Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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39. LA PREGHIERA DI DOMANDA
Condizioni per pregare bene: umiltà e fiducia
Esercizi Spirituali, 6° giorno, I Istruzione, Castel Gandolfo, 11 agosto 19611

Ieri sera abbiamo ricordato che il principale mezzo per cresce-re nella santità - primo articolo delle Costituzioni - e per compiere l’apostolato - secondo articolo delle Costituzioni -, primo mezzo [è] la preghiera.
La preghiera quotidiana: le pratiche che sono stabilite nelle Costituzioni2 e che già fate. Ci sarà, forse, per chi non è ancora abituato a fare la Visita al Santissimo Sacramento, [che] si potrà abbreviare alquanto: quando si è aspirante, ad esempio; oppure, la meditazione può dividersi anche in due parti: in primo luogo vera meditazione e poi preghiera; o la terza parte di rosario da recitarsi individualmente. Ma abituarsi alla preghiera facendo dei passi, in modo tale però che la preghiera non porti così come ad annoiarsi, perché la più brutta raccomandazione riguardo la preghiera è quella di rendere la preghiera pesante… e ci vuole sempre un addestramento anche nella preghiera.
Preghiera, quindi, quotidiana; poi preghiera settimanale: le due Messe e Confessione; preghiera mensile: le prime settimane del mese e il ritiro mensile; preghiera annuale: le nostre Feste e gli Esercizi Spirituali.
Ma, quanto a questo, voi non avete difficoltà: fate tutto volentieri… anzi, con una certa abbondanza… E allora la
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promessa di Gesù: Qualunque cosa chiederete al Padre mio, io ve la darò [cf Gv 14,13; 16,23], ecco; perciò Gesù ancora aggiunse: Domandate e otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto [Mt 7,7; Lc 11,9]… l’ha detto in tante maniere! Cioè: è che preghiamo… perché3 il Signore è buono; specialmente, il Signore vuole la nostra santità: quindi fiducia somma quanto a questa grazia. Pregare, sì… e pregate.
Consideriamo stamattina il pregar bene. Voi pregate e non ricevete perché avete pregato male [cf Gc 4,3], è detto nella Scrittura: allora bisogna pregar bene! Quello che dice il Signore non sono parole di uomini o esagerazioni così per entusiasmare… quello che dice il Signore va preso alla lettera e secondo lo spirito con cui il Signore ha parlato, cioè intenderlo bene: «Petitis et non accipitis, eo quod male petatis», pregate e non ricevete perché pregate male. Oh, è parola dello Spirito Santo! E allora che cosa ci vuole per pregare bene?
Parliamo in generale e poi un po’ in particolare.
In generale, per pregar bene ci vogliono tre condizioni, e cioè: umiltà, fiducia, perseveranza. Notiamo però subito questo, che qui parliamo della preghiera [come] domanda, petizione; non parliamo per adesso delle altre tre parti della preghiera, che è di adorazione e di ringraziamento e di riparazione. Parliamo invece della quarta preghiera4: petizione o domanda, lasciando da parte per adesso la preghiera di adorazione, come pure siete abituate a fare: Vi adoro, mio Dio, ad esempio… E vi ringrazio: preghiera di ringraziamento… e poi riparazione, riparazione del male fatto o nostro o degli altri, e di tutto il male che si fa nel mondo… e Gesù è venuto a ripararlo: e allora chi ha lo spirito di Gesù è anche attento a riparare, fa delle Comunioni riparatrici, eccetera…
Dunque adesso parliamo della preghiera di domanda, la quarta qualità di preghiera. Il Padre nostro è tutto una doman-
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da, ma le tre prime domande riguardano l’onore di Dio, la sua gloria, e le quattro ultime domande riguardano il nostro bene.
Che cosa allora ci vuole per far bene la preghiera di domanda? Ci sia l’umiltà, ci sia la fiducia, ci sia la perseveranza5.
L’umiltà. È anche parola infallibile di Dio questa sentenza: «Humilibus dat gratias, superbis resistit»6 [cf Gc 4,6; 1Pt 5,5; Pr 3,34], dà le grazie agli umili e resiste ai superbi; e chi va a pregare con umiltà, riceve - «humilibus dat gratias» -, se ci sono anche le altre due condizioni… e resiste ai superbi. Chi domanda, si può dire, allarga le braccia oppure piega il capo, abbassa la testa: Non son degno; e d’altra parte esprime tutta la sua fiducia. Dunque, la umiltà in cosa consiste nel pregare? «Humilibus dat gratias»?
