sorelle. In ogni momento della giornata raccoglieranno meriti e meriti.
IX
L’ESAME DI COSCIENZA II
Il Signore vi adopererà in quello che siete capaci a fare. Il Signore ha altre vie che oltrepassano [quelle ordinarie] e tante volte non sono conosciute dagli uomini, non è vero? Lo Spirito Santo non si è impegnato a far passare le grazie solamente attraverso i sacramenti e i superiori, ne fa passare tante altre per altre strade, e quindi non c’è da stupire che molte grazie vengano [concesse] al di fuori dei sacramenti e della gerarchia. Perciò, sempre confidenza che è il Signore che ci guida, ma noi, lasciamoci guidare! Viviamo bene la nostra vita religiosa e prepariamoci nello studio, nella pratica della vita quotidiana, nella preghiera. Quando poi siamo preparate, ecco, il Signore ci adopera nelle opere che sono di sua gloria e di vantaggio per le anime. Di Maria noi abbiamo ricevuto soltanto una preghiera per mezzo dei santi Vangeli e questa unica preghiera è il Magnificat anima mea Dominum , cioè di ringraziamento. Il primo nostro dovere è questo: ringraziare il Signore: Vi ringrazio di avermi creata, fatta cristiana, condotta in questa Congregazione. Ringraziare il Signore della vocazione religiosa, in questa Congregazione, cioè tra le Figlie di San Paolo.
La vocazione religiosa è la più grande grazia che il Signore fa a un’anima dopo quella del Battesimo: è la vocazione alla santità. Quindi non vi è dubbio che voi, noi tutti, abbiamo la vocazione, la chiamata alla santità, perché noi stessi abbiamo professato la vita di perfezione. Il primo articolo delle Costituzioni contiene questo: «Il fine della Congregazione è la gloria di Dio e la santificazione o perfezione dei membri»1. Gesù l’ha detto: «Se vuoi essere perfetto…»2, e voi avete risposto sì, ecco la vocazione alla santità. Perfezione e santità
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sono la stessa cosa, a cui si aggiunge un merito particolare, quindi vocazione a una santità più alta ancora, santità mediante l’apostolato. Dice chiaramente S. Matteo3 riportandosi ai discorsi del Maestro divino: «Coloro che non soltanto operano il bene per sé, ma inducono gli altri a vivere bene, avranno doppio premio, un premio maggiore»4, perché avranno esercitato la carità verso Dio e la carità verso il prossimo nella maniera più eccellente. Così anche voi perché portate la verità per amore degli uomini, cioè per carità. Allora che cosa rimane da fare? Santificare l’anima nostra.
Santificare l’anima nostra, che cosa significa? Togliere il brutto e mettere il bello, togliere il difetto e mettere la virtù; togliere l’amor proprio e mettere l’amor di Dio. Se voi arrivaste in una casa per abitarla e la trovaste sporca, e vi fossero rotture, spazzature, in primo luogo la pulireste. Così in primo luogo, noi dobbiamo pulire l’anima nostra. In secondo luogo adornereste la camera […]5 [scelta per essere] la cappella, e cerchereste di adornarla bene, al massimo, per quanto vi è possibile. E poi stabilireste l’altare e mettereste un tabernacolo portandovi Gesù. Questo, il lavoro che dovrebbe fare la religiosa: togliere i difetti, adornare l’anima di virtù, mettere Gesù nel cuore, sempre nel cuore: «Vivit vero in me Christus: Vive in me Gesù Cristo»6. Ecco la santità!
Si capisce allora che per far tutto questo ci vogliono dei buoni esami di coscienza. Buoni esami di coscienza sui difetti per toglierli, buoni esami di coscienza per vedere le nostre necessità, le virtù che dobbiamo acquistare, i propositi che dobbiamo fare. In ogni esame di coscienza vedere il progresso che stiamo o non stiamo facendo.
