II
L’AGGIORNAMENTO
Parliamo del cosiddetto aggiornamento1.
E per prima cosa dobbiamo metterlo sotto la protezione di S. Paolo, il quale tendeva [protendersi] sempre più in avanti e cioè: sempre [verso un] maggiore amore a Gesù, sempre un più ampio apostolato, sempre mirando ad un posto più alto in cielo. Difatti la parola aggiornamento può essere intesa in modo diverso, ma questi giorni, nel vostro ambiente, potrebbero dirsi piuttosto, secondo il programma fatto, giorni di progresso.
In un punto vi è da aggiornarsi: nello spirito. Quanto invece alla parte che riguarda lo studio, avete progredito e avete ancora da progredire. Quanto alla parte che riguarda l’apostolato, avete progredito e tendete a progredire. Quanto alla parte della educazione umana, povertà, avete progredito e avete ancora da progredire. In questi tre punti si tratta di progresso.
Quanto alla prima parte, la parte spirituale, si tratta davvero di aggiornamento. Bisogna dire, infatti, che in generale, le virtù erano più forti prima che non attualmente. Allora aggiornarsi davvero, cioè riprendere lo spirito che vi era. Questo riguarda quattro cose: la fede, cioè lo spirito di fede; lo spirito di povertà; la delicatezza, specialmente riguardo alla carità; e poi l’obbedienza più cieca.
Parlare di aggiornamento può anche portare
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dei pericoli, cioè intendere male ciò che significa aggiornamento.
I pericoli sono tre: 1) Voler riformare innanzitutto gli altri e non noi; 2) voler riformare il non riformabile; 3) non voler invece riformare ciò che deve essere riformato.
1. Il primo pericolo è quello di voler riformare prima gli altri. C’è sempre stata nella Chiesa questa tendenza e quindi si riflette anche negli Istituti. Si vorrebbe cambiare, riformare l’Istituto in certe cose e voler che gli altri facciano meglio; invece dobbiamo pensare così: l’Istituto cammina bene se camminano bene i singoli.
Non c’è da dubitare che l’Istituto abbia delle belle Costituzioni che portano alla santità, e sono una via per arrivare a fare un apostolato largo, fruttuoso. Ma ciò di cui si deve dubitare è che noi, tutti e singoli, non facciamo abbastanza bene.
Voglio dire: l’Istituto è una società, cioè un corpo morale. Che cosa avviene in un corpo quando stanno bene e il cuore e i polmoni, quando stanno bene gli occhi e sta bene il braccio, quando stanno bene le singole membra? Si dice: quella persona sta bene. Ma quando in un corpo sono ammalati i denti, gli occhi, e i polmoni non funzionano bene in tutte le loro parti, ecc., il corpo è malato. E quando non sta bene un membro, per esempio uno ha un forte mal di denti, sebbene stia bene in tutte le altre membra, tuttavia dice: Mi sento male, non ho potuto riposare.
Qualche volta bastano pochi individui in una comunità per far star male. Qualche volta c’è la pace in una casa; giunge un carattere un po’ difficile
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e dopo poco tempo in tutta quella casa la pace diminuisce, non vi è più tutta quella serenità di prima. Vi è poi chi ha l’abitudine di contraddire. Basta che si dica bianco perché egli dica nero, e se si dice nero lui dica bianco. Nella Chiesa di Dio c’è sempre stata questa tendenza. Gli eretici sono partiti con il voler riformare la Chiesa. Invece i veri riformatori, come S. Carlo Borromeo2, S. Francesco d’Assisi,
S. Ignazio3, S. Giovanni Bosco, hanno riformato prima se stessi: di riflesso poi è venuto il loro esempio, la loro predicazione. Hanno potuto dire: Fate come faccio io. Ecco, la riforma! E questa riforma è entrata. Ma quando si assale l’autorità, specialmente l’autorità ecclesiastica, religiosa, allora la vita non è più esemplare, di fatto si fa più male che bene.
Ognuna deve riformare se stessa: tendete ad essere migliori, ad essere paoline. Il mezzo è questo: più devozione alle Costituzioni. La riforma, come Istituto, deve venire su questo punto: leggere meglio, meditare, applicare e praticare le Costituzioni nella lettera e nello spirito, [avere] il culto della Regola. In sostanza, ognuna [cerchi di] essere migliore paolina. Se una è ottima paolina, e l’altra ottima paolina, il corpo morale che è la Congregazione è ottimo, è in buona salute, diventa un membro vivo e operante nella Chiesa.
