Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11. VIVERE GESÙ INTERAMENTE1


I. [In carità e umiltà]


Il Vangelo è il principale libro, perché è il libro di Dio, libro di Dio in quanto è scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e ci riferisce quello che Gesù Cristo ha fatto e detto nellasua vita per la nostra redenzione. È anche il principale libro di meditazione, di lettura spirituale. Chi vuole vivere realmente la vita di Gesù Cristo occorre che la conosca, la mediti, la desideri, e questo [specialmente] nelle meditazioni sul santo Vangelo. Ogni domenica la Chiesa ci assegna un tratto del Vangelo da meditare, ma in realtà viene a conoscere molto meglio la vita di Gesù e i suoi insegnamenti chi legge il Vangelo intiero, o diviso nei quattro testi di S. Matteo, S. Marco, S. Luca e S. Giovanni. Forse, ancora meglio, se legge il Vangelo unificato, il Vangelo distribuito per ogni giorno dell’anno, particolarmente se è seguito da note catechistiche e da preghiere liturgiche, perché ci sia sempre insieme il Vangelo, la dottrina e la preghiera della Chiesa. Così veniamo a santificare la nostra mente, il nostro cuore, la nostra volontà; e ispirarli anche a desiderare la propaganda, l’apostolato. Nel Vangelo infatti [si dice come] Gesù compie l’apostolato, e Maria si presenta nell’atto di compiere il suo apostolato [: dare Gesù al mondo].
Vivere Gesù Cristo per intiero vuol dire santificare noi medesimi e non solo, ma arrivare all’apostolato. Non è egli venuto per noi uomini e per la nostra salvezza, e non ha predicato, non ha sofferto e non è morto sulla croce per noi uomini e per la nostra salvezza? Vivere Gesù Cristo intiero significa arrivare non solo all’unione di vita con lui, ma arrivare all’azione di vita con lui, cioè all’apostolato.
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Egli, Gesù, è venuto per noi uomini e per la nostra salvezza, e che cosa devono fare le Figlie di San Paolo? Entrano in questa Congregazione per gli uomini e per la loro salvezza, e cioè non solo per santificarsi, ma ancora per salvare. La vita paolina è estremamente unificata e, se ben vissuta, deve essere immedesimata con la vita di Gesù. Vivere Gesù intieramente come S. Paolo: «Vivit vero in me Christus»2. Vi sono anime per le quali Gesù, quando è ricevuto nella Comunione, è muto. No! Gesù viene in noi per parlarci, per sentirci, per dare: è attivo! E queste anime ricevono Gesù nel senso che egli parla, sente e si comunica agli uomini e alle anime nostre, questo Gesù desidera ancora, e per voi vuole, che diventiate parlanti, ripetendo la sua parola, e che la vostra vita sia «in Christo et in Ecclesia»3, cioè secondo il Vangelo e secondo la Chiesa che ha approvato la Famiglia Paolina. Gesù che è predicato, Gesù che si immola per le anime, un Gesù il quale vuole che il paolino e la paolina lo ripetano, o come si suol dire: paulinus alter magister: il paolino deve essere un secondo maestro, la paolina una seconda maestra, in quanto ripetono agli uomini la dottrina stessa di Gesù Cristo, secondo lo spirito della Chiesa.
Oh, penetrare queste cose, perché vi sentiate più liete, più entusiasmate del vostro apostolato! Finché viviamo sulla terra andiamo soggetti a tanti alti e bassi, e alle volte a scoraggiamenti, ma questo si ripete soltanto quando noi non facciamo delle belle Comunioni, non leggiamo bene il Vangelo, non capiamo bene la vita di Gesù Cristo, pontefice e apostolo, quando non comprendiamo l’ufficio di Maria e quindi della suora: dare Gesù al mondo.
Il Vangelo di oggi4 serve di meditazione e ha due parti: la prima è per correggere le idee false che avevano i dottori della legge e i farisei che interpretavano assai male la parola di Dio. Quanti [oggi] interpretano male la parola di Dio! Il mondo va disseminandosi sempre più di protestanti che, pretendendo ciascuno di aver le idee giuste, non interpretano bene la parola di
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Dio; ma Iddio ha operato secondo la sua provvidenza, affinché gli uomini non abbiano a sbagliare nell’interpretare la parola di Dio. Il Signore ha messo un interprete, il quale illuminato da Dio stesso ci spiega il senso della parola di Dio, è il Papa. Egli intende il Vangelo, lo custodisce, lo propone, lo interpreta e lo presenta a noi spiegato e adattato ai bisogni della società moderna, oggi, come domani, essendo sempre lo Spirito Santo che parla. Noi quindi non solamente abbiamo la sicurezza che la Bibbia è infallibile, ma abbiamo ancora la sicurezza che il Papa, che deve interpretarla, è infallibile. Doppia tranquillità. Riconoscenza quindi a Dio, a Gesù Cristo, il quale ha stabilito il Papa come interprete della sua parola e interviene, mandando lo Spirito Santo, perché nell’interpretarla non possa mai cadere in errore.