L’esame di coscienza è una delle tre pratiche che non sono solo della vita paolina, ma che servono a far bene tutte le altre e a viver bene la vita paolina. Le tre pratiche sono: l’esame, la meditazione e la Visita al santissimo Sacramento. Dicono le Costituzioni che se l’aspirante non ha già imparato
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teoricamente e praticamente, e non ha già fatto una certa abitudine a far bene l’esame di coscienza, la meditazione, l’adorazione al santissimo Sacramento, non è preparata per la professione7, quindi si dovrebbe tramandare. Ma imparerà dopo. Imparerà dopo? Questo non va, deve saper[le fare] prima. Sarebbe sbagliato dire: Ecco, cominci a fare il medico, vada a visitare i malati, ecc., poi studierà. Studierà dopo? Prima deve studiare, altrimenti comincia a uccidere i malati invece di guarirli. Le vocazioni che a un certo punto arrivano a tentennamenti, a disgustarsi della vita religiosa, a stancarsi, sono quelle che non hanno imparato abbastanza la pratica dell’esame di coscienza, della meditazione e della Visita. Quindi non è carità dire: Andate avanti. È carità dire: Prima preparatevi meglio.
S. Paolo diceva: «Non abbiate fretta di ordinare i preti»8. Volendo tradurre in un senso che non è del tutto proprio, ma indica ciò che voglio dire, diciamo: Non abbiate fretta di ammettere alle professioni, siano invece preparate.
L’esame di coscienza, che cos’è. C’è prima di tutto l’esame di coscienza preventivo al mattino: prevedere le difficoltà della giornata, richiamare i propositi, anche leggerli nel taccuino se non si ricordano a memoria. Poi fare i nostri propositi per il giorno, andare alla Comunione e fare la meditazione per aver forza a esercitare le virtù, Quindi segue l’esame principale che è quello della Visita. L’esame di coscienza nella Visita è sempre più generale, e si fa più a lungo, con calma. Poi l’esame della sera, il quale può essere più particolare, cioè sui propositi che abbiamo fatto, e particolarmente sul proposito speciale che può riguardare o la mente, o il cuore, o la volontà, ma è meglio che riguardi mente, cuore e volontà.
Vi è poi l’esame di coscienza per la Confessione. Sì, la Confessione è utile a misura dell’esame di coscienza, del
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pentimento e del proposito, non in proporzione del tempo che s’impiega a confessarsi e neppure delle molte parole che si possono dire. Chi ha da progredire non è il confessore ma è l’anima, quindi all’anima si richiede l’esame di coscienza, il dolore dei mancamenti e il proposito fermo per l’avvenire.
Vi è poi l’esame di coscienza del ritiro mensile che riguarda tutto il mese. E vi è l’esame di coscienza annuale che si fa ogni anno quando si attende a un corso di Esercizi.
Ecco che l’anima gradatamente scopre i propri difetti, le proprie necessità, vede la volontà di Dio, conosce i bisogni della sua anima, decide di acquistare questa o quella virtù, di vivere unita a Dio, ecc. Quello che noi riusciamo a scoprire che non va bene, se noi lo condanniamo non saremo condannati. Chi si condanna non sarà condannato, perché già noi ci siamo condannate, e abbiamo già chiesto perdono al Signore.
L’esame di coscienza ha come tre gradi a cui bisogna che vi mettiamo attenzione. Il primo grado di esame di coscienza è quello di certe anime che sono un po’ superficiali, voglio dire non entrano in se stesse per vedere quali pensieri coltivano nella mente, quali sentimenti dominano il loro cuore; si contentano di uno sguardo generale alle parole che dicono, alle opere che fanno e quindi si può dire che queste anime non vanno mai alla radice. La radice della pianta non sta nelle foglie, ma sta nel terreno, giù, bisogna scavare, e cioè bisogna togliere il nostro amor proprio, farlo tacere e vedere come stiamo nel nostro interno. Gli uomini guardano l’esterno, Dio guarda in primo luogo l’interno. Gli uomini vedono la faccia, ma Dio esamina i cuori e le menti. Queste persone fanno l’esame di coscienza, ma non vanno a togliere la radice del male, non vanno a togliere la propria passione. I pensieri quindi continuano ad essere gli stessi, perché non sono scoperti, e intanto [si coltivano] tanti pensieri e tante curiosità inutili, tante mancanze di pensiero contro
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la carità, la pazienza, l’ubbidienza, ecc. Ma non ci hanno insegnato da bambini a fare in primo luogo l’esame di coscienza sui pensieri? Così ci hanno sempre insegnato.
