Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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17. AD QUID VENISTI?1



Mettiamo questo ritiro sotto la protezione della nostra Madre celeste, la Regina Apostolorum, tanto più che stiamo avvicinandoci alla festa della Immacolata Concezione. L’Immacolata Concezione ricorda il privilegio che ebbe Maria, il primo privilegio che serviva a prepararla alla grande dignità di Madre di Dio, di Regina Apostolorum, cioè colei che era destinata a dare Gesù Cristo al mondo, ed esercitare quindi il suo apostolato. Domandiamo la grazia di essere molto illuminati e di conoscere meglio noi stessi, e di provvedere con spirito di responsabilità a quello che dobbiamo fare nella nostra vita, specialmente nell’ufficio che ognuno ha da compiere. Vi sono persone che sentono la loro responsabilità fino all’eccesso, cioè la sentono tanto perché non confidano abbastanza nel Signore, nella grazia. Altre persone, invece, hanno bisogno di sentire maggiormente la responsabilità del loro ufficio, della missione che hanno.
La prima meditazione è fatta su questa domanda: «Ad quid venisti?»2, che vuol dire: Perché sei venuta al mondo? Perché sei stata portata alla chiesa, hai ricevuto il Battesimo, e sei entrata come membro nella Chiesa cattolica? Perché sei entrata nell’Istituto? Perché hai questo ufficio particolare che ti è stato assegnato dall’Istituto stesso? Perché? Ad quid venisti? E cerchiamo di dare una risposta. A prima vista è molto semplice la risposta, ma se consideriamo le cose più profondamente, allora ci sarà materia per fare un buon esame di coscienza.
Perché sei venuta al mondo, cioè perché sei stata creata? Il Signore ci ha creati per il paradiso. La vita è un viaggio, si
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tratta di camminare per la strada giusta e arrivare al paradiso: «Stretta è la via, quae ducit ad vitam»3. È una via stretta, è una via che richiede qualche sacrificio, ma conduce al cielo. Guardarsi bene, ci mette in guardia il divino Maestro, dalla strada che appare più comoda, ma che conduce alla perdizione. E ciò che fa più temere è quanto aggiunge il Maestro divino: «Multi intrant in eam»4, molti prendono la strada falsa che giunge alla perdizione. Come fa temere questo molti, non è vero? Ma qual è la strada buona che conduce alla vita? Quali sono i mezzi per arrivare al paradiso? Siamo usciti dalle mani creatrici di Dio Padre, ci troviamo su questa terra, il Padre celeste ci aspetta di nuovo nella sua casa, lassù, ma felici. E qui sulla terra che cosa dobbiamo fare per raggiungere la felicità eterna? Conoscere, amare e servire Dio. Il che vorrebbe dire non semplicemente conoscere, ma avere fede; non solamente amare, ma imitare Gesù Cristo, imitare il Signore; non solamente servirlo, ma servirlo in tutti i nostri doveri, osservarne i comandamenti, i santi voti, le obbligazioni dell’Istituto.

Il Signore, sì, ci vuole in paradiso, ma in paradiso tutti entrano volontariamente, nessuno entra per forza. Bisogna mostrare di volerlo il paradiso, di volerlo non con le parole, ma con i fatti. Il Signore quindi ha assoggettati ad una prova Adamo ed Eva che erano felici nel paradiso terrestre. Se fossero stati fedeli, nell’intenzione di Dio avrebbero continuato ad essere felici e avrebbero trasmesso i loro doni, quindi la loro felicità ai figli, a noi. Il Signore impose loro una mortificazione, la proibizione di mangiare un certo frutto: «perché se ve ne ciberete, quel giorno morirete»5. Essi dovevano dar prova di ascoltare il Signore, mostrare di voler davvero i beni che il Signore aveva loro dato, di volerli conservare e trasmettere ai figli. Mangiando il frutto vietato, morirono nella loro anima, nella vita soprannaturale. E furono privati di quei grandi doni che avevano e non li trasmisero a noi. Ecco, la prova! Anche noi sulla terra abbiamo da sottometterci ad alcune prove.
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Le prove sono tre: conoscere, cioè aver fede, e poi amare il Signore come sommo bene, eterna felicità, e poi la prova di fedeltà…6.

