Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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3. VITA COMUNE1

Abbiamo ieri sera considerato il nostro fine cioè il paradiso, ciò che in primo luogo abbiamo da tenere in mente. Quando bambini siamo stati portati alla chiesa, il sacerdote ci è venuto incontro vestito di rocchetto e stola e ha domandato: Quid petis ab Ecclesia Dei?: Che cosa domandi alla Chiesa di Dio?. E noi abbiamo risposto per mezzo dei padrini: Fidem. Domandiamo la fede, e allora il sacerdote ha soggiunto: Fides quid tibi praestat?: La fede a che cosa ti giova?. Che cosa ti porta la fede? Che frutto hai dalla fede? Vitam aeternam è stata la nostra risposta2. La fede mi assicura il paradiso. E allora siamo stati battezzati, fatti cristiani, quindi paradiso, vita eterna.
Poi, più tardi, abbiamo domandato al Signore: «Che cosa devo fare per conseguire la vita eterna?»3. E il Signore ha risposto: «Osserva i Comandamenti»4, ai quali sono tenuti tutti i cristiani. «E quali Comandamenti?». Gesù rispose a quel giovane quali erano i Comandamenti. «Ma questi li ho osservati fin dalla mia fanciullezza!»5. Allora, se vuoi essere perfetto, qualcosa di più: lo stato religioso. Non solo cristiano, ma religioso: «Se vuoi dunque essere perfetto lascia tutto, vieni e seguimi»6.
E allora Pietro, nello stesso episodio, anzi alla conclusione dell’episodio, domanda al Signore: «Noi ti abbiamo seguito e che cosa avremo?: Secuti sumus te, reliquimus omnia»7. E Gesù rispose: «Avrete il centuplo, possederete la vita eterna»8. Cosicché: vivere da cristiani, come cristiani, significa credere
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a Gesù Cristo, imitare Gesù Cristo, amare Gesù Cristo. Vivere come religiosi significa voler fare qualche cosa in più e cioè attestare il nostro amore a Gesù Cristo osservando la povertà, la castità, l’obbedienza, quindi abbracciando la vita religiosa. «E avrete la vita eterna: et vitam aeternam possidebit», se sarete fedeli, ma una vita eterna che è preceduta dal centuplo. La religiosa ha cento volte tanto le grazie di un semplice cristiano e a queste corrisponderà una gloria cento volte più grande. Felicità eterna! Che bella grazia la vocazione, la più bella grazia dopo il Battesimo! Ecco, alla chiamata noi abbiamo corrisposto. Il Signore ci ha chiamati e noi siamo venuti. Eccoci!, dice colei che chiede di fare la vestizione religiosa e lo dice a nome di tutte le aspiranti. Una grande gloria in paradiso e per questa maggior gloria, per questa maggior santità, si è corrisposto alla vocazione.
Ora possiamo domandarci: Nella Chiesa di Dio vi sono tanti istituti religiosi? Si dice, circa ottocento istituti religiosi femminili. Però vi sono gli istituti religiosi propriamente detti che sono quelli che hanno i voti pubblici o solenni o semplici, che sostanzialmente si equivalgono. Poi ci sono gli istituti secolari, i quali sono istituzioni di persone che fanno i tre voti, per lo più, ma non sono religiosi propriamente detti, appartengono agli stati detti ‘di perfezione’9, non hanno la vita comune, la diversità sta qui, mentre i veri religiosi hanno la vita comune. Quelli hanno anche i tre voti generalmente, ma non hanno la vita comune perciò non si chiamano propriamente religiosi, non sono elencati fra istituti religiosi, ma fra stati di perfezione. Ora è qui la diversità: che coloro che sono entrati negli istituti propriamente religiosi hanno la vita comune, gli altri no. Hanno sì delle adunanze, qualche corso di Esercizi, fanno anche qualche tempo di preparazione con scuole, istruzioni, ma non hanno la vita comune, continuano a lavorare generalmente nei loro uffici, continuano a compiere i loro doveri in società, i loro impieghi, le loro professioni. Allora noi siamo
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veramente religiosi non tanto per i tre voti, quanto per la vita comune. Ora, vedete, nella vita religiosa la cosa più difficile è proprio la vita comune. Generalmente si osserva il voto di castità, di povertà, di obbedienza e possono esserci anche delle mancanze, ma sostanzialmente è più facile trovare persone religiose che trovano molto dura la vita comune. Eppure è quella che procura a noi i maggiori meriti ed è proprio qui che noi abbiamo un privilegio non solo di esser di Dio, consacrati a lui, ma l’impegno a vivere assieme seguendo un orario, seguendo le disposizioni, accettando gli uffici. Convivere con persone che alle volte sono secondo il nostro gusto e molte volte hanno caratteri, tendenze diverse dalle nostre, per cui la vita comune con queste, cioè dover stare assieme continuamente, importa un continuo rinnegamento.
