Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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26. MENTE, VOLONTÀ E CUORE PER PROGREDIRE
IN SANTITÀ E APOSTOLATO1


Abbiamo da chiedere sempre doppia grazia: prima la santità individuale e poi la grazia di saperci [spendere] per le anime che il Signore ci affida e compiere l’apostolato, grazie per noi e grazie per gli altri. Maria va sempre considerata sotto due aspetti: la santità personale e l’apostolato. L’apostolato [di Maria] è dare Gesù Cristo al mondo, [considerare] come lo ha compiuto nella sua vita terrena e come lo compie adesso distribuendo la grazia alle anime.
In primo luogo: la santità individuale. La vita religiosa è la vita cristiana vissuta in pienezza. Infatti, il primo, principale comandamento è questo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze». Poi vi è un comandamento simile a questo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»2. La differenza tra la vita cristiana e la vita religiosa sta qui: il cristiano anche quando vive bene la sua vita è un po’ diviso, come si esprime S. Paolo: «divisus est», invece la religiosa si dà tutta a Dio. Dice S. Paolo: La donna sposata pensa alle cose che riguardano il mondo e a piacere al marito; «divisus est»3.
Ma chi consacra la sua vita a Dio, nella professione dice: «Me totum Deo […]4: [Mi consegno] interamente a Dio». Questo primo comandamento, che è chiamato anche massimo, ha tre parole che esprimono veramente la vita religiosa vissuta integralmente: «…tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze e tutta la volontà». Sono i tre punti che fanno la distinzione tra la vita del semplice cristiano, pur buon cristiano, e la vita della vera religiosa, del vero religioso.
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Tutta la mente. L’amore al Signore con tutta la mente, come si esercita? Quando la nostra mente pensa a Dio e alle cose che appartengono al servizio di Dio, alla volontà di Dio, è occupata in cose sante, non è occupata in ciò che può riferirsi alla famiglia, ma a Dio e a quello che serve a cogliere il volere di Dio, a tutto ciò che costituisce merito. Tutta la mente! Sono possibili esercizi: la meditazione, l’esame di coscienza, il vivere raccolte in Dio, il fare letture buone, assistere alle conferenze, penetrarne il senso, fare i riflessi. In tutto questo la mente pensa a Dio e alle cose del servizio di Dio, ad esempio quando pensa a come fare la scuola, come trattare le novizie, come riuscire nella formazione delle aspiranti, quando pensa come fare la redazione, la parte tecnica, la propaganda, [queste] sono le cose che riguardano […]5 [il servizio di Dio].
Non si può mandare via un pensiero cattivo senza usare un po’ di astuzia. Bisogna che produciamo pensieri buoni, come quando in una camera buia ci sono le tenebre, queste si scacciano introducendo una lampada. Ecco, pensare a Dio. Molti peccati riguardano la mente: i pensieri contrari alla fede, alla speranza, alla carità, alla giustizia, alla temperanza, alla fortezza, alla prudenza; contrari alle virtù religiose: povertà, castità, obbedienza; contrari all’umiltà, pensieri di insubordinazione: molti pensieri che si tengono liberamente e volontariamente e che possono offendere qualsiasi virtù. La vigilanza sulla nostra mente perciò è la [cosa] più necessaria. D’altra parte nessun peccato si fa senza la mente: se manca il consenso non c’è peccato, e neppure alcun merito si fa senza la mente. Se dicessimo il rosario in sogno, siccome è assente la mente, non c’è il rosario, non è meritorio. Il pensiero, perché sia peccato, deve essere volontario, voluto chiaramente, liberamente, volontariamente. E anche il pensiero, se è buono, per essere meritorio deve esser volontario. Quanti meriti si fanno con un solo pensiero! «Elevare la mente a Dio: elevatio mentis in Deum»6, raccogliersi un istante per ricordare il pensiero della meditazione, mandare
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a memoria l’avviso che si è ricevuto oppure il catechismo, riflettere sulle cose che ci furono dette per capirle meglio e quindi meglio eseguirle: tutto questo è mettere la mente al servizio di Dio e guadagnare […]7 meriti.