Ciò che uno può sbagliare come uomo è un affare che riguarda la persona, ma noi dobbiamo intendere quello che riguarda l’insegnamento, e che veramente ci assicura di camminare nella verità e secondo la dottrina, [inoltre] l’insegnamento morale che Gesù Cristo ha indicato, e la via della santità che egli ha voluto proporci: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli»5. Dunque, i dottori falsi della legge interpretavano che il giorno del Signore, il sabato, si dovesse osservare fino al punto di non più curare gli infermi. E voi che cosa dite? Non si deve operare un miracolo per guarire un infermo, e i malati si devono abbandonare in giorno di festa? La pietà cristiana [invece] insegna e ammette che è proprio alla domenica, il giorno consacrato al Signore, che dovremmo compiere opere di pietà e di carità, più che negli altri giorni. E Gesù li mortifica e dice: «Chi di voi ha un bue o un asino che di sabato gli venga a cadere in un fosso, e non vada a tirarlo fuori per non perderlo?»6. Ora, se è permesso fare questa fatica di sabato per salvare un bue o un asino, non è permesso salvare allora la vita di un uomo? Non sapevano cosa rispondergli.
Noi facciamo un proposito fermo. Troveremo sempre di quelli che sono orgogliosi e interpretano la parola di Dio secondo
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le loro idee. Noi dobbiamo essere umili: l’umiltà in primo luogo sta nel piegare la testa e dire: Credo, anche se non capisco, credo perché la parola di Dio è chiarissima, e l’interprete della parola di Dio è illuminato dallo Spirito Santo, dunque io sono certo che ascoltando la Chiesa cattolica e il Papa ho la dottrina che ha insegnato Dio stesso, Gesù Cristo medesimo, che è la dottrina della verità.

La seconda parte [di questo brano] del Vangelo è anche registrata nelle Costituzioni: «Recumbe in novissimo loco»7. «Quando sei invitato a un pranzo, non metterti al primo posto, perché se poi colui che ti ha invitato ti venisse vicino e ti dicesse: Tirati un po’ più indietro, perché c’è un altro invitato più degno; allora cominceresti ad arrossire, a vergognarti. E lo diceva a quelli che nei pranzi, nei conviti cercavano i primi posti»8. Quindi Gesù aggiunge: «Recumbe in novissimo loco, come c’è nelle Costituzioni: Mettersi all’ultimo posto».
Stare umili, «perché quando venga colui che ha invitato degli amici al convito ti trovi nell’ultimo posto e ti dica: Vieni più avanti, il tuo posto è più innanzi. Ecco, avrai onore davanti a tutti i commensali».
E chi è che inviterà e darà i posti in paradiso? Dio! Alle anime umili che si mettono all’ultimo posto sulla terra, il Signore darà i primi posti in paradiso. Si sarà in paradiso, in alto,non secondo la sapienza, secondo il lavoro, secondo la nostraabilità, secondo il posto che occupiamo sulla terra, ma secondol’umiltà del cuore, perché «chi si umilia sarà esaltato, in quanto si è umiliato, e chi si esalta, e stima se stesso più degli altri,sarà umiliato»9. Ecco, chi ci darà il posto in paradiso saràGesù Cristo stesso, che darà i posti secondo i meriti. I meritisi fanno in tante maniere, per esempio, con l’apostolato, con illavoro intellettuale, il lavoro fisico anche, ma soprattutto conle disposizioni necessarie…10.
[Abbiamo] l’umiltà del cuore quando siamo convinti di essere nulla e di esser peccatori, di aver tanto bisogno di grazie
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e di misericordia dal Signore, di far poco bene, di sentire il bisogno che Gesù ci dia i suoi meriti perché non ci sono i nostri.Allora c’è l’umiltà. Gesù a queste anime umili che possonoessere alle volte sulla terra quasi sconosciute, a quelle personeche possono essere come trascurate e stimate per nulla, Gesùdirà: «Ascende superius: passa nei primi posti». Il primo postoè tenuto da colui che fu il più umile, Gesù Cristo, il secondo dacolei che lo imitò perfettamente nella sua umiltà, Maria: «Ecceancilla Domini»11. E poi in ordine gli altri, quelli che hannoseguito gli esempi di Gesù umilissimo e gli esempi di Mariaumilissima.

Perciò leggere bene il capitolo delle Costituzioni che parladella carità e dell’umiltà12 che rendono la vita religiosa lieta, come un bel giardino dove fioriscono i più bei fiori, i fiori più profumati. Allora questo giardino terrestre ci fa ricordare il giardino eterno in cielo. Sulla terra la virtù dell’umiltà è ras-somigliata alla viola che si nasconde tra le erbe, nelle siepi e siriconosce soltanto dal profumo; il profumo invita a cercarla e,cercandola, a raccoglierla.
In cielo le anime umili avranno un tale profumo di meritie di virtù, saranno così care a Dio che occuperanno i posti piùvicini al Maestro divino, alla Madre Regina Apostolorum e a S. Paolo. Coraggio, dunque! Nessuna pensi di non poter farsisanta perché non può far questo e non può far quello, ma tuttipossono essere umili, e tutti possono avere la carità, aggiunge S. Giovanni Crisostomo.


[II. Con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze]



Dobbiamo, credo, considerare questo giorno come un ritiro mensile, di cui la prima considerazione è già stata fatta questa mattina, ora la seconda, piacendo a Dio la terza domani mattina. Chiediamo al Signore che cosa? Prima di tutto di fare una buona morte. Il ritiro mensile è un giorno di preparazione alla morte. Poi intendiamo ringraziare il Signore di tutti i benefici ricevuti
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nel tempo passato, anzi possiamo dire dagli ultimi Esercizi o dall’ultimo ritiro ad oggi. Quindi riflettere bene sulle necessità della nostra anima, conchiudere poi con propositi santi, propositi di essere veramente sempre più religiosi, religiose, cioè di Dio.

