32. QUANDO DIO È CON NOI, COSA CI MANCA?
Commento al Salmo 23: Il Signore è il mio pastore
Esercizi Spirituali, 2° giorno, III Istruzione, Castel Gandolfo, 7 agosto 19611
«Dominus pascit me: nihil mihi deest; in pascuis virentibus cubare me facit»2 [Sal 23(22),1-2]. Parole che vogliono dire: il Signore ci nutre, nutre nello spirito, e pensa pure a quello che è necessario per la vita materiale… la Provvidenza. Nutre cioè tutto quello che a noi occorre come spirito e come sostentamento: la Provvidenza di Dio. Ecco, «nihil mihi deest», non mi mancherà niente; mi conduce a pascoli verdeggianti. Qui il Signore è considerato come il buon pastore che pascola le sue pecorelle: «Ego sum pastor bonus» [Gv 10,11.14].
Abbandonarsi in Dio… D’altra parte, operare: perché un abbandono ozioso non è un abbandono, è pigrizia; perché il Signore ha fatto una legge del lavoro, sì… Anche prima del peccato originale, il Signore, creando Adamo, già gli aveva comandato di lavorare: condusse l’uomo nel giardino terrestre «ut operaretur», perché lavorasse «et custodiret» [Gen 2,15], e lo custodisse. Quando poi è venuto il peccato originale, allora il lavoro mentre prima non comportava3 la fatica di adesso ma era come un sollievo, uno sfogo, un adoperare le facoltà, la salute, il tempo… lavorare, è diventato anche il
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lavoro come un castigo per il peccato: Mangerai il pane con il sudore della tua fronte [cf Gen 3,19]; nessuno è dispensato… anche se è un miliardario, uno molteplice, multimiliardario, è obbligato sempre a lavorare e adoperare ciò che gli è necessario per la vita; e del resto… [di] ciò che avanza, ai poveri, ecco, ai poveri. E il Signore giudicherà e condannerà il ricco epulone, il quale si abusava perché era ricco, e consumava per sé e invece trattava male Lazzaro; ma il ricco epulone è finito nell’inferno e Lazzaro nel seno di Abramo, cioè salvo. Allora, certo, il ricco epulone dalle sue fiamme alzava lo sguardo ad Abramo, il padre dei salvi, per essere almeno soccorso in questo modo: che Lazzaro andasse ad intingere il dito nell’acqua e poi venisse a far cadere sulla sua lingua una goccia almeno, perché diceva: «Crucior in hac flamma», sono arso in questa fiamma [cf Lc 16,19-24].
Ma il lavoro è redentivo, il lavoro serve alla redenzione prima: sì, con il lavoro si paga la pena dovuta al peccato, e questa è una delle penitenze. Quali sono le penitenze che vanno bene nella Famiglia Paolina? Primo, la carità; secondo, l’apostolato… è il lavoro; e poi, allora, viene l’osservanza religiosa. Specialmente queste penitenze che, mentre che sono penitenze, sono anche fonte di grazia - [il lavoro è] redentivo! - e sono penitenze che servono a salvare gli uomini.
Quando Gesù lavorava al banco… uno si può stupire [pensando a] quando lavorava al banco di falegname il Figlio di Dio fatto uomo! Sembra che quasi noi possiamo meravigliarci: il Padre celeste manda il suo Figlio, Dio come lui, a fare il falegname sulla terra! Non c’era di più bello di questo? No… il Padre ha guidato e ha condotto il Figlio e ha voluto che il Figlio seguisse la strada migliore: il lavoro… le sue mani callose… e quando egli sudava, il suo sudore valeva per la redenzione del mondo tanto come il sudore di sangue nel Getsemani. Lavorare… E Maria faceva la cuoca, faceva la donna di casa e coltivava il giardino, l’orto, faceva la pulizia, il rammendo… filare: ciò che faceva la donna; dove sta la nobiltà, la santità? Nel volere di Dio! Eh! E se volete meritarvi grazie per diventare efficaci nell’apostolato vocazionario, oc-
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cupar bene il tempo in questo periodo, che è come il periodo di Gesù: lui ha impiegato trent’anni per uscire e incominciare l’opera sua. Ci meravigliamo? Ma questo è il metodo divino! Non ce n’è altro migliore? Se ce ne fosse stato uno migliore, il Padre celeste non lo fissava per il Figlio suo? Quindi, «in pascuis virentibus cubare me facit», fiducia nella Provvidenza!
