. Ma alla fine la grazia trionferà e sapremo abbracciare quella che è la volontà di Dio. Quindi grande pace.
Inoltre l’abbandono in Dio arricchisce l’anima di meriti inestimabili, perché tutto fruttifica in Gesù Cristo, non si perde nessun merito quando l’anima è totalmente abbandonata in Dio, anzi essa si arricchisce. L’anima allora diventa intima di Gesù, le sue conversazioni con Gesù sono più frequenti e sono fatte con maggiore familiarità. Una luce maggiore, una forza nuova, un cuore nuovo si estendono nell’anima. Essa è potente presso Dio, perché quando prega, domanda solamente che si faccia la volontà di Dio, il volere di Dio perfettamente: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.
~
Il Padre celeste mandò un angelo a confortare Gesù nel Getsemani. L’anima ancorché si senta in fitte tenebre, tuttavia prova una grande pace; morendo così nell’abbandono di Dio, penso che o non farà affatto purgatorio o ne farà ben poco. In quest’anima non c’è più niente dell’io, ma è Dio che vive in lei: «Vivit vero in me Christus».
Allora un buon esame di coscienza sull’abbandono in Dio. E domandiamo sempre la grazia che Gesù Cristo viva totalmente in noi e che noi possiamo togliere i pensieri, i desideri, le preferenze che impediscono l’entrata di Gesù nell’anima nostra.
~

1 Predica tenuta ad Albano il 18 ottobre 1956. Stampata nell’opuscolo: Prediche del Primo Maestro tenute alle Suore della Clinica «Regina Apostolorum» di Albano, Figlie di San Paolo, Roma s.d., pp. 3-9. Con probabilità questa meditazione fa parte del corso di Esercizi iniziato il giorno 16 ottobre. Non abbiamo rispettato lo stretto ordine cronologico, per non interrompere le tematiche degli Esercizi spirituali di Roma riportati di seguito.

2 Cf 1Cor 15,10: «… anzi ho faticato più di tutti loro».

3 Mt 2,13.

4 Cf Gal 2,20.

5 “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio”. Cf Ireneo, Adversus haereses, III, 19,1. S. Ireneo di Lione (ca. 130-ca. 202). Originario di Smirne (Asia Minore), vescovo, martire e Padre della Chiesa. Scrisse in difesa della fede cattolica.

6 Cf Ef 4,22-24: «Deponi l’uomo vecchio e rivestimi dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia, santità e pace». L’espressione di S. Paolo è ripresa nel Rituale della vestizione religiosa delle Figlie di San Paolo, Roma 1945, p. 14.

7 Preghiera attribuita a Elisabetta di Francia, sorella di Luigi XVI, vittima della Rivoluzione francese. Don Alberione aveva questa preghiera stampata su un’immagine e forse la recitava ogni giorno (cf Alberione G., Preghiere, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007, p. 53; Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, p. 24).

8 Cf Mt 17,5.

9 Cf Lc 22,42.