Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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5. IN PREPARAZIONE ALLA SETTIMANA SANTA1



Questa mattina alcuni pensieri che ci servano di guida nell’assistere alle funzioni della Settimana santa: 1) vivere il mistero cristiano, il mistero della passione e della morte di Cristo e della sua risurrezione; 2) [considerare] la morte nostra e la nostra risurrezione con Gesù Cristo; 3) la Pasqua è il centro di tutte le celebrazioni della Settimana santa.
1. Nel mistero del Natale è il Figlio di Dio incarnato che appare in mezzo a noi. Nel mistero della Settimana santa e della Pasqua lo stesso Figlio di Dio va a patire e morire per noi sulla croce, ma dopo la morte egli risorge: «Et tertia die resurget»2. Anche noi dobbiamo morire a noi stessi per risorgere definitivamente nel giorno ultimo quando saremo chiamati dal sepolcro alla vita.
La Settimana santa è una purificazione. Ci deve portare alla correzione, all’emendazione dei difetti, deve far morire in noi le brutte tendenze: l’orgoglio, l’ira, l’avarizia, l’invidia, la nostra sensualità, la curiosità. Deve far morire in noi i difetti che si commettono con i sensi esterni: lingua, udito, vista, tatto, e i difetti che si commettono interiormente, sia con la memoria, sia con la fantasia, sia con il cuore, sia con la mente. Una morte, cioè una detestazione di tutto quello che in noi non è buono, di quello che è difettoso, di quello che è peccato. Quindi la Pasqua si deve celebrare con la Confessione, con il pentimento dei peccati. In questo siamo aiutati dalle funzioni, specialmente dalle funzioni centrali del giovedì e venerdì santo.
La nostra morte in Cristo è indicata quando si celebra la vestizione allorché si dice: «Exuat te Dominus: Ti svesta il Signore»3. Di che cosa? Dello spirito mondano, delle inclinazioni
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cattive, dei tuoi difetti. In realtà, interiormente, non si fa mai la svestizione dell’abito secolare se noi realmente non distacchiamo il cuore dal mondo e dal nostro modo di vedere, dalle nostre tendenze, dai nostri difetti, dalle nostre abitudini non buone.

Nostro Signore Gesù Cristo è morto. Egli ha sofferto in tutte le sue parti. Quando dice: «Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce»4, significa che noi dobbiamo seguire lui, modello, maestro di ogni santità, che dobbiamo rinnegarci in tutto, sempre. E perché? Perché morendo, noi possiamo risorgere.
Dobbiamo ricordare che Gesù Cristo ha sofferto in ogni sua potenza. La sua passione è stata duplice: una passione interiore e una esteriore. Ci fa più impressione la passione esteriore: il sudore di sangue, la flagellazione alla colonna, l’incoronazione di spine, la condanna a morte, il suo viaggio al Calvario, la crocifissione e quindi le tre ore di agonia e la morte: «Inclinato capite, emisit Spiritum»5. Nessun senso fu risparmiato. Soffrirono i suoi occhi alla vista di tanto male e alla vista di quelli che si erano mostrati così ingrati verso di lui; soffrì il suo udito a sentire tante bestemmie, tanti che ne chiedevano la morte: «Crucifigatur!»6. Fu abbeverato di fiele e mirra. Portò la croce e cadde sotto di essa per sfinimento; le sue mani e i suoi piedi furono trapassati da chiodi; il suo corpo solcato da flagelli; il suo capo coronato di spine. Tutta la sua persona fu martoriata: «Non est in eo sanitas»7. Questo ci fa più impressione.
Molto più dolorosa è stata la passione interiore, cioè la sofferenza sua interna come Uomo-Dio. Più chiara ci appare nell’ora passata nell’orto del Getsemani quando sudò vivo sangue. Egli vide l’enormità, la gravità, il numero immenso dei peccati, dei delitti da Adamo fino alla fine del mondo. Quale abominazione! Ed egli era chiamato a prenderseli tutti sulle spalle e scancellarli tutti davanti alla divina Maestà. Egli, che
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vide in un quadro la passione e specialmente l’orribile peccato di Giuda e l’orribile deicidio. Egli, che vide nell’orto l’ingratitudine delle anime che aveva beneficato, perfino di coloro che avevano mangiato il pane suo miracoloso ed erano stati risanati da lui. Egli che veniva abbandonato dagli Apostoli dopo tante proteste di amore, rinnegato da Pietro, il suo fido, a cui aveva affidato la Chiesa e voleva costituire capo, suo primo vicario. Egli che vide il tradimento di colui cui aveva anche affidato un ufficio speciale. Egli che sentiva come la condanna veniva dal sacerdozio del Vecchio Testamento, che era proprio quello che doveva accoglierlo e mostrarlo al popolo, e sentiva l’abbandono del collegio apostolico, cioè del sacerdozio del Nuovo Testamento. Allora la sua sofferenza fu profondissima.