La religiosa è la persona che ha scelto di compiere perfettamente il primo e massimo comandamento. Il primo e massimo comandamento qual è? «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze»13. Tutti i cristiani devono amare il Signore, ma non tutti lo amano con tutta la mente, perché sono preoccupati di molte cose di questa terra; non lo amano con tutto il cuore perché, essendo in una famiglia, devono amarsi vicendevolmente, anzi il matrimonio dà appunto la grazia agli sposi di amarsi vicendevolmente; e non amano il Signore con tutte le forze perché molte forze le adoperano per il sostentamento della propria famiglia.
La forza della religiosa qual è? E qual è il triplice colore della vita religiosa, vorrei dire il triplice colore della bandiera della religiosa? L’Italia ha la bandiera rossa, bianca e verde. Il triplice colore o i tre colori che costituiscono la bandiera della religiosa stanno nel tutto. Amare il Signore con tutta la mente, non con una parte, tutta: ecco, il primo colore. Con tutto il cuore, non con una parte, tutto. Con tutte le forze, non con una parte, tutte. Ecco, la grazia da chiedere affinché la nostra vita sia come una candela che arde davanti al santissimo Sacramento, lentamente, gradatamente, fino all’ultimo, fino a consumarsi tutta. E qui sta veramente la distinzione tra la vita cristiana e la vita religiosa, in quei tre tutto.
Ogni suora, quando ragiona bene e si trova in preghiera, quando medita, quando parla con Gesù, quando riflette ai suoi casi, dice: Giacché ho scelto la vita religiosa, è meglio che la viva completamente e sia una religiosa perfetta. Come potrei, ad esempio, dare una parte della mia mente e non tutta la mia mente al Signore? Come potrei dare ancora ad altri, parte del mio cuore e non tutto il cuore al Signore? Come potrei cercare di servire altri interessi e non solo gli interessi di Dio, delle anime, della Congregazione? Ecco, dobbiamo detestare qualunque divisione
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di cuore, qualunque pensiero che non appartenga al servizio di Dio, qualunque fatica che non sia indirizzata soltanto al paradiso, a Gesù. Questo ci serve anche per considerare il Vangelo di domani: «Quod est mandatum magnum in lege? Quod est primum et maximum mandatum in lege?: [Qual è il più grande comandamento della legge? Qual è il primo e massimo comandamento della legge?».] «Amerai il Signore Dio con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore, a cui Gesù aggiunge: Vi è un altro precetto che viene dopo, ed è il secondo: Amerai il prossimo tuo come te stesso»14. Quale sarà il mezzo che ci aiuta ad arrivare qui, proprio ad amare il Signore con quei tre tutto? Il pensiero che ci aiuterà sempre, il mezzo che sarà più efficace, la preghiera che otterrà questa grazia, quale sarà? «Memorare novissima tua et in aeternum non peccabis: Ricorda i novissimi e non peccherai in eterno»15.

«Ricorda i novissimi e non peccherai in eterno», ma non basta non peccare in eterno, voglio dire cioè, non trasgredirai in eterno nessun tuo impegno, nessun dovere che ti sei addossata nel giorno della professione: «Tutta mi dono, offro e consacro»16, tutta. Quel tutta è comprensivo, cioè comprende i tre tutto di cui abbiamo parlato. Ricordare i novissimi. Noi abbiamo scelto di non cercare più nulla sulla terra. Nulla: «Dominus pars hereditatis meae et calicis mei»17, egli sarà la mia eredità.
Il Signore è il desiderio dell’anima mia; io cerco solamente lui e conseguirò l’eterna eredità. E in che cosa consiste l’eredità? L’eredità consiste nel paradiso, nel possedere Gesù, nel possedere Iddio stesso. Ecco: «Tu es qui restitues hereditatem meam mihi: Tu, o Signore, mi darai questa eredità», poiché noi abbiamo rinunziato a tutto. Il Signore ci darà, che cosa? Il tutto! Il tutto è Dio, bene infinito ed eterno, ed eterna felicità, ma quel che abbiamo lasciato è così poco, tuttavia osiamo dire: Ho lasciato tutto. Anche Pietro si faceva coraggio: «Signore, noi abbiamo lasciato tutto: che cosa ci darai?». Che cosa ci darà? «Riceverete
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il centuplo, possederete la vita eterna»18, riceverete il tutto, la vita eterna in paradiso.

