Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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21. DESCRIZIONE DEI CARATTERI1


Una persona che scusa uno scatto [dicendo]: Eh, questo è il mio carattere!. Vi è sempre ragione di scusarsi circa il carattere? Il carattere occorre che a poco a poco, con lo sforzo e con la grazia, soprattutto con la grazia, noi veniamo a dominarlo. S. Francesco di Sales è passato alla storia, e ancora adesso, come il santo della dolcezza, eppure aveva un carattere sanguigno, molto sanguigno. Ha corretto il suo carattere con lo sforzo e la preghiera. Così si può dire di altri santi che hanno dominato il loro carattere, per esempio S. Luigi Gonzaga2 era nervoso di natura, ma come ha dominato il suo carattere! Anche S. Teresa del Bambino Gesù3 e altri, che non sono ancora agli onori degli altari, come Pascal4. Ci sono tanti santi che avevano, per natura, un carattere difficile, ma sono riusciti a dominarsi a poco a poco con lo sforzo, insistendo sempre sui medesimi propositi, imponendosi anche una penitenza quando c’era stato un eccesso, quando il carattere prendeva il sopravvento. Continuando poi a detestare, a pregare e vigilare. Ad esempio, il carattere sanguigno è un carattere che porta facilmente alla irascibilità. È un carattere che ha tanto del buono, perché in generale è franco, generoso, pronto anche nelle cose difficili. Tuttavia ha anche degli inconvenienti, come intraprendere una cosa e non riflettere abbastanza, e abbandonarla quando incontra difficoltà.
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Ogni carattere ha il suo buono e il suo cattivo, ha i suoi vantaggi e i suoi pericoli. Perciò, conoscersi! Generalmente adesso gli autori tendono a distinguere i caratteri, come già li distinguevano una volta, in quattro specie: flemmatico, collerico, nervoso e sanguigno5. Occorre pensare che il carattere è qualcosa di insito nella natura. Correggerlo del tutto sarà ben difficile, ma occorre renderlo innocuo e farlo servire invece al bene. Questa è l’opera che tutti possiamo tentare e con riuscita buona, se c’è l’impegno: dominare il carattere. Ognuna deve fare un po’ di esame sul suo carattere, e quando si è caduti in un eccesso, non portare la scusa che si è fatti così, perché il carattere è quello.
Il carattere sanguigno porta sempre all’incostanza: cambiare propositi, cambiare confessore, cambiare anche i libri di lettura spirituale. Ha tanto del buono, perché è franco, generoso, pronto, ma è incostante. Quindi bisogna combattere l’incostanza e sempre insistere sugli esami di coscienza, affinché, a poco a poco, ci sia una stabilità di lavoro. Perché se uno prende dieci lavori in mano e ne cambia uno tutti i momenti, allora non riesce né il lavoro spirituale né l’ufficio che gli è assegnato, il lavoro, l’impegno, l’apostolato che gli è stato affidato. Sta bene conservare la franchezza, la sincerità, l’apertura di cuore, però nello stesso tempo bisogna dominare l’incostanza, tanto più che il carattere sanguigno porta anche alla sensualità. Allora c’è da resistere. Con questo carattere si commettono poi tante imprudenze, perché non si vigila abbastanza. Si parla prima di aver pensato, qualche volta si offende anche la persona con cui si tratta e di cui si tratta.
Il carattere nervoso è piuttosto chiuso, inclinato alla malinconia, al pessimismo, non decide mai, sempre pensa, riflette e si spaventa delle difficoltà; va avanti indeciso e alla sera magari ha concluso poco, perché non si è messo in una cosa con generosità. Il carattere nervoso inclinato al pessimismo, bisogna correggerlo. Chi ha l’incarico, deve creare nell’anima, nel sentimento di colui che è nervoso un certo ottimismo, e portarlo
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a decisioni, alla prontezza nelle cose. Ci sono persone che così inclinano anche allo scrupolo e non si aprono bene, perché questo carattere porta al pessimismo, alla riflessione, e conservano a lungo anche un poco l’odio, l’invidia e il risentimento. Tutti gli avvisi, le correzioni o le istruzioni che vengono date finiscono sempre, o quasi sempre, per lo più in nulla, perché sembra che non siano capiti e, anzi, dentro hanno altre convinzioni e sofisticano sopra i consigli ricevuti. Così portano avanti il loro male. La convivenza con questi caratteri è difficile. In una comunità bisogna correggersi. Quante volte si sorprendono assorti nei loro pensieri oscuri, mentre in comunità occorre convivenza buona, socievolezza religiosa e quella gentilezza e rispetto, quella prontezza anche nel servire e meditare.
Stamattina ho voluto ricordare particolarmente questi due caratteri. Crearsi una certa fiducia in Dio non solo con la preghiera, ma anche nelle proprie forze. Tanto non riesco, e allora il diavolo ha già fatto una grande vittoria se persuade un’anima a dire questo. L’anima neppure tenterà di riuscire e si adagerà nel suo pessimismo, e così una certa tristezza e anche una certa viltà entra nello spirito, perché non vi è coraggio. Il coraggio, si dice, uno non se lo dà6. Ma può darsene anche un po’! Soprattutto ci vuole la preghiera. Il coraggio aiuta anche la salute. Quando ci si abbandona alla tristezza, si ha sempre un riverbero o una certa influenza sulla salute stessa e sulle cure che si fanno, a causa del pessimismo.
