Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Esercizi spirituali alle superiore,
Ariccia 29, 31 maggio e 2 giugno 1960


I
LA NOSTRA DONAZIONE COMPLETA1


Non è necessario che ci salutiamo come in un incontro ordinario, perché ogni mattina vi tengo tutte presenti attorno all’altare quando celebro la Messa, perciò non è molto che ci siamo incontrati. Ci siamo incontrati con Gesù, dinnanzi a lui per domandare pressappoco le medesime grazie. Perché anche stamattina? Sempre attorno al mio altare alla Messa, io tengo sempre tutte presenti per due grazie principali, ma specialmente per la prima: la santificazione nella vita religiosa paolina. Qui sta tutto il fine, questo è l’impegno. Non c’è prima l’apostolato, non c’è prima l’ufficio di superiora, ma c’è in primo luogo la santificazione, precisamente come è descritta nel primo articolo delle Costituzioni. Essere superiore, essere superiori è uno dei mezzi, è un ufficio per la santificazione, e l’apostolato è un compito per la santificazione. L’impegno centrale sul quale noi non possiamo mai discutere, dal quale mai possiamo recedere è la santificazione.
Che cosa facciamo sulla terra? Nel Vangelo leggevamo giorni fa le parole di Gesù: «Sono uscito dal Padre, sono venuto nel mondo, ora lascio il mondo, torno al Padre2. Lì c’è tutta la vita del Figliolo di Dio che si è incarnato, uscito dal Padre, ed è venuto nel mondo a compiere la sua volontà, e ritorna al Padre. Ognuno di noi adesso dica: Sono uscito dalle mani creatrici del Padre celeste, sono venuto nel mondo a compiere la sua volontà, ritorno al Padre celeste. C’è tutto: la creazione, la vocazione, quindi la missione da fare sulla terra come l’ha fatta il Figliuolo di Dio, e il ritorno al Padre. Tra non molto torneremo al Padre celeste. Siamo usciti per la sua misericordia
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dalle sue mani, ed egli ci ha forniti di tutto, ha predisposto quello che dovevamo fare, perché potessimo ritornare a lui.
E come è ritornato Gesù? Dopo aver compiuto perfettamente la sua missione, il Salvatore del mondo, il Maestro ci ha preceduto con i suoi santi esempi, ci ha insegnato ciò che vuole il Padre celeste, quello che dobbiamo fare per arrivare all’eterna felicità e i mezzi da adoperare. Fra poco ritorneremo al Padre. Uscita con molte grazie dalle mani creatrici di Dio, hai avuto l’intelligenza, hai avuto un’attitudine al bene, un buon carattere, hai avuto dal Padre celeste quella misericordia: nata in famiglia buona, in una parrocchia buona, con i parroci e i confessori predisposti da Gesù che dovevano condurti nella via della volontà del Padre celeste. Quindi il Padre celeste ha disposto, nella sua misericordia, anche altri mezzi, e particolarmente la grazia ricevuta nel Battesimo, l’istruzione catechistica, quando siamo arrivati all’uso di ragione, e poi i sacramenti, i buoni esempi, l’assistenza, la guida dei genitori, dei parroci, ecc. Tutto questo: «Sono uscito dal Padre celeste, sono venuto sulla terra per volontà di Dio».
Il Signore ci ha dato tutto in previsione di una missione che dobbiamo compiere. Dobbiamo dire al Padre celeste che noi vogliamo rispondere alla sua santissima volontà, vogliamo compiere quello che egli ha predisposto e che aspetta da noi, perché vogliamo arrivare a Dio con le mani piene. Venuti da Dio con molti talenti, molte grazie, possiamo dire fin da quando abbiamo avuto l’uso di ragione e abbiamo ricevuto i primi sacramenti: Confessione, Comunione e Cresima, tutta una manifestazione di amore, di bontà di Dio per noi, fino ai talenti. Ma alla fine, ritorno al Padre. Dobbiamo rispondere: Ho amministrato bene i talenti che mi hai dato? Me ne hai dato cinque, ecco, te ne porto altri cinque. Me ne hai dato due, ne porto altri due. Allora il Padre celeste ci inviterà al premio, a sedere alla mensa della sua gioia in paradiso.
Adesso tutto dipende da noi: corrispondere alle grazie, alla missione, fare quel che il Signore ha previsto e aveva in mente quando ha creato la nostra anima dal nulla e l’ha preparata ad una missione. In generale possiamo dire: Sulla terra dobbiamo dare al Signore una prova di fede, credere profondamente;