Allora vediamo che niente ci prenda il cuore, nemmeno un pezzo di cuore; che niente occupi la nostra mente se non ciò che è servizio di Dio e secondo la nostra vocazione; che niente facciamo indirizzato ad altro fine e in nulla ci risparmiamo, non risparmiamo cioè sforzo e fatica. Tutto solo come vuole il Signore, contemplando i novissimi. Se si dice: Santificare tutta la mente, cioè amerai il Signore con tutta la mente, che cosa vuol dire? Che noi dobbiamo purificare la mente da tutti i pensieri inutili, da tutti i pensieri contrari all’amor di Dio, al vero amor di Dio, contrari alla vocazione. Chiediamo al Signore che ci liberi: «Ab omnibus vanis, perversis et ab alienis cogitationibus»19, da tutti i pensieri vani, cattivi, non fatti per la religiosa, non convenienti per la religiosa che vuol essere tutta di Dio. Purificare dunque la mente da ogni pensiero vano, cattivo e non confacente alla vita religiosa. Tuttavia, bisogna dire che nella giornata tante volte forse non siamo abbastanza raccolti e tante volte pensiamo e andiamo con la fantasia appresso a pensieri o a fantasmi che non sono convenienti. Allora tu non puoi dire che ami il Signore con tutta la mente. Se però noi detestiamo tutti i pensieri sconvenienti, se non li vogliamo, ma essi vengono ugualmente, e quando ce ne accorgiamo, cerchiamo di cacciarli, non commettiamo nessun fallo. Che vengano dei pensieri inutili, strani, pensieri di distrazione, ecc., magari pensieri cattivi, che vengano fantasie e sentimentalità non tutte di Dio non dipende sempre da noi. La mente nostra va soggetta a tanti pensieri che non sono sotto il dominio della volontà, e anche quando uno si sforza di cacciare le distrazioni, tante volte non riesce. Capita questo che se uno mette un momento la testa a posto: Voglio pregare, adesso voglio far bene l’esame di coscienza… da lì a poco si sorprende che già con la mente è andato lontano. Non è il pensiero inutile o il pensiero cattivo che formi una tentazione che faccia del male: è il pensiero acconsentito. I pensieri inutili sono quelli contro la
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carità, contro la fede, contro la speranza, contro l’obbedienza, contro la vita religiosa; i pensieri perversi sono i pensieri cattivi che non fanno per noi, sono i pensieri di mondo, di famiglia, i pensieri che ci vengono da letture o spettacoli non convenienti, estranei alla nostra vita religiosa. Tutta la mente sia rivolta al Signore o alle cose del servizio del Signore. Quando siamo in chiesa, o in apostolato, quando facciamo un lavoro, un atto ordinato, pensiamo a quello, a far bene la volontà di Dio applicando la nostra intelligenza. Così quando si è in ricreazione, far bene la ricreazione e rendere lieta la vita di comunità. [Pensare] a tutto quello che forma il complesso dei nostri doveri, a ciò che si deve dire o scrivere, e trovare nuovi mezzi perché la propaganda collettiva sia ben intesa e riesca. Si dice, prima facciamo l’esame di coscienza sui pensieri, poi verranno i sentimenti, le parole e le opere; quindi prima sui pensieri, vedere un po’ se la nostra mente è veramente di Dio.

Il secondo colore che costituisce la bandiera della vita religiosa è tutto il cuore: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore». Abbiamo un bel da fare per pulire il cuore da quello che ci impedisce che esso sia tutto del Signore! Bisogna purificarlo dalla superbia, dall’orgoglio, dalla vanità, purificarlo dallo spirito di comodità, di avarizia, di ambizione, purificarlo dai sentimenti di ira, di rancore, di cattiva interpretazione e dai sentimenti di invidia, gelosia, ecc. Bisogna purificare il cuore da ogni sentimentalità, da amicizia particolare e dalle antipatie. A volte non si pensa che ci siano amicizie particolari, perché non si offende il Signore trasgredendo il sesto comandamento, ma non sono quelle le amicizie particolari: quando due si ritrovano per mormorare, oppure per parlare di cose che non vorrebbero fossero sentite dalle maestre, quelle sono amicizie particolari. Purificare il nostro cuore dai desideri sfrenati di curiosità, dai desideri troppo vivi di vedere e di sentire, dall’attaccamento ai gusti, ai voleri, e da quella disposizione che ci porta a interpretare in male le cose degli altri. Questa è purificazione.

Ma per amare il Signore con tutto il cuore, non basta evitare ciò che è male. Amare Gesù in tre maniere, con tre disposizioni e tre atti particolari: primo, amare il Signore cercando Gesù e il gusto di Gesù; cercando la volontà di Dio, il paradiso, il bene della
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Congregazione, volendo bene alla Madonna, a S. Paolo, agli angeli custodi, alle anime del purgatorio, a S. Giuseppe, ai santi e alle sante di cui portate il nome: questo è amare Gesù.

La vita religiosa non è una vita arida perché, come dice il Papa nella Sacra Virginitas , impone non la solitudine del cuore, ma un amore più intenso per uno sposo più alto, cioè amare Gesù con tutto il cuore, più intensamente di come si potrebbe amare la mamma o potrebbe essere l’amore fra due coniugi20. La Sacra Virginitas di Pio XII insiste e spiega bene questo punto: la solitudine del cuore, per cui sono venuti fuori degli errori che sono stati qualche volta pubblicati anche in libri che non sono stati ben censurati e nei quali si sono incontrate espressioni nonabbastanza ponderate. È per questo che nelle Costituzioni si dice che i vostri manoscritti, i vostri libri devono avere due censure: il censore della Curia e il censore in casa; si capisce che la prima censura, la prima revisione, deve essere fatta in casa21. Nelle Costituzioni si dice come deve esser fatta, e che dipende dai sacerdoti, perché la parola di Dio è predicata dai sacerdoti. È al sacerdote che Gesù ha detto: «Andate e predicate»22. Le suore sono le cooperatrici del sacerdote nella predicazione, in quanto nella predicazione fanno certe parti, e possono farlo esplicitamente, ad esempio parlare alla radio. Voi parlate alla radio con coraggio, e alla televisione fate passare una pellicola e magari dei canti. E inoltre vi sono altre cooperazioni alla predicazione come il lavoro catechistico, la diffusione del Vangelo e di tutta la produzione libraria, dei periodici che sono di cultura religiosa.
Perché non si può fare il libro, il periodico sulla Madonna? Cominciate a pregarci sopra. Quando entra la Madonna, lei si porta appresso Gesù. A me piacciono sempre le statue della Madonna quando è rappresentata con Gesù, perché la sua gloria più grande è di essere la Madre di Gesù. La sua missione è di dare Gesù agli uomini. Dunque, l’atto positivo per cui si ama il Signore
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con tutto il cuore, l’amore a Gesù si manifesta nell’amore alla Visita, alla Messa, alla Comunione.

