Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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20. SANTA TECLA UMILTÀ E PERSEVERANZA1


Oggi è la festa liturgica di S. Tecla2. In questo giorno la Chiesa ci invita alla gioia: S. Tecla è celebrata come la prima martire fra le donne, la prima martire del cristianesimo. Primo martire uomo è S. Stefano. Ci invita alla gioia, particolarmente perché il suo nome è un programma di vita; ma anche la Prima Maestra è un programma di vita. Se ci fosse l’umiltà e la pietà che ha la Prima Maestra, allora si godrebbe sempre veramente di una grande pace interna ed esterna, pur nelle difficoltà che nella vita sono immancabili e che cresceranno se noi siamo buoni. Cresceranno in proporzione dell’età, delle pene che ci meritiamo, perché il Signore le manda a chi sa sostenerle affinché si faccia più santo.
La pietà della Prima Maestra è nota a tutte, non soltanto per la quantità di preghiera, la fedeltà alle pratiche di pietà, soprattutto perché ciò che distingue la preghiera è la qualità. Ciò che ci assicura la vera pietà è la qualità della preghiera. Uno potrebbe avere una bottiglia piena di liquore o piena di acqua, sempre la bottiglia è piena, ma vi è gran diversità fra un liquido e l’altro. Così si possono avere le pratiche di pietà fatte puntualmente, esteriormente, anche migliori forse, fatte da altre sorelle, perché ad esempio, sanno cantare meglio, perché hanno una voce più robusta, si fanno sentire, ma la qualità della preghiera molte volte è tanto diversa nelle disposizioni: disposizioni di umiltà, di fede, di perseveranza nelle stesse domande al Signore finché si è ottenuto.
Fateci santi3, da ripetersi fino all’ultimo momento, quando si sarà inferme, quando si sarà vicino al passaggio dalla vita
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presente alla vita futura. Guardare alla qualità, come bisogna guardare non al numero delle vocazioni, ma alla qualità. Al numero sì, in quanto il Signore può favorirci anche in questo: che il numero sia più grande. Però ciò che importa in primo luogo è la qualità, in secondo luogo il numero. La qualità! A volte una vocazione vale più di cinque e cinque forse non valgono una. Ognuno, certamente, ha i suoi doni, le sue qualità naturali, i suoi talenti naturali, ma vi sono in particolare anche le grazie, le virtù, i doni spirituali.
Ora, vedere come sta la nostra preghiera innanzi a Dio: umiltà, perseveranza, spirito di fede. Nell’Oremus si dice: Tantae fidei exemplo proficiamus4, cioè che noi godiamo della fede così profonda di S. Tecla. La fede nella preghiera ci fa conoscere le nostre necessità, ci fa considerare la bontà del Signore, ci fa abbandonare nelle braccia di Dio. Accettare quello che il Padre celeste dispone, perché la fede non significa soltanto voler ottenere quella grazia determinata, ma in particolare abbandonarsi nelle mani di Dio. Anche dopo aver chiesto una grazia, dire al Padre celeste: Sai meglio di me di che cosa ho bisogno, disponi. Io mi arrendo alla tua sapienza e al tuo amore. Perciò il primo insegnamento quest’oggi: interrogarci come è la nostra pietà, non solamente per fedeltà, ma per la sua qualità.
Secondo, S. Tecla è martire. Ella ha subito le pene dei martìri e i tormenti che sembrerebbe che una donna non potesse sostenere essendo il sesso debole. La sua fortezza emulò la fortezza stessa dei carnefici: ella nel sopportare, loro nel tormentarla.
Non facciamoci nessuna illusione nella vita, tanto meno abbracciando la vita religiosa: si abbraccia la croce. Vi sono tre espressioni che sono racchiuse in una sola frase del Vangelo: «Chi vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua5. Il rinnegamento di noi stessi, vuol dire contraddire le nostre inclinazioni naturali quando non sono buone, e qualche volta anche quando sono buone, ma che, abbracciando
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uno stato di vita, si devono immolare al Signore. Non è che emettendo i voti cessino le tendenze cattive e le tendenze per sé indifferenti se non buone, ma si deve fare un’offerta al Signore. Questa è la prima condizione: Rinnego la mia volontà, rinnego i sentimenti e le tendenze del cuore; rinnego la mia curiosità, le mie preferenze per una cosa o per un’altra, pur essendo cose buone, perché l’obbedienza e la condizione di anima consacrata a Dio, richiedono diversamente.
