Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11. UMILTÀ I1


Quando si fa la festa dei Santi si dice al Signore che, essendo moltiplicati gli intercessori, abbiamo maggiori speranze di ottenere le grazie. E voi siete tante sante, e moltiplicando le vostre preghiere dobbiamo ottenere prima di tutto la vostra santificazione e il progresso nell’apostolato.
Secondo, in questi giorni stiamo pregando per un miracolo che riguarda la salute di don Federico2. Trattandosi di vero miracolo ci vuole più fede che per ottenere semplicemente una grazia. Ci vuole veramente una fede come diceva il Cottolengo: Fede, ma di quella!. Vuol dire di quella buona, di quella profonda. Ora, avete voi questa fede? Per ottenere la santità sì, il progresso nell’apostolato anche, inoltre per questa grazia che è straordinaria e d’altra parte è di grande vantaggio alla Famiglia Paolina secondo che vediamo. Nelle vostre Costituzioni si può dire che ogni articolo porta l’impronta della mano e dell’intelligenza di don Federico, perciò in questi giorni tutte siete obbligate con la preghiera a ricambiare in qualche modo il bene che egli vi ha fatto. Ho visto che ad Albano hanno disposto così: da una parte ci sia una novena di richiesta della grazia, una novena di supplica, di petizione, e dall’altra parte una novena di ringraziamento, sicuri che la grazia si otterrà, quindi nove Messe di ringraziamento. E ragionavano così: Il Padre celeste quando si sente già ringraziato si trova obbligato a dare. Altrimenti, dirà: Mi ringraziano di quello che non ho fatto. Ragionamento da bambini vero? Ma Gesù voleva bene ai bambini: «Lasciate che i bambini vengano a me»3. Ora voi siete tutte un po’ bambine? Cosa voleva dire Gesù? Voleva dire
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piccole, cioè umili. C’è l’umiltà? L’umiltà vi è già, in parte, ma molto si può ancora ottenere, molto questa umiltà si può ancora accrescere. Per questo ho pensato di parlarvi sull’umiltà.
In questi giorni voi volete innalzare il vostro edificio spirituale. E S. Agostino dice: Se vuoi innalzare una costruzione, una casa molto elevata, prima pensa alle fondamenta, alla base: De fundamento prius cogita4. E cioè, vedi di mettere una base tanto forte quanto intendi di elevare l’edificio. Il che sarebbe a dire: Se volete essere molto sante mettete una buona base.
L’umiltà è del tutto necessaria sia per la salvezza e per la santificazione. Appare chiaro dalle parole e dal contegno del Maestro divino, il quale un giorno, andando da un borgo a un altro, ed essendo gli apostoli rimasti indietro nel cammino, fra di loro si accese una discussione: chi di loro fosse il primo. Ognuno pensava di essere primo per una ragione, un altro per un’altra ragione. Arrivati a destinazione, Gesù radunò gli apostoli. Essi credevano di aver parlato senza che il Maestro divino li avesse sentiti. Ma va a nascondere le cose al divin Maestro! È impossibile. Avevano discusso chi di loro fosse il primo. Gesù allora disse: «Chi vuole essere il primo fra voi si faccia l’ultimo, il servo degli altri»5. Poi chiamò un bambino, lo mise in mezzo a loro e aggiunse: «Se non vi farete piccoli come questo bambino non entrerete nel regno dei cieli»6. Anzi usò la parola: «se non vi convertirete!». Convertirsi dalla superbia e se non vi farete piccoli, cioè umili, non entrerete nel regno dei cieli. Il che vuol dire: non vi salverete. Il bambino si distingue per la sua semplicità, per la sua schiettezza, per la sua umiltà.
Ecco, questo è il modello: un bambino, poiché di questi è il regno dei cieli. Così noi siamo tanto sicuri della salvezza quanto più c’è di umiltà. Se possediamo l’umiltà, siamo sicuri della salvezza. E siamo sicuri della santità se veramente possediamo l’umiltà. Del resto se c’è umiltà che cosa avviene? Se c’è umiltà si sente il bisogno di Dio e si prega bene. La persona