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secondo, una prova di fedeltà ai comandamenti, ai consigli evangelici, alle virtù; e poi una prova di amore e cioè volere Dio, amare lui, cercare lui con tutto il cuore, con tutte le forze. L’amore di Dio e l’amore al prossimo, in generale, ma poi ognuno, in modo particolare, deve sempre superare questa prova di fede, di fedeltà e di amore. Altro è il buon cristiano che è nel mondo, altro il buon religioso che è in convento, la buona religiosa che ha fatto i voti. Se alla fine ci presenteremo con i meriti, perché i talenti trafficati bene sono diventati meriti: «Intra in gaudium Domini tui3.
L’ultima volta che ho visto don Trosso4 malato grave a Torino, al mattino verso le sei, poi nella serata l’hanno trasportato ad Alba e nella notte è andato all’eterno riposo, non più in un letto per riposarsi della fatica del giorno e poi rialzarsi, quella mattina lasciandoci, si esprimeva con parole che rassomigliano a quelle del Vangelo, e cioè: Il Signore ci manda tutti, e ha mandato me a fare qualcosa, qualche commissione sulla terra, e adesso devo dirgli e devo presentargli quello che ho fatto. Se la commissione è ben fatta, allora lui mi dà il premio proporzionato. Ma per tutti così? Ognuna di noi è sulla terra per fare qualcosa, come una mamma manda la figliola, supponiamo, a comperare il sale, a prendere una medicina, a prendere il pane dal panettiere. Se abbiamo speso bene il denaro, se siamo andati e venuti diligentemente, non perdendo il tempo, ecc., la mamma dirà: Bene, hai fatto bene. Brava!. Se invece avessimo perduto tempo a chiacchierare, avessimo sprecato i soldi in altre cose e non avessimo fatto bene la nostra commissione, cioè la cosa che si doveva comprare non fosse stata ben scelta, ecc. Così è nell’ordine della Provvidenza.
Ora vedere che cosa vuole il Signore, che cosa ci ha mandato a fare: Tu, che cosa sei stato mandato a fare sulla terra? Considera la tua bella vocazione, considera i grandi mezzi che il Signore ti ha dato nell’Istituto per arrivare alla santità, considera l’ufficio, l’apostolato, ecc., ecco innumerevoli occasioni e innumerevoli grazie per santificarti. Qui sta il tutto.
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Allora una si può presentare a Dio dopo aver compiuto ottimamente il suo ufficio. Supponiamo che la suora sia stata impiegata tutta la vita a scopare e abbia fatto questo ufficio con diligenza, per amor di Dio e con retta intenzione; e supponiamo che un’altra abbia invece insegnato in scuole superiori o che abbia avuto un ufficio distinto, chi riceverà di più? Chi ha amato di più, e cioè chi ha fatto e dato a Dio tutto quello che poteva, quello che aveva. Perché non conta dare di più o dar di meno, conta l’aver dato tutto quello che si ha. Una può essere che abbia ricevuto cinque e presenti quattro, è un po’ in fallo. Un’altra può essere che abbia ricevuto due e presenti due: supera chi presenta quattro. La donna che presentava due monetine al Tempio, là dove si mettevano le offerte, è stata osservata da Gesù che stava di fronte. Molti passavano e deponevano nella cassetta delle elemosine monete anche d’oro, di valore e le facevano splendere bene, calare giù dall’alto che si vedessero. L’ambizione. Poi a casa avevano anche il lusso, tutte le comodità, il cibo e la mensa ricca. Ma quella povera donna aveva dato tutto il suo: due monetine, e Gesù lodò quella5.
L’ufficio di superiora tante volte è un grosso pericolo: Se fossi stato almeno portinaio del mio convento, diceva colui che era salito ai primi posti nel convento. Sono salvo, ma il portinaio del palazzo è tanto più in su di me in paradiso. È il tutto che conta! Tutta la mente, tutto il cuore, tutta la volontà, tutte le forze, il che vuol dire: nella vita i giorni pieni, tutti, senza perdere giorni. Forse ne abbiamo già perduti in giovinezza. Non perdere del tempo in chiacchiere inutili o in riposo esagerato, no! Tutto il tempo per Dio! Necessariamente si deve prendere il riposo sufficiente, ma quello che si può consacrare al Signore in attività, nel compimento dei doveri di pietà e di apostolato, di carità, ecc., tutto sia compiuto. Uno può avere maggior bisogno di riposo e se questo è necessario...
