Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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44. IL PECCATO VENIALE DELIBERATO1

La buona volontà è carità, cioè amore di Dio e quindi di grande merito. D’altra parte essendo carità: «Operit multitudinem peccatorum: Copre anche una grande quantità di peccati»2. Amare il Signore, volergli dare gusto, consolazione, voler bene a Gesù, desiderare di essere sante: tutto questo copre tutto. Certo, per noi rimane sempre l’obbligo di confessare ciò che è grave. Ma con questa volontà buona il perdono di Dio si ottiene sempre. Può essere che nel nostro cuore nasca una specie di orgoglio e cioè non voler ammettere, oppure non voler riconoscere i nostri difetti davanti a noi e davanti agli altri: Homo sum et nihil humani alienum reputo a me: Sono uomo e riconosco che ho tutte le debolezze dell’uomo3. Vi sono persone che hanno vergogna di dire che hanno tentazioni su questa o su quell’altra virtù, ma le hanno tutti. Specialmente se si è interrogati se vi sono delle difficoltà o tentazioni, non avere timore a riconoscerlo, perché se diciamo che non le abbiamo diciamo una bugia. Tutti gli uomini sono deboli, tutti vanno soggetti a quelle tendenze che sono sunteggiate nei setti vizi capitali: tutti l’avarizia, tutti l’ira, tutti la lussuria, tutti la golosità, tutti la pigrizia, tutti il nervoso, la curiosità. Perché averne paura e perché non ammetterlo quando facciamo l’esame di coscienza? Dobbiamo ammetterlo. E se interrogati negassimo, si potrebbe pensare che abbiamo intenzione di occultare. Però sopra tutte queste nostre miserie ci sia la buona volontà, l’amore che copre anche una quantità di peccati.
Abbiamo considerato questa mattina il peccato veniale di sorpresa o di debolezza. Veniamo adesso al peccato veniale acconsentito
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cioè deliberato, quando vi è piena coscienza e pieno consenso. Molte sono le cose che facciamo anche per sbaglio, senza piena conoscenza e pieno consenso. Anche molte cose che di per sé sarebbero gravi, o perché commesse con precipitazione, per irriflessione, o perché non si ha avuto tempo per considerare il male che ne seguiva, non sono gravi. Occorre dunque, per fare il peccato veniale deliberato, che bisogna detestare, che la persona dica così: Vedo che questo dispiace a Dio, ma piace a me, lo faccio lo stesso. Oppure: Vedo che questo disgusta il Signore, mi priva di grazie e di merito, ma purché io schivi l’inferno, non m’importa del purgatorio o se non mi farò tanto santa.
Il peccato veniale deliberato tutti lo capiscono, impedisce l’unione, l’intimità con Gesù: ecco la prima conseguenza. Quando noi non siamo delicate con Gesù, quando non ci importa e non ci spiace piantargli delle spine nel cuore, cessa quell’intima amicizia tra l’anima e Dio, e Gesù, quindi Comunioni più fredde, non è rotta l’amicizia, ma è raffreddata. Visite più fredde, Messe più fredde, e anche la persona, riflettendo, pensa che Gesù non essendo contento non esaudirà la sua preghiera. Quindi il peccato veniale non rompe la carità, ma la rallenta e la riduce. Il peccato veniale priva l’anima di molta grazia. La persona consacrata a Dio che con facilità si lascia andare a peccati veniali deliberati, fa poi una vita meschina, non raggiunge la santità religiosa e d’altra parte è sempre in lotta con se stessa: Vorrei, ma non lo faccio; non ho il coraggio; vorrei fare bene, vorrei amare tanto il Signore… È una vita alquanto infelice: non gode le consolazioni di Dio e d’altra parte non può godere le consolazioni del mondo, perché è uscita dal mondo.
Il peccato veniale ferma proprio o rallenta il cammino verso la santità. E perché? Perché il peccato veniale è una ingratitudine grande verso Dio. Dite un po’, se pensiamo bene, chi poteva ricevere più grazie di noi? Perché il Signore ti ha preferita in mezzo a tante altre, e quanta istruzione, ispirazioni, e quanti consigli, avvisi, e quanta preghiera e sacramenti, e quanto aiuto dall’esterno, quanti mezzi per la santificazione! E allora, se a tanta bontà di Dio si corrisponde con tanta freddezza... Vedete, quando si dice a una persona: Tu sei un ingrato,