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si mette lì con il capo chino ricordando tutti i suoi bisogni e le sue necessità, i suoi torti, e Dio la guarda con affetto, perché la preghiera di chi è umile penetra il cielo, si presenta all’Altissimo e discende cambiata in grazia e benedizione. Invece cosa avviene per la preghiera del superbo? «Resistit superbis»7. Il Signore resiste ai superbi, resiste alla loro preghiera. Domandano una grazia e non ricevono, perché sono superbi. Il Signore ha creato il mondo per la sua gloria e distribuisce i doni per la propria gloria. Il superbo invece si esalta e vuole la gloria per sé, e allora va contro Dio; e siccome Dio dà solo i doni per la sua gloria, ecco che il superbo non li riceve. «Humilibus dat gratiam, superbis resistit».
Ecco allora la parabola del fariseo e del pubblicano. Erano entrati ambedue nel tempio a fare orazione. Il fariseo si presenta all’altare e sta in piedi e comincia la sua preghiera orgogliosa: Signore, tu sai che non sono come tutti gli altri. Tutti, voleva dire, fanno male, sono peccatori... io invece pago le decime, osservo le leggi, ecc… La sua preghiera non è stata ascoltata da Dio. Invece il pubblicano, il quale si sentiva peccatore, stava in fondo al tempio e, col capo chino, percuotendosi il petto diceva al Signore: Abbi pietà di me che sono peccatore. «Descendit hic iustificatus in domum suam: Costui ritornò a casa santo»8. Vedete la preghiera umile che cosa fa? Vi sono anime orgogliose, superbe che pregano, fanno novene e si lamentano che non ottengono. Non tante parole, ma più umiltà e più fede. Ecco che la nostra preghiera sarà esaudita, purché si domandino cose utili alla nostra salvezza eterna, cose utili alla nostra anima e convenienti per la gloria di Dio. Vedete il buon ladrone: fino all’ultimo momento aveva rubato e quindi era stato peccatore, ma sulla croce accanto a Gesù si umiliò e disse all’altro ladrone che insultava il Signore: «Noi soffriamo ciò che abbiamo meritato, cioè paghiamo la pena dei nostri peccati, hic autem quid male fecit?». E rivolto a Gesù: «Ricordati di me quando sarai nel tuo regno!». Ebbene immediatamente fu giustificato ed ebbe dal Signore la promessa, l’impegno:
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«Quest’oggi sarai con me in paradiso»9. Santo! Il primo santo, possiamo dire glorificato da nostro Signore: «Sarai con me in paradiso!». Ciò significa che la preghiera di questo ladrone, il quale era stato peccatore fino allora, gli ottenne la misericordia e gli aprì il paradiso. Oh, l’umiltà che cosa fa! L’orgoglio, invece, quanto ci allontana da Dio! Vi sono anime umili che sono ben unite a Dio e vi sono anime orgogliose che magari stanno vicino all’altare, ma il loro cuore è tanto lontano da Dio.
Perché allora insistere sopra l’umiltà? Perché se voi farete gli Esercizi con le disposizioni di umiltà uscirete sante. Se invece si portasse agli Esercizi l’orgoglio sarebbero inutili, anzi sarebbe una responsabilità maggiore. L’orgoglio ne impedirebbe il frutto. Allora: volete il frutto degli Esercizi? Umiltà. Del resto l’umiltà assicura anche la benevolenza degli uomini. In casa la persona umile vive sempre nella pace. Alle volte anzi, basta una persona veramente umile per mettere la pace in tutta la casa. Perché è offesa la carità? Per lo più dall’orgoglio. Perché v’è la pace? Per lo più è per l’umiltà. Poiché abbiamo letto ieri nell’epistola: «Caritas patiens est, benigna est: La carità è paziente, è benigna, non pensa male, tutto crede, tutto spera, ecc.»10. E allora come si fa a non avere la pace? Si ha sempre la pace perché si stimano gli altri e si pensa che noi abbiamo tanti torti, e allora? Allora la pace viene di conseguenza in tutta la casa e in ogni anima. L’umiliarci fino in fondo, riconoscendoci peccatori indegni, gente carica di grazia, ma sovente senza aver corrisposto quanto dovevamo. L’umiltà porta la carità, l’umiltà porta l’obbedienza, la sottomissione, altrimenti vi sono mille opposizioni, mille difficoltà.