Hanno i voti ma si preparano la tavola come vogliono, si fanno le cose che gustano a loro, hanno la povertà, ma si vestono a volte anche molto bene, hanno l’ubbidienza, ma si fanno l’orario che credono. E se hanno la povertà intanto continuano a maneggiare denaro, si procurano quello che credono più utile e più conveniente. Invece la vita comune importa pensieri uguali, tendenze uguali e fino lì vengono in generale anche gli istituti secolari. Ma [la vita religiosa] importa in più il rinnegamento continuo della volontà, ma la loro povertà non esclude l’amministrazione, mentre la nostra povertà esclude l’amministrazione. Essi scelgono il mestiere, la professione che vogliono, invece se tu entri puoi essere messa fra le studentesse e puoi essere messa invece fra quelle che si danno all’apostolato tecnico o all’apostolato di propaganda. Poi dal mattino alla sera non è che uno si alzi quando crede, come loro, ma c’è un orario uguale per tutti, c’è una tavola sola uguale per tutti, c’è un vestito uguale per tutti, c’è un ufficio che non è scelto ma assegnato, vi è in sostanza quello che è la vita comune. Dal mattino alla sera di sopra ci sono coloro che ci danno le disposizioni e accanto abbiamo le persone con cui dobbiamo vivere e collaborare. Qual è allora il fine della vita comune? Perché la vita comune? La religiosa entra nella vita comune per mettere insieme le forze e aiutarsi, aiutarsi ogni giorno, momento per momento, a conseguire la santità e fare insieme l’apostolato.
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Nessuno di quegli istituti portano il nome di società perché vivono separatamente, ma i nostri, voi vi chiamate Società delle Figlie di San Paolo. Potrebbero anche chiamarsi società ma in un altro senso molto più largo.
Vivere assieme per due fini: aiutarsi nella santificazione ed esercitare più ampiamente l’apostolato. Questa vita comune è sorgente d’innumerevoli meriti e d’altra parte assicura che facciamo sempre la volontà di Dio. Innumerevoli meriti, perché richiede rinnegamento continuo e assicura che facciamo sempre la volontà di Dio, quindi si è sicurissimi della vita eterna essendo determinata la giornata in tutte le nostre occupazioni. Vederci allora associati: Congregavit nos amor unus10, messi insieme per amore volontariamente, per amore a Dio e per amore al prossimo, alle sorelle, alle persone che ci sono in casa. Vita comune importa allora che noi lavoriamo insieme per santificarci. Vedete, per la vita comune abbiamo da mettere insieme le preghiere per la comunità, per le sorelle, per tutte le sorelle vive o defunte, aspiranti o professe, e «…dove sono due o tre congregate in mio nome io sono in mezzo a loro»11. E Gesù sta in mezzo e prega pure lui. Capito?
Nella vita comune ci sono i buoni esempi delle sorelle, i quali ci incitano al bene. Nella vita comune vi è chi ci sorveglia, se sbagli hai il richiamo, l’aiuto, hai la direzione in maniera che se ti metti in pericolo sei avvertito. C’è chi sta sopra che ha l’obbligo di vigilare e di richiamare e se cadi c’è chi ti rialza e ti incoraggia. Non hanno questo gli istituti secolari pur avendo i tre voti. Nella vita comune, abbiamo un confessore che è scelto, non scelto da noi12, quindi uno nel quale noi possiamo aver maggior fiducia, abbiamo chi ci istruisce continuamente: Costituzioni, istruzione religiosa, istruzione civile. Nella vita comune abbiamo l’aiuto non solo delle preghiere e del buon esempio, ma alle volte anche le occasioni di sopportare, di temperare il carattere, di saper comprendere altre persone.
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Oh, questo è sorgente di innumerevole merito! Vedete come si sente la Congregazione fra di voi. Chi sente la Congregazione pensa a tutta l’istituzione, con la sua direzione, con le sue Regole, con tutto quello che si fa, che si opera. Che bella cosa! Ma quanti sacrifici richiede! Ovunque si va, entrando ci si accorge subito di essere in una casa paolina: gli stessi orari, lo stesso comportamento, lo stesso modo di pensare, la tavola è pressappoco uguale, il vestito è sempre lo stesso dappertutto.