Poi [l’esame] sul cuore, perché i sentimenti del nostro cuore possono essere buoni, pii, sentimenti di pietà, di umiltà, di benevolenza, di carità, sentimenti di delicatezza, di generosità, ecc., e i nostri sentimenti interni possono anche essere poco buoni, quando si tratta di sentimenti di orgoglio, di desideri ambiziosi, quando si tratta di volontà che resistono all’obbedienza e non si piegano, quando si tratta di persone egoiste che pensano solo a sé, e così l’amore di Dio e l’amore delle anime non può farsi strada in loro. Esaminare il cuore. Gesù non ci ha detto di fare atti di umiltà esterni, ma ci ha detto: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore»9, cioè atti interni, mansuetudine interna. Non bastano quindi i segni di gentilezza, i bei sorrisi esterni, ci vuole proprio «mansuetudine di cuore», e «umiltà di cuore». Sì, ma quante volte nel Vangelo Gesù affronta i farisei e dice: «Perché pensate male?». Non avevano parlato male, non osavano farlo, ma Gesù leggeva nelle menti, quindi non aspettava che dicessero delle parole contro di lui: «Videns cogitationes eorum: Vedendo i loro pensieri, dice: Perché pensate male?»10.
Quando entriamo in chiesa Gesù, in primo luogo, guarda i pensieri e il cuore, poi se facciamo bene la genuflessione, se facciamo il segno di croce perfettamente, se diciamo le preghiere ad alta voce, a voce sufficientemente sensibile per essere udite, perché dette in comune, allora va molto bene, ma prima Gesù dà uno sguardo a te che entri, al tuo cuore, alla tua mente.
Secondo grado dell’esame di coscienza è far bene le pratiche che ho ricordato: esame preventivo, esame della Visita, esame della sera, esame per la confessione, esame per il mese nel ritiro, esame per l’anno negli Esercizi spirituali. Le persone che fanno bene
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queste pratiche e magari [si esaminano] abbastanza sui pensieri, sui sentimenti del cuore, sono abbastanza fedeli. Questo grado mette già le anime sulla strada del progresso, perché quando si osservano le Costituzioni su questi punti e gli indirizzi che vengono da Casa Madre si è già ben avviate. Ma [tutto] questo è per arrivare al terzo grado. […]11. Il terzo grado è frutto del secondo, cioè acquistare l’abituale riflessione su di noi, l’abituale raccoglimento per ottenere due cose: prima di operare, pensare sempre se quel che stiamo per fare è buono o non è buono, piace o non piace a Dio. Dopo esaminare noi stessi: Questo l’ho fatto bene? Non l’ho fatto bene? Prima di ammettere un pensiero nella mente interrogarsi: Questo pensiero piace a Dio? È un pensiero di fede? È un pensiero che va bene per una suora, per un’anima che si vuole far santa? Io utilizzo bene la mia mente studiando il catechismo, le Costituzioni? Utilizzo bene la mente studiando come fare l’apostolato e conoscendo i cataloghi, le varie recensioni dei libri, i riassunti, ecc.? Mi impegno a diventare sempre più sapiente e più saggia nell’apostolato? A dire parole buone alle anime che avvicino? Ecco, questa è una grazia da chiedere al Signore che la nostra presenza sia di letizia e di santificazione a tutte le anime che avviciniamo, essere suore che pensano così: compatiscono tutte, interpretano in bene, sanno scusare il male, tutto conforme alla carità, ecc. Pensieri santi! Rendere la vita familiare lieta anche con scherzi: è tanto importante nella vita religiosa che si semini la letizia, la gioia, affinché la vita della famiglia sia come l’anticamera del paradiso dove tutto è letizia ed è eterno gaudio. Allora la vita religiosa nella famiglia lieta porta alla carità, alla benevolenza, alla cooperazione, porta a incoraggiamento, e quindi anche le pene, i travagli, le fatiche, le privazioni, ecc., si sopportano volentieri, come dice S. Paolo: «Voi,
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per professare la fede vi hanno portato via tutti i beni, ma voi avete sopportato questo tutti insieme e d’accordo con letizia»12. Abbiamo anche visto che in Giappone le famiglie che avevano ricevuto il cristianesimo attraverso S. Francesco Saverio, e che erano state fedeli al cristianesimo durante le persecuzioni, erano state private della casa, dei campi, dei diritti civili, ridotte in schiavitù come servitori. Erano rimaste fedeli e avevano sopportato quelle privazioni per secoli, di generazione in generazione13.