L’umiltà è un grande segreto di santità per [ottenere] ogni bene sulla terra e una grande gloria in paradiso. Noi veramente abbiamo tanto di merito e, di conseguenza, avremo tanto di gloria quanto cercheremo la gloria di Dio e non la nostra. Il cercare solamente la gloria di Dio e non la nostra: ecco l’umiltà. Da me nulla posso, ma con Dio posso tutto, per amore di Dio voglio far tutto; a lui l’onore e a noi il disprezzo sulla terra,
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perché non meritiamo gloria; ma nell’altra vita il paradiso: a me il paradiso!
Adesso ci viene da domandarci: che cosa è dunque l’umiltà? Si potrebbe dire subito così: con che disposizione sei entrata negli Esercizi? Sei entrata con il sentimento di averne bisogno, di dovere passare un certo tempo in maggiore raccoglimento; sei entrata con la convinzione che questa è una grande grazia per allontanare altri pensieri e per concentrarti tutta in te stessa; che gli Esercizi sono una grande grazia per ottenere il perdono generale dei peccati, per ottenere un aumento di grazia e di virtù, per consigliarti nei vari bisogni della tua anima, per fare un passo avanti in questa virtù o in quell’altra. Come sei entrata? Con l’umiltà, e allora il frutto è già assicurato. Ecco che cosa è l’umiltà: l’umiltà è verità, l’umiltà è giustizia, l’umiltà è ordine ed è anche la bellezza di una anima, la vera bellezza di un’anima, la bellezza che attrae gli sguardi misericordiosi di Gesù. Anime belle, perché umili! Bambini cari, quando sono semplici, schietti, umili, sottomessi. Così noi con Dio... Anime care a Gesù! L’umiltà dunque è verità, è giustizia, è ordine, per questo abbiamo da considerarla in ordine a Dio, in ordine al prossimo e in ordine a noi medesimi.
In ordine a Dio: che cosa siamo? Siamo peccatori, siamo esseri creati, siamo poveretti sempre bisognosi della misericordia di Dio. In primo luogo: esseri creati. Abbiamo ricevuto tutto: se c’è intelligenza, se c’è salute, grazie a Dio! Se esistiamo, grazie a Dio! Se c’è una bella voce, se c’è abilità, se c’è memoria, ecc., grazie a Dio! Pensiamo a quel momento, prima dei tempi, quando nulla vi era fuorchè Dio solo. Non c’eravamo noi, non c’era la terra, non c’erano gli astri, neppure l’aria. Dio ha creato tutto. «Ipse dixit et facta sunt, ipse mandavit et creata sunt»11. E allora, se abbiamo ricevuto questa buona volontà che c’è, la vocazione, se tutto abbiamo ricevuto, di che cosa ci gloriamo? «Quid habes quod non accepisti?»12. E se tutto hai ricevuto di che ti glori? Se ci fosse un asino che portasse sulla sua groppa in ceste tanto oro per il suo padrone,
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non potrebbe gloriarsi, perché non è suo quell’oro. E noi di che cosa ci glorieremo? Se togliessimo da noi tutto ciò che Dio ci ha dato, rimarrebbe il nulla. Non rimarrebbe neppure il segno del nostro passaggio, della nostra esistenza. E allora perché ci gloriamo? Quanto siamo irragionevoli! Maria fu salutata da S. Elisabetta con quelle parole: «Unde mihi hoc, ut veniat Mater Domini mei ad me?»13. Che merito ho io che venga in casa mia la Madre del mio Signore? Quando fu salutata Madre di Dio, Maria si compiacque, assaporò quell’elogio? Maria uscì con il cantico: «L’anima mia magnifica il Signore, quia fecit mihi magna qui potens est et sanctum nomen eius: Perché il Signore ha fatto cose grandi, Egli che è santo, che è potente»14.
Allora: lodare il Signore. Sempre Deo gratias, il Benedicite Domino, omnia opera Domini15, il Magnificat, il Te Deum, il Lodate Dominum omnes gentes16, il Gloria Patri per tutto.
Quando però un’anima non è arrivata qui, ossia quando viene lodata si infastidisce, si disturba della lode, significa che non ha ancora incominciato il cammino della santità, lo ha appena veduto in lontananza. Occorre arrivare a questo punto per incominciare l’ascesi del monte della santità: sentire disgusto di ogni parola di lode o di riconoscimento del bene che abbiamo fatto, che ci dia fastidio, che ci metta noia e che noi cerchiamo in ogni maniera di nascondere il bene fatto, perché non venga conosciuto e non abbiamo da ricevere lode.