Stiamo trattando il processo canonico per la beatificazione e canonizzazione del can. Chiesa, e ci sono già state cinquantasette sedute. Tutto: è sempre stato questo il suo impegno. Tutto! Non tutti arrivano, per esempio, a dormire solamente
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sei ore e mezzo, che si richieda un po’ di più o un po’ di meno, ma tutto quello che è possibile. Così se una ha intelligenza, l’applichi, capisca le cose che sono dette, che vengono scritte, tutte le cose che sono nelle Costituzioni, quello che richiede la virtù, la vita religiosa, l’apostolato e quello che richiede l’ufficio, tutto capire e mettere tutta la volontà per eseguire bene. È il tutto che conta, non il più o il meno, è il tutto. Non il quattro o il due, sempre se noi tutto quello che abbiamo ricevuto, lo usiamo per Dio, per l’eternità: tutto! Allora, ecco la santità: quando mettiamo a servizio di Dio tutta la mente, tutta la volontà nel compiere ciò che vuole il Signore, mettiamo il nostro cuore nelle mani di Dio: Vi amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, è il tutto. Quando diamo tutto, c’è la santità. Quando lasciamo mancare qualcosa dell’intelligenza, del cuore, della volontà, del tempo o della salute, abbiamo fatto meno di quello che voleva Dio da noi.
Vedere quando c’è il tutto, perché può essere che nel cuore qualche volta ci sia l’ambizione, la vanità, e allora il cuore non è più tutto di Dio. Quando c’è l’orgoglio o c’è un’altra passione che può essere più o meno diretta a Dio, anzi meno diretta a Dio, non c’è più il tutto. Quando ci sono pensieri vani, inutili, notizie strane o che non interessano la religiosa, non c’è più il tutto. La mente in Dio, nelle cose che piacciono a Dio e nei doveri che ci sono assegnati che sono proprio quelli del nostro ufficio, della nostra posizione. Invece quando facciamo le cose un po’ alla carlona, cioè superficialmente e un poco freddamente. Tagliare un pezzo della Visita non è più il tutto. La superiora perde i meriti, e ne perde per tre, per quattro, secondo quante sono le suore. Se una continua a perdere tempo in un riposo esagerato, taglia un pezzo di ciò che deve dare a Dio! Se il cuore è qualche volta un poco rivolto a ottenere stima, che ci rispettino, che guardino, che siano soddisfatti di quel che facciamo, che piacciamo al mondo, in sostanza c’è cuore spezzato, fatto a pezzi: un’ora per Dio e dieci minuti per l’io.
Quando invece abbiamo solo una mira: con tutto il cuore sopra ogni cosa, allora in tutto cerchiamo Dio, di far piacere a Dio, cerchiamo il suo onore, il suo paradiso in sostanza, e il
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cuore è tutto rivolto là. Non importa più che dicano bene o dicano male, che uno abbia il posto di superiore o abbia il posto di inferiore. Il posto di inferiore ci mette in maggior facilità di acquistare meriti, mentre il posto di superiore ci mette in maggiore tentazione, cioè in un’altra specie di tentazione da combattere: l’orgoglio. Va a sapere quale altra cosa poi nasce ancora da lì.
Ora, qual è il dovere proprio della vita religiosa? È la santificazione, secondo le Costituzioni. Osservare cinquecento articoli delle Costituzioni, e invece osservarne cinque o dieci non è più il tutto. Le Costituzioni obbligano. C’è un grande errore che adesso poco per volta viene tolto. La frase: Le Costituzioni non obbligano sotto pena di peccato, è una frase sbagliatissima, errata, non deve più vivere questa frase, perché è un inganno molto pericoloso, perché è certo che allora è difficilissimo farsi santi. Le Costituzioni hanno delle disposizioni che contengono la legge di Dio e le leggi ecclesiastiche. E tra le leggi di Dio e leggi ecclesiastiche, se gli articoli delle Costituzioni sono cinquecento, supponiamo, trecentosessanta o trecentosettanta sono leggi divine o ecclesiastiche del Diritto Canonico che obbligano come obbligano i precetti della Chiesa.