«E prenda la croce. Rinneghi se stesso, prenda la croce e mi segua». Accettare la croce. Le croci sono sempre tante, quando tuttavia un’anima è ben preparata a portare la croce, il Signore aumenterà in numero e anche in qualità le croci che manda. Certamente chi vuol fare più [del] bene occorre che abbia più pazienza. A volte non sono croci grosse e croci che si vedono all’esterno, come potrebbe essere, per esempio, una malattia, un ufficio che non è gradito, ecc., ma tante cose che si soffrono nell’interno. Non consideriamo la croce sempre un castigo; generalmente per chi si consacra a Dio non è un castigo. Anche se fosse un castigo, è un castigo di amore, cioè è disposto dall’amore di Dio perché si faccia quaggiù la penitenza. Generalmente per l’anima consacrata è un’occasione che la misericordia di Dio offre perché noi possiamo salire più in alto, meritare di più. Orrore alla croce è orrore alla perfezione, è orrore alla santità.
Non possono stare assieme santità e compiacimento, godimento e soddisfazione. Si segue Gesù, e allora la vita di Gesù è tutta una vita crocifissa: Tota vita Christi crux fuit et martyrium6. Generalmente si pensa solo a Gesù quando è elevato alla vista di tutti, crocifisso sul Calvario. Ma la croce cominciò là, nel presepio. Prima ancora, l’umiliazione del Figlio di Dio altissimo, uguale al Padre e allo Spirito Santo, si umiliò: «Propter nos egenus factus est7. Vestì l’umana carne come uomo, e il paragone tuttavia non quadra del tutto e non lo spiega tutto, come se dovesse vivere da bestia. Egli infinito nella sua potenza, sapienza, grandezza, maestà, misericordia
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e giustizia si veste dell’umana carne, di quella terra che ha creato lui, lui sempiterno. Umiliazione profonda! Allora ecco: nell’incarnazione, al presepio, la fuga in Egitto; e poi la continua umiliazione nell’obbedienza a Nazaret, nel compiere un lavoro umile, in tutta la vita pubblica e nella passione e morte. Non guardiamo soltanto a Gesù crocifisso, ma tota vita Christi fuit crux et martyrium, un martirio continuato.
Allora impariamo dalla martire S. Tecla a prendere le nostre piccole croci quotidiane che sono, a volte, qualcosa di insignificante, ma che per la nostra natura inferma subito ci mettono un poco in orgasmo. Farsi religiose e voler godere è una contraddizione. Si viene per riposare? Si sbaglia strada allora. Si vorrebbe che tutto fosse secondo il nostro modo di vedere? Si sbaglia strada. Occorre portare sempre la croce sul petto, appesa al collo, che penda dalla corona, ma non mostrarla soltanto all’esterno, invece portarla nel cuore. Abbracciarla ed amarla, come si può amare una cosa disgustosa, ad esempio bere una medicina che non piace al palato senza lamentarsi, senza dire a tutti che si soffre, senza fare pesare sugli altri la tristezza, senza volere dimezzare la croce. Gli uomini, in generale, non sono buoni a consolare, solo dal Signore viene la vera consolazione, la vera forza. Allora parlarne con Gesù specialmente nella Visita e nel momento in cui si fa il ringraziamento della Comunione.
S. Tecla fu vergine, unì le due glorie, quella della verginità e quella del martirio, quindi il giglio e la palma. Allora ringraziare il Signore della bella vocazione, e si porti fino al paradiso il giglio immacolato, profumato con l’apostolato. Chi fa l’apostolato fedelmente, specialmente chi lo fa con la diffusione nella propaganda, certo unisce in sé, non dico il martirio nel senso in cui generalmente viene compresa la parola, ma nel senso di cui parla S. Francesco di Sales: Sono martiri anche coloro che spendono, consumano la vita faticando per il prossimo, e spendono la loro vita in opere di carità, portando la verità per carità, cioè per amore delle anime. Ecco, è spendere la vita per le anime, quindi in opera di carità. Lì, si può dire, sono compendiate tutte le sette opere di misericordia spirituale, quindi carità.