1. Ecco la materia per un lungo esame di coscienza: aver fede, fede viva, particolarmente in questo, che siamo sotto il governo di Dio, che sulla terra dobbiamo lavorare per l’eternità, e che alla fine della vita vi sarà un giudizio, il giudizio di Dio. Ci presenteremo subito dopo la morte al Signore Gesù per rendergli conto di ogni minima nostra azione; e se porteremo nell’eternità opere buone, [entreremo nel] regno eterno; e se invece porteremo nell’eternità il peccato finale: l’inferno. Ecco, noi pensiamo a Gesù come a un giudice rigoroso, quasi che egli stenti a darci il paradiso, e voglia scoprire in noi delle macchie per aver ragione di condanna.
Non è così. Noi ci presenteremo al Signore e noi stessi vedremo se siamo degni di odio o di amore da parte di Dio, se siamo degni di essere amati dal Signore, oppure degni di esserne distanti, scacciati. Il Signore, per esprimerci bene, è come passivo rispetto a noi; come la macchina fotografica, riprendendo una persona, non è che la faccia bella o brutta, è la persona che è bella o brutta, e quindi la fotografia rappresenterà una persona come è. Così in una luce straordinaria, che il Signore proietterà sopra di noi, ci rifletteremo in Dio, e vedremo se siamo a lui grati e non solo se abbiamo meritato e che cosa abbiamo meritato, e tutte le opere buone fatte; oppure vedremo noi stessi, il male compiuto e quanti peccati restano sull’anima. Quindi l’eternità ce la scegliamo noi. Siamo noi che scegliamo la nostra salvezza o la nostra perdizione, facciamo la nostra fortuna o la nostra disgrazia. Ciascuno ha da pensare per sé, non a che cosa fanno gli altri, ha da pensare a sé. Io, se voglio, mi salvo; io mi faccio santo se voglio; io mi perdo se voglio. Nessuno si perde se non volontariamente, ma nessuno va anche in paradiso se non volontariamente. I cittadini del paradiso sono tutti volontari.
Pensare alle verità eterne, conoscerle sempre più profondamente e crederle. Pensare al paradiso dove tanti giusti ci
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aspettano: martiri, apostoli, confessori e vergini, santi di ogni condizione e lingua. Pensare a quell’inferno di cui il Signore ci ha parlato spesso: «Vermis eorum non morietur»7, ci dice la Scrittura. Fede, là [ci sarà] un rimorso che non finisce, un fuoco che non si estingue. Pensare e credere alla risurrezione finale: alcuni risorgeranno belli e ornati dei doni del corpo glorioso di Gesù Cristo e di Maria, altri risorgeranno segnati dalle colpe. Il corpo che è stato compagno all’anima nel fare il bene sarà ammesso all’eterna felicità dell’anima, se è stato invece compagno all’anima nel male, andrà con l’anima all’inferno. Pensare al giudizio universale, a quelli che saranno stati messi a sinistra, a quelli che saranno stati messi a destra e alla sentenza che Gesù pronunzierà contro i cattivi: «Andate lontani, o maledetti…», e alla sentenza che Gesù pronunzierà verso i buoni: «Venite, o benedetti»8.

Credere all’eternità. Che si viva questa interminabile adorazione già nella santissima Eucaristia, nella Messa, nella Comunione, nel valore della Comunione: ecco l’eternità! Fede viva su questi punti, che ogni momento di tempo ci procuri un bene eterno…9. Un bicchier d’acqua dato al povero assetato per amor di Gesù Cristo è un atto quasi non considerato, ma intanto questo atto ci merita un premio. Aver fede in questo: ogni istante possiamo accrescere i nostri meriti. Le opere buone fatte con retta intenzione e fatte in stato di grazia di Dio aumentano la gloria eterna in cielo.
2. Poi bisogna amare, [dare] prova di amore. La prova di amore sta nel preferire il Signore a tutte le cose della terra, preferirlo alla stima degli uomini, preferire il Signore ai soldi e alle ricchezze della terra, preferirlo alle persone care, preferire il Signore ai piaceri della terra, poiché «chi ama suo padre e sua madre più di me non è degno di me»10. Eppure sembra così legittimo l’amore al padre e alla madre, ai fratelli e alle sorelle, ecc., ma se amiamo questi più del Signore, no, [allora] l’amore
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non è più legittimo, non è più santo. Ecco, amare il Signore! E le persone? Le persone nel Signore. E qui bisogna disapprovare le simpatie per cui uno si fa un circolo di persone che gli vanno a genio, e le antipatie per cui uno vede male e interpreta male le persone che non gli vanno a genio...11. Amare il Signore e amare le anime [mediante] la Confessione che ci purifica, ci rende più belli davanti a Dio; amare la Comunione perché stabilisce la vita di Gesù Cristo in noi; amare l’Istituto, amare le sorelle più direttamente, amare le Costituzioni, amare l’apostolato: è tutto amore a Dio. Amare soprattutto la vita religiosa, quella che il Signore ha voluto per noi, il che vuol dire amare la propria vocazione, amarla tanto e scacciare ogni tentazione contro la vocazione.