Poi vi sono delle disposizioni che riguardano i voti, l’osservanza e la materia dei voti, e allora queste disposizioni obbligano come obbligano i voti. Se le disposizioni delle Costituzioni riguardano il modo di regolare la casa, il modo di fare le accettazioni delle persone, la formazione; di amministrare; il modo di fare l’apostolato, di attendere alle occupazioni quotidiane, alla pietà; il modo di preparare attraverso gli studi e attraverso a tutto quel complesso di cose e di premure che si hanno per la formazione, tutto questo obbliga e in coscienza. Non obbligano in coscienza, almeno superficialmente, le disposizioni disciplinari o ascetiche, ma a che si riducono? Se uno non è obbediente nelle cose piccole, dov’è la perfezione? Perfezione vuol dire: fatto totalmente; vuol dire: far tutto quel che si deve fare, ma se tagli un pezzo di qua o un pezzo di là la perfezione non si raggiunge. Perché ti sei fatta suora? Perché ti sei caricata di questi obblighi? Potevi non caricartene, così non avevi la responsabilità davanti a Dio.
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Le disposizioni, anche disciplinari e ascetiche, delle Costituzioni potrebbero obbligare sotto pena di peccato se ci fosse scandalo o perché la disciplina, la vita regolare in casa non è mantenuta bene: strappa un pezzo di qua, un pezzo di là, una vien tardi, l’altra vien presto, l’altra ancora più tardi, infine si crea nella casa un’abitudine di vita poco osservante. L’orario, le disposizioni, le tradizioni sono appunto per condurre alla perfezione, sono le piccole mortificazioni. Ma se una cosa si tralascia e l’altra si intende come vogliamo noi, non è più una comunità precisa, perché non si vive più in comune, non si va più insieme a tempo, si arriva tardi... Eh, ma io! E allora?. Specialmente se poi ci fosse il disprezzo per qualcosa che è disposto, disprezzo per la cosa o disprezzo per la persona che l’ha dato. Allora andiamo proprio... già si pecca. E se poi è la superiora che non fa osservare, c’è una gravità maggiore, perché non è più solo una cosa che si trasgredisce, ma è la cosa che viene trasgredita nella casa per sua colpa.
Fare la vita religiosa a metà, che cosa è? Certamente, si ha il danno di aver avuto quasi la temerità, o sarà stata anche buona volontà, di vivere bene la vita religiosa e per questo si è fatta la professione, ma quali sono poi le conseguenze? È necessario che la superiora faccia due esami. Nel ritorno al Padre, presentandoci a Dio, noi superiori saremo esaminati su due punti: i doveri personali e i doveri di ufficio secondo la missione che ci ha dato il Signore. I doveri personali sono l’osservanza della povertà, castità, obbedienza, la vita comune e l’apostolato nella maniera che a una è assegnato.
Poi ci sono i doveri di ufficio, tra gli altri, ci sono i doveri dell’ufficio di superiora. Allora la superiora che cosa deve fare? La superiora e il superiore hanno bisogno di fare almeno mezz’ora al giorno di più di preghiera delle altre; diversamente è difficile che arrivino a fare quello che è tutto il loro compito e anche il rendimento dell’ufficio. Quando ci presenteremo al tribunale di Dio, che ci sia un rendimento o un resoconto migliore. Un resoconto e un rendimento giusto: Ho fatto tutto quel che dovevo.
Non mi hanno ancora fatta superiora, diceva quella suora. È meglio, per molti motivi, meno responsabilità. Quante
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volte leggiamo nella storia di Papi, di vescovi, che hanno cercato di evitare la promozione, cioè l’elezione al papato o la promozione al vescovado o ad altri uffici ecclesiastici. Hanno cercato di evitarlo fino a nascondersi e hanno supplicato il Signore che non desse loro questa croce. Ma per camminare bene dobbiamo né desiderare, né rifiutare. Però se si è superiora, farsi obbedire, dare lo spirito giusto alle suore, perché si deve rendere conto anche per loro! Rendere conto se gli orari sono osservati, se le disposizioni che vengono date da Casa madre sono osservate, se la povertà è osservata, se vi sono le attenzioni perché la castità venga osservata, sia assicurata, se l’obbedienza è compiuta bene, se vi è la carità in casa, ecc. Di tutto: rendiconto.