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quella persona resta tanto umiliata. Orbene, non siamo noi tutti ingrati verso Dio? Non sentiamo il bisogno di confonderci e umiliarci? Come deve disgustare il cuore di Gesù il peccato veniale in un’anima consacrata a lui!
Poi il peccato veniale è una ribellione a Dio. Dio vuole che facciamo quello o lasciamo quell’altra cosa, e noi diciamo: Tu vuoi così, ma io preferisco la mia volontà, non voglio scomodarmi, quello non lo voglio fare, voglio fare quello che piace a me. Con i fatti si dice così. Pensiamo allora che fra noi e Dio ci sarà una intimità?
Il peccato veniale inoltre priva il Signore di una gloria esterna, ma eterna. Ogni merito che facciamo, ogni azione buona glorifica Iddio e il Signore ne ha una gloria eterna; anche noi avremo più gloria eterna facendo quello che piace a Dio. Privare il Signore di una gloria eterna non ci pare che sia un grande torto? Quando si sarà in paradiso, pur andandoci, si vedrà quanto noi abbiamo impedito di gloria a Dio, quanto meno gliene abbiamo data? Certo in paradiso non si può avere peccati, ma intanto comprenderemo il torto fatto a Dio. Ad maiorem Dei gloriam: Alla maggior gloria di Dio4 le nostre cose, tutto per il paradiso. Glorificare il Signore come Maria: «Magnificat anima mea Dominum: La mia anima glorifica il Signore»5.
Il peccato veniale poi, impedisce di arrivare a quei doni di cui ho detto stamattina, specialmente: la contemplazione e la intimità di orazione, la semplicità della preghiera, la pace, la gioia di stare con Gesù nella Visita. Impedisce di sentire che il cuore di Gesù è nel petto, egli abita lì e vuole operare in noi, portarci ad una virtù più alta, ad una fede più intima, ad una speranza più ferma, ad una carità maggiore.
Vi sono anime che passano anni ed anni e non comprendono, né comprenderanno mai, la gioia dell’intimità di orazione che hanno altre sorelle, perché? Perché la loro vita è stata una vita di freddezza, cioè di venialità acconsentite, e può essere che quelle venialità siano state acconsentite di più o di meno. In tutti i modi è una vita che non porterà mai a quella elevazione.
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Non si capirà neppure come i santi fossero così aperti, così pieni di fede, tutto zelo per le anime, amanti sempre e disposti a qualsiasi sacrificio per il Signore.
Quando l’anima si abitua al peccato veniale, invece di fare la strada della perfezione fa la strada a rovescio, si diviene forse più fredde e meno delicate di quanto si era nella vita secolare, quando si era ragazze, quando si era giovani. Perciò crescendo gli anni crescono i difetti. Allora che miseria è una vita che si dovrebbe chiamare religiosa, ma che davvero non lo è, perché un po’ si offende la vita comune e la carità con le persone, un po’ si offende la povertà, un po’ non si va troppo avanti riguardo alla delicatezza di coscienza, e un po’ l’obbedienza è ridotta, a che cosa? I superiori devono sempre studiare che cosa disporre per far piacere e, per incontrare i gusti, devono domandare: Faresti così? E allora il gusto di Dio non è seguito. Detestare la venialità come il peccato nemico della vita religiosa. Notiamo che questa fermezza contro la venialità deliberata sarà quella che aprirà la strada alla confidenza e alle consolazioni di Dio. Che bella vita quella della religiosa che progredisce così! Delle imperfezioni ce ne saranno sempre, ma esse servono per umiliarci e camminare anche di più, perché quando noi ci umiliamo Gesù ci riempie il cuore della sua grazia e della sua misericordia.
