Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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29. UNIONE CON LA SANTISSIMA TRINITÀ1


...2 questa: migliorare la nostra preghiera. Una preghiera piena di fede, una preghiera piena di speranza, soprattutto una preghiera di carità ardente, che sta nell’abbandono sereno, tranquillo nelle mani di Dio, come riposava Gesù Bambino tra le mani e sulle braccia di Maria. Un abbandono sereno, tranquillo, costante, anche se la natura si ribella un po’, ed è chiaro, naturale che qualche volta la natura si ribelli, ma la fede, la grazia di Dio tranquillizzano il nostro spirito. Migliorare la preghiera.
S. Francesco di Sales dice che c’è anche un modo facile per arrivare ai più alti gradi di orazione: stare alla presenza di Dio. Questo lo insegnano i santi Padri e la Bibbia: «Ambula coram me et esto perfectus», dice il Signore ad Abramo, «Sta alla mia presenza, sarai perfetto»3, ti farai santo.
Stare alla presenza di Dio in chiesa dove c’è anche la presenza sacramentale di Gesù, con la sua anima, il suo corpo, la sua umanità. Stare alla presenza di Dio ovunque, sia a tavola o in ricreazione o a riposo, sia che ci troviamo in difficoltà o più sollevati, più consolati: ovunque Dio ti vede.
Stare alla presenza di Dio. Ci sono cinque modi di presenza di Dio, dice la teologia4, ma due ci interessano praticamente per migliorare la preghiera, primo la presenza esterna di Dio: Dio purissimo spirito sempre ci vede, e vede i pensieri e il cuore. Non che vede solo se uno sta composto con la sua persona o a letto o in cappella, ma Dio vede se è composto il nostro spirito, la nostra mente, il nostro cuore se è a posto. Quando si va da una persona importante, per esempio davanti al Papa,
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generalmente ci si mette a posto, ci si presenta meglio esteriormente e si sta in maniera decorosa. Ma l’esterno non basta, ci vuole la compostezza interna: sia a posto la fantasia, la memoria, il cuore, la mente e tutto l’interno. Dunque la presenza di Dio esteriormente considerata, sebbene Iddio penetri tutto il nostro essere, e se per un momento cessasse di sostenerci, noi cadremmo nel nulla. C’è un autore che spiega questo e dice: Se per impossibile, è un’espressione che sembra un po’ strana, il Signore si addormentasse un’ora, quando si sveglierebbe poi, non troverebbe più le creature, perché se egli non le sostiene continuamente, cadrebbero tutte nel nulla. Come dal nulla è stato creato il mondo e come dal nulla noi siamo venuti. La presenza esterna di Dio che ci vede continuamente e penetra l’anima nostra che è dentro il nostro cuore.
Secondo, l’inabitazione della SS.ma Trinità in noi. Non soltanto l’esterno, ma Dio in noi, la Trinità in noi, così che noi diamo ospitalità al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo. La Trinità è in noi. È in noi Gesù sacramentalmente quando si fa la Comunione, e la presenza sacramentale dura poco, ma rimane la SS.ma Trinità. E l’anima dà l’ospitalità, accoglie il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Allora l’anima si deve considerare un tabernacolo vivo, non di marmo. Non ci sarà tanto freddo da essere paragonati al marmo, ma un tabernacolo vivo e caldo di amore, dove sta la SS.ma Trinità che è in cielo e che è nel tuo cuore. Nella tua anima è ospite il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.
Questa è cosa divina, perché ci rende tanto lieti: siamo già con Dio. Rimane che Dio ci si sveli come se ci si svelasse Gesù. Qualche santa ha visto Gesù Bambino tra le mani del sacerdote dopo la consacrazione: la SS.ma Trinità abita nell’anima in grazia. Solo il peccato grave può cacciare la SS.ma Trinità. Che ingiuria sarebbe! Cacciare Iddio, cacciare il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo!
La SS.ma Trinità dunque abita nell’anima come in un tabernacolo caldo e vivo. Allora se tu preferisci considerare Dio che sta con il suo occhio sopra di te, ti ascolta e sente i palpiti del cuore e vede quello che pensi, quello che desideri, ecc., se ami più considerare così Iddio presente, fa’ pure. Può essere
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che un’anima trovi più facile stare alla presenza di Dio in questa maniera. Ma vi sono anime che fanno, come dice la vita di una certa santa5, non ancora canonizzata, ma considerata come un’anima privilegiata: Star dentro! dice, Star dentro!. Che cosa vuol dire andar dentro e star dentro? Vuol dire andare incontro alla Trinità e stare con la Trinità che è nel cuore. Questo è un altro modo di stare alla divina presenza e a volte vien facile e a volte è un po’ più difficile, ma dipende dallo stato d’animo, dallo spirito, dalla disposizione e anche un po’ dalla nostra psicologia.