A questo riguardo bisogna ancora dire che si deve vigilare affinché ci sia la separazione giusta e le precauzioni necessarie onde si conservi la delicatezza. Nelle lettere, nella corrispondenza e nelle relazioni personali dirette che vi sia la delicatezza. Vi sono alcune volte delle cose che fanno temere, vigiliamo. La superiora ha l’obbligo di vigilare. La corrispondenza può essere, a volte, pericolosa. Leggevo in questi giorni nel trattato La teologia della perfezione: I sacerdoti, quando vengono interrogati su problemi anche per corrispondenza, generalmente lo facciamo rarissimamente. E se interpellati, rispondano con parole brevissime, anzi meglio con monosillabi6. «Sì sì, no no7. Vi sono persone che non si tengono nei limiti, e non voglio aggiungere di più, perché sono stato disgustato in questi giorni: Perché queste relazioni con sacerdoti? Ma cosa ne fate di quelli? Dunque, a posto! Brevi in confessionale, e poi sempre due quando si deve parlare di apostolato.
Il Sinodo Romano, che è stato celebrato a fine gennaio, dice che quando vi è una donna sulla macchina e conduce un uomo, non siano solamente loro due, e io parlo di suore o di preti: siano sempre tre, e se c’è un sacerdote ci siano due suore magari, o due sacerdoti e viceversa, se c’è la suora che conduce, altre due persone, non una sola.
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Vigiliamo, perché il vostro apostolato ha tanti confini, ma per questo si è vicini. Voglio dire che confina in molti posti, ma ci vuole ancora in mezzo la siepe che determini bene quello che può essere permesso e quello che non può essere permesso, cioè quando ci può stare una porta o quando non può starci una porta. Meglio, a volte, non sapere tanto, e su molte cose allora illuminerà il Signore, perché noi le conosciamo e le comprendiamo mediante le sue sante ispirazioni.
Però ciò che fa la religiosa è l’obbedienza e la perfezione nell’obbedienza, perché la religiosa dà a Dio quello che è più prezioso per mezzo dei voti: la volontà. La libertà è proprio ciò che è più prezioso in noi, e allora questo è il dono che si fa al Signore. Del resto quando si è veramente obbedienti, è osservata la povertà; quando si è veramente obbedienti si usano anche tutti i mezzi per la delicatezza di coscienza e per tutelare la virtù. Se invece l’obbedienza è osservata in quelle cose che sono più facili, e invece viene trasgredita in ciò che ci sembra più difficile8... è nella morale della Chiesa. Eppure adesso l’obbedienza è insidiata fortemente su questo punto, e la lettera pastorale dei vescovi d’Italia mette il dito sulla piaga9. D’altra parte il laicismo è proprio un’eresia, anzi arriva all’ateismo, a negare Dio e negare ogni autorità della Chiesa. Ora, non la morale del caso, non la morale della circostanza, la morale del meglio, neppure quella, ma l’obbedienza come l’ha insegnata nostro Signore, l’obbedienza come è definita dalla Chiesa, come deve essere interpretata nelle Costituzioni.
Essere suore che tendono alla santità, alla perfezione, cioè all’osservanza del primo articolo delle Costituzioni. Per questo c’è l’impegno che ogni anno si leggano le Costituzioni. Si cerchi il modo di leggerle davvero. Può essere che si leggano due, tre, quattro articoli, al mattino, prima della meditazione; può anche essere che invece si leggano durante gli Esercizi; può essere che mese per mese si prenda una cinquantina di articoli
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e si vedano nel giorno del Ritiro mensile. E vi possono essere altri modi. Ma questa è la via della santità, la via segnata dalle Costituzioni. Bisogna perfettamente osservarle. Una buona suora è osservante; non è una buona suora se non è osservante. Siccome le Costituzioni determinano bene la nostra vita, c’è una sola via per farsi santa, quella segnata nelle Costituzioni, interpretate poi da chi ha il diritto e il dovere di interpretarle.