La Congregazione va man mano entrando da una nazione all’altra e porta ovunque l’esempio buono e non solo, ma anche l’apostolato per l’aiuto, la salvezza, la luce alle anime. Se qualcuna si ammala, soffre per tutte le altre, offre. E se queste sorelle vanno in paradiso pregano per chi è sulla terra e chi è sulla terra prega per coloro che sono già in cielo. Oh, questo si sente! Questa vita comune comporta anche che si senta l’unione in una stessa casa, non solo nella Congregazione in generale, ma nella casa in particolare: ogni casa compie un apostolato determinato e in quell’apostolato, tutte associate, tutte unite. E in questo vi è un continuo esercizio di pazienza, di bontà, di carità, di zelo, di mortificazione, di pietà, di lavoro. Diviene quella casa un nido di pace quando si vive bene la vita comune, diviene un angolo di letizia, un angolo dove ci troviamo e ci consoliamo assieme e ci aiutiamo quando siamo disgustati dal mondo e affaticati dall’apostolato il quale non è sempre corrisposto. Vita comune! Quanto è più facile farci santi, quando c’è la vita comune!
In secondo luogo siamo unite nell’apostolato. Ecco che negli istituti secolari il medico continua a fare il medico, il capitano continua a fare il militare, l’artista continua a dipingere o scolpire statue, il contadino, l’operaio continuano il loro mestiere, ecc… Invece nella Congregazione vi è un apostolato ben definito, chiaro. Tutte a quello. Come si sente allora che la vita ha un fine e un fine che interessa tutti, perché abbiamo la stampa, abbiamo il cinema e gli altri mezzi in quanto è possibile. Man mano che si va avanti si procede anche negli altri apostolati. Inoltre essendo tutti assieme, che cosa avviene? C’è chi scrive, chi stampa, chi diffonde. L’ordine viene dall’alto: prendiamo la tal iniziativa, prendiamo l’altra, prendiamo la tal
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pellicola, prendiamo l’altra, una volta scelto il lavoro di stampa, il lavoro di tecnica cinematografica, tutto il noleggio, la diffusione in sostanza, tutto è lavoro. Qui è il grande frutto: tutte le forze convogliate in una cosa sola. Cosa farebbe uno da sé? Pochino per quanta buona volontà abbia; e chi scrive non può certamente fare il tipografo e chi fa il tipografo non va a visitare le case, a portare la parola di Dio. Sentire questo apostolato, questo che noi facciamo, mettendo ciascuno le proprie forze. Unione di forze! Allora tutta la Congregazione ha i suoi fini determinati: dare la dottrina di Gesù Cristo, dogmatica, morale, liturgica alle anime, al mondo con i mezzi più celeri e più efficaci. Tutte insieme! Poi ogni casa ha la sua parte. Ci può essere una casa che ha solo il cinema, una che ha soltanto la redazione, un’altra che ha la parte tecnica, ma tutte sono parti di un apostolato solo: l’uso dei mezzi moderni per far conoscere Gesù Cristo, per farlo amare, per farlo pregare, perché tutte le anime diano il debito culto al Signore. Adesso che cosa ne viene? Un vantaggio enorme, anzi più vantaggi. Primo un numero innumerevole, diciamo così, di meriti, secondo una potenza in quell’apostolato determinato. Si dice che gli editori hanno paura della Sampaolo. Non devono aver paura perché la Sampaolo non prende il posto agli altri. Ciascuno ha la sua parte, noi però abbiamo il diritto e il dovere di compiere quell’apostolato che sarà tipografico, che sarà di libreriste, che sarà cinematografico. Innumerevoli mezzi, meriti anche qui, e oltre questi innumerevoli meriti, ecco ancora che l’una aiuta l’altra. Noi formiamo un corpo. S. Paolo descrive bene ciò che è il corpo mistico13. Siamo come un corpo mistico, e ciò vuol dire che nel corpo ci sono tante membra: c’è la bocca, ci sono gli occhi, c’è l’udito, ci sono i piedi, ci sono le mani, c’è il cuore, i polmoni, ecc… Tutte queste membra sono un solo corpo. E si vive, si vive in noi la vita sociale: Società Figlie di San Paolo. La società è un corpo di tante membra ed ecco che quando facendo bene ognuno dei membri, facendo bene nel corpo, quando ognuno dei membri è sano, tutto il corpo sta bene. Se uno dei membri invece si guasta, per esempio cadendo
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si è rotto un braccio, e dice: ho male. Ma hai tante membra sane: gli occhi sono sani, l’udito è sano, la lingua è sana. Dice: ho tanto male, c’è un pezzetto di rotto e basta questo per dolere. Ma tutti insieme i membri producono attività ed energia.