In secondo luogo, [amare Dio] con tutto il cuore riguarda l’amore alle anime e comprende l’apostolato. Quando vi entusiasmate per l’apostolato, la vita è più serena, sentite di avere una missione e sentite la Congregazione. Allora muoiono novecento-novantanove pettegolezzi, muoiono almeno novecento pensieri inutili, e se ne vanno da sé. Siate inventive nella propaganda, sempre dare, partire per portare un foglietto, cercare il modo di avvicinare, di parlare, cercare il modo di aver cooperatori, ecc.; allora il cuore è preso, la mente è presa dall’apostolato.
E terzo poi, l’amore alla pietà. Vedete, io non riesco a fare una cosa, e devo morire proprio senza vederla fatta? Ma, non riesco! Tempo fa domandavo a un nostro sacerdote che mi correggesse in quello che vedeva e in quello che non facevo ancora abbastanza nell’interesse delle Famiglie Paoline. E lui rispondeva: Ma, mi sembra che le cose a cui mette mano, poco per volta riescano. Non sono riuscito a costituire i cooperatori, né i cooperatori intellettuali, che sono pochissimi, né i comitati che favoriscano le nostre opere. Altri invece hanno i comitati, i cooperatori, come gli Amici di don Orione, come i cooperatori salesiani, e ricevono tanti aiuti. Noi gli aiuti dobbiamo riceverli solamente in offerte? No, in preghiera e in offerte, come sarebbe scrivere un libro, oppure farsi responsabili del centro di diffusione dei periodici e dei libri. Muovere la gente, che sappiano di fare un’opera buona, come assistere i malati e formare ospedali per i poveri, ecc. La maggior carità è questa, segnata da S. Paolo, e che questo Papa si è preso come distintivo: «Veritatem facientes in caritate»23, dar la verità per carità.
Il terzo colore della bandiera della religiosa, il terzo tutto, è amare con tutte le forze. Che cosa significa dare tutte le forze? Significa che ormai tutte le nostre forze siano incanalate nelle opere della vocazione, della missione; che le preghiere siano offerte perché riescano bene gli apostolati, si moltiplichino le vocazioni, perché abbiate i mezzi per diffondere sempre più largamente la parola di Dio. Considerare che tutto vi è venuto dall’Italia e quindi
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portare un grande amore alla Casa generalizia, un grande amore perché le persone, l’istituzione, tutto il governo [è venuto di là].

Gli interessi nostri sono prima di tutto spirituali, e allora la forza della preghiera sia per l’Istituto, per le vocazioni, per l’apostolato, per la santificazione delle persone che sono già consecrate al Signore e di quelle che vi aspirano.
Anche le forze morali siano per mettere insieme tutto quello che si può fare per aiutare a santificarsi: l’istruzione catechistica, l’istruzione culturale per le cose religiose, l’istruzione sul modo di far l’apostolato. Ad esempio, fare l’apostolato con intelligenza, leggere il libro che dovete portare, e se non potete leggere, guardare la recensione, il riassunto, la prefazione, l’indice. Sapere che cosa date, perché il medico non può dire: Va’ in farmacia e prendi il primo botticino che trovi, e poi bevi. Il medico deve dire: Vi è il tale rimedio per te e devi quindi cercare quelle pillole, quel flacone che fa per te e prendere quelle iniezioni composte di questo o di quell’elemento che fa per te, oppure devi ancora assoggettarti a un’operazione. La suora, come il medico, deve dare a ciascuno quello che gli conviene. Dare al bambino o alla giovane libri che sono riservati a gente sposata non è conveniente, come non è conveniente dare un libro per fidanzati a giovinette, a giovinetti.
Con le forze intellettuali, quindi, istruirvi sempre di più: darvi spiegazioni l’una con l’altra, correzioni vicendevoli, meditazioni in comune, buoni consigli e parole che servano di incoraggiamento, di consolazione nei momenti difficili, che indichino come superare le difficoltà che si presentano. Chi è che non passa periodi in cui ha bisogno di parole di consolazione e di incoraggiamento? Ognuno di noi ha le sue piccole o grandi crisi e allora ha bisogno di una parola di luce, di una parola di conforto. E quale merito è mai questo! Non fa parte delle sette opere di misericordia spirituale? Certo.