Non un ottimismo vano, inutile, ma noi l’ottimismo dobbiamo sempre averlo, perché ci appoggiamo su Dio: Da me nulla posso, con Dio posso tutto7. Anche quando si è perduta una battaglia se ne può vincere un’altra. Se a colazione hai commesso quella imperfezione, non abbandonare il lavoro interiore, altrimenti nel giorno si ripeteranno tante imperfezioni.
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Subito rialzarsi, subito riprendersi. Un atto di umiltà e un atto di fiducia in Dio. Di umiltà perché: Sono così. La terra ha dato il suo frutto, cioè il mio carattere ha dato il suo frutto. Ma oggi vigilerò di più. Allora una comunione spirituale, rimettersi a posto in Dio, e prima che sia sera avrai fatto tante vittorie. Invece se ti abbandoni e tralasci l’impegno, il lavoro, la preghiera, tu sarai di peso per tutta la giornata anche su gli altri. Il tuo volto non sarà accogliente, non porterà serenità e concluderai con l’andare a riposo con una certa tristezza. Giornate vuote!
No, questo non capita certamente a voi, tuttavia occorre vigilare perché, anche senza che si abbia quel certo carattere, tuttavia si è un poco inclinati ad abbandonare il lavoro spirituale che si era intrapreso. Dunque, da una parte, specialmente per il sanguigno, creare una certa robustezza di decisioni e perseveranza. Perseveranza! Anche se si è stati vinti, si torna alla battaglia. Perduta una battaglia se ne guadagna un’altra. D’altra parte, per chi è inclinato alla tristezza, alla malinconia, al pessimismo, è necessario farsi una certa violenza: sperare contro ogni speranza, contro la speranza, e cioè vedo che da me non posso, ma con Dio posso. «Contra spem in spem credidi: Contro ogni speranza sperare8.
L’apostolo S. Pietro era sanguigno, era sempre pronto a rispondere subito, e ogni tanto Gesù gli dà la voce9: «Eh, se dovessi anche andare in carcere e morire con te, non ti abbandonerò10. «Sta buono, dice Gesù, prima che il gallo canti due volte tu mi avrai rinnegato tre volte11. Allora ha abbassato la testa. Ma intanto, lavorando interiormente, si è fatto santo. E così S. Agostino12, e così S. Teresa d’Avila13.
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Invece S. Giovanni apostolo era di carattere nervoso. Si nota anche quando nell’ultima cena poggiò il suo capo sul petto adorabile di Gesù, perché il nervoso tarda sempre ad esprimersi, e fa più atti che parole. Si è fatto santo come anche S. Luigi Gonzaga e altri santi. Quindi ogni carattere ha del buono e ogni carattere ha del non buono o del meno buono. Far rendere ciò che è buono, correggere ciò che non è buono e perseverare in quelle decisioni che si sono prese.
Però, ciò che in generale toglie di più la volontà, la fermezza è il chiudersi, lo scoraggiarsi. Il più brutto diavolo dell’inferno è lo scoraggiamento che occorre vincere. Tanti santi hanno vinto. Si può, con qualsiasi carattere, diventare degli eroi in santità, tuttavia a tutti è necessario lo sforzo e la preghiera costante che ci aiuta a trionfare su noi stessi. Tuttavia l’impegno per conoscere noi stessi non si riduce soltanto a ciò che è il nostro spirito, che sono le nostre debolezze o le nostre qualità spirituali, intellettuali, ma anche a conoscere il nostro temperamento. È diversa la condotta di un’anima nel suo lavoro spirituale quando ha un temperamento e quando ne ha un altro. Anche la direzione spirituale e l’auto-educazione deve essere diversa. Conoscersi nell’interno, nell’indole, nel temperamento, in quelle inclinazioni a cui siamo più soggetti, e utilizzare tutto togliendo quello che non è buono.
Guidare il carattere è necessario specialmente per i religiosi e per le religiose che vivono in comunità. S. Teresa, a proposito delle nervose, diceva che non avevano vocazione, ma intendeva quelle che erano un po’ nevrasteniche e un po’ stravaganti. Allora, è chiaro: non ci sono segni di vocazione, perché non si può fare vita di comunità. Vivrebbe in pena chi ha questo carattere e vivrebbe in pena tutta la comunità nel sopportare. Attenti però a non scusare così facilmente il nostro carattere. A volte lo si asseconda così che crescendo negli anni uno cresce nelle intemperanze e il carattere finisce con il dominare. E allora si fa da una parte la pietà e dall’altra parte si asseconda la tendenza, l’indole, il temperamento. Ma così non si può raggiungere la santità. Bisogna che noi preghiamo, pregare per vincerci. Non basta insistere per un anno o due, bisogna insistere per molto tempo: anni, anni, anni,
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come S. Francesco di Sales che per acquistare quella dolcezza ha combattuto per diciotto, vent’anni. Non scoraggiamoci, il Signore ci guarderà con amorevolezza quando ci vede di buona volontà e ci darà la sua grazia sempre più abbondante. Quindi concludo la meditazione con ottimismo: posso dominarmi.
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1 Meditazione tenuta ad Albano Laziale (RM) il 27 settembre 1960. Trascrizione da nastro: A6/an 86a = ac 145a.