Che cosa ci vuole, però? Un’intesa intima. Vi sono suore che non ce l’hanno, ognuna si fa una vita propria e: Non toccatemi, non disturbatemi. E non avendo [intesa intima] queste suore si riducono allo stato di istituti secolari. La vita comune: mettere insieme le forze, i pensieri! Tu fai questo, io faccio quello, parlarne assieme in maniera che si scambiano le idee, gli aiuti, e si procede nell’apostolato. Con le forze di tante, come per fare un periodico, tante devono intervenire. Così14, eh, ci vogliono parecchie persone e ci vuole la direzione, la redazione, la tecnica, la parte di propaganda, ci vuole l’amministrazione, ecc… Tante cose che messe assieme, facendo bene assieme, quell’iniziativa riesce. E porta i frutti.
Allora, abbiamo da considerare per l’apostolato i grandi meriti e il grande vantaggio della vita comune. Tuttavia occorre una certa suddivisione di forze, cioè che ognuna senta la comunità e serva la comunità in via ordinaria. Ognuna di noi! Qualche volta si mettono a ridere quando io dico: Sono servo di molti padroni! Venga qua, vada là. Chi mi comanda in un modo, chi in un altro. Occorre allora sentire di servire la comunità umilmente, portando il nostro piccolo sassolino. Chi fa la cucina e chi apre la porta, chi accende le candele e chi è inginocchiato e prega per tutti, chi prepara ostie e chi prepara il vino, chi scrive un articolo e chi lo corregge, lo ordina. Mettere insieme tutto. Questa è una casa fortunatissima se vivete bene15. Io la considero l’élite, dove deve regnare più santità, più luce, cioè più istruzione, più carità, più vita comune, più iniziative di apostolato. Gli altri poi, devono prendere quel manoscritto,
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stamparlo, poi diffonderlo. Voi dare. Considerarsi come coloro che hanno l’obbligo, il dovere di scegliere le verità, di prepararle in una maniera che siano presentabili e dopo, le altre prendono [e portano a termine l’edizione]. In quanti luoghi ho detto: Traducete Via, Verità e Vita16 Se ad esempio fra voi sapete, nella carità intima, dividervi i lavori e procurare che il catechismo abbia tutto quello che abbisogna, [aiutatevi] perché possa essere più largamente diffuso, più facilmente compreso, meglio organizzato e con sicurezza di buoni risultati. Tutti per la fraternità. Di qua si spanderà in tutte le nazioni.
Serve della Congregazione! Questa casa dev’essere considerata in maniera tale che chiunque, diciamo, possa appartenervi, lo ritenga come un privilegio, come una particolare disposizione d’amore di Dio, con particolarissimi doni. Richiede più raccoglimento, più obbedienza, maggiore carità, maggiore umiltà, maggior fiducia in Dio, tanta fede: servire la Congregazione con la penna, con il pennello, con la fotografia. La vostra opera catechistica si imporrà in tutto il mondo, in tutte le nazioni! Così mi hanno detto nel 1914 al secondo mese dall’apertura dell’Istituto17. Sveltissime! Abbiamo perso il tempo. Operare insieme. Già lo fate. E quando in Brasile mi hanno detto: Abbiamo stampato un milione e mezzo di copie del vostro catechismo, ho detto: Di là parte, arriva qui, fa del bene a un milione e mezzo di anime. Non vi si riempie il cuore di letizia, di riconoscenza al Signore che vi ha tanto amato? Amarlo di più il Signore! Per questa predilezione di amore che il Signore ebbe per voi e per tutte quelle che sono in casa che hanno il merito, anche se una deve fare un lavoro materiale, deve magari lavare i panni, la biancheria. Il merito si raggiunge tutte insieme, perché è la casa, non è uno solo che compie
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l’apostolato. Se uno avesse da attendere a tutti gli affari di casa e farsi anche da mangiare e lavarsi e fare le commissioni, come farebbe a seguire i suoi articoli e i suoi quadri, ecc.?
Quando penso a questa casa, per mia parte mi sento il cuore commosso vedendo le grazie particolari e il bene immenso che deve partire da qui. Di qui voglio illuminare; non temete, sono con voi; però sempre avere il dolore dei peccati18. L’umiltà di cuore! Da me nulla posso, ma con Dio posso tutto, per amor di Dio voglio far tutto: a lui l’onore, la gloria, a me il disprezzo, il paradiso19.
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1 Predica tenuta a [Grottaferrata, l’11 gennaio 1956]. Dattiloscritto, fogli 8 (22x28), numerati in continuazione della meditazione precedente.