La mente però deve essere sorvegliata, perciò nell’esame di coscienza in primo luogo esaminarsi sui pensieri. Il proposito, se è ben fatto, deve comprendere anche parte della mente ed ha come tre espressioni; ad esempio, perché ci sia carità, in primo luogo bisogna pensare bene delle persone, ma quando c’è il male oggettivo, non pensare che quel male non sia male, ma scusare la persona. Tutta la mente! La religiosa non ha bisogno di pensare alla sua famiglia, anzi le è vietato di pensare alla famiglia in modo umano, può pensarci, ma in modo soprannaturale e cioè pregando per la famiglia [...]. Pregare, ma non deve, non può dividersi tra la famiglia religiosa e la famiglia umana.È tutta di Gesù. Se non arriva [a questo]…, ma alla professione [ha detto]: «Tutta mi dono, offro e consacro». Tutta, non parte, e non togliere nulla del nostro dono a Dio, non togliere nulla, neppure un momento di tempo. Ma che male c’è? potrà direqualche persona, e qualche volta me lo sono sentito ripetere. È sottrarre a Dio quel che hai donato, hai messo i fiori sull’altare e poi li togli al Signore? E fossero solamente i fiori! Ma i pensieri sono cose immensamente più preziose dei fiori che pure alle volte sono belli e messi sull’altare [...].
Secondo: Amare il Signore con tutto il cuore, di modo che la religiosa possa dire davvero: Vi amo con tutto il cuore sopra ogni cosa. Amare il Signore che è bene infinito, che è il paradiso, quindi i desideri del paradiso sono amore al Signore. Amare il Signore, amare la Messa, la Comunione, la Visita, amare le confessioni, amare la Madonna, S. Paolo, gli angeli custodi e tutti i santi del cielo, amare le anime, la Chiesa, amare il Papa, amare tutti coloro che ci fanno del bene, amare le sorelle, amare le Costituzioni, gli usi della Congregazione e amarne l’apostolato: tutto questo è amor di Dio, o è Dio direttamente

o è cosa che appartiene a Dio. Quando mandiamo un bacio al Crocifisso che è di metallo…, il bacio non finisce nel metallo,
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ma va su, è dato a Gesù. Ecco, amare il Signore, non l’amor proprio [...], l’ambizione, i desideri di stima, volersi mettere in mostra, far bella figura, non [avere] attaccamento a qualche cosa di umano, terreno, carnale, fosse pure soltanto a una figura o a una fotografia. Amare veramente il Signore.

Sempre vi è da dire questo: l’amore di Dio è contrario all’amor proprio che alle volte si veste di sembianze attraenti. Qualche volta è la simpatia o l’antipatia verso una persona che fa travolgere anche i giudizi, poiché quando si ama una persona per simpatia, tutto quello che essa fa è buono, tutto quello che dice è buono; se invece si ha antipatia, tutto quello che fa o dice quella persona non è buono. Allora il cuore fa male alla testa, cioè travolge i pensieri e i giudizi. Amare il Signore vuol dire togliere ciò che nel cuore dispiace a lui: l’orgoglio, la superbia, i rancori, le sensualità, la pigrizia nel pregare, nel fare l’esame di coscienza, ecc. Oh, il cuore va dato tutto al Signore, sia vergine, non un cuore che: Signore, vi amo con tutto il cuore e sopra ogni cosa , e dopo quando si parla di una sorella, se ne parla in male, si rilevano i difetti, e allora il cuore è tutto una mescolanza di bene e di male. Cuore vergine vuol dire: tutto [di Dio]. Adesso parlo della verginità non nel suo senso proprio, ma in un altro senso, e non vorrei essere frainteso.
In terzo luogo, amare il Signore con tutte le forze, e allora la pigrizia non ci sta, il perder tempo non ci sta, le disobbedienze non ci stanno. Con tutte le forze amare il Signore! Obbedienza completa ai comandamenti che ci ordinano di pregare, di rispettare e obbedire i superiori, di essere benevoli con tutti, che ci ordinano la delicatezza dei costumi nel parlare, nel guardare, nel pensare, nel non mettersi nell’occasione. Osservare tutti i comandamenti, anche il rispetto della roba altrui e vigilare sopra i desideri del cuore e sopra i pensieri che possono essere contrari alla castità, alla giustizia, ecc. Obbedienza, quindi l’esame di coscienza sopra i comandamenti.