2. Il pericolo di voler riformare il non riformabile. Vi sono delle cose che non si devono riformare. Eppure c’è la tendenza a dire: Oggi non deve essere più così; l’educazione è diversa; voi vecchie siete state educate male, ecc. Mi pare che prima bisogna esaminare se le anziane sono sempre imitate dalle giovani, e ricordare i sacrifici che esse
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hanno fatto quando si è iniziato l’Istituto, la loro dedizione generosa, il loro spirito di fede. Non è più così!. Che cosa non è più così? Il Vangelo? È ancora lo stesso; c’è sempre da ritornare al Vangelo. Quando in principio vi erano dubbi sulla istituzione, ricordo bene che il Vicario generale di Alba mi disse: Andate bene, perché avete le cose vecchie, vivete nel Vangelo, su S. Paolo; non avete delle novità che sorprendono nella Chiesa, ma volete solo vivere meglio il Vangelo. Ecco, questo è lo spirito! Trovate qualche cosa da riformare nel Vangelo? E non c’è sempre nel Vangelo: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»4? E non vi è sempre nel Vangelo il duplice comandamento: «Ama il Signore con tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze, sopra ogni cosa e il prossimo come te stesso»5? E non vi è sempre nel Vangelo: «Andate e predicate»6? E strappiamo forse la pagina del Vangelo ove sono le Beatitudini?
Il non riformabile: ad esempio la clausura7, questa separazione, questa distinzione, nel senso delle Costituzioni; non siete un istituto di vita claustrale, ma la clausura c’è. E non si deve osservare sempre? Non dobbiamo favorire relazioni che non si devono tenere. Non dobbiamo, per le relazioni che abbiamo, sospendere i nostri orari e le nostre occupazioni e specialmente le nostre pratiche. Gli uomini stiano con gli uomini, le donne stiano con le donne. Ma è benefattrice, è benefattore!. È benefattrice e benefattore colui che anzitutto rispetta il vostro spirito, rispetta le vostre Costituzioni, perché altrimenti, pur essendo
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un benefattore e una benefattrice, è un malefattore riguardo al vostro spirito. Non voler riformare ciò che non si deve riformare. La povertà è sempre la stessa.
3. Prendere posizione e non voler riformare il riformabile. Vi sono delle cose da riformare. Ce ne sono sulla povertà, ce ne sono sull’obbedienza, che spesso tenta diventare un ragionamento, ce ne sono quanto allo studio. Ebbene, non bisogna che prendiamo posizione: Quello non bisogna toccarlo; quello va bene così. Se è difettoso bisogna ritoccarlo. Se dipingete un bel quadro e in un certo punto c’è un difetto, bisogna correggerlo. Se la Madonna è dipinta in un atteggiamento che non esprime la maggior virtù, bisogna ritoccarlo; il pittore dia mano al suo pennello e corregga il quadro.
Adesso veniamo al punto da riformare: riguardo allo spirito. Ho detto quattro cose: la povertà, la delicatezza nella carità, l’obbedienza e lo spirito di fede.
Dobbiamo ricordare come erano le prime Figlie di San Paolo, le quali hanno tanti meriti. Vivevano di fede! Nullavedevano! È allora che valeva la fede, perché fede è credere ciò che non si vede. Non vedevano come si sarebbe sviluppato l’Istituto; non vedevano neppure se sarebbe stato approvato; se si sarebbero superate le difficoltà che si potevano incontrare in società e presso le autorità. Nulla vedevano, eppure parlavano del come si sarebbe sviluppato l’Istituto, le vocazioni e l’ampliarsi delle opere. Credevano! E in questa fede sono state ferme, fedeli. E sentendo dire che un giorno avrebbero fatto i voti come religiose vere,
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incominciarono a farli privati e così si esercitavano e si preparavano con le virtù ad emettere un giorno i voti religiosi. E il Signore che fa le cose sempre a tempo, il Signore, il quale non precipita, ma sviluppa le cose secondo la natura e secondo la grazia, non ha mancato di premiare la loro fede. Se una pianta è piccola, non bisogna pretendere che cresca in una giornata. Si dice invece: Questa è piccola, ma crescerà e un giorno allargherà i suoi rami e verranno le foglie, i fiori, i frutti.