Il Vangelo di stamattina4 certamente l’avete letto nella Messa: si riferisce a san Gaetano, festa di oggi. E il primo altare che è stato inaugurato nella Famiglia Paolina è appunto stato inaugurato il 7 di agosto5: allora era un piccolo altarino; ora altari nella Famiglia Paolina sono 355 sparsi un po’ nelle varie nazioni… stato. Una grazia iniziale che poi si è allargata: «Nolite timere pusillus grex, quia complacuit Patri vestro dare vobis regnum»6 [Lc 12,32], non temete le poche, cioè il piccolo numero, purché noi, piccolo numero… piccolo numero siamo pieni di Dio, pieni di Dio! Quando Dio è con noi, che cosa ci manca? E quando manca Dio, che cosa abbiamo?
«Ad aquas, ubi quiescam, conducit me», mi ha condotto alle fontane fresche, «reficit animam meam», a ristorare il mio spirito… acque fresche. Adesso, col caldo che c’è oggi, eh, si può anche applicare un po’ materialmente questa espressione! …ma qui la intende in senso più spirituale. Che cosa c’è di consolazione definitiva nel mondo! Alla fine! Sì, c’è la luna di miele, ma dopo la luna di miele viene la luna scura scura, e la poesia divien prosa! Oh! E invece avviene
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il contrario: la religiosa parte sempre con il sacrificio; poi, se essa risponde, consolazione su consolazione… sempre più lieta della sua vocazione… e, man mano che si avvicina agli ultimi anni, canterebbe sempre la buona suora dei buoni Magnificat! Come mi hai dato la grazia di santificare la mia vita? Come mi stai preparando per il cielo? Come sarei forse incerto della mia salute7 se fossi vissuto in altra condizione?
E tuttavia, se vogliamo dire, la fonte delle acque è il tabernacolo: io sono il fonte, dice Gesù, ego [sum] «fons aquae salientis in vitam aeternam»8 [cf Gv 4,14]; e cioè: in ogni pena, tribolazione, eccetera, c’è il tabernacolo, c’è Gesù! Va’ a piangere davanti a Gesù, invece che a star lì a contar le tue pene! Va’ a piangere davanti a Gesù: ti allieterà, ti consolerà la vista del crocifisso, la fede che ci mostra che in quell’ostia ci sta Gesù vivo e vero, sì! «Reficit animam meam», cioè ristora la mia anima.
«Deducit me per semitas rectas propter nomen suum», mi conduce per le strade diritte, per la sua gloria: e le Costituzioni non sono le strade diritte? E se sono approvate dal Papa e se sono date a noi per osservarle, sono forse una strada in cui possiamo avere dei dubbi di camminar bene? No! Quale direzione più sicura che quella della Chiesa ci può essere? Ma il tale ha detto così… ma l’altro si è espresso in questo modo, ma altri dicono differentemente o fanno differentemente… intanto la guida della Chiesa è sicura…! E tutte le altre cose? Ci sono sempre interrogativi… quando non sono veramente vie errate.
Anche se poi dovessi soffrire e mi trovassi in una valle un po’ oscura, non temerò i mali perché tu, o Signore, sei con me; se c’è una croce la porti con me… tu porti la parte maggiore: e difatti egli consola l’anima quando l’anima è turbata, quando l’anima ha qualche pena. Se anche io cammino in una valle oscura, non temerò il male, perché tu, o Signore,
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sei con me; e quando si è con il Signore, si cammina con lui, si camminerà forse male? Per quanto la valle sia oscura, si è con Dio che è la luce, che guida, e si cammina sicuri e si sa di essere con Dio. Quindi, non quelle mezze disperazioni, quelle afflizioni senza confine di certe famiglie, eccetera… Tutto lì, si sa che si è con Dio.
«Virga tua et baculus tuus me consolantur», anche la verga e il bastone mi hanno consolato. E come consolano la verga e il bastone!? Sono le correzioni. E se una camminava meno bene, e allora ecco il richiamo, ecco la correzione… anche la sgridata, anche qualche lacrima che viene a spuntare, che intanto serve per penitenza degli errori fatti e d’altra parte ci assicura di essere rimessi sulla via che piace a Dio, la via della pace, la via buona… La via che conduce dove? Eh, conduce lassù al paradiso.