Ecco, la parabola che ha raccontato il Salvatore: due uomini andarono a pregare al tempio - sono tutti e due andati in chiesa: il tempio allora era il tempio di Gerusalemme -. Oh! Uno era fariseo e l’altro era pubblicano.
Da notare che la setta dei farisei era quella che si credeva più santa: loro si credevano più santi, perché erano osservanti7 della legge e perché si atteggiavano a maestri degli altri e ostentavano una vita buona. Di essi però il Signore ha detto: Siete sepolcri imbiancati… date il bianco ai sepolcri e poi, dentro, che cosa c’è nel sepolcro? Eh, ci sono ossa, polvere [cf Mt 23,27]… Perché diceva sepolcri imbiancati? Perché attorno a Gerusalemme, e specialmente dato il [tipo di] terreno, [c’erano] molte grotte - e i sepolcri erano per lo più grotte - e davano il bianco perché arrivavano a Gerusalemme tutti i pellegrini e si metteva un po’ in ordine la città e anche gli stessi sepolcri [venivano] imbiancati; ma l’imbiancare non vuol dire che dentro ci sia tutto bello: ossa e cenere, polvere… razza di vipere [cf Mt 12,34; 23,33], anzi!; oppure lavate il bicchiere all’esterno e dentro invece non curate di pulirlo [cf Mt 23,25-26].
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Allora questa setta… E quello che andò a pregare era fariseo, il quale andò su avanti verso l’altare, ritto; poi cominciò a dire: Signore, voi lo sapete, io non sono come tutti gli altri uomini, e anche quel pubblicano che sta in fondo alla chiesa, non sono come loro: sono adulteri, sono ladri, sono disonesti, eccetera, tutti gli altri… Io no: io pago le decime, io osservo il sabato, eccetera… e si lodò. Ecco la sua preghiera! All’incontrario il samaritano8 che stette al fondo del tempio, della chiesa. I samaritani erano considerati la setta cattiva, composta di gente disonesta, gente che non osservava la legge di Dio, eccetera… quindi i farisei li schivavano come se fossero gente appestata a cui non bisogna avvicinarsi, e volevano proprio star lontani; e i samaritani non andavano al tempio, quindi, perché non erano accolti. Oh! Come pregò? Signore, abbi pietà di me che son peccatore. E stava giù inginocchiato con il capo chino e non osava alzare gli occhi al cielo; si picchiava il petto: Signore, abbi pietà di me che son peccatore. E conchiuse, Gesù, che questi tornò a casa santo, cioè giustificato - e la parola giustificato vuol dire santo -, a differenza dell’altro, fariseo, che tornò a casa come prima, anzi peggio di prima, perché aveva non pregato ma aveva raccontato i suoi meriti, e cioè l’orgoglio aveva soddisfatto [cf Lc 18,9-14]. Agli umili [dà le grazie]: perciò a capo chino davanti al Signore: Non son degno.
Secondo, la Chiesa [ci fa dire]: «Agnus Dei, qui tollis peccata mundi: miserere nobis», «Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea»9. La Chiesa vuole che facciamo degli atti di umiltà… e siccome la Comunione è una grazia così grande e bisogna ricavarne i maggiori frutti, allora il Signore vuole che facciamo questo atto di umiltà.
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Ora non si dice più il Confiteor prima della Comunione dei fedeli10: perché? Perché il Confiteor si dovrebbe dire come il sacerdote: cominciando la Messa [prima recita]: «Judica me, Deus, et discerne causam meam…»11, e poi si dice il Confiteor. Prima lo dice il sacerdote per umiliazione: riconoscere i debiti che abbiamo con Dio, le responsabilità, le mancanze: «Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa»12; e poi lo recita, il Confiteor, il popolo. E allora, già recitato, ecco che il sacerdote non ha più bisogno di dire [prima della Comunione]: «Misereatur vestri omnipotens Deus…», perché l’ha già detto in principio; e «indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum…»13 l’ha già detto in principio. Quindi subito l’atto [di] umiltà: «Signore, non son degno, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea».