La letizia familiare, inoltre, nella casa religiosa porta a cooperare l’una con l’altra, ad aiutarsi in tutto, nelle pene e nelle gioie, nella santificazione e nell’apostolato.
Poi ci si esamina: Questo sentimento che ho nel cuore piace o non piace a Dio? Questo resistere, supponiamo, alla volontà di Dio piace o non piace al Signore? Questo mio pensiero, questo sentimento di orgoglio posso tenerlo? No. Quindi riflessione su ciò che possiamo ammettere nel nostro interno: mente e cuore.
Riflessione: Questa parola che sto per dire è ben pensata? La Madonna l’avrebbe detta? I santi parlavano così? E allora se la coscienza dice sì, parliamo, e se dice no, non parliamo. Riflessione quindi prima di parlare e di operare: Fare questo, piace al Signore? Al Signore piace invece che lo tralasci? Ecco le domande. Comportarmi così riguardo alla propaganda, riguardo alla libreria, riguardo al modo di trattare le sorelle, ecc., piace al Signore? Riflessione che ci porta a pensare che quello che sto per fare incontra il giudizio di Dio: è di merito per l’anima mia? Mi giova per l’eternità? Devo farlo perché acquisto un merito? Riflessione. E poi anche mentre si fa, e specialmente dopo, riflettere ancora: Ho fatto bene ciò che dovevo fare? Ho incontrato il volere, il pensiero di chi ha comandato, di chi ha disposto? Potevo far meglio? E allora un Deo gratias! se ho agito bene e un Gesù mio, misericordia! se ci son state delle deficienze, perché qualche cosa di sbagliato può succedere quasi sempre, ma anche se non era male, si poteva far meglio.
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E allora diciamo subito: Se qualche bene ho compiuto, accettatelo, perdonatemi il male commesso . Se abbiamo fatto un po’ di bene offriamolo al Signore, e questo po’ di bene sarà raccolto dall’angelo custode, conservato là alle porte dell’eternità, e un po’ di bene oggi, un po’ di bene domani, fra un mese, un anno, tutta la vita, troverete alla fine un cumulo di meriti che vi accompagneranno al premio, e ciascuno lo riceverà «secundum opera sua»14, cioè secondo i suoi meriti
Questo è il terzo grado di esame di coscienza, quello che diviene l’abitudine, il riflettere, il pensare su ciò che stiamo per fare; [diviene] il riflettere, il pensare se quel che è stato fatto piaceva a Dio, e se l’ho fatto per amore, per piacere a Dio. Essere persone che sono sempre [presenti] a se stesse, sempre attente.
Per fare l’autista bisogna dare l’esame e dimostrare che si sa tenere in mano il volante e si conoscono ad esempio le leggi stradali, che sono date appunto a vantaggio dell’autista e dei passeggeri. Se però perdesse il controllo della macchina? L’autista deve sempre essere attento a tenere bene il volante, questo si capisce ed è ciò che si deve fare. Qualche volta si è dovuto togliere dall’ufficio di autista qualcuno che non sapeva tenere abbastanza il controllo [della macchina], specialmente nei momenti di traffico.