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Allora se siete chiamate a unire il martirio incruento ma vero, il martirio quotidiano alla verginità, e passare umilmente le vostre giornate, camminare quasi a mezzo capo inclinato, pensando che si è delle anime favorite da Dio, che si è cariche delle grazie di Dio e che il Signore vi ha scelte fra tante. Riconoscenza umile al Signore e avanti nella semplicità!
Difendere sempre il giglio, renderlo sempre più profumato di apostolato e pensare che in cielo avrete doppio onore. Per questo si ha cura e si vive di fede, perché quando la fede languisce non si capisce più niente. Ci sono persone che non capiscono più niente. Da che parte si devono prendere per rialzarle? Non si vede, perché c’è poca fede. Il dono della fede, la virtù della fede è radice di tutto il bene, è radice della pianta, ma se non c’è la radice cosa verrà all’esterno? Una pianta che è stata tagliata da un altro posto e si è messa lì nel terreno. Forse era bella, forse era carica di foglie o anche di fiori, ma di lì a un po’ sarà secca. Di che cosa vive se manca la radice, se manca della radice? Fede! Tantae fidei proficiamur exemplo: Di una fede così grande della santa noi prendiamo l’esempio. Umiliamoci un po’. Ci sono persone che hanno una esteriorità che si presenta bene, ma sono come una pianta che dentro è vuota, è svuotata. Capita qualche volta di vedere questo. La figura esterna è buona, ma nell’interno? L’abito non dà la fede. Spesso si fa un grande errore: la festa e quello che si aspetta è la vestizione. Ma questo è tutto esterno. Occorre la profondità della fede che deve maturare poi in carità.
Sì, una fede profonda, sempre l’atto di fede, sempre il Credo e sempre atti di fede nelle varie occasioni. Nelle pratiche di pietà, prima della Comunione ad esempio, all’inizio della santa Messa, quando si inizia l’apostolato, quando ci si mette davanti a un foglio e considera: Che cosa vuole da me il Signore, che cosa devo dire alle anime? Si sente la vocazione paolina oppure si cammina ai margini? Vi è sempre chi cammina nel centro della strada e vi è sempre chi cammina ai margini della strada. Esaminarsi bene. A volte sembra che camminiamo con le altre, ma dentro, innanzi a Dio, cresce in noi lo spirito di fede e progrediamo in esso? Cresce in noi la speranza e progrediamo nella speranza? Cresce in noi la carità e cresciamo noi
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nell’amore di Dio e nell’amore alle anime? Che cosa vogliamo dare a questo mondo così povero di Gesù Cristo, perché non lo possiede, lui che è la vera ricchezza e la grande ricchezza dell’umanità?
Verrebbe la voglia di fare una digressione, ma non vogliamo distrarci. Godere della festività, prendendo l’esempio della pietà vera che nasce dall’umiltà, dalla confidenza, dalla perseveranza. Considerare la vita religiosa come un quotidiano martirio, specialmente per chi fatica di più in certi ministeri come la diffusione, che praticamente è la parte principale, sebbene l’altra abbia in sé un valore intrinseco.
Custodire, custodire lo spirito e cioè la delicatezza, unire il giglio alla palma. Esame di coscienza! Questi sono insegnamenti vari, ma ciascuno può prendere quello di cui ha bisogno, come a tavola si prende quello di cui si ha bisogno pur essendoci a volte la tavola molto abbondante.
Conclusione: la giornata offerta al Signore sempre con le intenzioni che sono espresse nel Cuore divino di Gesù8, ma ricordando a Gesù che si immola sugli altari, particolarmente la Prima Maestra. Sebbene prendiamo sempre le intenzioni che ha Gesù nell’immolarsi sugli altari, possiamo tuttavia ricordare a Gesù alcuni bisogni, necessità, desideri che ci stanno più a cuore.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 23 settembre 1960. Trascrizione da nastro: A6/ an 86a = ac 144b. Stampata in ottavo con il titolo: Festa di Santa Tecla.

2 Tecla (sec. I) di Iconio (Grecia), discepola di S. Paolo, avrebbe subíto il martirio come raccontato da un presbitero dell’Asia minore negli Acta Pauli et Theclae. È venerata come santa dalla Chiesa Cattolica e Ortodossa.

3 Cf med. 6, nota 9.

4 Imitiamo l’esempio di tanta fede. Cf Oremus della festa liturgica di S. Tecla.

5 Cf Mt 16,24.

6 “Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio”. Cf Imitazione di Cristo, II, XII, 3.

7 Cf 2Cor 8,9: «Si è fatto povero per voi».

8 Cf LP, ed. 2011, p. 17.