Quel pagano - notiamo bene che era un pagano - era a capo di una centuria di soldati: centuria vuol dire cento soldati, secondo l’organizzazione dell’esercito di allora. Non son degno che entri in casa mia, perché anch’io non ho osato venire a te, ti ho mandato i miei servi perché non son degno di presentarmi a te - i servi erano ebrei -, io non ho osato presentarmi a te, perché son pagano; ma tu non hai bisogno di venire a casa mia per farmi la grazia, per guarir mio figlio o il servo, ma puoi dire una parola, un comando di lì dove sei. E
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tu sei padrone di tutto: dì una parola e il mio servo sarà guarito! [cf Mt 8,5-13]. E allora questo atto di umiltà. La Chiesa vuole che lo abbiamo quando andiamo alla Comunione con le stesse parole: «Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea». [Si ripete] tre volte: vuol dire che l’atto di umiltà è molto importante! E vi sono persone, specialmente chi ha la divozione a Gesù Maestro, Via, Verità e Vita [che pregano tre volte con questa intenzione]: Non son degno che entri sotto il mio tetto - nella mia anima, vuol dire -, ma dì una parola che sia salva l’anima mia, cioè niente peccati di pensiero e santificazione della mente; secondo, «sub tectum meum»: niente peccati di sentimento e di cuore, ma sentimenti uniformati al Cuore di Gesù; «sub tectum meum» ancora [la] terza volta: niente di azioni cattive, nessun peccato né di lingua né di opere, peccati esterni.
Oh! Ecco, allora si può ricevere la Comunione dopo aver fatto l’atto di umiltà.
Come si può portar l’umiltà alla Comunione? Come si può far la preghiera umilmente? La disposizione che sappiamo: primo, sentire l’umiltà perché ci presentiamo a Dio infinito. Noi siamo piccoli esseri! Dio ha creato il tutto, Dio infinito… Piccoli esseri: oggi ci siamo, domani saremo scomparsi dalla scena del mondo. E ancora di più, peccatori: quel che è più umiliante… Siamo peccatori, non abbiam corrisposto sempre alla tua grazia. E allora l’umiltà: Sono indegno, ma basta che, nella tua misericordia, tu dica una sola parola e sarò salvo.
Ohh! Bisogna andare alla parabola, no, al fatto, meglio… lasciamo la parabola che riguarda il ricco epulone, andiamo al fatto [del]la cananea, donna che era pagana. Sì, anche la preghiera dei pagani può essere esaudita, [può essere esaudito] chiunque prega! Oh! E aveva una figlia grave, gravissima anzi, e va a Gesù e grida; ma gli apostoli si indispettiscono per il suo gridare un po’ ostinato, perché seguiva Gesù per farsi udire; e gli apostoli: Mandala, perché grida dietro di noi e non possiamo più ascoltare la tua parola!. E Gesù rispon-
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de: Lascia ancora gridare…, ma non ascolta14. Ma l’altra si fa avanti, ha coraggio, e domanda, e Gesù dice: Non è lecito, cioè non conviene - non che non sia lecito: Gesù poteva fare per tutti gli uomini… aveva guarito il servo del centurione -. Oh! Le risponde: Non conviene che si prenda il pane riservato ai figli, e si dia ai cagnolini, ai cani. Dunque Gesù la tratta, così sembrerebbe, un po’ male… ma voleva che l’altra si umiliasse bene: è per esempio a noi, questo! Il paragone che non si dia il pane ai cani, che voleva dire ai pagani, e che il pane fosse riservato ai figlioli di Israele, perché? Perché Gesù era venuto a predicare a Israele e non andava a predicare né a operare i miracoli fuori, ma tuttavia l’altra era entrata in territorio della Palestina. Oh! Non conviene che si dia il pane ai cani, ma si riservi ai figli. Ma l’altra si umilia, trovava15 ancora un’umiliazione: Va bene, è certo questo!, lo ammette: era trattata come se fosse un cagnolino, in sostanza. Ma l’altra trova ancora una risorsa nella sua umiltà: È vero! Ma anche ai cagnolini si danno le briciole!. Tu, voleva dire, dai pure il pane abbondante, i grandi miracoli, eccetera, la tua Parola divina ai figli di Israele, ma anche qualche briciola… i cagnolini potranno mangiare qualche briciola caduta dalla mensa dei figli! E allora Gesù è vinto dall’insistenza e soprattutto dall’umiltà di quella donna: Va’, la tua fede ti ha salvato!, e la figlia restò guarita in quel momento.
Persone che non trovano mai una ragione di umiliarsi, perché la cecità viene dall’orgoglio e l’orgoglio fa ciechi… si aiutano l’un l’altro: quando c’è cecità, c’è anche orgoglio, quando c’è orgoglio, c’è anche cecità. E allora l’uno accompagna o l’uno contribuisce all’altro. Eh, ne abbiamo tante ragioni di umiliarci! Perché povere creature, perché peccatori, perché c’è sempre bisogno di grazia, perché, anche se uno fosse già santo, potrebbe domani diventare un giuda. L’umiltà, quindi, in questa disposizione di umiltà nel pregare.
