Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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27. LA PREGHIERA VITALE1


Abbiamo considerato come questo tempo sia adatto a migliorare la nostra preghiera. La preghiera da noi praticata, di qualsiasi grado possa essere, sempre deve essere una preghiera vitale, cioè una preghiera che comprenda tutta la vita e tutte le nostre attività, e metta in moto tutte le facoltà che sono in noi. Tutta la vita, cioè la vita presente e la vita eterna, che non sono due vite, ma una vita: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita»2, cioè la vita eterna che è in noi, la vita della grazia, che qui è mostrata come una vita da bambini, ma quando si rivelerà il Signore nella visione eterna, sarà la medesima vita, una vita celeste. Qui abbiamo la fede, là avremo la visione di Dio; qui crediamo Gesù sotto le specie eucaristiche, là lo contempleremo faccia a faccia come Maria quando si incontrava con il suo Bambino, con Gesù, con il suo Figliuolo, durante la vita terrena.
La vita presente deve comprendere sempre la vita futura. Qui la vita presente è per irrobustire la nostra fede e stabilire il nostro essere in Dio. Là si godrà e si starà in quel punto di vitalità in cui saremo arrivati per mezzo della vita presente. Considerare quindi la vita presente e la vita futura come una sola vita. Perciò, preparazione alla vita eterna: una fede sempre più profonda e il nostro essere sempre meglio al servizio di Dio. Per questo la preghiera deve sempre abbracciare la mente, il sentimento, la volontà e tutte le attività della giornata.
La preghiera non è una cosa che sta a sé, senza influenzare il rimanente della giornata. La preghiera è come il sangue, il quale parte dal cuore, ma va a nutrire tutte le membra: le mani la testa, in sostanza tutte le nostre membra. La preghiera deve avere influenza sull’apostolato, sulla ricreazione, sullo studio,
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su tutto quello che si fa, su tutte le relazioni che si tengono, in sostanza su tutta la nostra giornata. È come il sangue che deve entrare in ogni parte del corpo. Quando c’è una paralisi, il sangue non affluisce più, supponiamo, in un braccio, e allora la vita si riduce; non fluisce più in una gamba, e allora, ad esempio, tutta la parte destra del corpo è inutilizzata, è come un peso.
Quindi, non considerare mai le pratiche di pietà a sé; non considerare mai la preghiera solamente come l’uso delle labbra, né soltanto una lettura, uno studio; neppure la preghiera si può ridurre solo all’esame di coscienza, a impegnare la giornata. È tutto il nostro essere che deve santificarsi. La grazia ha da entrare dappertutto. Perciò è chiaro che chi fonda la sua spiritualità sulla Bibbia, ha una preghiera intera, completa quella che piace a Dio. Non entrano in noi solamente le verità, né si dicono solo delle orazioni, ma entra l’insegnamento, la pietà, la riforma della vita, l’apostolato, tutto, perciò è da escludere quel restringersi a una spiritualità monca.
Le Paoline non hanno una spiritualità ridotta. Si parla della spiritualità benedettina, francescana, domenicana, ecc. La spiritualità deve essere cristiana, e cioè deve comprendere tutto quello che Gesù ha detto e insegnato. Diventare sempre più cristiani, vivere il cristianesimo integralmente. Le cosiddette spiritualità varie, se ne enumerano una quindicina, guardano Gesù soprattutto sotto un aspetto. Invece il carattere della spiritualità paolina è quello che ci ha spiegato S. Paolo, perciò tra i libri della Scrittura si deve leggere molto quello che S. Paolo ha detto e ha scritto. Vi sono discorsi suoi negli Atti degli Apostoli, e quello che ha scritto, tutti lo sanno, sono le Lettere. Più di tutto si deve guardare la sua vita, il cristianesimo come S. Paolo lo ha presentato, lo ha inteso, lo ha predicato e lo ha trasfuso, immesso nelle lettere che ci ha lasciate. Guardarsi dal ridurre la spiritualità soltanto a un determinato aspetto del cristianesimo. Vivere il cristianesimo integrale, avere una vita, una pietà, una spiritualità cristiana3.