Mettere insieme le forze fisiche. Una ha salute per dieci, supponiamo, l’altra per sei, l’altra per due. Ognuna di noi deve dare quel che ha. Se una persona ha le forze di dieci e ne dà nove, un’altra ha le forze di due e ne dà due, ha più merito davanti a Dio quella che dà due, che non quella che avendo dieci, dà nove. Il Signore ha riservato a sé il giudizio, perché egli vede bene
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quanta grazia, quanta luce, quanta forza fisica c’è in ognuna. Dare a Dio le nostre forze e, se possiamo fare ancora qualcosa di più, farlo. Se si può ancora lavare i piatti, oppure pulire la casa, se si può portare quel peso o dividerlo con la sorella, ecco, noi guadagniamo qualche cosa in più. Una può imparare mille cose che servono nella vita: come cucire e fare la cucina, come fare la spesa, guidare la macchina e fare la sacrestana, come coltivare e disporre i fiori per il santissimo Sacramento, ecc. Vi sono invece persone che non imparano mai, magari hanno messo il velo cento o mille volte e non sanno ancora di che stoffa è fatto e non saprebbero domani farne l’acquisto. Bisogna che sempre impariamo e ci sforziamo di diventare abili, perché chi è che fa? Coluiche sa fare. Chi non sa fare, che cosa farà? È sufficiente che una figliola impari, ad esempio, soltanto la propaganda? È vero che bisogna specializzarsi, ma oltre a quello, vi sono molte cose di cui una persona, una religiosa può occuparsi.
Dare al Signore tutte le nostre forze, prendere il riposo necessario, il cibo necessario, la ricreazione necessaria, ma sempre con l’intenzione di ristorarci per mantenerci nel servizio di Dio: non possiamo continuamente operare. Certo, vi è molta diversità da chi fin da fanciulla ha imparato a lavorare, fu impegnata nella famiglia in quello che le era possibile, è cresciuta già abituata alla fatica. Certamente bisogna anche vedere se tra le vocazioni c’è questo amore al lavoro, che per noi diventa poi apostolato. Quando c’è poco l’abitudine a lavorare [è facile] perdersi in vanità o in sciocchezze, e allora non si lavorerà nella vita religiosa né interiormente né esteriormente. Se invece c’è l’abitudine al lavoro e si va sempre più formando questa abitudine, ecco che si arriva allora a impegnare tutte le forze fino all’ultimo della vita, quando ne avremo solamente più sei su dieci, e le impiegheremo tutte. E quando non avremo più forze e magari saremo malate e costrette a farci servire, potremo ancora offrire la nostra vita per la Congregazione, per le anime, per l’apostolato, potremo ancora, pur non lavorando più fisicamente, ma soffrendo e soffrendo forse dolori fisici e pene interne, giovare ancora di più alla Congregazione e alle anime, perché Gesù ci ha redenti soprattutto con la sua passione e morte. E non è questo il tempo di meditare le parole della Scrittura: «Sine sanguinis effusione non
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fit remissio»?24. Senza il sacrificio non si fa nulla di bene? Ecco, il sacrificio può essere vario, sacrificio della volontà, sacrificio delle mani, le fatiche e l’amore.

Dunque, la [vita ] della religiosa si distingue per i tre tutto, e fin da stasera proponiamoci di leggere bene questo Vangelo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze». Chiediamo questa grazia al Signore, perché alla fine della vita [anche noi] possiamo dire: «Cursum consummavi»25; Signore, quel che mi hai dato da fare, quel che aspettavi da me, quel che volevi che io facessi è finito, è compiuto. Anche Gesù Maestro alla fine della vita dice al Padre: «Consummatum est»26, quel che mi hai dato da fare, l’ho fatto, e ora ho bevuto fino all’ultimo, fino all’ultima goccia, il calice che mi hai offerto. Quindi, «inclinato capite, emisit spiritum»27, e abbassando la testa in atto supremo di obbedienza, offrendo la sua vita per le anime, egli spira, spira per entrare nella gloria del Padre. «Propter quod et Deus exaltavit illum»28, questa è l’esaltazione. E morendo in questa maniera, di lì in avanti il paradiso!


[III. Amare il prossimo come noi stessi]



Ieri sera abbiamo considerato particolarmente il Vangelo di oggi nella sua parte principale: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze»29 o si può dire: con tutta l’anima. Un Vangelo dice: con tutte le forze, l’altro: con tutta l’anima, ma il significato è sempre uguale. Adesso consideriamo invece l’epistola della Messa celebrata: «Fratelli, io, il prigioniero del Signore, vi esorto a procedere in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con carità, solleciti di conservare l’unità dello spirito mediante il vincolo della pace. Uno solo è il corpo e uno
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solo lo spirito, come ancora siete stati chiamati a una sola speranza nella vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e padre di tutti, che è al di sopra di tutti e agisce in tutti ed è in tutti noi. Egli è benedetto nei secoli dei secoli e così sia»30. Questa epistola sta bene in relazione al Vangelo: «Il secondo comandamento è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso»31. E S. Paolo in questa lettera spiega come dobbiamo amarci e, per dar più forza alle sue parole, dice che scrive questo agli Efesini mentre si trova legato in catene: «Io, prigioniero del Signore: vinctus in Domino»32. Egli era stato imprigionato in quanto confessava, predicava Gesù Cristo, quindi le catene le portava per amore di Gesù, per la predicazione continua del nome di Gesù Cristo e del Vangelo. Dunque, egli dà forza alle sue parole.