2 Luigi Gonzaga (1568-1591), nato a Mantova da famiglia principesca. All’età di diciassette anni rinunciò al principato ed entrò nella Compagnia di Gesù. Morì di peste contratta servendo i malati.

3 S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (1873-1897) nata ad Alençon, in Francia, carmelitana nel monastero di Lisieux, Dottore della Chiesa e patrona delle missioni.

4 Blaise Pascal (1623-1662), matematico, fisico, filosofo e teologo francese, in seguito ad una esperienza mistica, dopo un incidente in cui aveva rischiato la vita, abbandonò matematica e fisica per dedicarsi alla riflessioni religiosa. Tra i suoi scritti ricordiamo: Pensieri.

5 Cf Antonio Royo Marin, o.c., Libro II, cap. IV, nn. 499-506; cap. V, nn. 507529, pp. 957-966.

6 “Il coraggio uno non se lo può dare”. Frase pronunciata da don Abbondio nel dialogo con il cardinal Federigo Borromeo. Cf Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XXV.

7 Invocazione che Don Alberione ha ereditato dalla spiritualità di S. Francesco di Sales, che accompagnava il segno della croce sulla sua persona dicendo: Da me nulla posso; con Dio posso tutto; per amore di Dio voglio far tutto; a Dio l’onore a me il disprezzo. Don Alberione cambiò l’ultima espressione con: … a me il paradiso. Cf LP, ed. 2011, p. 24.

8 Cf Rm 4,18.

9 Modo di dire che significa: rimproverare, richiamare.

10 Cf Mc 14,29.

11 Cf Mc 14,30.

12 S. Agostino, (354-430), nato a Tagaste in Tunisia. È uno dei quattro Padri della Chiesa d’Occidente. Divenne vescovo d’Ippona (391). Fondò l’Ordine degli Agostiniani. Scrisse numerose opere tra cui Le confessioni, De Trinitate, La Città di Dio.

13 S. Teresa d’Avila (1515-1582), monaca carmelitana spagnola, maestra di vita spirituale, Dottore della Chiesa. Riportò il suo Ordine alla regola primitiva. Tra i suoi scritti: Il libro della mia vita, Castello interiore, Cammino di perfezione, Fondazioni.