Anime che sono in cerca della santità. Cercano mezzi, cercano modi, cercano metodi, consigli a destra e consigli a sinistra, parlano molto e non trovano il vero metodo che è umiliarsi. E allora faticano tutta la vita e sono sempre un po’ in pena e afflitte di non camminare spiritualmente, non pensano che il camminare, il progredire sta nell’interno, nell’approfondire il proprio nulla e nel riconoscersi per quello che sono. Non pensano al Nosce te ipsum: Conosci te stesso17.
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La santità è subito raggiunta se ci abbassiamo a conoscere il nostro nulla. E più un’anima sente di essere stata benedetta da Dio, e nonostante di avere mancato di corrispondenza, più essa è santa. Ma non fa cose meravigliose all’esterno: questo non importa, non è questo che costituisce la vera santità. La santità è in noi stessi e nella conoscenza del nostro nulla, quindi nel desiderio di essere tenute per nulla. Ama nesciri et pro nihilo reputari: Ama di essere dimenticato e di essere stimato per niente. Che tutti dimentichino i tuoi meriti e la tua stessa esistenza! Vidi uno che a tavola era stato dimenticato, oppure nella distribuzione non vi era stata abbastanza pietanza. Non fece parola. Si contentò di mangiare il pane. Uscì da tavola come prima, come se avesse fatto un buon pranzo, non disse una parola. Allora tra di me ho detto: Ci dev’essere un gran segreto in quel cuore! Ama nesciri: Ama di essere dimenticato e di essere stimato per niente. L’umiltà è verissima sui ipsius cognitio et despectio: L’umiltà è conoscere realmente che cosa siamo e disprezzarci. Ma chi ama il disprezzo?
E allora la seconda domanda: Ma chi è veramente santo? In realtà se si vuole conoscere se una persona è veramente santa, questo è il segreto: se è veramente umile. Ma non umiltà esteriore, fatta di inchini o di proteste di essere molto umili, ma umiltà di cuore. «Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore»18. Questa è umiltà! Vi sono persone che non sono neppure umili quando si confessano. E persone che sono umili anche quando sono lodate e ricevono approvazioni. Distinguere la vera santità dalla santità di forma, dalla santità di colore.
Per questa sera basta. Voglio riassumere dicendo questo: Ci sia un buon fondamento ai vostri Esercizi e certamente uscirete con grande gioia. Avete lavorato tanto e avete fatto tanto bene, adesso pensate molto seriamente a mettere il fondamento alla vostra santità. Vi sono persone che operano e fanno cose vistose, e tanto del loro frutto va perduto, e persone che hanno uffici umili, aspetto umile e hanno poca sapienza, ma piacciono a Dio.
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1 Predica tenuta a [Roma] il 13 febbraio 1956 durante un corso di Esercizi dove Don Alberione dettò solo quattro meditazioni. Dattiloscritto, carta vergata, fogli 5 (22x28). A mano è aggiunto il titolo: Umiltà.

2 Muzzarelli Vincenzo, Federico (1909-1956) sacerdote della Società San Paolo, Dottore in Diritto canonico, Procuratore della Famiglia Paolina, collaborò molto con il Primo Maestro per dare forma giuridica alle Congregazioni da lui fondate.

3 Cf Mc 10,14.

4 Cf Sermone 69, 1.2, su Mt 11,28-30.

5 Cf Mc 9,35.

6 Cf Mt 18,3.

7 Cf 1Pt 5,5: «Dio resiste ai superbi ma dà la grazia agli umili».

8 Cf Lc 18,9-14.

9 Cf Lc 23,40-43.

10 Cf 1Cor 13,4-7.

11 Cf Sal 33,9: «Egli disse e tutto è fatto, comanda e tutto esiste».

12 Cf 1Cor 4,7: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?».

13 Cf Lc 1,43: «A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?».

14 Cf Lc 1,46.49.

15 Cf Dn 3,57ss: «Benedite, opere tutte del Signore, il Signore».

16 Cf Sal 117,1: «Lodate il Signore, popoli tutti».

17 Cf Imitazione di Cristo, I, II, 2: “Conoscersi veramente e disprezzarsi”.

18 Cf Mt 11,29.