Quanto è importante lo spirito di fede nelle cose che si prospettano, e sono ancor molte le cose! Non siete ancora in tutto il mondo. Non c’è ancora la possibilità di aprire centri paolini in città grandissime. Ma se c’è la fede, se si crede, a misura di questa fede, si vedrà. Beati quelli che non vedono, ma credono: fede! Fede, che compiendo quei doveri quotidiani, minuti, l’anima si arricchisce di meriti. In ordine al paradiso infatti, tanto vale che una sia scrittrice, o sia sarta, o sia cuoca, anzi chi è in uno stato più umile ha minori difficoltà da vincere in se stessa, non è così facile che sia tentata di orgoglio. Fede, che quelle nostre opere così piccole, nascoste, opere che gli uomini direbbero trascurabili, di nessun valore, producano frutti di vita eterna: «Non sunt condignae passiones huius temporis, futurae gloriae quae revelabitur in nobis»8.
Poi la povertà. Subentra questa interpretazione falsa della povertà: si sta poveri finché non si ha. Appena [però] si può avere, allora entrano le ragioni: E per essere più moderne…; e per avere maggior decoro…; e perché gli altri fanno così... . E si adorna,
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e si aggiunge... E questo me lo hanno dato... E quello se lo procurano...
Vedere un po’ se si ha la devozione alla povertà. Si comprende, bisogna aver riguardo alla salute. In quanto alla salute ci vuole un po’ di aggiornamento, perché in generale è più debole e richiede che ci siano più aiuti. Ma lo spirito di povertà, e per quanto sta da noi, deve essere sempre uguale.
Quale fu la tendenza di Gesù? La santità non sta anche oggi nella imitazione di Gesù? Gesù che cosa ha cercato? Le cose più povere. Dal presepio alla croce: una grotta, un letto così duro e scomodo per morire, fino al sepolcro non suo. La povertà può essere più perfetta di quello che [ora] è. Leggere il libro del Maestro Giaccardo su questo punto: Povertà che si priva; povertà che produce; povertà che provvede9. Povertà che eleva verso i beni eterni; sempre più assetate di beni eterni. Amate le vere ricchezze che sono quelle celesti!
Poi la delicatezza sulla carità. Con facilità si fanno passare i difetti da una casa all’altra, se ne parla e alle volte si ingrandiscono. Che cosa ci dice la carità? Quella carità che è paziente, che considera gli altri come superiori: «Caritas patiens est, benigna est, ecc., non pensa male, ecc.»10.
E sull’obbedienza? C’è sempre di più una tendenza a ragionare, a giudicare le disposizioni, gli indirizzi. Questo ci toglie tanti meriti. Facciamo l’obbedienza anche quando a prima vista non ci sembrerebbe giusto. «Imitamini Deo sicut filii carissimi»11, cambiarci da uomini in figli di Dio! Il primo atto da farsi quando si riceve una disposizione, un indirizzo, un orario, è il sì. Oh, i sì quante anime santificano! «Ecce ancil
la Domini!»12 è il grande sì da imitarsi. «Non mea, sed tua
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voluntas fiat: Non sia fatta la mia, ma la tua volontà»13. «Non come voglio io: Non sicut ego [volo], sed sicut tu»14. In sostanza, l’aggiornamento sarebbe vivere meglio Gesù Cristo: «Vivit vero in me Christus»15. Questa è una elevazione! Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio. Vivere in Gesù Cristo. Oltre l’esame su di voi, vi è da fare anche l’esame sopra l’andamento delle case, l’andamento dell’Istituto, cioè non solo un esame individuale, ma un esame sociale, onde migliorare quanto è migliorabile. Tutto questo sia fatto nello spirito paolino.
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1 Conferenza tenuta a Roma il 12 luglio 1955. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 12b ac 22a. Si ritiene come originale lo stampato.
2 Carlo Borromeo (1538-1584), nato ad Arona (Novara). Cardinale, arcivescovo di Milano, riformò la diocesi e promosse convegni di formazione per il clero. Partecipò da protagonista al Concilio di Trento (1545-1563).
3 Ignazio di Loyola (1491-1556), spagnolo. Nel 1540 fonda la Compagnia diGesù. Suo capolavoro: Gli Esercizi spirituali.
4 Cf Mt 16,24.
5 Cf Mt 22,37.39.
6 Cf Mc 16,15.
7 Cf Costituzioni delle Figlie di San Paolo, ed. 1953, artt. 212-215.
8 Cf Rm 8,18: «[Io ritengo che] le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi».
9 Il Primo Maestro allude probabilmente al libro: Lamera A., Lo spirito di D. Timoteo Giaccardo, Edizioni Paoline, Roma 1955, pp. 292-299: “Una povertà che provvede, una povertà che chiede, una povertà che opera”.
10 Cf 1Cor 13,4-13.
11 Cf Ef 5,1: «Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi».
12 Cf Lc 1,38.
13 Cf Lc 22,42.
14 Cf Mt 26,39.
15 Cf Gal 2,20: «Cristo vive in me».