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Secondo, ci vuole poi la fiducia. La fiducia consiste in questo: credere che il Signore ci ascolta; credere a quella parola: Qualunque cosa chiederete al Padre in nome mio, egli ve la darà [cf Gv 16,23; Mt 7,7-11]. Notiamo bene che quando Gesù pregava così, ad ascoltare non c’erano mica solo gli apostoli e i fedeli, ma c’erano anche dei pagani, c’erano dei farisei, dei samaritani, peccatori pubblici… eppure il Signore assicura a tutti: Qualunque cosa chiederete al Padre in nome mio, ve lo darà. Qualunque cosa: quindi siamo sicuri; e - pensate - qualunque cosa.
Secondo: chiedere al Padre, ma in nome di Gesù Cristo, cioè per Christum Dominum nostrum, per i meriti di Gesù Cristo e non per i nostri meriti. L’avrete, ve lo darò, perché lo chiedete al Padre, e il Padre fa passare le grazie per la mano mia, per mano di Maria. Dunque la fiducia: Qualunque cosa chiederete…. Oh! Viene subito l’obiezione: Ma tanti chiedono, non ricevono!. Quando si dice: Avete chiesto male [cf Gc 4,3], vuol dire non chiedere con fede giusta, con fiducia giusta. Ci sono quelli che non hanno la fiducia giusta, la fede giusta nel chiedere: sono quelli che domandano cose o contrarie ai voleri di Dio o contrarie alla salute eterna, due cose. Dio fa tutto per la sua gloria… Quando noi siam condotti dall’orgoglio, vogliam la tal cosa… la tale altra…, e allora, se noi non cerchiam la sua gloria, no! E chi è che cerca la sua gloria? Chi cerca la sua volontà: Sia fatta la tua volontà come in cielo e così in terra [Mt 6,10]. Ma se uno chiede qualche cosa contro la volontà di Dio, eh no!, non lo riceverà mai! Che Dio contraddica se stesso, cioè vuole una cosa che è la sua gloria e noi invece cerchiamo di far bella figura, cerchiamo qualche interesse materiale e la guarigione di questo: e se il Signore lo chiama in paradiso, perché opporsi? Si domanda la grazia, perché [Dio] vuole che domandiamo anche le grazie, ma sempre: Se tu vuoi. Sì, se tu vuoi, o Signore, secondo la tua volontà! La tua volontà è che io preghi, poi il dare questa grazia materiale è se tu vuoi, s’intende! E se tu vuoi che io preghi, se non mi dai quello, mi darai d’altro di meglio!-. E se preghi per quell’ammalata, perché la mamma
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è malata, se non ottieni la grazia della guarigione, otterrai che muoia bene e quindi entri in paradiso, che abbia gli aiuti che sono tanto necessari in punto di morte. Bisogna sempre che sia il volere di Dio… e come noi chiederemmo quello che non vuole Dio?! Che Dio si pieghi ai nostri capricci, alle nostre corte vedute? Vorremo questo, oggi…!, ma non siamo preparati a riceverlo alle volte. Aspetta, continua a pregare; anche se piace al Signore di darcelo… ma non sei preparato!. In sostanza, le preghiere bisogna che siano fatte sempre nell’ordine a Dio, per la sua gloria, secondo la sua volontà, sì, questo: in ordine a Dio, sì, se è la sua gloria.
Oh! Però vi sono due specie di domande che ascolta sempre, se ci son disposizioni; invece, una specie di domanda che non ascolta sempre. Quelle che non ascolta sempre, ho già detto: contrarie alla gloria di Dio e contrarie al suo volere.
E quelle che invece ascolta sempre sono: le domande della sua gloria, cioè [di] conformità alla sua gloria, quello che è secondo la sua volontà. Tu hai la vocazione: se preghi ti dà la grazia di perseverare, perché è di sua volontà. Prega [e] prega, prega ogni giorno, avrai la perseveranza ogni giorno.
La seconda cosa che ci dà sicuro è il fateci santi: quello, certo che lo vuole! Ha creato noi «ut essemus sancti» [Ef 1,4], perché siam santi: allora quello è il suo volere. Pregare che ci dia quello che a lui piace, quella è la sua volontà: è certo che, se ci son le altre condizioni, ce la dà.