Ma quando si tratta di guidare noi stessi, è molto più difficile che guidare una macchina. Dobbiamo governare l’interno, i pensieri; e i pensieri sono la cosa più difficile da governare. Abbiamo da governare il cuore che è un po’ matto, la fantasia, la lingua, gli occhi, il gusto, l’udito, il tatto. Dobbiamo governare tutto il nostro essere e dovunque: in chiesa, per strada, in propaganda, in libreria, quando siamo in ricreazione, quando siamo a tavola, al mattino quando ci alziamo e alla sera quando dobbiamo chiudere la giornata con santi pensieri. Star sempre al volante, cioè avere sempre controllo di noi stessi. Come basterebbe che un’autista si addormentasse un attimo per la strada e cadere nel
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burrone, così se noi non vigiliamo su noi stessi: uno sbaglio di qua, uno sbaglio di là... Se non controlli la lingua, chissà quante parole che non sono a posto dici prima che sia notte! Vi sono persone che aprono la bocca e qualunque cosa esce, esce. Ma se non si controlla la parola, subito dopo sempre abbiamo da pentirci. Dice la Scrittura: «Rifletti, pensa a quello che devi fare e a quello che devi dire; a quello che devi amare e a quello che non puoi amare; a quello che puoi pensare e che è bene pensare, a quello che non devi pensare»15. L’abitudine alla riflessione è frutto della pratica fedele degli esami del mattino, della Visita e della sera. A formarla ci vuol molto tempo, non è vero? Alcune hanno la grazia di fare abbastanza presto, ma in generale ci vuole un certo tempo, e a poco a poco si arriva a controllarsi, a dominarsi. Vi sono persone che sono sempre calme e serene: non si abbandonano né a un eccesso di gioia, né a una distrazione, sono sempre vigilanti e, o non dicono nulla, o la loro parola è santa e a proposito. A che punto stiamo noi? Riflettiamo su noi? Controlliamo noi stesse? Esaminiamo quello che abbiamo fatto o pensato o sentito nel cuore, ecc.? A che punto stiamo?
Ci sono persone che non fanno bene l’esame di coscienza e dopo si stupiscono che gli altri vedano i loro difetti. Invece se c’è l’abitudine dell’esame di coscienza si risponde: Purtroppo che ho questo difetto, non sono ancora riuscita a vincerlo, ma aiutatemi. Altrimenti si nega di averlo, ci si scusa, anzi qualche volta si vuole farlo passare per una mezza virtù. Ci sono persone che esaminano più gli altri che se stesse, sanno raccontare i difetti degli altri e non sanno conoscere i propri, e se vanno con una sorella narrano i difetti dell’altra che è assente, e quando sono con un’altra sorella, narreranno i tuoi. E i propri? Sono messi nel dimenticatoio. Siamo saggi davanti a Dio, e al giudizio di Dio non renderemo conto di quello che hanno fatto o non fatto gli altri . La preghiera che ho trovato più utile è questa: Signore, fatemi conoscere l’anima mia come me la farete conoscere al momento in cui comparirò
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1 Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953.
2 Cf Mt 19,21.
3 Originale : S. Giovanni .
4 Cf Mt 5,19.
5 Originale: … e se poi trattate di una camera che sia. Espressione trascritta e posta in parentesi quadra.
6 Gal 2,20.
7 Cf art. 196
8 Cf 1Tm 5,22.
9 Cf Mt 11,29.
10 Cf Mt 9,4.
11 Originale: Questo secondo grado è come il secondo gradino, dopo questo, salire al terzo.
12 Cf 2Ts 1,3-4.
13 Francesco Saverio (1506-1552), sacerdote gesuita spagnolo, missionario inIndia e in Giappone. Il numero dei convertiti in Giappone aumentò progressivamente nonostante le persecuzioni. Nel 1614 il cristianesimo fu definitivamente proibito dal governo, le chiese furono distrutte, i missionari espulsi. Nonostante ciò i missionari che nel secolo XIX ritornarono in Giappone, trovarono ancora dei discendentidegli antichi cristiani.
14 Cf Ap 22,12: «…secondo le sue opere».
15 Cf Sir 31,15.