Oh, allora, fatevi sante! Con coraggio: evitare l’offesa deliberata a Gesù. Che abbiate sempre un aumento di grazia. Che non si perda mai, perché fare un passo avanti con una Comunione e poi farne uno indietro con una mormorazione è una contraddizione. Facciamo e disfacciamo. Come quella persona che non finiva mai la casa, perché prima ne faceva un pezzo e poi lo disfaceva. E ciò che si racconta di chi di notte disfaceva il lavoro fatto di giorno6. Allora non mescoliamo sempre cose belle con cose, non dico brutte, ma meno belle: le bugie volontarie, i dispetti, i piccoli rancori nel cuore, l’obbedienza fatta sforzatamente, e solo perché si è controllati; la mancanza di sforzo nella preghiera. Certo vengono distrazioni, ma noi dobbiamo
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mettere la buona volontà; quel trascinarsi e perdere il tempo o lavorare con meno intensità, non applicando la mente o il cuore in quello che dobbiamo fare, disgusta Iddio. Allora ci vuole una verginità di vita: non bene e male, ma sempre bene. E quegli altri difetti che vengono indeliberati, non guastano il bene. Se ci accorgiamo: Gesù mio misericordia, o Dolce Cuor del mio Gesù, o Gesù Maestro Via Verità e Vita, ecc. Allora non solamente si ripara, ma il difetto diviene uno svegliarino che ci chiama a vigilare su di noi e pregare di più.
Al chiudersi degli Esercizi, anzi da adesso in avanti, fino a quando ci sarà la chiusura, vedere solo di stabilirsi in questa intimità con Gesù. Sentire lo Spirito Santo che lavora e vuol produrre una fede più viva nella mente, più fermezza nella volontà, più amore nel cuore, più amore alla vita comune, all’apostolato, più delicatezza. Gesù vuole proprio lavorare: sentire questo e godersi questa intimità con Gesù. Pregatelo che egli continui sempre nell’anno a darci questa intimità e che noi sentiamo di essere con Gesù.
Ecco, con il chiudersi degli Esercizi e anche dopo, tutte voi che siete qui, specialmente quelle che si stanno preparando per la professione perpetua, pensare che è la professione del perpetuo amore e in questi mesi stabilire questa intimità. Che bel lavoro felice avete da fare voi! Più tardi, quando avrete venticinque anni di professione, domandate di poter avere di nuovo un periodo in cui stabilire, ancora più intima, questa unione con Dio, in maniera tale che sia una preparazione diretta al paradiso. Difatti la vita religiosa è il noviziato per la professione eterna sulle porte del cielo.
Mi sembra che in questi Esercizi ci sia stata molta grazia. Dovete pregare, fare una unione di preghiera, e mettere l’intenzione adesso, che Gesù santifichi e attiri a sé tutti i cuori, tutte le anime. «Omnia traham ad meipsum»7. Ci prenda, così da non scappargli più di mano, né la testa, né il cuore, né la volontà. Non fare come i bambini che, a volte, quando la mamma li prende in braccio, vogliono scappare per andare a raccogliere il fiorellino o la farfalla.
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Unione con Gesù, interamente sue. Ciò che chiude la porta a questo è il peccato veniale deliberato. Non lo faremo mai, se lo facessimo, piangiamolo di cuore, però non come un peccato mortale. Gli scrupoli non vengano, perché sono tutte bugie. Scrupoli no, ma delicatezza tanta. Delicate con Gesù, la delicatezza che aveva Maria nel trattare il fanciullino Gesù, il giovanetto, nel trattare e nel parlare con lui, nei suoi pensieri e sentimenti. Maria era delicatissima e quindi entrò nell’amore più intimo che abbia avuto una creatura con il suo Creatore.
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1 Predica tenuta durante gli Esercizi spirituali a [Roma] il 26 settembre 1956. Dattiloscritto, carta vergata, fogli 4 (22x28). Autore e luogo sono aggiunti a mano. Fa parte della predicazione di un corso di Esercizi di cui sono conservate tre prediche. Le inseriamo tra le meditazioni varie.

2 Cf 1Pt 4,8.

3 Detto latino di Publio Terenzio Afro (ca. 195/185–159 a.C.), commediografo romano.

4 Motto della Compagnia di Gesù. Cf 1Cor 10,31.

5 Cf Lc 1,46.

6 Si allude alla leggenda di Penelope, moglie di Ulisse, narrata nell’Odissea di Omero.

7 Cf Gv 12,32: «Attirerò tutti a me».