3. Bisogna dare prova di fedeltà a Dio. Fedeltà vuol dire obbedienza. Obbedienza ai comandamenti in quello che ordinano e in quello che proibiscono; quindi la preghiera, l’osservanza dei voti, l’obbedienza ai superiori, la carità verso il prossimo, la purezza, il rispetto della roba altrui, la sincerità, la rettitudine nei pensieri e nei sentimenti vari. L’osservanza dei comandamenti, perciò l’esame di coscienza su di essi. Inoltre, obbedienza che impone l’osservanza dei voti: castità, povertà, obbedienza. In una certa maniera tutti sono obbligati alla povertà, alla castità, all’obbedienza, ma il religioso e la religiosa ad una castità, ad una povertà, ad una obbedienza perfetta. E ciò non solamente per virtù, ma per voto. Perciò l’esame, oltre che sui comandamenti, va fatto sui santi voti a cui si aggiunge la vita comune e l’apostolato. Vita comune ben vissuta e apostolato che dobbiamo compiere per il paradiso, non solo quindi il lavoro di santificazione, ma ancora il lavoro a vantaggio delle anime come è segnato nel secondo articolo delle Costituzioni.
Poi l’obbedienza nel nostro ufficio, perché il Signore ha assegnato ad ognuno una via particolare e nell’obbedienza ciascuna ha accettato quell’incarico, quell’ufficio che è stato disposto. Ecco, compiamo il nostro ufficio bene? Ciò significa capirlo bene e nel senso, nelle intenzioni con cui chi ha disposto
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intende che l’ufficio venga compiuto, quindi applicarvi la mente, il cuore, farlo volentieri, quando si può, superando quelle difficoltà che naturalmente si incontrano. E ancora metterci le energie, le forze, cioè compiere l’ufficio con l’applicazione della mente, del cuore e della volontà, e anche le forze fisiche, onde l’ufficio venga perfettamente [compiuto] e sia gradito al Signore. Ecco gli esami di coscienza da farsi adesso, nei primi momenti, particolarmente nel primo giorno di questo ritiro: se abbiamo fede viva, se amiamo il Signore davvero con tutto il cuore, sopra ogni cosa, come bene infinito ed eterna felicità; se sospiriamo il paradiso; e se vi è l’obbedienza ai comandamenti, ai voti e all’ufficio assegnato a ciascuna.

Questa disposizione di fare maggiormente e più solennemente le adorazioni in questi giorni, questa disposizione è santa, ci assicura più grazie. Guardiamoci però dagli scrupoli, perché alle volte possono nascere agitazioni, turbamenti, ma...12quello che non va bene togliamolo davvero, quello che invece va già bene confermiamolo, e quello che può essere migliorato, migliorarlo. E allora questo ritiro sarà di grande vantaggio.
Vi benedica il Signore e vi renda liete e vi consoli tanto in questi giorni. Abbiamo fiducia nel Signore il quale ci ha chiamate alla santità. Ogni suora ha la vocazione alla santità, e per la santità queste tre cose: non solo fede viva, ma più viva; non solo amare il Signore, ma amarlo più vivamente con tutta la mente, con tutto il cuore; non solo obbedire, ma obbedire più perfettamente, perché la vita religiosa è vita cristiana elevata, portata alla perfezione.
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1 Meditazione tenuta in Brasile il 19.11.1955. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 17b ac 31a. Nel testo più volte ricorre il termine “ritiro”, probabilmente però si tratta di una meditazione del corso di Esercizi, impropriamente chiamato anche ritiro, iniziato il giorno 18 novembre. La voce, non sempre chiara,ha reso difficile la trascrizione, specialmente nella seconda parte.

2 Cf Med. varie, n. 15, nota 2.

3 Cf Mt 7,14: «…che conduce alla vita».

4 Cf Mt 7,13: «E molti sono quelli che entrano per essa».

5 Cf Gen 3,3.

6 Parole incomprensibili.

7 Cf Is 66,24: «Il loro verme non morirà».

8 Cf Mt 25,34-46.

9 Parola incomprensibile nella registrazione: ore eterno di bene .

10 Cf Mt 10,37.

11 Parola incomprensibile nella registrazione: Poi che si a...

12 Parola incomprensibile: però siamo…