Mentre si dice prigioniero del Signore, dimostra che ama il Signore con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Le parole seguenti perciò dobbiamo prenderle con speciale riverenza: «Vi esorto (anzi la parola latina è più forte: vi scongiuro) di procedere in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati»33, cioè secondo la nostra vocazione.
E qual è la nostra vocazione? La vocazione nostra, diciamo, è la vocazione alla santità, perché il primo articolo delle Costituzioni [afferma che] il fine è la perfezione delle persone che entrano nell’Istituto, e la vocazione all’apostolato secondo l’articolo seguente delle Costituzioni. Dunque S. Paolo ci scongiura di procedere, camminare nello spirito della nostra vocazione: santità e apostolato, a cui siamo stati chiamati. E come si procede, perché veramente raggiungiamo la santità e compiamo fruttuosamente l’apostolato? L’Apostolo dà le condizioni, le disposizioni: «…con tutta umiltà» per prima cosa. Se una si inorgoglisce, diviene sale scipito, cioè sale guasto che non vale più nulla, non serve più a condire gli alimenti, né a preservare dalla corruzione. Quando c’è l’orgoglio in un’anima è finito tutto, cioè non ci sarà né perfezione né fruttuoso
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apostolato. Si farà forse qualcosa, ma sono cose esterne [fatte] davanti agli uomini che non produrranno nelle anime alcun frutto e non serviranno per merito alla vita eterna. L’umiltà, l’umiltà del cuore che attribuisce tutti i doni che si hanno a Dio, e ci porta sempre a diffidare di noi e supplicare il Signore che ci tenga la sua mano sul capo per non commettere degli errori gravi. L’umiltà attira le grazie del Signore, soprattutto e sopra tutti, e particolarmente le grazie che riguardano la nostra santificazione.

E si procede «con mansuetudine». Alle volte vi è chi è chiassoso, rumoroso, e vorrebbe imporsi a tutti e dire le sue sentenze su tutti. Dice S. Paolo: Mansuetudine! Mansuetudine significa saper sopportare, saper sempre trattare con benevolenza, aspettare a dire il nostro pensiero quando gli altri hanno pronunciato il loro e adattarsi quando il pensiero è buono e saper presentare il proprio quando lo riteniamo buono, anche per correzione ed edificazione degli altri. Saper trattare con quella mansuetudine che conquista i cuori. Vi sono suore che a un certo punto si rendono insopportabili, e vi sono suore che sono richieste da tutte le case: Mi mandi quella.... E se si potesse moltiplicare quella, e da una farne cento, si accontenterebbero cento case.
Mansuetudine, perché dobbiamo alle volte considerarci anche nella comunità. [Chiederci:] Per parte mia porto la pace, la serenità, porto sempre incoraggiamento e letizia? Ecco, mansuetudine!

Poi S. Paolo dice: «…con pazienza». È tanta la pazienza da esercitare nell’apostolato e nella vita di comunità, nella vita intima di famiglia religiosa. Crediamo noi che fra le tre persone santissime Gesù, Giuseppe e Maria, che costituivano la prima famiglia religiosa, non ci fosse da sopportare? Anzi, hanno redento il mondo con la pazienza, con il soffrire: Gesù come redentore, Maria come corredentrice e Giuseppe come cooperatore della redenzione. La pazienza è necessaria per farci santi. Senza pazienza noi non seguiamo il Maestro divino, ma con la pazienza lo seguiamo: «Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, cioè mortifichi se stesso, e prenda la sua
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croce»34. A noi piace tanto il paradiso, però bisogna ricordarsi che la strada del paradiso è stretta, quindi richiede sacrificio. E S. Paolo va ai particolari e vuole che si eserciti la pazienza: «Sopportandovi gli uni gli altri con carità». Vi è questo? Lo vogliamo questo? Lo chiediamo questo? Certo, chi ha da chiederlo di più è chi ha l’incarico di guidare gli altri, ma preghiamo perché le case si compongano nella serenità, o come vuole S. Paolo: «mediante il vincolo della pace».

Questo sopportarsi è tanto necessario, non solamente perché non vogliamo avere rimproveri, ma per motivo di carità, «con carità», dice S. Paolo, cioè per amor di Dio. Si sa già che uno ha dei difetti, un altro ne ha altri, messi insieme [...]35, [ci sarà la somma dei difetti], e allora ci vuole più pazienza. Ho sentito una volta una suora che ragionava così: Non capisco, a casa mia eravamo trentatre in famiglia e ci volevamo tutti bene, salvo qualche cosa in qualche momento. Ma la nostra mamma era sempre quella che metteva la pace fra tutti. Nessuno chiedeva di separarsi, anche se i miei fratelli avevano dei bambini, e già si sentiva che era ragionevole costituire diverse famiglie.
E quello che si fa alle volte in una famiglia buona, cristiana, come mai non possiamo farlo fra noi religiosi? Non si dovrebbe mai arrivare a dire: Bisogna cambiare [questa suora] che porta scompiglio, perché si ottenga la pace in questa casa. Questo motivo non dovrebbe mai esserci, perché si fa il voto di povertà, castità e obbedienza, e si dice di voler uniformare la vita alle Costituzioni, cioè di vivere la vita comune36.
E la vita comune è unità di pensiero, unità di cuore, è vita serena, è vita di tranquillità, è vita di pace. Altrimenti non c’è vita comune, e che cosa può avvenire? In una casa c’erano due suore, se una mangiava alle tredici, l’altra cercava di mangiare prima per non trovarsi insieme; e se l’altra mangiava prima, quella mangiava alle tredici e un quarto. Vi è qui il principio
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della vita religiosa, la carità? E se non sappiamo arrivare fin lì, non siamo nemmeno al principio della perfezione, perché la perfezione sta nella carità che rimane in eterno, ed è l’unica virtù che portiamo in paradiso. Allora, «solleciti di conservare l’unità dello spirito», bisogna essere strettamente uniti alla Casa Madre, alla Casa Generalizia, ed essere strettamente unite tra sorelle mediante il vincolo della pace. Infatti uno solo è il corpo e uno lo spirito, e voi formate un corpo morale, una società, un’istituzione religiosa, e vi chiamate Società delle Figlie di San Paolo. Una società è un corpo morale dove tutte le persone insieme formano il corpo fisico o, meglio, ciascuna persona forma il corpo fisico. Uno solo è lo spirito della Congregazione, uno solo l’indirizzo che ricevete dalle Costituzioni da leggersi con venerazione, e da ogni cosa che viene detta. Ancora: «Siete state chiamate a una sola speranza… della vostra vocazione». E non è unico il fine? Non è una sola la speranza della vostra vocazione? Quale speranza avete avuto entrando? Farvi sante ed esercitare l’apostolato.