Dice il Salmo, rivolto al Signore: «Paras mihi mensam spectantibus adversariis meis», tu mi prepari una mensa con stupore di coloro che sono contrari a me; mi vedono, vedono la suora che fa del bene un giorno, un altro, un altro; e non lavora per accumulare per sé… lavora per la Congregazione, cioè per Dio, ed è sempre lieta… e fa stupire questo: quante suore in ospedali, quante suore nella scuola, quante suore nelle missioni, quante suore nelle altre vocazioni a cui può dedicarsi la suora, sì! Vi è una mensa che ristora: è la Comunione. E se si vede sempre che la suora cammina lieta, oh!, come mai? Gli avversari si stupiscono… Vi era9, nell’ospedale dove lavorava una suora, un uomo proprio vissuto malissimo, quasi una bestia tanto parlava male, tanto gridava per i suoi dolori… e bisognava quasi trattenerlo nel letto; la suora sempre paziente, sempre paziente… se buttava via le coperte sempre pazienza a rimetterle a posto… a pranzo gli porta il piatto con bella grazia, con due mani glielo presenta: Vuol favorire…, gli prende un po’ di ristoro; l’altro la
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guarda con occhi torvi, prende il piatto e lo butta in faccia alla suora; e la suora va a lavarsi, ma di lì a poco torna con un altro piatto, con la stessa grazia, con lo stesso sorriso… Allora è entrato un po’ in se stesso: ma che cos’è che ti fa operare così? Il Signore… il Signore. E perché? Per il paradiso. E perché hai scelto questa vita? Perché è la vita della santità. «Spectantibus»: fa stupire questo.
«Inungis oleo caput meum; calix meus uberrimus est»10. Questo ungere il capo di olio, che cosa vuol dire? Gesù Cristo è chiamato l’Unto: che cosa vuol dire? Vuol dire: il consecrato. I re si consecravano spargendo un botticino d’olio sul capo, i sacerdoti si consecravano con l’unger le mani, e i profeti si consecravano con l’ungere le mani o la fronte. Ungere: anche adesso l’ordinazione sacerdotale si dà con le unzioni; e il battesimo è stato con l’acqua, ma prima nell’acqua è immesso dell’olio, nell’acqua battesimale al Sabato Santo, nell’acqua che vien benedetta, si mettono delle gocce d’olio; e così c’è l’olio santo. «Inungis caput meum», vuol dire: persona consecrata a Dio, come Gesù Cristo l’Unto per eccellenza. E il profeta chiama Davide, il fanciullo più giovane della famiglia, lo chiama in disparte, gli versa sopra il capo l’olio: Oggi il Signore con questa funzione ti unge re [cf 1Sam 16,13]; così i profeti ungevano i re.
Oh! Vuol dire, consecrazione, vuol dire avere la testa a posto, cioè viver di fede: pensieri soprannaturali; e mentre che la testa viene riempita, illuminata dalla fede, viene riempita dalle verità divine, illuminata dalla fede, nell’intimo si gode una gioia: «Calix meus uberrimus est», le consolazioni dell’anima mia abbondantissime…
Quando san Luigi fece la rinunzia al marchesato, quando san Luigi sottoscrisse la rinunzia all’eredità a favore del fratello, perché egli voleva entrare nell’Ordine dei Gesuiti - Rodolfo si chiamava il fratello -, oh!, alla sera [questo fratello] si mostrava tutto contento, ma ad un certo punto Luigi
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gli domanda: Non so e non lo credo che tu possa essere più contento di me, tu ad acquistare più contento di me a rinunziare! La mia rinunzia a tutto è la mia gioia; finalmente posso dire: non ho più altro che Dio, ed è la mia ricchezza!11. Ma chi ha Dio, cosa gli manca?
«Benignitas et gratia me sequentur cunctis diebus vitae meae»12. Sempre pensieri più illuminati, cioè una luce sempre maggiore man mano che la persona si volge verso il tramonto, e sembra che le tenebre cadano sopra la vita presente perché c’è il tramonto della vita…, di là spunta un’aurora, una luce che è la luce eterna, la visione di Dio. «Et gratia»: man mano che l’anima va avanti, sempre più presa da Gesù… che finisce col possederla tutta, se essa corrisponde: ella tutta di Gesù, Gesù tutto di quella anima che a lui si è data! «Cunctis diebus meis», cioè si aumenta sempre la grazia e il merito fino al termine della vita.
