Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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12. UMILTÀ II1

Uno dei mezzi molto utili per acquistare l’umiltà è la considerazione dei Novissimi2, considerarci cioè vicini alla morte e all’eternità, quando cioè tutto questo mondo con le sue apparenze scomparirà e noi partiremo per arrivare al giudizio e il nostro corpo sarà portato al camposanto e subirà le conseguenze della morte, cioè sarà ridotto in polvere. Domani la Chiesa benedice le Ceneri sacre e le impone sul capo con la formula: Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris3.
Ricordare i Novissimi: oltre la morte anche il giudizio. Se Gesù mi giudicasse adesso, come mi troverei? Ora, egli è tutta misericordia e bontà, basta umiliarci e ne otteniamo il perdono, la sua grazia, la santità. Al giudizio egli rappresenterà la parte della giustizia. Abbiamo ragione di dire: «Si iniquitates observaveris, Domine, Domine, quis sustinebit?: Se tu, o Signore guardi ai nostri peccati, chi potrà stare alla tua presenza»4? Ricordare il paradiso, la gloria eterna, non la gloria di questa terra! Chi vuole la lode su questa terra, rinunzia alla gloria in paradiso, perde i meriti.
Ricordare la risurrezione finale, quando il corpo uscirà dal sepolcro e riunendosi all’anima sarà suo compagno nel premio eterno, se anima e corpo avranno fatto bene, e nel castigo eterno, se corpo e anima avranno fatto male. Ricordare il giudizio universale quando vi sarà la divisione fra i buoni e i cattivi, quando vi sarà la rivelazione di tutto il nostro interno, di tutto il bene che si è fatto, anche il bene più nascosto, e di tutto il male, anche il male più nascosto. Ricordare la sentenza che il Signore darà ai buoni: «Venite benedetti nel regno del Padre
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mio»… «Andate via da me maledetti nel fuoco eterno»5. Inoltre per acquistare l’umiltà giova tanto la considerazione della Passione di Gesù Cristo. Considerare Gesù che agonizza nell’orto per soddisfare alla pena dovuta per i nostri peccati. Considerare Gesù flagellato a sangue che sconta la pena dei nostri peccati di sensualità, di malizia, peccati di occhi, di lingua, i peccati commessi particolarmente con il corpo. Considerare Gesù incoronato di spine e vilmente insultato per i peccati di sentimento, i peccati interni, i peccati di pensiero, di desiderio, i rancori, le invidie. Considerare Gesù condannato a morte: egli, il santo dei santi! Quella condanna spettava a noi. Con il peccato meritavamo la condanna a morte, alla morte eterna, non a una morte temporale. Gesù l’ha voluta per sé. Considerare Gesù che cammina verso il Calvario, portando la croce; Gesù che sale il Calvario e viene spogliato dei suoi abiti e confitto in croce con pochi chiodi. Considerare la sua agonia: in ogni ferita del Salvatore, in ogni sputo che i nemici gli hanno buttato addosso, sul suo volto, e in tutte le gocce di sangue che scorrono sul suo corpo benedetto, sono rappresentati i nostri peccati, anzi ogni peccato. Quella corona di spine, quella ferita al costato, quelle lividure per causa dei flagelli rappresentano i nostri peccati.
Umiliarci tanto e dire poi a Gesù: Mi vedo tanto povera di meriti che mi spavento di me stessa. Ho fatto così poco per te. Ho sempre avuto dei buoni desideri, ma i fatti non sono stati come dovevano essere. Allora mi prendo i vostri meriti, voi avete sofferto tanto per me. La Quaresima, quindi, che ci porta a considerare i Novissimi, a considerare la Passione di Gesù è un gran mezzo per umiliarci e per formarci a una vera umiltà interiore: di pensieri, di sentimenti e di cuore.
Ieri abbiamo visto come considerare l’umiltà rispetto a Dio e abbiamo detto soltanto una parte, in quanto siamo esseri creati. Adesso consideriamo l’altra parte e cioè: in quanto noi siamo peccatori e siamo poveri bisognosi della grazia di Dio.
Siamo peccatori e quindi non soltanto niente. Tutto è di Dio, noi siamo niente, ma siamo ancora meno di niente. Siamo