2 Dal rito del Battesimo dei bambini.

3 Cf Mt 19,16.

4 Cf Mt 19,17.

5 Cf Mt 19,20.

6 Cf Mt 19,21.

7 Cf Mt 19,27.

8 Cf Mt 19,29.

9 Società di vita consacrata approvate dalla competente autorità ecclesiastica i cui membri, laici o chierici secolari, professano i consigli evangelici rimanendo nel loro contesto di vita sociale e professionale, vivono personalmente il carisma dell’istituto e ne perseguono il fine apostolico.

10 Cf Congregavit nos in unum Christi amor: L’amore di Cristo ci ha riuniti per diventare una sola cosa. Inno liturgico eucaristico.

11 Cf Mt 18,20.

12 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953, artt. 177-183.

13 Cf 1Cor 12,12-27.

14 Settimanale femminile per le giovani, a carattere formativo, diretto, redatto dalle Figlie di San Paolo e collaboratori. È una risposta al pungolo di don Alberione circa la redazione e l’apostolato rivolto alla donna. La pubblicazione inizia nel dicembre 1955 e termina alla fine del 1966 (cf Boffa G., Gli studi e la redazione delle Figlie di San Paolo, Casa generalizia Figlie di San Paolo, Roma 2011, pp. 242-251).

15 La predica è fatta alla comunità di Grottaferrata composta anche dalle suore scrittrici.

16 Rivista catechistica mensile per la conoscenza e l’insegnamento della dottrina cristiana secondo il metodo via e verità e vita indicato dallo stesso Fondatore. La pubblicazione da parte delle Figlie di San Paolo inizia a Grottaferrata nell’ottobre 1952 sotto la direzione di suor Giovannina Boffa (1914-2004).

17 Il primo lavoro stampato dalla “Scuola tipografica Piccolo Operaio” fu l’opuscolo I programmi della dottrina cristiana per la diocesi di Alba, preparato dalla commissione diocesana di cui era membro Don Alberione e don Giuseppe Priero (1880-1966). Seguì a breve distanza il Piccolo catechismo di Pio X (1914). Cf A. C. Martini, Le Figlie di San Paolo - Note per una storia 1915-1984, pp. 54, 84-85.

18 Cf AD 151-158.

19 Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, p. 24. Invocazione che Don Alberione ereditò dalla spiritualità di S. Francesco di Sales, cambiando l’ultima espressione “a me il disprezzo” con “a Dio l’onore, a me il paradiso”.