Vi sono state tante cose nella storia: condizioni di tempo e di persone che hanno ridotto il cristianesimo a una parte,
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ma questo non ci porta direttamente e pienamente alla santità. Gesù Cristo non ci ha dato solamente delle verità, e non ci ha dato qualche esempio, ma ci ha dato tutto quello che è necessario perché noi, vivendo in lui, siamo a lui fratelli, figli dello stesso Padre: «Et si filii et haeredes: E se figli eredi»4 anche noi della stessa gloria che il Padre ha dato al Figlio suo. «Venit hora, clarifica Filium tuum»5, così che noi ci troviamo in relazione con il Padre attraverso lui, vivendo lui. Per questo ci ha dato la Comunione, lo stesso cibo, perché siamo anche noi figli. Il cibo che egli ci dà è la sua carne, è se stesso.
Vivere il cristianesimo pienamente! Neppure pensare che si debba solo far centro e solo mirare alla povertà, castità e obbedienza. Questi voti che noi facciamo sono mezzi per vivere meglio queste tre virtù. E tutte le altre virtù cristiane? E tutte le virtù naturali? Vi sono persone che credono la vita religiosa tutta una esteriorità di abito, di orari, di vita appartata. E le virtù naturali? A volte manca la sincerità, quindi non si ama la verità. A volte non si ama il prossimo veramente, non si ha rispetto delle persone, e specialmente delle persone con cui si convive. Non si ha rispetto né amore rispetto alla fama, e quindi critiche, mormorazioni. Non si ha rispetto della persona, perché si guarda solo sé stessi o i beni che ha il prossimo, e [non si bada agli] altri che soffrono o che non si trovano bene con noi per il nostro carattere.
Persone che non tengono i desideri e i sentimenti a posto: orgoglio, stima esagerata. Quando non si ama la verità, si giudica noi stessi come se le cose che abbiamo fossero nostre, mentre sono di Dio. Ingiustamente si fa il paragone con gli altri, se si è più avanti oppure se gli altri hanno difetti per cui possono essere considerati inferiori.
La legge naturale quindi: osservanza delle promesse, osservanza dei voti fatti a Dio, impegno per occupare bene il tempo, per compiere l’ufficio che ci è dato. Obbedienza, perché siamo in società, e l’obbedienza comincia verso i genitori e poi deve continuare in quello stato in cui siamo entrati, dove
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l’autorità di Dio si deve rispettare. E così riguardo alle fantasie interne, all’uso del tempo nello studio, nelle attività di apostolato; al rispetto del corpo, alla delicatezza; al rispetto della roba altrui: settimo comandamento, che è legge naturale.
Persone che distinguono e non finiscono di discutere fino a che punto obblighi il voto di povertà, e poi fare furti proprio contro il comandamento: usano delle cose, magari del denaro, come se fossero cose proprie, mentre non lo sono, perché sono dell’Istituto. Far regali, fare doni di cose che non sono nostre. Persone che non tengono a posto i pensieri. Non desiderare questo, non desiderare quello, come risulta dai comandamenti. Ed è uno sbaglio grosso questo: non si recitano i comandamenti. Se non c’è la legge naturale, non c’è nemmeno la legge cristiana, non c’è la legge canonica, la legge che governa gli istituti religiosi, non c’è la perfezione. Allora si può violare qualunque voto, se non sappiamo che il voto comporta anche un obbligo naturale.