Poi osservare i voti con tutte le forze, osservanza dei voti fatta con quella diligenza e cura che è gradita al Signore, perché ci può essere una volta l’obbedienza e una volta la disobbedienza, oppure si obbedisce quando si è veduti e non si obbedisce
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quando non si è veduti. Ecco, obbedienza! Così riguardo alla castità e alla povertà. Abbiamo sempre da curare che tutte le forze siano riservate al Signore, quindi che uno operi con quanto ha di salute. Chi ne ha di più deve dare di più al Signore e chi ne ha meno darà quel tanto che ha. Ma se quel tanto che si ha, lo si dà con amore, fosse pure solamente cinque, può avere il merito come un’altra che dà dieci, perché ha dieci disalute. È l’impegno che si ha, è l’amore con cui si agisce che costituisce il merito. Quindi tutte le forze al Signore. Se una ha un ufficio, sarà l’ufficio della cucina, della biancheria, sarà l’ufficio della compositoria, sarà l’ufficio della propaganda, sarà il far la scuola, ecc., quando si mettono veramente tutte le forze, quando ci si impegna, la mente si concentra per pensare a come si deve fare. Per compiere l’azione nella migliore maniera possibile, e per indovinare il pensiero di chi ha disposto [è necessario] mettere tutta la mente e amare ciò che è stato disposto e comandato, e impegnarsi perché venga eseguito bene. Sì, servire Dio con tutte le nostre forze, cioè vedere che non manchi niente. Se il Signore ci dà tanti anni di vita, dobbiamo impiegare tutti gli anni, tutte le ore per il Signore; se il Signore ce ne dà meno, richiederà solo che impieghiamo quel tanto di vita che abbiamo ricevuto.

Quindi dare tutte le forze al Signore, cercare di fare dappertutto del bene, non lasciar sfuggire le occasioni di dire una parola buona, di dare un buon consiglio, di consolare una persona afflitta. Tutte le occasioni, e non dire mai: Ma questo non è un male grave… Ma quello è un merito piccolo… Ma questa mancanza non mi proibisce la Comunione, non mi manda all’inferno…. Vigilare perché realmente tutte le forze siano per il Signore, tuttavia senza agitazione, senza scrupoli, senza apprensioni che disturbano. Diligenza, applicazione ma non dispersione, fare le cose bene ma senza turbamenti, non pretendere di fare quel che non possiamo, quello di cui non abbiamo forza... Se uno non ha capacità per studiare, non è fatto per il Signore. Il Signore non vuole questo; e se uno finge di voler studiare, fa cosa che è contraria al volere di Dio. Ciascuno [però] deve servire il Signore nella sua povertà. E se ci sono dei talenti, lì ci sia umiltà.
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Con questi principi applicatevi anche nell’educazione, nella formazione, nel governo delle anime. C’è tanto bisogno di progredire, ma se badiamo bene a questi tre punti: tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze, certamente faremo un buon progresso, il progresso di ogni giorno. Chiamate a speciale santità, abbiamo tanta fede, confidiamo nell’aiuto di Dio che quando dà una vocazione, dà anche le grazie corrispondenti: vigilare solo in modo da non rifiutarle. Nella vita religiosa, nella nostra vita disponiamo di tanti mezzi per la santificazione, mezzi che nelle nostre case sono abbondantissimi. Tutte le cure che hanno le madri e le Maestre, le istruzioni, le correzioni, i buoni esempi, tutti i sacramenti che si ricevono, le preghiere che sono richieste dalle Costituzioni, sono tutti mezzi. Il Signore è buono e ci ha arricchiti tanto. La Congregazione possiede una ricchezza di mezzi che è veramente straordinaria; se uno prende i mezzi che sono indicati nel Direttorio non troverà difficoltà a farsi santo. Non parlo di quella santità taumaturgica che è fatta di cose straordinarie, le cose straordinarie sono difficili. Per noi invece sono le cose che dobbiamo fare l’occasione dei meriti, è l’ordinario fatto in modo straordinario, cioè fatto bene, [...] non con trascuranza, come a volte avviene, perché il bene va fatto bene.
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1 Meditazione tenuta durante un corso di Esercizi spirituali a San Paolo, Brasile, [novembre] 1955. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 20a ac 35b.

2 Cf Mt 22,37.39.

3 Cf 1Cor 7,33-34.

4 Originale: tradet... est, dice Cristo .

5 Interruzione di registrazione .

6 Definizione della preghiera data da S. Giovanni Damasceno (650ca-750ca) sacerdote e dottore della Chiesa, in De fide Orthodoxa, 1. III, c. 24; PG XCIV, 1090.

7 Originale: i primi