Quindi, possiamo mancare ancora noi pregando male, pregando un giorno e poi trascurare… un giorno di fervore e un giorno tutti per terra… no!, ma quelle due grazie lì le dà sempre, eh! E se anche noi non vediamo il modo che ci esaudisce, ce le dà sempre: la gloria sua, la santità nostra. Quelle domande lì, non si dice [a Dio] se ti piace: è già certo che gli piace. Quindi solamente dire: Se piace la mia preghiera, cioè se io la faccio bene.
Quindi, se il Signore ha voluto il vostro Istituto - e l’ha voluto! - per ispirazione, e per volontà della Santa Sede, allora cosa c’è da dubitare? Quindi, lo vuole… ma vuole che si formi, vuole lo spirito giusto, vuole che sia penetrato tutto
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quello che il Signore ha disposto, quello che vuole che si realizzi nel corso degli anni.
Oh! Dunque, sant’Agostino domanda: Quand’è che non si riceve perché domandiamo male? «Quia male petistis?» Perché pregate contro il volere di Dio o contro il bene vostro, la santità16.
Può essere che il Signore lasci un’anima in perpetua umiliazione: l’ha destinata che si santifichi così, perché non tutte le anime si devono fare sante allo stesso modo; come vi sono chiamati allo stato religioso e vi sono chiamati a madri di famiglia, ad essere nella famiglia, così… ma ognuno che faccia il volere di Dio, però! Così vi sono santi che sono destinati a stare sempre nelle fondamenta della casa: umiltà; e altri che son messi più in vista, perché hanno uffici più distinti dove c’è più pericolo di insuperbirsi: e quella è la volontà di Dio, devono farsi santi lì! L’ultima santa canonizzata, quella suora del Veneto17, oh! Nella sua vita… l’Istituto suo dedicato anche ad opere molto distinte nella Chiesa, sì; ma per lei sempre è stato così: cuoca e infermiera, infermiera e cuoca, così! E nessuno [le] dava importanza, tutti esigevano da lei
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come una delle ultime suore; e allora quando c’è una che è sempre servizievole, docile, buona, umile e si adatta a tutto, eccetera… allora avviene così: che quei che sono in questa condizione di spirito, tutti li cercano poi in fondo, nei bisogni, quando hanno poi veramente bisogno; e invece non capita così di chi è in posto più distinto alle volte, o di chi è orgoglioso. Dunque, ecco: uno può farsi santo in un posto, l’altro in un altro. Bisogna dire: Signore, fatemi santo ma nel modo che avete destinato, non solamente… so che è sicuro che mi volete santo, ma nel modo, nel luogo, nell’ufficio che è secondo il vostro volere che avete destinato, sì, che avete destinato.
Si sono stupite dopo la morte che tutti parlassero in bene, che scrivessero la vita, le sorelle: Ma non ci siamo mai accorte che ci fosse tra di noi una suora molto virtuosa!18. Non si sono mai accorti! E intanto, ecco, che chiamano cinquanta testimoni perché approvino le sue virtù - la Santa Sede [chiede] almeno una cinquantina di testimoni: quei che l’han più veduta, conosciuta - e tutti bene e tutti a descrivere le sue virtù… ah! E poi succedono ancora i miracoli… allora? Ecco, la santità è chiara: «Et exaltavit humiles - esalta gli umili -, superbis resistit» [cf Lc 1,51-52; Pr 3,34; Gc 4,6; 1Pt 5,5].
Basta, adesso andiamo poi avanti in questo argomento nella meditazione successiva.
Adesso intanto le due prime condizioni: l’una è l’umiltà e la seconda è la grande fede.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 104/61 (Nastro archivio 97a. Cassetta 97, lati 1/2. File audio AP 097a). Titolo Cassetta: “La preghiera di domanda”.
2 Cf C '58, artt. 209-210. Più avanti cita anche le altre pratiche di pietà: artt. 211-213.

3 Il PM dice: e che cioè.
4 Come è noto, Don Alberione si sta riferendo alla preghiera secondo “il metodo dei quattro fini”, divulgato da san Pier Giuliano Eymard (1811-1867). Cf ALBERT TESNIÈRE, San Pier Giuliano Eymard Fondatore della Congregazione del SS. Sacramento, Ponteranica 1988, pp. 146-151.

5 Della perseveranza, il PM parlerà nella meditazione successiva.
6 Il testo biblico in latino, che cita Pr 3,34 dalla versione dei LXX, è il seguente: «Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam».