Perciò una preghiera intera che abbracci tutta la vita, che porti a pensare come Gesù Cristo nelle Beatitudini6: «Beati i poveri in spirito… beati coloro che soffrono». Una preghiera intera, che comprenda la mente, il cuore, la volontà, che comprenda tutta l’attività della giornata e la vita presente in relazione alla futura, perché se uno studia, deve studiare per la vita, non per sapere e gloriarsi di sapere, questo è vanità, come dice S. Bernardo7. Vanità di certi studenti! Lo studio è per la vita, la vita è per l’eternità. Tutto deve essere ordinato all’eternità. Se di una materia non ho bisogno nella vita, non ne ho bisogno. E così riguardo all’eternità: se una cosa non mi serve per l’eternità, non la faccio, e se invece mi serve per l’eternità, io la farò nel modo più completo, nella maniera che piace al Signore, così da perfezionarmi e poter giustamente entrare fra le schiere celesti, in cielo, nell’eternità. E se non sono ancora abbastanza purificato, perché vi sono ancora tante cose, o nell’interno o nell’esterno che non piacciono al Signore, allora ci vuole l’emendazione, la purificazione.
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Il cristianesimo ha poi una legge di mortificazione: «Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso8. Se vogliamo essere preparati ad entrare nell’eternità, bisogna che rinneghiamo noi stessi per entrare nell’eternità felice, prendiamo la croce e la portiamo. Ma prima essere veramente persone, cioè gente che rispetta la legge naturale, perché i comandamenti, eccetto una parte dispositiva, sono tutti di legge naturale. Allora, una preghiera vitale, che vuol dire totale, intera: sia tutto l’essere che prega, e tutto l’essere ordinato all’eternità, poiché la vita presente è ciò che sono gli studi nella giovinezza, in ciò che dobbiamo fare e sapere per la nostra vita futura.
Vediamo un po’ allora in un buon esame se la nostra preghiera è veramente vitale, oppure se è una cosa che si fa come un’altra, come andare a passeggio. La preghiera ben fatta è come il sangue che, se è sano, nutre tutte le parti del corpo, porta la vita, l’attività. E non ci sia qualche ostacolo per cui il sangue non possa fluire, come avviene, ad esempio, in un paralitico.
Com’è la nostra preghiera? Sia che si chiami vocale, mentale, affettiva, preghiera di semplicità o di quiete o di raccoglimento infuso, oppure di unione semplice, di unione estatica, di unione trasformante, non si potrà mai arrivare agli ultimi gradi, se la nostra preghiera non è totale, non è vitale; non si arriverà mai! Separare l’apostolato dalla preghiera com’è possibile? È come avere un membro importante che non riceve l’influsso del sangue. Questo è così generale che dovrebbe considerarsi in un mese di meditazioni, ma con un buon esame di coscienza, qualcosa si farà, a qualcosa si arriverà.
Un buon esame di coscienza sulla nostra preghiera: Com’è? È vitale? Oppure è come un cassetto dove si mette qualcosa, e magari lì si mette la biancheria, si mettono i libri e si lasciano. E quello sta al suo posto, ma non ha influenza, non entra in tutte le parti e in tutte le attività della giornata. Troppe persone religiose mancano su questo punto, particolarmente perché non partono dalla legge naturale e dal vero amore che dobbiamo avere noi stessi perché tutto sia utilizzato in ordine alla vita eterna.
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Domande: Come preghiamo? La nostra preghiera ha vera influenza nel miglioramento della vita? La nostra orazione abbraccia tutto il nostro essere, cioè mente, cuore, volontà e attività? Viene ordinata all’eternità? Ci siamo formati un’idea vera della vita: come spenderla per l’eternità? Siamo persuasi che la vita deve essere conformata al volere di Dio, perché possiamo a suo tempo ricevere la ricompensa? Poiché Dio paga soltanto quello che si fa secondo la sua volontà. Quando entra il nostro volere, noi stiamo lavorando contro di noi, a nostro danno.
Propositi. Se la meditazione non ha nessuna influenza su tutta la giornata, allora non è completa. È una pratica. Come, ad esempio, se uno andasse a una processione. Dev’essere tutto vitale.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 16 novembre 1960. Trascrizione da nastro: A6/an 87b = ac 148a.

2 Cf Gv 6,54.

3 Cf AD 93-100 e 159-160.

4 Cf Rm 8,17.

5 Cf Gv 17,1: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo…».

6 Cf Mt 5,3-10.

7 Cf S. Bernardo, In Cantica, serm, XXXVI, 3: PL 183, 968CD.

8 Cf Mt 16,24.