Non un’interpretazione soggettiva, ma l’interpretazione genuina, che viene dalle nostre autorità. Essere buone donne, certamente non fa la suora! Siccome le Costituzioni sono l’unica via, non ce n’è un’altra, se anche facessi miracoli, non c’è un’altra via, neppure il presentarsi come taumaturga, no! È quella. Allora leggerle e interpretarle minutamente. Ci sono quei capitoli, ad esempio, che riguardano la carità vicendevole e l’umiltà vicendevole, quelle disposizioni che assicurano la pratica dell’apostolato, il modo di fare l’apostolato, ecc. Leggerle e comprenderle e viverle, questa è la via sicura per la santità.
Adesso concludiamo. «Ad quid venisti»10? Sei venuta per farti santa. Ora è il tempo. Prima erano buoni propositi, ora la santità dipende dall’osservanza di questi propositi. Prima ti sei assoggettata a queste Costituzioni e le hai scelte come la via della tua santificazione, non ne troverai un’altra! E se lasciassi la vita religiosa? Si perde un cumulo immenso di grazie. Chi si è reso infedele alle prime grazie, può sperare di averne ugualmente altre così belle, così preziose, così numerose? No, non può sperare. D’altra parte è così: se noi facessimo pochissimo, se una persona avesse così poca salute che passa più della metà della sua vita a letto, ma se questa persona ha fatto la volontà di Dio, si fa santa, perché tutto è nella volontà di Dio. È fare la volontà di Dio, non fare questo o quello, non fare quello che a noi sembra meglio, ma fare la volontà del Signore. La volontà del Signore è sempre accompagnata da molta grazia, quindi c’è l’aiuto divino, e sarà a volte un po’ più penosa, più dolorosa, ma la prova a
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cui Dio ci sottomette nella nostra vita è sempre accompagnata dal suo aiuto.
Fatevi sante, adesso! Gli Esercizi stanno per concludersi, almeno nella prima parte, ma anche i tre giorni successivi saranno ancora Esercizi. Ora è particolarmente quello che riguarda la santificazione di ognuna, cioè il rendiconto personale che si dovrà fare a Dio il giorno del giudizio.
Un pensiero solo ci orienti e accompagni le giornate, e con il quale concludiamo le giornate: Voglio essere santa, voglio fare la volontà di Dio sempre, in tutto. Ora, dopo i propositi che avete già fatto, si invochi la grazia di Dio perché possiate osservarli. Misurare bene: si è saliti oppure si è ancora fermi rispetto alla santità, rispetto al giorno in cui ci siamo legati al Signore? Quando si arriva alla professione, una si trova su un piano a cui è arrivata mediante l’aspirantato, il noviziato, ecc. Finalmente si trova su un piano di virtù, di buone risoluzioni, ecc. Ma da lì, per molte persone, comincia l’ascesa, una via ascendente; e per qualche altra persona, speriamo che non ce ne siano o che siano pochissime, si comincia la discesa, una via discendente.
Siamo più sante, più perfette, più fervorose, più osservanti adesso di quando si è fatta la professione? Allora ringraziamo il Signore. E se siamo ancora saliti poco verso il monte della perfezione, allora: più generosità, più decisione. La vita è già passata per una gran parte, prendiamo il tempo che ancora il Signore nella sua misericordia ci concede per salire, salire!
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1 Meditazione tenuta ad Ariccia (RM) il 29 maggio 1960. Trascrizione da nastro: A6/an 78a = ac 132a. Stampata in Aiuti Fraterni, ottobre (1960), pp. 20-26.

2 Cf Gv 16,28.

3 Cf Mt 25,21: «...prendi parte alla gioia del tuo Signore».

4 Cf med. 13, nota 36.

5 Cf Lc 21,3-4.

6 Cf Antonio Royo Marin, o.c., n. 529, p. 1008-1009.

7 Cf Mt 5,37.

8 Nel passaggio dal lato A al lato B della registrazione si sono perdute alcune parole o espressioni.

9 Il laicismo, lettera dell’Episcopato italiano al clero (25 marzo 1960). Descrive la natura del laicismo, le sue manifestazioni, le sue insidie e come i cattolici devono comportarsi.

10 Cf Mt 26,50: «… per quale scopo sei venuto?» (Volgata). Cf anche: S. Bernardo, Sermoni sul Cantico dei Cantici, Ser. 76,10, in SBO, II, 260.