7 Il PM dice: osservatori.

8 In realtà si tratta dei pubblicani, ma per associazione con i samaritani, anch’essi mal considerati dai giudei, il PM si confonde.
9 «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi», «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto: ma dì solo una parola e l’anima mia sarà guarita». Cf Missale Romanum, Ordo Missae, Canon Missae.

10 Il 26 luglio 1960 era stato promulgato il nuovo Codice delle Rubriche del Messale e del Breviario. Tra le variazioni, vi era anche quella di omettere la cosiddetta “confessione e assoluzione” (presente già nell’Introito della Messa) che precedeva la Comunione dei fedeli, come spiega ora il PM. Vedi SACRA CONGREGATIO RITUUM, Rubricae Breviarii et Missalis Romani, 503, in AAS 52(1960), p. 680.
11 «Fammi giustizia, o Dio, e difendi tu la mia causa…». È l’incipit del Salmo 42, che veniva proclamato dal sacerdote e dagli altri ministri all’inizio della Messa. Seguiva, poi, il momento della Confessione.
Il PM dice: il sacerdote cominciando la Messa, si risponde.
12 «Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa». Questa espressione del Confiteor si recita battendosi il petto per tre volte.
13/SUP> «Dio onnipotente abbia pietà di voi [e, perdonati i vostri peccati, vi conduca alla vita eterna]… Il perdono, l'assoluzione e la remissione dei nostri peccati [ci conceda l'onnipotente e misericordioso Signore]». Sono le prime parole delle formule di assoluzione che venivano proclamate dal sacerdote dopo il Confiteor e, nel precedente rito della Comunione, anche prima dell’Ecce Agnus Dei e del Domine, non sum dignus.

14 Intende dire: Gesù non l’asseconda nella sua richiesta.
15 Sta per: riceveva.

16 Si legge nel testo di Don Alberione Oportet Orare: «Sant’Agostino afferma che talora non si viene ascoltati nelle preghiere, perché chi prega: o è cattivo, o perché prega malamente, o perché chiede cose non convenienti all’eterna salute: “Quia mali, male, mala petimus”» (p. 252), ossia chiediamo in stato di peccato, chiediamo senza la fede necessaria, chiediamo cose che in verità sono dannose per noi. Cf per questi concetti: AGOSTINO DI IPPONA, Discorso 61/A, Sull’esortazione del Signore: “Chiedete e vi sarà dato”.
17 Si riferisce alla vicenda di Maria Bertilla Boscardin (1888-1922), dell’Istituto Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori, di Vicenza, canonizzata a soli 39 anni dalla sua morte. Nel 1925 si aprì il processo canonico sulle sue virtù, e venne proclamata beata da Pio XII l’8 giugno 1952; l’11 maggio 1961 Giovanni XXIII la proclamò santa. Come sottolinea anche il PM più avanti, un anno dopo la sua morte, erano stati già pubblicati almeno due libri che parlavano di lei: Suor Bertilla delle Suore Maestre di S. Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, Treviso 1923, e Suor Bertilla Moscardin, Omnia vincit Amor, Vicenza 1923; un’altra biografia del 1942, uscita poi in nuova edizione nel 1952 con diverse ristampe, fu di Emidio Federici; nel 1961 fu pubblicato anche il suo Diario spirituale, a cura di p. Gabriele di S. M. Maddalena. L’Osservatore Romano (11 maggio 1961, Anno CI, n. 109, pp. 1, 2), pubblica un articolo, dal titolo Per la solenne Canonizzazione della Beata M. Bertilla Boscardin, dove vengono molto sottolineati i fatti riguardanti gli umili e gravosi incarichi ricevuti dalla santa, il modo eroico in cui ha vissuto la sua “ordinaria” esistenza nell’obbedienza, nella semplicità e nel nascondimento.

18Riportando anche l’affermazione di una sua consorella al processo canonico (Proc. Ord. Summ., pag. 474, § 27), il Federici afferma: «Si deve sottolineare il fatto che tutte le testimonianze, deposizioni, elogi, omaggi, citati e non citati lungo il nostro lavoro, tutto fu postumo alla morte di Suor Bertilla. Anzi, proprio in questo momento in cui esplode il plebiscito di venerazione per lei, è sommamente probativa l’esclamazione di una consorella - non l’ultima per qualifica - “Ma!… neanche se si trattasse [di] una santa!…”» (EMIDIO FEDERICI, Santa Maria Bertilla Boscardin, III ristampa, Isola del Liri 1960, p. 306).