La presenza di Dio considerata esteriormente: Dio mi guarda. La presenza di Dio nell’anima: Padre, Figlio e Spirito Santo sono in me; io devo vivere in comunicazione continua, in una continua comunione spirituale con la Trinità, con Dio. E allora si dice al Padre che guidi la volontà nei propositi, nei voleri di Dio, nei voleri suoi; si dice al Figlio che guidi i nostri pensieri, la testa, la mente! E si dice allo Spirito Santo che dia al nostro cuore palpiti di amore di Dio e per amore per anime, amore al prossimo, cioè dia al nostro cuore i palpiti del Cuore sacratissimo di Gesù. Allora l’anima è in una condizione particolarissima. Se c’è una grossa spugna e viene buttata nell’acqua, la spugna è tutta penetrata dall’acqua. Se la pesate prima, forse pesava pochissimo, ma se la pesate dopo che è stata nell’acqua… ecco.
Così l’anima che vuole vivere in questa presenza di Dio, presenza interiore che viene dalla certezza, non è un’immaginazione, ma è di fede, come è di fede la presenza esterna di Dio, così è di fede la presenza della Trinità in un’anima che è in grazia di Dio. Non ci figuriamo una cosa che non esiste davanti a noi, ma che è reale e viva in noi. Allora l’anima resta tutta impregnata dall’azione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, come una spugna, cosicché finisce con il vivere di unione, ora un po’ più con la volontà, ora un po’ più con l’intelligenza, ora un po’ più con il cuore, unione con la Trinità, con
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il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo. Ed ecco che siamo già a un alto grado di orazione.
Si può allora arrivare con facilità anche alla preghiera trasformante. Del resto questo conviene con la frase di S. Paolo che deve sempre essere adoperata nel senso giusto: «Vivit vero in me Christus6. Siamo così pienamente nella dottrina della Chiesa e nella realtà delle cose soprannaturali, le più belle, le più alte.
Dunque due modi di tenersi alla presenza di Dio: considerare il Signore che guarda ciascuno dei suoi figli amorosamente con i suoi occhi, tenendo l’occhio fisso non solo sull’azione esteriore che facciamo, ma sulla volontà, sul cuore, sui sentimenti interiori, sui pensieri che abbiamo, su quanto la nostra fantasia riproduce, ecc.
Oppure quando si arriva a considerare l’inabitazione del Signore in noi: prima produce un certo effetto esterno, poi un effetto più interno. Ad esempio, quando uno sta alla presenza di Dio, considerata esteriormente o interiormente, non sta mal composto con il corpo, ma sta sempre ben composto anche esteriormente, sia solo o in compagnia. S. Francesco di Sales, che spiega bene la presenza di Dio, diceva: Bisogna stare composti sia quando si è alla presenza di persone importanti, sia quando si è soli. Allora, il suo ammiratore, mons. Camus7, volle fare un’esperienza su di lui e fece nella porta della sua camera dei bucherelli per guardare come stava S. Francesco quando era solo. E dice: Non l’ho mai visto con una gamba sull’altra, né una gamba a cavalcioni, né con la testa appoggiata alla mano, al braccio, né in altra posizione, sempre com’era quando si presentava in pubblico. Così privatamente, decorosamente8.
Questo però è esterno, ma quando si sta alla presenza di Dio si mette a posto anche l’interno, perché Dio non vede solo
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se uno sta con le mani conserte o se sta con le gambe incrociate. Allora il decoro interiore. Dice S. Francesco: Stare alla presenza di sua maestà, di Dio, composti interiormente. E dice altre parole ma il senso è questo: interiormente ed esteriormente.
Quando uno considera la presenza di Dio, in quanto Dio abita nell’anima in grazia, questo è per le anime che vivono in grazia, perché l’inabitazione di Dio in noi vi è quando siamo amici di Dio, cioè non c’è il peccato grave. Allora dare una buona accoglienza al Signore, alla SS.ma Trinità e lasciare che il Padre vada nella volontà, il Figlio nell’intelligenza, lo Spirito nel sentimento e nel cuore, e operino in noi cosicché l’anima sta delicatamente: Fa’ tu, che io non sono buono!. Come se una dovesse curarsi da sé in certe applicazioni di medicine o in certe direzioni, finisce con il dire all’infermiera: Fa’ tu, che io non sono capace!. Lasciare che il Signore operi.
State in pace, pensate che con la grazia dell’Immacolata crescerete un po’ nel miglioramento della preghiera, dell’orazione semplice, e considerate che la presenza di Dio in quel modo è già un grado un po’ più alto se è continuo, se si sente questa presenza di Dio.
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1 Meditazione tenuta ad Albano Laziale (RM) il 25 novembre 1960. Trascrizione da nastro: A6/an 88a = ac 149a.

2 Mancano le parole iniziali.

3 Cf Gen 17,1.

4 Cf Antonio Royo Marin, o.c., n. 475, pp. 915-916: 1) Presenza di immensità; 2) Presenza di inabitazione; 3) Presenza sacramentale; 4) Presenza personale o ipostatica; 5) Presenza di inabitazione.

5 Elisabetta della Trinità (1880-1906), carmelitana scalza francese. Canonizzata da Papa Francesco il 16 ottobre 2016. Nota è sua preghiera: “O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per dimorare in Te, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità…”.

6 Cf Gal 2,20: «Cristo vive in me».

7 Mons. Jean-Pierre Camus (1584-1652), Vescovo di Belley (Francia), scrittore, amico e discepolo di S. Francesco di Sales. Nel 1639 pubblica il volume Lo spirito di S. Francesco di Sales.

8 Cf Giulio Barberis, Vita di S. Francesco di Sales, S.E.I., Torino 1944, pp. 565-566.