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persone che abbiamo offeso Dio e abbiamo contratto dei debiti. Uno può essere senza niente ma non avere debiti, ma noi siamo nulla e abbiamo debiti. Quando si parla di peccati, Dio non c’entra di sicuro. Il terreno del peccato l’abbiamo percorso noi, siamo stati colpevoli. Peccati di pensiero, peccati di sentimento, peccati di parole, peccati di azioni, peccati con i sensi esterni, per esempio il tatto, peccati con la fantasia e con il ricordare certe cose che poi eccitano il senso. Peccati veniali e forse peccati mortali. Quanti debiti con Dio! Il peccato è un male così grave che tutte le mortificazioni e tutte le penitenze che tutti gli uomini potessero fare, non basterebbero a soddisfare un solo peccato. Ci è voluto il sangue dell’Uomo-Dio, il sangue di Gesù di valore infinito, e solo il sangue di Gesù ha potuto ottenerci il perdono e la remissione.
Ora, con tanti torti, con tanti debiti che abbiamo con Dio, come osiamo alzare la fronte, vantarci e gonfiarci? Quanti torti abbiamo! Aver usata così nera ingratitudine verso Dio Padre e benefattore! Essere state così superbe da non voler piegare il capo alla sua divina volontà. Avere preferito una soddisfazione forse ignominiosa al paradiso ed esserci stoltamente condannate all’inferno, per che cosa? Per un niente. Allora, abbiamo ancora delle pretese? Che ci usino dei riguardi quando noi non ne abbiamo usati verso Dio e la sua legge? Noi crediamo di essere astuti e furbi e poi per un niente abbiamo rinunciato al paradiso e ci siamo aperte con le nostre mani le porte dell’inferno. Crediamo di esser saggi! Se capissimo il male di un solo peccato veniale, basterebbe questo ricordo per tutta la vita per tenerci umili. Io ho commesso il peccato. «Delicta quis intelligit: Chi capisce il gran male che è il peccato?»6. Allora, non saremmo superbe.
Nonostante questo c’è da umiliarsi per un’altra ragione: umiliarci perché non piangiamo le nostre debolezze, le nostre stoltezze. E c’è persino da dubitare che certe confessioni siano valide: forse qualche volta mancano di integrità, ma forse, più spesso, mancano di dolore. E non c’è quell’odio costante al peccato di fuggirne anche le occasioni. Vi sono persone che le
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venialità le bevono come un bicchiere di acqua quando si ha sete d’estate, perché c’è caldo. Bisogna dire: Piangere, perché non piangiamo e non sappiamo piangere.
In terzo luogo umiliarci davanti a Dio, perché siamo dei poveri sempre bisognosi di tutto. Bisognosi innanzitutto di grazia per vivere. Se il Signore non ci sostenesse con la sua onnipotenza, noi in un momento non solo moriremmo, ma saremmo ridotti al nulla, nessuno si accorgerebbe neppure del posto dove siamo passati e dove siamo adesso. Se viviamo, è per l’onnipotenza di Dio. È come se questa stanza fosse tutta illuminata nella notte, quando le tenebre sono calate, e poi per un istante si girasse l’interruttore: tutto buio. Per noi sarebbe lo stesso, perché quell’interruttore distacca la corrente. Se Dio non ci dà continuamente la vita e non ci sostiene, noi cadremmo nel nulla.
Ma soprattutto abbiamo bisogno di lui per vivere in grazia di Dio, per evitare la colpa; abbiamo sempre bisogno di Dio, della sua grazia abituale. Per un istante potremmo acconsentire a un pensiero, a un desiderio cattivo e quindi perdere la sua grazia. E se moriamo in quello stato? Ma una persona può dire: Io sono buona, da molto tempo cammino nella grazia di Dio. Ma senza la grazia di Dio, nonostante che abbia già molti anni di vita buona, potresti cadere e quindi essere esposta ad una morte infelice e alla dannazione. Non siamo mai sicuri, sempre abbiamo da domandare la grazia di Dio, sempre abbiamo bisogno di pregare, sempre abbiamo bisogno di chiedere la perseveranza, quindi la Visita, l’esame, la Messa, la Comunione ben fatta, il rosario. Abbiamo bisogno che Maria ci tenga la sua santa mano sul capo, perché ad ogni istante si può inciampare e cadere, e poi? Se vogliamo acquistare qualche merito, ci vuole sempre la grazia di Dio. Non basta che una persona faccia bene la propaganda, faccia bene l’apostolato in genere, faccia bene il suo ufficio per dire che merita. Per ogni atto, anche minimo, per meritare ci vuole questo: che Gesù aggiunga la sua grazia alla nostra opera, ed elevi la nostra opera a premio.