«Et habitabo in domo Domini in longissima tempora»13, e finalmente si abiterà nella casa del Signore per i secoli dei secoli. Quando saremo entrati al sicuro nella casa del Padre celeste, vi sarà ancor qualche timore di perdere quella felicità? Oh! Le gioie della vita passano ben presto. Vanno a divertirsi, divertirsi… e poi hanno le tasche vuote, eh sì… è passato quel po’ di vento, e poi? Ma quello che è da Dio è eterno, paradiso eterno.
Però, se una persona ha poca fede e non guarda su al premio che l’attende… e allora? E allora - sicuro - la vita non va avanti con quella gioia che provano le anime che sono ve-
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ramente fedeli alla vocazione e che vivono la loro vocazione, sì. «Et habitabo in domo Domini», si abiterà nella casa del Signore «in longissima tempora», che vuol dire tempi senza fine: i tempi senza fine sono l’eternità.
Ecco pressappoco la vita religiosa. Però bisogna aver fede… fede. Che il Signore ci conduca bene, e certamente ci conduce bene; abbandonarsi a lui: noi possiamo sbagliare mille cose nella vita, ma se ci abbandoniamo al Signore, tutto va bene. E anche se uno sbagliasse - perché sulla terra non si indovinano tutte, anzi se ne sbagliano molte -, questo… lo sbaglio rende per l’eternità? Perché l’intenzione era retta, si è fatto quel passo in grazia di Dio, l’intenzione era retta, e allora? E allora il merito c’è ugualmente; quindi niente va perduto: non si perde né il merito che si fa di notte dormendo, né il merito che si fa di giorno facendo ricreazione, né il merito che si fa lavorando, né il merito che si fa magari pregando e con le altre occupazioni che sono assegnate nel corso della giornata.
Bellezza della vocazione! Il mondo non la capisce! Perciò Gesù ha detto: «Non omnes capiunt verbum istud» [Mt 19,11], non tutti capiscono… capiscono quella parola che Gesù aveva detto parlando della castità, invitando le anime a seguirlo nella verginità. Ecco.
Vanno dietro l’Agnello immacolato in cielo: «Sequuntur Agnum quocumque ierit»14 [Ap 14,4].
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 100/61 (Nastro archivio 93a. Cassetta 93, lato 1. File audio AP 093a). Titolo Cassetta: “Bellezza della vita religiosa. Salmo 22: Il Signore è il mio pastore”.
2 «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare». Il testo latino citato dal PM corrisponde alla versione del Breviarium Romanum (Feria quinta ad Laudes II, Ad Primam). All’interno della meditazione, il PM continua a citare in latino e italiano gli altri versetti dello stesso Salmo.
3 Il PM dice: importava.
4 Festa di san Gaetano da Thiene. Il Vangelo della festa è il brano sulla Provvidenza e la ricerca del regno di Dio tanto caro al PM: Mt 6,24-33.
5 Per altare, il PM intende il tabernacolo. Il primo tabernacolo, “costruito poveramente dalla Pia Società San Paolo”, fu inaugurato nella Cappella della chiesetta della villa di Moncaretto, località collinare alla periferia di Alba, dove la Scuola Tipografica Piccolo Operaio si trasferì tra il 1915 e il 24 aprile 1916. Il tabernacolo fu inaugurato il 7 agosto 1915. Cf GIACOMO ALBERIONE, Alle Pie Discepole del Divin Maestro, (APD), 1959, Roma 1986, pp. 99-100; APD 1963, Roma 1987, p. 332; CISP, p. 1490.
6 «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno». Il PM cita il versetto del brano di Luca, parallelo a quello di Matteo, sulla fiducia nella Provvidenza (cf Lc 12,22-32).
7 Sta per: salvezza.
8 Io [sono] «sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».
9 Il PM dice: quel aveva…
10 «Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca».
11 Il primo biografo di san Luigi Gonzaga (1568-1591) così scrive: «…e al Sig. Ridolfo, suo fratello minore, […] nella separazione, disse due parole, e dicendogli poco dopo uno di quei signori in barca: “Credo, ch’il Signor Ridolfo hauerà sentito grand’allegrezza in succedere allo vostro stato”, egli rispose: “Non è stata tanto grande la sua allegrezza in succedermi, quanta è stata la mia in rinuntiarglielo”» (CEPARI VIRGILIO, Vita di S. Luigi Gonzaga della Compagnia di Gesù, Alba 1928, parte I, capitolo XII: Rinuntia finalmente il Marchesato, e andando a Roma entra ne la Compagnia).
12 «Bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita».
13 «Abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni».
14 «Seguono l’Agnello dovunque vada».