Ma ciò che aggiunse pene a pene fu il vedere, nella sua divina onniscienza, quante anime si sarebbero perdute, nonostante che egli desse tutto il suo sangue: «Quae utilitas in sanguine meo: Che vantaggio dal mio sangue, dai miei patimenti?»8. Tutto questo insieme oppresse il suo cuore e fu la pena più grave della Passione. Per gli altri dolori sudò acqua, ma qui sudò sangue, tanta fu l’oppressione che sentì nel suo interno, nel suo cuore, perché: «Spiritus promptus, caro infirma»9.
2. Ecco, la Settimana santa che ci mostra come noi dobbiamo arrivare a mortificare tutte le tendenze cattive interne: la superficialità dei pensieri, lo spirito di curiosità, le freddezze nel pregare, la sensibilità del cuore troppo assecondata; come noi dobbiamo mortificare la fantasia, i desideri e particolarmente l’amor proprio, i sentimenti d’ira e d’invidia, i sentimenti di ribellione e di orgoglio, e come dobbiamo mortificare i sensi: la vista, l’udito, il tatto, la lingua, il gusto e tutto il corpo mediante la fatica, mediante l’apostolato, mediante l’osservanza dell’orario. Morire con Gesù.
Gli Apostoli, quando sentirono che Gesù stava per salire a Gerusalemme e andava a immolarsi per loro, dissero: «Andiamo
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anche noi e moriamo con lui»10, ma quando si trattò di morire, scapparono. Questo è il quadro nostro. Lo ripetiamo spesso. Amiamo Gesù, vogliamo seguirlo, ma quando si tratta della mortificazione, allora non ci siamo più, abbandoniamo Gesù. E Gesù sul Calvario, volgendo l’occhio attorno non vide gli Apostoli che pure avevano protestato: «Ancorché dovessimo andare in carcere e alla morte, staremo con te!»11.

Prima parte del mistero cristiano: la morte nostra in Cristo, perché mediante il sangue di Gesù Cristo tutti i nostri peccati possano essere cancellati e, mediante la sua grazia, vincere i difetti, correggerci. Se la Settimana santa non portasse questo, noi non capiremmo niente della Pasqua. Questa è la condizione: morire per risorgere. E che cosa vuol dire risorgere? Gesù Cristo morì e fu sepolto, ma il terzo giorno uscì dal sepolcro vivo, glorioso, ornato delle doti del corpo risuscitato. Egli che tanto aveva sofferto in tutte le parti, nell’interno e nell’esterno, è inondato di gioia, di felicità nel suo spirito, e tutte le sue piaghe divengono splendenti come sole. Ora, salito al cielo, si trova alla destra del Padre, eternamente. Una vita tutta nuova per Gesù, una vita gloriosa, prima su questa terra mostrandosi frequentemente ai suoi discepoli, poi sedendo alla destra del Padre eternamente in possesso del suo beato regno.
Una vita nuova anche per noi. Si muore all’orgoglio per vivere nell’umiltà di Gesù: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore»12. Si muore al nostro spirito di curiosità per dominare i nostri pensieri e santificarli tutti, allontanando le curiosità, le notizie strane, non convenienti per noi. Si muore a quei sentimenti cattivi di ira, di attaccamenti, ecc., per vivere di amore di Dio. Vita nuova che vuol dire: una vita di fede con la nostra mente; una vita di speranza rivolta al cielo, fidandoci delle grazie di Dio; una vita di carità verso il Signore e verso il prossimo, una vita di apostolato. Una vita nuova, esemplare, una vita osservante, regolare nel giorno, dal mattino alla sera.
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Una vita veramente religiosa la quale si mostra nell’obbedienza, nella delicatezza di coscienza, nel fervore di spirito, nello spirito di povertà, nell’amore e nell’adattamento a quello che è comune.