Siamo dei poverelli che nulla abbiamo e che ad ogni momento ci è necessaria la grazia di Dio. Siamo dei poveri bisognosi. Non conosciamo neppure i nostri bisogni. Solo le anime umili ottengono la grazia e quindi progrediscono nella virtù.
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L’anno scorso voi avete fatto gli Esercizi con dei propositi. Li avete osservati secondo la misura della vostra umiltà e della preghiera al Signore, perché vi desse luce, forza e grazia. Ora, alla fine degli Esercizi farete di nuovo dei propositi, ma li osserverete a misura che diffidate di voi e siete umili, e a misura che pregate il Signore, perché la sua grazia vi accompagni sempre.
Il secondo punto riguardante l’umiltà è questo: l’esercizio dell’umiltà con il prossimo. Nel prossimo ci sono due tipi di persone: i superiori e gli inferiori e gli eguali. In primo luogo l’umiltà con i superiori. Questa umiltà si risolve nell’obbedienza, nella sottomissione, sottomettersi in tutto al Signore. Vi sono persone che tardano alle volte a rassegnarsi al divino volere perché si trovano in quella condizione, perché magari sono in difficoltà a stare in un posto o in un altro, forse hanno qualche malattia, qualche disturbo interiore e non si rassegnano. S. Teresa7 stette circa quindici anni in una grande aridità di spirito e mancò allora di quelle consolazioni di cui anche le anime più sante sogliono godere su questa terra e sopportò la sua condizione di aridità. [Vi sono] persone che si umiliano e si scoraggiano, ma non per umiltà vera, ma con un senso di disperazione: Non posso farmi santa, non riesco; sono stata peccatrice; mi pare di avere rovinato una buona parte della mia vita. Umiliarsi è accettare il nostro stato di umiliazione e presentarci al Signore con i nostri peccati. Si vedono delle anime sante e allora dite: Signore esse vi portano tanto amore, io invece ho da portarvi solo le mie colpe, ma le presento a voi come le presento al confessore, perché mi diate l’assoluzione e il perdono. E tutto il mio essere, dove c’è peccato e bruttezze, sia riempito della vostra luce, della vostra grazia, della vostra misericordia. Convertite un grande peccatore in un gran santo8 e non solo, ma questo grande santo fatelo apostolo. La mia vita d’ora in avanti non sarà la vita di un’anima innocente, ma sarà la vita delle anime penitenti. Accettare questa condizione spirituale innanzi a Dio.
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È necessario richiamare alla mente che non tutte le anime seguono la stessa storia nella vita, sebbene, ad esempio, siano persone di uguale Istituto, ogni anima ha una storia propria. Ma in ogni storia o biografia o psicologia c’è modo di santificarsi. Accettare ciò che siamo. Una avrà poca memoria: accettare quello. Io tardo molto a capire: accettare quello. Io devo fare uffici più umili che altri non vogliono fare: accettare quello. Lasciarci condurre.
Per questo è utile ricordare che vi sono tre gradi di obbedienza. Primo: obbedienza a Dio e al volere dei superiori che interpretano il volere di Dio. Questa obbedienza porta ad osservare l’orario, ad esempio alzarsi a tempo, dire quelle determinate preghiere, seguire lo spirito che le Figlie di San Paolo hanno da praticare e vivere, usando quelle preghiere che sono richieste.