Ecco, vivere questa unità di pensiero e di aspirazioni.

S. Paolo lo spiega profondamente, ma qui occorrerebbe un mezzo trattato di teologia per spiegare tutto il suo pensiero. Per noi che siamo semplici basta leggerlo e, invece della teologia, prendiamo il catechismo. «Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e padre di tutti, che è al di sopra di tutti e agisce in tutti», questo è molto profondo! «Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti e agisce in tutti» ed è in tutti noi. «Egli che è benedetto nei secoli dei secoli, così sia».

Allora questa mattina facciamo un buon proposito e chiediamo la grazia al Signore di vivere nella carità di famiglia religiosa. Talvolta può esserci qualche cosa per cui non ci si intende a vicenda. E come ci si intenderebbe? Anche riguardo all’apostolato abbiamo dovuto insegnarvi passo passo come fare e ci sarebbe ancora tanto da insegnare. Infatti, quando si dice qualche cosa voi potreste domandare: Ma perché? Quando Gesù a Gerusalemme nel tempio ascoltava i dottori e rispondeva loro, interrogandoli per avere spiegazione, dava un saggio della sua sapienza, un saggio della sua vita futura, una prova di vocazione a predicare il Vangelo. Ebbene, quando Giuseppe
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e Maria l’hanno ritrovato, Maria gli chiese: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Non sapevi che tuo padre ed io ti cercavamo? Ed egli subito: Non sapevate che io devo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?... Et non intellexerunt: Non capirono»37. Dunque, tante cose non si capiscono, ma bisogna accettarle, perché se io avessi parlato della stampa, della radio e del cinema subito alle prime figlie, non mi avrebbero capito. Esse non erano preparate e non erano obbligate ad esser preparate perché non avevano avuto [ancora] la formazione. L’indirizzo si deve accettare anche quando non si capisce. Ecco, ciò che voglio dire e ciò che bisogna fare. Perché…38.
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1 Ritiro mensile di tre meditazioni, tenuto a Boston il [24-25 settembre] 1955.Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: prima meditazione A6/an 15b ac 27a; seconda meditazione A6/an 15b ac 27b; terza meditazione A6/an 16a ac 28a. Le curatrici sono state costrette a intervenire più volte per chiarire il pensiero.

2 Cf Gal 2,20: «Cristo vive in me».

3 Cf Ef 3,21.

4 Cf Mt 22,34-46. XVII Domenica dopo Pentecoste.

5 Cf Mt 5,48.

6 Cf Lc 14,5.

7 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953, art. 175.

8 Cf Lc 14,8.10.

9 Cf Lc 14,11.

10 Chi ha trascritto la registrazione ha notato che a questo punto manca un periodo.

11 Cf Lc 1,38: «Eccomi, sono la serva del Signore».

12 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo , ed. 1953, artt. 170175.

13 Cf Lc 10,27.

14 Cf Mt 22,37-39.

15 Cf Sir 7,40.

16 Dalla formula della professione religiosa.

17 Cf Sal 16,5: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice».

18 Cf Mt 19,27.29.

19 Preghiera con cui si iniziava la recita dell’Ufficio del Breviarium Romanum.

20 Cf Sacra Virginitas , lettera enciclica di Pio XII promulgata il 25 marzo 1954, AAS 46(1954), pp. 161-191, in Enchiridion delle Encicliche , vol. 6, EDB, 2003, n. 1022.

21 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo , ed. 1953, artt. 265, 267.

22 Cf Mt 28,19.

23 Cf Ef 4,15: «…vivendo la verità nella carità».

24 Cf Eb 9,22: «Senza spargimento di sangue non c’è perdono».

25 Cf 2Tm 4,7: «Ho terminato la mia corsa».

26 Cf Gv 19,30a: «Tutto è compiuto».

27 Cf Gv 19,30b: «E chinato il capo, spirò».

28 Cf Fil 2,9: «Per questo Dio l’ha esaltato».

29 Cf Lc 10,27.

30 Cf Ef 4,1-6.

31 Cf Mt 22,39.

32 Cf Ef 3,1.

33 Cf Ef 4,1.

34 Cf Mt 16,24.

35 Originale: se ce n’erano due per parte, dopo ce ne sono quattro; e se le persone sono sei, difetti ce ne saranno dodici.

36 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo , ed. 1953, artt. 170175.

37 Cf Lc 2,46-50.

38 A questo punto la registrazione si interrompe.