Una vita nuova: dopo la Pasqua, risorti in Cristo. Prima [uno] era così, adesso non è più così. Cioè prima aveva questo e quel difetto, cadeva in questo e quel peccato, ora non più, pratica la virtù opposta. Da orgoglioso è diventato umile; da iracondo è diventato mite; da avaro ha abbracciato il voto di povertà e lo osserva; da pigro è diventato fervoroso, generoso con il Signore; da sensuale è diventato spirituale; da goloso, da permaloso, da invidioso, è diventato tutt’altra persona e cioè una persona che segue Gesù Cristo e vive una vita nuova. Ecco, il mistero cristiano! Tutta la vita è così: correzione, cioè morte e risurrezione. Ecco, la vita cristiana! Questi sono i due pensieri o l’unico pensiero, quello del mistero cristiano da viversi nella Settimana santa.
Ma ciò non è tutto, occorre vivere il mistero cristiano ogni giorno. Pasque annuali? No, Pasque quotidiane! E cioè tutte le mattine l’esercizio che chiamiamo di pietà: le pratiche del mattino. Primo, la morte: facciamo l’esame preventivo e ricordiamo i difetti del giorno innanzi per condannarli, per domandare perdono al Signore, per promettere di evitarli, per farli morire con il nostro pentimento e con il proposito fermo di non ricadere. E poi la meditazione che ci porta a confermare la volontà nei buoni propositi, che ci porta ad evitare quei certi difetti e praticare quella certa virtù che abbiamo proposto. L’esercizio del mattino si compone prima di una morte e poi di una risurrezione. Morte a noi: ogni giorno [sia una] settimana santa in breve e, dopo questo, la Messa e la Comunione per vivere in Cristo una vita nuova: «Vivit vero in me Christus»13, per vivere una vita risorta. Ieri ero così, oggi non più; ieri ero imperfetto, oggi sarò più fervoroso, più attento, mi correggerò in qualche cosa, progredirò un tantino oggi. Ecco, la risurrezione in Cristo!
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3. Perciò la Settimana santa, ossia il mistero cristiano, si celebra solennemente soltanto ogni anno, ma in un certo modo questo mistero per viverlo, occorre sia celebrato ogni giorno. Pasqua quotidiana: mediante la morte in Cristo con meditazione, esame di coscienza e pentimento; e la risurrezione in Cristo con Messa ben ascoltata e Comunione che stabilisce la vita di Gesù Cristo in noi. Intendiamo bene qual è il mistero cristiano. La religiosa specialmente deve viverlo.
Molte volte le pratiche di pietà non si sa che senso e che finalità abbiano: devono sempre celebrare il mistero cristiano, cioè morire meglio in Cristo per risorgere in Cristo. Questo certo è avvenuto nel Battesimo, in una certa misura, e nel modo in cui era possibile allora: tolto il peccato originale e stabilita la vita cristiana in noi, vita di fede, di speranza, di carità. Ma deve ripetersi ogni giorno: sempre morire in Cristo, cioè pentirci, detestare tutto quello che non è conforme a Gesù Cristo e sempre abbracciare quello che piace a Gesù Cristo, cioè la vita nuova, la vita risorta.
Ora le domande: vogliamo passare bene la santa Pasqua? Vogliamo vivere il mistero cristiano? E vogliamo ogni giorno, in breve, ripetere la Pasqua al mattino con l’esercizio che è il più importante e che occorre santificare con fervore? Se uno dormicchia di spirito o di corpo al mattino, non comincia bene, poiché già è schiavo di se stesso. Non muore a se stesso chi è tiepido, chi è svogliato, chi è freddo; non muore a se stesso chi non ha il pentimento profondo delle sue colpe, il desiderio di emendazione, la detestazione sincera e l’impegno di correzione. E allora come risorgerà? Risorge chi è morto, non chi è vivo. E per risorgere14 vi è il dolore dei peccati. Si risorgerà allora in Gesù Cristo, con vita nuova. Sempre migliorare ogni giorno. Questo è il fine dell’esercizio del mattino il quale è decisivo per la giornata. Ci si può aspettare una giornata piena di meriti, di letizia e di raccoglimento, se la mattinata incomincia bene nel Signore.
Coraggio dunque, e nello stesso tempo preghiera, perché possiamo almeno noi capire il mistero cristiano, e capire il
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catechismo, il Vangelo, capire la redenzione operata da Gesù Cristo, [redenzione] che noi dobbiamo vivere.

Così ci assicuriamo la risurrezione gloriosa alla fine, quando cioè dal sepolcro saremo richiamati alla vita e risorgeremo anche con il corpo glorioso, dopo che l’anima sarà adornata di felicità in cielo; con il corpo glorioso, perché l’anima e il corpo, redenti entrambi da Gesù Cristo, per le pene esterne e per le pene interne abbiano il premio eterno in cielo con Cristo glorioso, con Maria gloriosa in paradiso.
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1 Meditazione, tenuta a Roma il 1° aprile 1955, stampata in ottavo, e ristampata, senza data, in un trentaduesimo insieme ad alcune conferenze della Prima Maestra del 1960-1961. Tra le due edizioni c’è qualche variante; le curatrici hanno ritenuto come originale la stampa dell’ottavo.

2 Cf Mt 20,19: «Ma il terzo giorno risusciterà».

3 Dal Rituale della Pia Società Figlie di S. Paolo, Roma 1945, p. 14.

4 Cf Mt 16,24.

5 Cf Gv 19,30: «E, chinato il capo, spirò».

6 Cf Mt 27,23: «Sia crocifisso».

7 Cf Sal 38,4: «Non c’è in lui nulla di sano».

8 Cf Sal 30,10.

9 Cf Mt 26,41: «Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».

10 Cf Gv 11,16.

11 Cf Mt 26,35.

12 Cf Mt 11,29.

13 Cf Gal 2,20: «Cristo vive in me».

14 Originale : morire .