Un altro grado è la docilità. Essere sempre pronte a piegare il capo, adattarsi ed uniformarsi con santo abbandono nelle mani di Dio, nelle mani di chi dirige: Disponete di me, io nulla chiederò e nulla rifiuterò. Questo è lo stato più perfetto dell’obbedienza. Ma vi è un altro grado più perfetto ed è il consegnarsi, cioè il rimettersi nelle mani di chi guida, rimettersi nelle mani del Signore, che significa: Signore, fate di me quello che vi piace, sono il vostro servo, il vostro bambino, guidatemi voi, disponete di me come vi piace, cioè secondo la vostra maggior gloria e la maggior santificazione dell’anima mia. Che io sia santa e poi non importa che io sia stimata o disistimata o calunniata, che io viva in un ambiente favorevole, in un clima favorevole, oppure in un clima e ambiente morale e fisico non favorevole. Signore, ecco il vostro bambino, fate di me quello che vi piace. E se vi piace giocate pure con me, io voglio essere la palla nelle vostre mani9, voi potete disporre di me sempre come vi piace.
Consegnarci interamente a Dio senza riserbo di nulla. Consegnarci: rinunziare alla volontà propria. Consegnarci: tutta mi
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offro, dono e consacro tutta me stessa10. Vivere la professione religiosa: tutta mi offro, dono e consacro tutta me stessa adesso, nel corso della vita, in morte e nell’eternità.
E consegnarci nelle mani di chi guida e dirige l’anima nostra. Aprirsi, manifestarsi: Io vengo qui perché mi facciate santa. Come una stoffa in mano ad una sarta che può tagliarla da una parte e dall’altra secondo l’abito che confezionerà. La stoffa tace, non presenta opposizioni. Ecco: tutto nelle mani di Dio, nelle mani della Maestra, tutto nelle mani dei superiori. E quando è malata nelle mani dell’infermiera, e quando è a scuola nelle mani dell’insegnante, e quando va al confessionale rimettersi bene alla parola del confessore, sottomettersi. Quando invece c’è da compiere un ufficio bene, nelle mani, sotto la guida di chi è a capo di quel reparto, attendendo alle disposizioni: Sono qui, in questa casa che fa dei santi e degli apostoli, fate di me una santa e un’apostola secondo lo spirito delle Costituzioni. Quindi lasciarci guidare nella direzione spirituale. Vi sono persone che vogliono dirigere, magari anche il confessore e non essere dirette; vogliono che accondiscenda lui al loro parere, a quello che loro dicono. E se il confessore dice una cosa che a loro non piace, non si adattano. Non confessarti più di questa cosa e loro di nuovo la confessano. Quando è detto: obbedienza, perché in quelle cose il confessore ha autorità di imporsi. Come quando la Maestra vi manda a fare una commissione che è possibile per voi, occorre obbedienza. Vi sono persone che prendono tutto per consiglio. Vi sono tante parole che i confessori danno per consiglio, ma vi sono pure di quelle in cui dice: Per obbedienza. Come quando dicesse: Tu fuggi quella persona che è pericolosa. Obbligo stretto di obbedire.
Il consegnarci è la forma più perfetta di tutte. Vedete quanti passi per la nostra umiltà! E allora rivolgiamoci a Maria, nostra Madre umilissima perché ci dia le disposizioni del suo umilissimo cuore. Io in questi giorni vi chiedo dal Signore solo questa grazia, voi chiedetela per me perché è la strada sicura della santità.
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1 Predica tenuta a [Roma] il 14 febbraio 1956 durante il corso di Esercizi spirituali. Dattiloscritto, carta vergata, fogli 6 (22x28). Le curatrici hanno aggiunto il titolo e il luogo.

2 Questa denominazione, nel senso di “cose ultime”, comprende: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso, ossia ciò che attende ogni persona alla fine della sua vita.

3 Cf Gen 3,19: «Ricordati, uomo, che sei polvere e che in polvere ritornerai».

4 Cf Sal 130,3.

5 Cf Mt 25,34.41.

6 Sal 18,13: «Ma i peccati chi li conosce?» (Volgata).

7 Teresa d’Avila (1515-1582) carmelitana, Dottore della Chiesa, fondatrice di nuovi Carmeli. Collaborò con S. Giovanni della Croce alla riforma del Carmelo.

8 Invocazione alla Regina degli Apostoli. Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, Alba 1985, p.147.

9 Allusione ad un’espressione di S. Teresa di Gesù Bambino (1873-1897) carmelitana. Cf Opere complete, Libreria Editrice Vaticana-OCD, Roma 1997, Lettera 36, p. 322.

10 Espressione della formula di professione, in Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, 1953, art. 92.